Storia SCOPRIRE IL PASSATO, CAPIRE IL PRESENTE
N° 100 IN REGALO IL GRANDE POSTER CON LE DATE FATALI DELL’UMANITÀ
100DATEm o Storia
che ha nn
charlEs
darwing
1962
1208 nascita dEll’ordinE FrancEscano
ca.
MENSILE – Austria, Belgio, Francia, Lussemburgo, Portogallo, Spagna � 8 - Germania � 11,50 - Svizzera CHF 12 - Svizzera Canton Ticino CHF 11,50 - Canada CAD 11,50 - USA $ 11,50
2900 a.C. ca.
3100 a.C.
uniFicazionE dEll’antico potEnza Egitto, pEr millEnni trE
inVEnzionE scritturadElla
a.C.
nascE l’impEro cinEsE dEi qin
960
2000 a.C.
FondazionE dEstinatadi roma, la città tutto il a dominarE bacino dEl E buona mEditErran partE dEll’Europa Eo continEntal E. lE origini sono aVVoltE nElla lEggEnda
città, imperi, regni, popoli e nazioni
1235
a.C. ca.
si EdiFica il tEmpio di gErusalEmmE simbolo dEgli , EbrEi
476
la Ford modEllo dalla prima t EscE montaggio. catEna di un mErcatoè dEstinata a nascE la di massa. sociEtà dEi consumi
inFuria l’EpidEmiain Europa di pEstE. chE dimEzza popolazionE la dEVasta E l’Economia
1957
nascE si Va VErsola cEE. l’unionE dEl VEcchio continEntE
1728
V. J. bEring lo strEttoscoprE sEpara chE amErica nord E asia
1785
1973 6 ottobre
eConom ia leggi, trattati banche e , crisi epocali
1929 24 ottobre
crolla nEw York la borsa di nEro. VadurantE il VEnErdì sogno in Frantumi EFFEtti siamEricano. gliil sEntono nEl rEsto anchE dEl mondo
1776 nascE il primo sindacato opEraio, in inghiltErra
1407
dantE alighiEri
Fondata pubblicala prima banca d’Europa: banco gEnoVa. di san giorgio,è il sEguita dalla di borsa intErnazion prima (1460, ad anVErsa)alE
Fatt
ore di impa globaltto e ogni evento
1521
28 giugno
1911 14 dicembre
il dollaro monEta diVEnta diVEnta usa. unità pEr ValutarE bEni
propriEtà
1826
1895 28 dicembre
ViEnE scattata prima FotograFia, la rEalizzata da JosEph nicÉphorE niÉpcE
i FratElli organizzan lumièrE proiEzionE o la prima priVata di Film di animazionE. un usano un cinématogra phe
3500 a.C. nascE in mEsopotami la scrittura,a con l’introduzio dEi carattEri nE cunEiFormi
(qui in ordine
5
cronolo gico) ha
avuto un
diverso
impatto
sul mondo:
alcuni ebbero
0
costruzionE piramidi dEllE (Egitto). di giza insiEmE ai succEssiVi tEmpli Egizi inFluEnzEra l’architEttu nno ra
Cultura arti, letterat lingua e ura, saperi
enze locali,
1909
riVoluzionE iran: Va in al potErE l’aYatollah
1100
387 a.C.
ad atEnE ViEnE Fondata l’accadEmia FilosoFica platonE di
21 agost0
1968
la cEcosloVacch si ribElla ia al dominio soViEtico: è la primaVEra di praga
a.C.
primo alFabEto FEnicio: ha lEttErE 30
1435 lEon battista albErti dEscriVE corrEtto il mEtodo pEr ottnErE la prospEttiVa FiguratiVE. nEllE arti inizia il rinascimEnt o
altri interess arono tutta
1096 15 agosto
264 a.C.
iniziano punichE.lE guErrE roma Va alla conquista mEditErranEodEl
1953
prima l’obiEttiVocrociata
è libErarEdichiarato i luoghi santi, in particolarE gErusalEmm E
autE rEnonEto
riVoluzionE E inizio dEl cubana rEgimE di FidEl castro
334 a.C. alEssandro magno inVadE la pErsia
8 novembre
1917
scoppia in russia riVoluzionE la d’ottobrE (chiamata calEndariocomE da prEndono russo). il potErE i bolscEVichi
1949 1° ottobre
cambi regime, di rivolte e ribellio ni
khomEini
1° settembre
inVasionE tEdEsca dElla polonia: è allE portE sEconda guErralamondialE
storia sui campi battagli di a
26 luglio
in inghiltErra si scontrano monarchia parlamEntoE
rivoluzi oni
1939
battagl ie la
490 a.C.
inizio dEllE guErrE pErsianE. sparta nEl mirino potEnzEE atEnE, grEchE
14 luglio
1642
gennaio
aVVio
1304
consegu
1751 dElla pubblicazio dEll’Enciclo nE di didErotpEdia E d’alambErt
dantE alighiEri la divina scriVE commedia. con pEtrarca è il papà dElla lingua italiana
brEccia di porta i bErsagliEri pia: lE mura sFondano FiniscE ildi roma. potErE tEmporalE dEi papi
Vasco gama doppia capo di dE buona spEranza il raggiungE lE indiE. E Via commErcial aprE una alla Via E altErnatiVa dElla (Via tErra) sEta
1979
2 settembre
31a.C.
battaglia ottaViano di azio: diVEnta l’uomo FortE di roma
1870
1776
i turchi conquistano costantinop oli. crolla romano l’impEro d’oriEntE, ultimo ErEdE dEl mondo antico
scoppia la guErra sEcEssionE di Fra il nordamEricana E il sud schiaVista. Vincono gli abolizionist i
a
di roma
la dichiarazion E d’indipEndEn dEllE sancisE coloniE amEricanE za la nascita con la costituzion dEgli usa. succEssiVo E dEll’anno l’Emancipaz dall’inghilt Erra ionE è dEFinitiVa
l’amEricano robErt Edwin pEarY raggiungE polo nordil
12 aprile
a.C.
20 settembre
novembre
6 aprile
1497
2500 a.C.
la priVata
1861
settembre
1866
il britannico liVingstonE daVid Esplora bacino il intErna.dEl nilo E l’aFrica il colonialism Entra o sua FasE nElla più dura
1722
l’olandEsE roggEVEEn Jakob sbarca sull’inEsplo rata isola di pasqua
1453 29 maggio
49
giulio cEsarE il rubiconE passa con EsErcito. è la FinEil suo FasE rEpubblican dElla
il naVigatorE olandEsE willEm Janszoon il suolo tocca australiano è il primo sbarco : documEntat o
il naVigatorE cristoForo gEnoVEsE colombo scoprE l’amErica. ForsE a mEttErEnon Fu il primo piEdE sul continEntE, nuoVo imprEsa ma la sua punto di è un sVolta
e che hanno ampliato gli orizzont i
il norVEgEsE amundsEnroald conquista pEr il polo sudprimo
1792 a.C.
nEl codicE hammurabi di si dEFiniscE (pEr iscritto)
1492
1487
bartolomEo diaz circumnaViga l’aFrica pEr primo
eSplora zioni le scopert
in un attEntato ViEnE ucciso a saraJEVo FrancEsco l’arciduca FErdinando. è la scintilla EsplodErE chE Fa la prima guErra mondialE
18 gennaio
uniFicazionE gErmania. dElla “sEcondo nascE il cancElliErErEich” dEl gli Equilibribismarck. EuropEi cambiano pEr sEmprE
1606
12 ottobre
luna
con la su roma marcia italia la inizia in dittatura Fascista
28 giugno
idee e persona ggi del vivere insieme
1871
uomo sulla
1922
1914
politiC a fatti,
il congrEsso di ViEnna dEFiniscE il riassEtto dEll’Europa dopo napolEonE
500 a.C.
alExandEr FlEming scoprE la pEnicillina (nEl ’45 VincErà il nobEl)
24 settembre
463 a.C.
ad atEnE Entra in pEriclE politica. considErato è dElla dEmocrazia l’“inVEntorE godE a tutti (anchE ” un potErE gli EFFEtti disE assoluto)
28 ottobre
novembre
in grEcia l’abaco, comparE prima Forma di calcolatric prEcEdEntE E, utilizzato mEntE anchE in cina
1928
si Firma la magna charta limita il libertatum chE potErE dEl inghitErra, rE in libErtà EconcEdEndo diritti
con un di statocolpo inizia l’EpopEa napolEonica
1814
263
FErdinando magEllano compiE la circumnaVig azionE dEl globo
1919
6 luglio
scoppia a causa la crisi pEtroliFEra dEl conFlitto . israEliano VEngono arabolE ForniturE chiusE di pEtrolio all’occidEnt E.
10
1823
30 gennaio
il matEmatico cinEsE liu hui il ValorE Fissa dEl pi grEco a 3,14
SCienza
l’univer la medicin so, a, i e la fisicanumeri
lEonardo
Fibonacci con il liber abaci introducE i numEri in Europa arabi.
15 giugno
1799
1933
hitlEr è nominato cancElliErE piEni potEri : assumE poco spazzaE nEl giro di Via tutta l’opposizion E. inizia in gErmania il tErzo rEich
a. laVoisiEr la lEggE Formula dElla consErVazio dElla massa, nE basE dElla alla chimica
Nel cuore della Nubia, alla scoperta dell’altro Egitto
1861
l’italia Vittorio è unita. EmanuElE ii è il primo rE
1215
9 novembre
si accEndE il primo prototipo di tElEVisorE
1789
1590
il costruttorE occhiali di z. JansEnolandEsE rEalizza il primo microscopio
1202
24 settembre
il trattato VErsaillEs di pacE dopo la di guErra imponE grandE condizioni alla gErmania innEscano punitiVE chE una proFonda Economica. crisi un dominiogli usa iniziano E politico Economico in Europa
25 marzo
1348
1908
1795
nElla Francia riVoluziona l’accadEmia sciEnzE costruiscE dEllE ria campionE, il mEtro dEl sistEma basE mEtrico dEcimalE
sum autE rEnonEtota odis aliquaE spE sum autE rEnonEtota spE
in aFrica occidEntalE si sViluppa grandE impEro il dEl mali, il cui rE più Famoso Fu mansa musa (xiV sEcolo)
caduta romano dEll’impEro d’occidEntE l’impErator . augustoloE romolo ViEnE dEposto da odoacrE
insEdiamEnti indoEuropEi nEl oriEntE. quEstEVicino migrazioni da la Famiglia si dEVE linguistica dEll’indoErop Eo
753 a.C.
Civiltà
gEngis sotto il khan uniscE suo lE tribù controllo l’impEro mongolE. mongolo si EspandErà poi Fino alla cina
il trattato dEl FrancEsE a. parÉ Fonda la chirurgia modErna
attacco islamistatErroristico allE torri gEmEllE di nEw York pEntagono. gli stati E al sono sotto uniti attacco
JamEs watt inVEnta la macchina il watt, a l’unità diVaporE. misura dElla prEndE ilpotEnza, suo nomE
2 ottobre
1925
650 ca.
si diFFondono i mulini a in pErsia VEnto: pEr la prima Volta l’uomo l’EnErgiasFrutta Eolica
gEmEllE
11 settembre
1769
aute renonet cat otaspe odis aliquae
1456
galilEo galilEi pubblica il suo dialogo sopra i massimi domostra sistemi. dElla tEoria la Validità l’anno dopo copErnicana è costrEtto , a ritrattarE
1545
2001
usata
21 febbraio
590
grEgorio diVEnta magno papa. sono lE prEmEssE pEr la nascita dEllo stato dElla chiEsa
246
mEsopotamiin nEllE primE a, città
1206
in cina, tsai un uFFicialE lun, inVEnta di cortE, il modo di FabbricarE partEndo la carta da brandElli di stoFFa
1632
papi, riforme e scismi fatali
lE torri
105 d.C
teCnolo gia sum
il tEdEsco gutEnbErg JohannEs un sistEmtamEttE a punto carattEridi stampa a mobili. il primo libro a stampa è una bibbia
a.C.
in cina VEdE la lucE conFucio
religion e profeti,
16 luglio
1054
scisma d’oriEntE: è la Frattura cristianEsim nEl tra oriEntE o occidEntE E
aTo IL
21 luglio
1969
1804
richard trEVithick collauda la prima locomotiVa a VaporE
1714
g. d. FahrEnhEit Fabbrica tErmomEtroil mErcurio a
551
nascE buddha a kapilaVastu, india
a.C.
nascE cristo (sEcondo la datazionE VErosimilE). più la sua Figura di prEdicatorE la storia cambia dEl mondo
570 nascE proFEta l’ultimo dEll’islam, maomEtto
ca.
563 a.C.
4
313
costantino Emana l’Editto di milano. il cristianEsim è rEligionE o romanodEll’impEro ma c’è libErtà rEligiosa
100 inizio dElla maYa inciViltà cEntroamEric a
11 ottobre
si aprE Vaticano il concilio ii gioVanniVoluto da xxiii. la chiEsa E la liturgia si trasForman o
l’uomo sbarca pEr la prima Volta sulla luna
alEssandro inVEnta la pila,Volta gEnEratorE primo EnErgia statico di ElEttrica
charlEs pubblica darwin l’origine della specie, dEll’EVoluz “bibbia” ionismo
24 settembre
1517
martin lutEro aVVia la sua riForma protEstant E E la chiEsa cristiana si spacca
xxiii
1800
1859
giulio cEsarE
gioVanni
L’impero dei Faraoni neri
o caM BI
nDo
Battaglie , le tappe invenzioni, scop erte, pers dell’uma onaggi che Dopo ques nità (con uno hann sgua te svolte niente è rdo particolare o segnato stato più all’It come prim alia). a.
il lEadEr mao comunista proclamatsE-tung la nascita dElla rEpubblica popolarE cinEsE
1789 14 luglio
con la bastigliaprEsa dElla riVoluzionEscoppia la trE anni FrancEsE. abolita ladopo ViEnE monarchia proclamata
494 a.C
sEcEssionE montE sacro:dEl è il primo sciopEro. la plEbE diVEnta soggEtto politico
rEpubblicala
30 4 a.C. ca.
il FaraonE tolomEo EllEnistico i Fa ErigErE prima grandE la dEll’umanit bibliotEca quasi tuttEà. contiEnE lE opErE allora EsistEnti
9 novembre
1989
crolla bErlino il muro di E si aVVia disgrEgazion la dEl blocco E soViEtico
alExandEr
dove si concen cat renonet otaspe odis trano le aliquae
FlEming
sum aute l’umanit à
tura o giza i di urab peaurabi me scritdell’egitt idi hamm euro salem della ne roma iani ha o ita cazio pirame di e indo di hamm geru e di o pers budd abac iane le ne e nasc unifi codic azioncodcie io di cines ino ino azionVent ita di dell’re persdi peric di platoro berl berl berlino ino ino ino ino migr temp fond ni a nasc zione guer età a impe berl berl berl ino demi o muromuromuro berl berl berlino ino ino ino ino muli inVen berl berl berl ino muromuro acca primcaduta ta ta ta muro berl berl berlino ino ino ino ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berl ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berlino ino ino ino ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berl ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berlino ino ino ino ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berl ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berlino ino ino ino ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berl ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berlino ino ino ino ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berl ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro d.C berl berl berlino ino ino ino ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berl ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berlino ino ino ino ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berl ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berlino ino ino ino ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berl ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berlino ino ino ino ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berl ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berlino ino ino ino ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berl ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berlino ino ino ino ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berl ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl berl berlino ino muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro berl muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro muromuro cadu cadu cadu ta ta ta muro cadu cadu cadu ta ta ta muro cadu cadu cadu
Sum aute renonetotaSp odiS aliquae e Sum aute
3500 a.C.
500
1000
1500
2001
45
Sum aute renonetotaSp odiS aliquae e Sum aute renonetotaSp e Sum aute renonetotaSp odiS aliquae e Sum aute renonetotaSp e
svolte
Sum aute renonetotaSp odiS aliquae e Sum aute
9
5
3
6
9 8
Sum aute renonetotaSp odiS aliquae e Sum aute
6
25
Sum aute renonetotaSp odiS aliquae e Sum aute renonetotaSp e
Sum aute renonetotaSp odiS aliquae e Sum aute renonetotaSp e
2 Sum aute renonetotaSp odiS aliquae e Sum aute renonetotaSp e
Sum aute renonetotaSp odiS aliquae e Sum aute renonetotaSp e
Sum aute renonetotaSp odiS aliquae e Sum aute renonetotaSp e
I pugnalatori di Palermo
VITA QUOTIDIANA, CREATIVITÀ, GIOCHI DI POTERE...
A fine ’800 una misteriosa epidemia di aggressioni insanguina la città
NELLE
CORTI DEL RINASCIMENTO
FEBBRAIO 2015 � 4,90 in Italia
Sped. in A.P. - D.L. 353/03 art.1, comma 1, DCB Verona
ESPLORAZIONI
ALFRED WEGENER, IL GEOLOGO CHE MORÌ TRA I GHIACCI PER LA SCIENZA
ANTICA ROMA
LA REPUBBLICA CONTRO MITRIDATE, IL RE CON LA PASSIONE PER I VELENI
AMORI CREATIVI
PASSIONALI, LITIGIOSE E INFEDELI, LE PIÙ CELEBRI COPPIE DI ARTISTI
Fotostoria del Novecento
LE N O C I E D O FOT ORI! LET T
Ecco come i nostri nonni, i nostri genitori e noi siamo cambiati davanti (e dietro) la macchina fotografica. Questo volume speciale di Focus Storia è il ritratto, e spesso l’autoritratto, degli italiani nel XX secolo. Vi hanno contribuito grandi maestri della pellicola, ignoti fotografi ambulanti e tanti lettori del nostro giornale!
FOCUS STORIA: EMOZIONANTE, SORPRENDENTE, COINVOLGENTE PIU’ CHE MAI
IN REGALO Storia IL POSTER
100DATE CHE HANNO CAMBIATO IL
MONDO
CIVILTÀ CITTÀ, IMPERI, REGNI, POPOLI E NAZIONI
ECONOMIA LEGGI, TRATTATI, BANCHE E CRISI EPOCALI
SCIENZA
L’UNIVERSO, LA MEDICINA, I NUMERI E LA FISICA
P
er festeggiare i suoi primi 100 numeri, Focus Storia regala ai lettori un poster inedito: le 100 date che hanno cambiato il mondo (e l’Italia). I grandi fatti che hanno accompagnato l’uomo dall’invenzione della scrittura all’11 settembre 2001 sono riassunti in un’infografica, raggruppati in 10 categorie, ognuna con 10 date. Eventi-simbolo. La scelta, pur desunta da liste analoghe e libri, è naturalmente opinabile; e la Storia, in realtà, non procede per svolte ed è piuttosto il risultato di una lenta evoluzione. Ciò non toglie che alcuni momenti siano considerati dai posteri spartiacque dell’umanità. Per rendere conto degli effetti sul mondo di questi eventi, abbiamo ideato un ipotetico “fattore di impatto globale”, applicato a ciascuna delle 100 date fatali: quelle che alla lunga hanno coinvolto tutti, direttamente o indirettamente, hanno un fattore di impatto più alto (fino a 10), le altre valori inferiori. Così, per esempio, l’Unità d’Italia, pur importante per il nostro Paese, ha un basso fattore d’impatto globale. Infine, un planisfero illustra la distribuzione degli eventi: la Storia, per noi occidentali, è decisamente eurocentrica. È infatti l’Europa (con il Vicino Oriente e l’Asia) ad aver contribuito di più all’evoluzione della civiltà con idee e invenzioni, ma anche con guerre e crudeltà che hanno travolto gli altri continenti. In primo luogo l’Africa, dove oltre 2 milioni di anni fa la specie umana ha mosso i suoi primi passi. •
POLITICA
CAMBI DI SCENARI, CONFLITTI, SOCIETÀ, NUOVI EQUILIBRI
GUERRE
LA STORIA COMBATTUTA SUI CAMPI DI BATTAGLIA
RIVOLUZIONI MUTAMENTI DI REGIME, RIVOLTE E RIBELLIONI
TECNOLOGIA INVENZIONI CHE CI HANNO CAMBIATO LA VITA
ESPLORAZIONI
CULTURA
RELIGIONE
ARTI, LETTERATURA, LINGUA E SAPERI
PROFETI, PAPI, RIFORME E SCISMI FATALI
LE SCOPERTE CHE HANNO ALLARGATO GLI ORIZZONTI
3
LIBR
O
Un romanzo che racconta quell’epoca sanguinosa e corrotta, immediatamente successiva all’unità d’Italia, vissuta tra illusioni e disillusioni continue, nate da scontri tra detentori del potere e cafoni, notabili e contadini, soldati italiani e sbandati borbonici… “1861” si propone come un saggio dallo stile dichiaratamente divulgativo, con l’intento di dar rilievo a un periodo della nostra storia ancora poco analizzato e conosciuto. Ripercorrendo Ie gesta dei reali protagonisti del “brigantaggio post-unitario” e intrecciandole a quelle di personaggi inventati ma verosimili il romanzo ripro-
DISPONIBILE ANCHE IN FORMATO E-BOOK
duce situazioni e scenari, basando le proprie ricostruzioni su rigorose ricerche, documenti e pubblicazioni.
NON PERDERE I PROSSIMI APPROFONDIMENTI. CHIEDI IN EDICOLA I LIBRI DI FOCUS STORIA!
100 Febbraio 2015
focusstoria.it
Storia Firenze com’era intorno al 1470.
L
Jacopo Loredan direttore
IN PIÙ... ARCHEOLOGIA 14 Nel regno
dei faraoni neri
Il viaggio di Focus Storia tra le piramidi del deserto nubiano, nel regno della regina di Meroe.
GRANDI AMORI 20 Coppie creative Gli amori, spesso tormentati, di artisti, scrittori e muse.
ESPLORAZIONI 24 Un geologo
SCALA
a Storia, così come la raccontiamo, è un flusso. E, proprio come un fiume d’acqua, si divide e serpeggia attorno a certe isole, le date fatali delle vicende umane. Questi avvenimenti sono simboli, punti di riferimento che ci aiutano a mettere in prospettiva la nostra civiltà, e dunque, tutto sommato, arbitrari. A riprova, uno degli avvenimenti centrali, la nascita di Cristo da cui parte il calendario occidentale, ha avuto luogo, secondo i calcoli della maggior parte degli storici, 4 anni prima di quanto generalmente si pensi. Stando così le cose, alcune date scelte per il nostro poster non troveranno prevedibilmente d’accordo alcuni di voi. Fatecelo sapere, via mail, lettera, oppure su Facebook e ne parleremo insieme. Così come insieme, cari lettori, festeggiamo oggi il numero 100 del nostro giornale.
alla deriva
A inizio ’900, Alfred Wegener sfidò i ghiacci (e morì) in nome della scienza.
Dentro il Rinascimento 30
Nella bottega delle meraviglie Come si lavorava nel laboratorio d’arte del Verrocchio, a Firenze.
38 Armati con stile
TEMI 88 IlI GRANDI re veleno
Mitridate VI, il re del Ponto (e grande conoscitore dei veleni) che sfidò Roma.
Milano non era capitale della moda, ma di armi e armature.
44 Le innovazioni del Rinascimento
D’ITALIA 94 ISTORIE pugnalatori
di Palermo
Idee, personaggi e scoperte che hanno segnato la svolta.
I misteriosi attacchi nel capoluogo siciliano, all’indomani dell’Unità d’Italia. Chi c’era dietro?
46
Cercatore d’argento Alfonso d’Aragona, il re di Napoli che tentò il business dell’argento. R UBRICHE
6 LA PAGINA DEI LETTORI
8 NOVITÀ & SCOPERTE
11 AGENDA 12 MICROSTORIA 82 UNA FOTO UN FATTO 84 DOMANDE & RISPOSTE 86 CURIOSARIO 87 TECNOVINTAGE 110 FLASHBACK
CI TROVI ANCHE SU:
52 La corte perfetta
98 LeNOVECENTO streghe
della notte
A Ferrara, tra gli splendori “di provincia” voluti da Borso d’Este.
Le pilotesse dell’aviazione sovietica che nella Seconda guerra mondiale divennero eroine.
58
Arte in codice I simboli nascosti nei capolavori rinascimentali.
64 Tra papi e signori
ANTICHITÀ 102 L’oro verde
Giochi politici e mecenatismo a Urbino, con il duca di Montefeltro.
2.500 anni fa la città del Nord Africa divenne E L R CON ricchissima grazie IL POSTE CHE E T a una pianta: il A D 0 0 1 TO silfio. Ma poi CAMBIA HANNO O “l’oro verde” finì. IL MOND
70
Fantastico Ariosto L’Orlando furioso ispiratore (anche) dei fumetti. In copertina: elaborazione al computer di un capolavoro di Leonardo da Vinci, La dama con l’ermellino (1488-90). ILLUSTRAZIONE GRZEGORZ PĘDZIŃSKI.
di Cirene
IN ! G E R ALO
5
LA PAGINA DEI LETTORI
degli ebrei fece leva sul fatto che nessuno si ricordava del genocidio degli Armeni.
MET/ART RSOURCE/SCALA
Rocco Melegari
Il mistero dell’arpione mancante Nell’affresco della tomba di Nakht, a Tebe, da voi pubblicato a pagina 78 di Focus Storia n° 96, mi ha colpito il particolare dell’arpione mancante. Si tratta di una dimenticanza dell’artista egizio o forse di un “messaggio” nascosto, un simbolo che si è voluto raffigurare sulle pareti di quella tomba? Francesco Pini, Roma
Quel dettaglio mancante è stato studiato da vari egittologi. Una scena di caccia simile si trova anche in un’altra tomba di Tebe-Karnak e in altri ipogei (sepolcri sotterranei) altrove in Egitto. Qui però la raffigurazione è piuttosto superficiale e lacunosa. Non solo Nakht caccia senza l’arpione, ma, anche, gli uccelli sono privi di occhi. Nella stessa tomba (e in altre) si mostra spesso la caccia con il bastone (particolare 2 del pittoracconto). La diversa posizione della mano ha fatto pensare che Nakht impugnasse appunto un arpione da pesca; ma il fatto che altri dettagli siano stati tratteggiati in modo sommario fanno ritenere che la tomba sia stata terminata in fretta, forse per la morte improvvisa del suo proprietario. 6
Il massacro degli Armeni Mi piacerebbe poter leggere un articolo sull’ormai dimenticato massacro degli Armeni. Ben pochi lo sanno, ma durante la Grande guerra il ministro della guerra turco Enver Pascià ordinò il massacro della popolazione armena, accusandola di patteggiare per il nemico e di ostacolare le azioni dell’esercito turco. Gli armeni erano scarsamente considerati nell’Impero ottomano e, pertanto, fu facile a Enver Pascià addossare loro la colpa delle sconfitte turche (causate in verità dalla scarsa abilità militare dello stesso Enver Pascià). [...] È un dovere ricordare il massacro, anche per semplice rispetto alle vittime di una così grande ingiustizia. Hitler, per incoraggiare i suoi comandanti titubanti nell’attuare lo sterminio
Approfittiamo di questa lettera per segnalare che nel prossimo numero ci sarà un articolo sulla storia degli Armeni, con un approfondimento sul genocidio (di cui nel 2015 ricorre il centenario). Di quest’ultimo Focus Storia si è già occupata in passato, intervistando tra l’altro Taner Akcam, tra i primi storici turchi a parlare apertamente di genocidio armeno, e perciò costretto all’esilio.
Eraclio o chi per lui Su Focus Storia n° 95 a pag. 16, è riportata la foto di una statua che raffigurerebbe l’imperatore bizantino Eraclio I (in alto a destra). Non ne è precisata l’ubicazione ma a mio avviso potrebbe trattarsi di quella esistente a Barletta, accanto alla Basilica del Santo Sepolcro, conosciuta in generale come “Colosso di Barletta” e a livello locale come “Eraclio” (in dialetto “Arè”). Se l’individuazione è esatta, per quel che mi è dato di conoscere l’identità del personaggio è oggetto tuttora di dibattito fra gli studiosi, i quali hanno di volta in volta
ipotizzato prima ed escluso poi, con varie motivazioni, trattarsi di Valentiniano I (321-375), Teodosio I (347-395), Arcadio (figlio di Teodosio I, 370-408), Onorio (altro figlio di Teodosio I, 384-423), Marciano (396-457), Leone I “il Trace” (401-474), Giustiniano I (482-565). In base allo stile e alla datazione dell’opera verrebbe escluso che possa trattarsi appunto di Eraclio I (575641). Le più recenti conclusioni porterebbero invece a ritenere che si tratti dell’imperatore bizantino Teodosio II (401-450). Salvatore Curci
La donna-coniglio Leggendo il vostro articolo “Al circo di Barnum”, nel n° 98, mi avete riportato alla mente la storia di Giovannina “la donna coniglio”, che a causa dell’ignoranza e del cinismo divenne vittima di scienziati ciarlatani e di impresari privi di scrupoli. Nella seconda metà dell’Ottocento, nelle campagne di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, in una famiglia contadina nacque una bambina
Il cugino soldato, prigioniero di guerra in Australia Vi chiedo aiuto per un’indagine su un nostro parente scomparso durante la Seconda guerra mondiale. Tutto ciò che mi rimane è una lapide posta nel cimitero del paese natale (Santa Cristina e Bissone, in provincia di Pavia) di questo cugino di mio padre, della quale invio una foto. Vorrei sapere in quale
scenario bellico sia potuto scomparire e come sia possibile che un soldato italiano sia morto in Australia al servizio della patria durante il secondo conflitto mondiale. Luca Fiocchi
Risponde Stefano Rossi, esperto di storia militare. Durante la Seconda guerra
mondiale l’Australia, entrata in guerra nel 1939 a fianco della Gran Bretagna, non fu mai teatro di operazioni belliche, se si eccettuano alcuni attacchi giapponesi a porti e installazioni militari. Ma come in altri territori lontani dai fronti, anche in Australia furono predisposti campi di concentramento per prigionieri delle forze dell’Asse, tra
DREAMSTIME
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Contessa G. vedendo il Conte a teatro lo paragona proprio a Lord Ruthwen per il suo aspetto (favorito dai 14 anni in una segreta del castello d’If) e lui stesso si firmerà scherzosamente Ruthwen, inviandole un prezioso regalo.
chiamata Giovanna, che aveva una malformazione facciale a causa di un gravissimo labbro leporino, un notevole ritardo mentale e una paralisi parziale degli arti inferiori. Un medico del luogo, sicuramente allettato dalle ricompense e dalle richieste pseudo-scientifiche di quel periodo, dando una cospicua somma di denaro alla famiglia povera e ignorante condusse, all’età di sette anni, la bambina a Torino da Cesare Lombroso. Questi non soltanto la “utilizzò” come cavia per le sue strampalate teorie, ma anche come modello di studio durante le sue ore d’insegnamento all’università dinanzi ai suoi studenti. Due anni dopo la ragazzina fu abbandonata in un ospizio, dove fu poi “comprata” da un certo Monsieur Diderot, direttore di un circo lussemburghese che durante i suoi spettacoli presentò la ragazza in una gabbia, con il nome di “la donna coniglio”. Le informazioni dicono che la ragazza morì all’età di ventidue anni a causa di una forte polmonite in seguito alle pessime condizioni di vita, alle quali era soggetta. Dei suoi resti non si sa più nulla e possiamo dire che rispetto agli altri freaks, come Julia Pastrana e Frank Lentini, Giovanna è stata ancora più sfortunata. Sarebbe opportuno e umanamente giusto che la vostra rivista dedicasse un articolo specifico su almeno un freak famoso per rivendicare l’orgoglio di tutta questa gente violata fisicamente e psicologicamente che non solo
Aggiungo un’informazione all’articolo su John Polidori (Focus Storia n° 97). Per tutto il XIX secolo, fin quando Bram Stoker non scrisse Dracula, il personaggio di Lord Ruthwen di Polidori fu il vampiro per antonomasia; si legga per esempio quel passaggio del Conte di Montecristo in cui la nobildonna che Dumas indica solo come
cui gli italiani. Giunti sul suolo australiano, i nostri soldati (in tutto, circa 36.500), furono internati in ben 30 campi. Esistevano anche campi per “Enemy Aliens”, cioè cittadini di origini italiane e tedesche dimoranti da anni nel Paese, ma privi di cittadinanza. La dicitura “Al servizio della Patria” non credo lasci dubbi sul fatto che Luigi Fiocchi (che era
probabilmente ufficiale o sottufficiale del Servizio automobilistico, come si desume dalla foto anteguerra in divisa da Allievo), facesse parte dei prigionieri di guerra. Una ricerca effettuata presso il ministero della Difesa a Roma ha confermato che Luigi Fiocchi, nato a Santa Cristina e Bissone (Pavia) il 22/8/1916, è deceduto il 28/11/1946 (poco
L’ultimo uomo sulla Luna ringrazia Abbiamo ricevuto da Antonio Lo Campo, autore dell’articolo, una copia del numero di Focus Storia del 2012, in cui si ricordavano i 40 anni della missione Apollo 17, autografata dall’astronauta Eugene Cernan, l’ultimo uomo a calpestare il suolo lunare. Ecco la pagina autografata.
Enzo Terzuoli
Monogramma Carlo Mi permetto, dopo aver letto di Carlo Magno nel numero 98, di rettificare un’informazione da voi fornita. Il monogramma che formava la firma (il signum) del re non conteneva solamente le consonanti del suo nome, Karolus, ma anche le vocali. Dove? Nel rombo che collega le consonanti del nome l’una all’altra. Osservatene l’immagine:
ha subìto la sfortuna di avere una malformazione e di essere vittima del cinismo e della cattiveria umana ma anche quella di essere dimenticata e mai citata dai libri di Storia. [...]
ba del Medioevo, l’assenza di approfondimenti riguardo a uno dei popoli più importanti del periodo [...]: i Goti, che nel giro di appena due secoli sono passati da popolo nomade a conquistatori di buona parte dell’ex-territorio romano, dalla Spagna all’Italia (dove ha brillato la figura di un sovrano come Teodorico il Grande).
Raffaele Scirocco, Messina
Silvano Barotti, Genova
Vampiro per antonomasia
si parte a interpretarlo da sinistra, con la K, e si va al centro, dove la parte superiore del rombo assomiglia chiaramente a una A; si va poi sulla R e si torna in centro, dove l’intero rombo rappresenta una O; si passa alla L e, tornando al rombo, la sua metà inferiore formerà una U, per poi finire con la S.
E i Goti?
Elisa Girotti
Mi ha sorpreso, nel numero sull’al-
Il numero era incentrato principalmente sulla figura di Carlo Magno. Dei Goti ci siamo occupati più volte, ma torneremo sicuramente a farlo.
I NOSTRI ERRORI
Focus Storia n° 99, pag. 84: le immagini del funerale di Francesco II di Borbone si riferiscono al trasferimento della salma da Arco a Trento.
prima del probabile rimpatrio) a Waranga, ed è sepolto a Murchison (167 km da Melbourne). Il campo POW (“Prisoners of War”) N° 1 di Waranga era sul lato esterno del Waranga Basin, una riserva d’acqua oggi centro di sport acquatici, 20 km a sud di Tatura, vicino a Murchison. Il campo fu aperto nel 1940 e chiuso nel 1947.
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novità e scoperte
Rimborsi di guerra (un po’ in ritardo)
S
Risparmi. Per lo stesso motivo verranno saldate anche emissioni precedenti, compresa una del 1720 legata alla crisi nota come “Bolla dei mari del Sud”, nonché un bond voluto nel 1927 dall’allora ministro delle Finanze, il futuro premier Winston Churchill. Un atto di onore, come dice il governo britannico, dietro al quale c’è in realtà un preciso calcolo finanziario: sfruttare l’attuale momento di tassi d’interesse particolarmente bassi. Il governo di David Cameron infatti finanzierà il saldo dei debiti con nuovi buoni del tesoro, più aggiornati, e più convenienti per la Corona. (a. b.) GETTY IMAGES
i potrebbe parlare di archeologia finanziaria. La Gran Bretagna ha annunciato che a marzo 2015 rimborserà obbligazioni (bond in inglese) emesse per uscire dalla crisi seguita alla Prima guerra mondiale e persino alcuni “vecchi” debiti del ’700. Londra onorerà le obbligazioni emesse nel 1932 per 2,4 miliardi di euro in mano a 120mila famiglie. Si trattava di bond perpetui (cioè senza una scadenza predeterminata) all’interesse del 3,5 per cento annuo. Il Regno Unito finora ha pagato 7 miliardi di euro di interessi sul debito contratto. E ora vuole chiudere quella vicenda.
Magie egizie Decifrato un manuale di 1.300 anni fa: contiene incantesimi d’amore e invocazioni magiche contro le malattie.
I Personale dell’aeronautica militare britannica festeggia la fine della Grande guerra (1918). Ai cittadini si chiese uno sforzo post-bellico.
IN PILLOLE
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Secca smentita
Il ministero delle Antichità egiziano ha smentito la notizia sulla scoperta di una necropoli risalente a 1.500 anni fa, che si è detto contenere un milione di mummie. 8
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ncantesimi, esorcismi, sortilegi: è il contenuto di una pergamena del VIIVIII secolo, decifrato in un recente libro di Malcolm Choat e Iain Gardner, delle università australiane di Macquarie e Sydney. Rimedi per tutto. A una lunga serie di invocazioni e disegni magici seguono pre-
Memorie barbariche
Sotto il pavimento del Battistero di Firenze è emerso un tempio del V secolo dedicato a Marte, eretto in memoria della vittoria sulle orde barbariche di Radagaiso (406).
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scrizioni per problemi d’amore, affari, malattie (tra cui il letale ittero nero, o leptospirosi), ma non solo: per esempio, per acquisire potere su qualcuno si pronuncia una formula magica su due chiodi e li si pianta ai lati della soglia del destinatario. Trasversale. Scritto in un dialetto estinto dell’Al-
Fattoria imperiale
Gli scavi per la Metro C a Roma hanno portato alla luce il più grande bacino idrico mai ritrovato (4 milioni di litri di capienza). Apparteneva a una fattoria del III secolo a. C.
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Set, aiutaci tu
Fedifraga cercasi
Il manoscritto del VII-VIII secolo decifrato. Vi si invoca anche Set (sotto, con l’arcangelo Michele), terzo figlio di Adamo ed Eva. SCALA
to Egitto (forse nella regione di Ermopoli, nella località di Khnum) in un’epoca in cui il cristianesimo era già molto diffuso, il manuale di 20 pagine è ritenuto un testo di transizione religiosa: accanto alle invocazioni a Gesù compaiono quelle a Set (terzo figlio di Adamo, adorato da una setta gnostica eretica) e Baktiotha, una divinità enigmatica, “signore di 49 tipi di serpenti”. Non si conosce l’autore né si sa da dove provenga la pergamena, venduta da un antiquario viennese nel 1981 all’ateneo di Macquarie, nel cui museo è ora conservata. • Giuliana Lomazzi
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Shakespeare in France
Una rarissima copia della prima edizione delle opere di William Shakespeare (15641616) è stata scoperta in Francia. Era stata stampata a Londra nel 1623.
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Milioni di anni di sbornie
Secondo un recente studio la capacità di bere senza ubriacarsi risale a 10 milioni di anni fa, quando un primate nostro antenato imparò a digerire frutta molto matura, ricca di etanolo.
Riccardo III (1452-1485), di cui sono stati rintracciati discendenti.
R
iccardo III, uno dei re più famosi e discussi d’Inghilterra, continua a far parlare di sé. Nel 2012, più di 500 anni dopo la morte (nella battaglia di Bosworth Field del 1485), il suo scheletro è stato riscoperto a Leicester. Per confermare che lo scheletro fosse davvero quello del monarca, specialisti dell’Università di Leicester hanno condotto un’analisi genetica. Hanno così scoperto più di un caso di infedeltà nell’albero genealogico. Regalità a rischio. Gli scienziati di quello che è stato il caso di identificazione dei resti più antichi di un individuo grazie al Dna hanno cercato discendenti del re ancora in vita. Si sono così controllati il Dna mitocondriale e il cromosoma Y, che passano di generazione in generazione senza mutare. Queste le conclusioni: il Dna mitocondriale, trasmesso dalla madre, era identico a quello della moglie di Riccardo III. Mentre per il cromosoma Y, trasmesso dal padre, ci sono differenze. Ciò significa che qualche regina o erede al trono ha concepito un figlio durante una relazione extraconiugale, di fatto interrompendo la linea dinastica maschile. (f. x. b.) 9
novità e scoperte
MONDADORI PORTFOLIO
Ritrovato da un topo
È
stata venduta all’asta per 229.500 euro la Donna dormiente con vaso nero, opera del pittore ungherese Robert Bereny (1888-1953) per anni considerata perduta. Ne esisteva solo una riproduzione fotografica in bianco e nero quando, nel 2009, lo storico dell’arte Gergely Barki la notò in una sequenza del film Stuart Little - Un topolino in gamba (1999). Per pochi dollari. Barki aveva poi scoperto che il dipinto era stato comprato per allestire il set da un antiquario, che a sua volta l’aveva acquistato da un uomo di Pasadena (California): costui se l’era accaparrato a una vendita di beneficenza, per 40 dollari. (f. x. b.)
GETTY IMAGES
Un ritratto di Albert Einstein già affermato e (a destra) agli inizi della carriera, con la prima moglie Mileva Marić, nel 1905.
Il lato molto umano di Einstein Il progetto “Digital Einstein” ha messo online lettere e diari dello scienziato. Che ne rivelano umanità (e fragilità).
E
“ GETTY IMAGES
L’asta del quadro ritrovato grazie al film Stuart Little.
Storia di un uomo
ccoci tutti e due, ubriachi come cucuzze sotto un tavolo”, parlava così di sé e della prima moglie Mileva, Albert Einstein in una cartolina del 1915. È solo uno delle migliaia di documenti ora online grazie a un progetto dell’americana Princeton University Press (potete trovarli, in inglese, all’indirizzo internet einsteinpapers.press. princeton.edu). Ne esce il ri-
tratto privato di una delle menti più geniali del XX secolo. Sarà famoso. Il materiale finora reso disponibile inizia dal certificato di nascita (1879) fino a una lettera scritta dallo scienziato nel giorno del suo 44° compleanno. Pubblicazioni degli anni successivi sono previste per il 2015. Leggendo lettere, diari e cartoline, si scopre come, all’inizio della carriera, Einstein non
riuscì a ottenere il lavoro dei suoi sogni. Scartato nel 1902 per un posto di docente universitario si ritrovò a fare l’esaminatore all’Ufficio brevetti. Anche la sua vita sentimentale fu movimentata: ebbe varie relazioni che finirono male, come appunto il matrimonio con Mileva. Qua e là si lamentò bonariamente anche dei figli, che definisce “birbanti”. • Maria Lombardi
Fossili da stampare
D
iventa sempre più vasta la collezione di fossili online di Africanfossils.org. E di ognuno di questi si può avere un modellino personale a casa propria. Come? Grazie alle riproduzioni scaricabili, una stampante 3D e una quindicina d’ore di tempo libero. Come al museo. Il sito, nato dalla collaborazione tra Autodesk, una ditta di software, i National Mu10
seums of Kenya e il Turkana Basin Institute, è un museo virtuale, con le riproduzioni dei più celebri fossili scoperti in Africa Orientale. Con un semplice clic è possibile ruotare, ingrandire e osservare i fossili da ogni angolazione. Ma soprattutto si possono scaricare gratuitamente i file dei fossili per poi stamparli in 3D. Basta registrarsi per accedere ai modelli, comple-
ti di istruzioni e consigli. Uno degli ultimi esemplari è il cranio di un coccodrillo vissuto circa 1,6 milioni di anni fa. (m. l.)
L’assemblaggio del modello 3D di un fossile, da africanfossils.org.
agenda A cura di Irene Merli
MOSTRA
BRESCIA
Cibo & pittura nei secoli ARCHEOLOGIA
ROMA
Fonte di Giuturna
Nel Tempio di Romolo saranno ricomposti i reperti della fonte di Giuturna (l’antico Lacus Juturnae, una delle più importanti sorgenti dell’Urbe), che includono statue e un grande bacino marmoreo.
Dal 19/2 al 20/9. Foro Romano. Info: 06 67232680, http:// archeoroma.beniculturali.it
FOLCLORE
ORISTANO
“Sa Sartiglia” Cesto di frutta su tappeto, di Francesco Noletti (1650 circa). Sotto, L’ultima cena di Andy Warhol (1986).
U
n viaggio alla scoperta della rappresentazione artistica dei cibi attraverso un arco temporale di quattro secoli. Oltre 100 dipinti di vari autori, dal cinquecentesco Ambrogio Figino al novecentesco Magritte, per illustrare l’esistenza di un forte legame fra la tradizione enogastronomica e la cultura artistica. E per entrare nella vita quotidiana di epoche passate. Menù storico. È anche questo lo scopo della mostra Il cibo nell’arte. Capolavori dei grandi maestri dal Seicento a Warhol, ospitata in uno storico palazzo nobiliare di Brescia e suddivisa in dieci sezioni tematiche. Sala dopo sala, i visitatori potranno ammirare
opere di pittori che ci hanno lasciato il “menù” delle loro terre d’origine. Un modo per riscoprire alimenti oggi scomparsi, di cui è difficile immaginarsi il sapore. Proprio grazie all’analisi stori-
co-scientifica di tavole imbandite e dispense delle tele in mostra i visitatori troveranno anche molte informazioni sull’alimentazione e i gusti nel Seicento e nel Settecento. •
Fino al 14/6. Palazzo Martinengo, Brescia. Info e prenotazioni: 030 5785122, www.mostraciboarte.it
La spettacolare “corsa alla Stella”, con i corridori dotati di spada, e la Pariglia, con le acrobazie dei cavalieri. Precedute da cerimonia di vestizione e corteo storico.
15 e 17/2. Info e prenotazioni: 0783 303159, www.sartiglia.info
FOLCLORE
VENEZIA
Corteo acqueo
Nell’ambito del Carnevale più famoso del mondo, decine di barche cariche di “maschere” percorrono il Canal Grande, da Punta della Dogana a Cannaregio.
30/1. Informazioni su www.carnevale.venezia.it
CONVEGNO
FIRENZE
Croce Rossa di ieri
Due giorni di discussioni, con docenti universitari, sull’impegno della Croce Rossa italiana dal Risorgimento alla Grande guerra.
31/1-1/2. Sede Cri Firenze. Informazioni e iscrizioni: www.crifirenze.it 11
microstoria A cura di Aldo Carioli, Marta Erba, Giuliana Rotondi e Daniele Venturoli
PAROLE DIMENTICATE
C A C A Z I B E T T O
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Composto di “cacare” e “zibetto” (animale dalle cui ghiandole anali si estrae un’essenza) indica una persona vanesia che pone un’esagerata attenzione nel vestirsi e profumarsi.
TANTALO, leggendario primo re della Frigia (o della Lidia), figlio di Zeus e della ninfa Pluto, era inizialmente benvoluto dagli dèi, che lo ammettevano ai loro banchetti. Tuttavia, a seguito di comportamenti discutibili (in un’occasione giurò il falso, in un’altra rubò nettare e ambrosia per distribuirli ai suoi sudditi, ma soprattutto offrì agli dèi le membra di suo figlio), fu spedito nell’Ade, dove subì una punizione memorabile. Il supplizio. Tantalo fu condannato a una fame e a una sete eterne. Immerso nell’acqua fino al collo, non poteva bere poiché il liquido sfuggiva ogni volta che cercava di bagnarvi la bocca. Inoltre era sovrastato da un ramo carico di frutti, ma ogni volta che allungava il braccio, il ramo si ritraeva (v. sopra). Il mito passò poi a simboleggiare il desiderio incessante e insaziabile. 12
FOTOTECA STORICA GILARDI
IL MITO
LA VIGNETTA
L’EPURATORE Questa illustrazione risale all’epoca della Francia rivoluzionaria. Mostra Maximilien Robespierre (1758-1794) intento a “cuocere” nella marmitta i suoi avversari politici. L’autore, anonimo, apparteneva a uno dei partiti contrari ai giacobini, l’ala più radicale guidata appunto da Robespierre. Terrore. La vignetta mette a fuoco la svolta che avvenne nell’estate del 1793. La repubblica instaurata nell’agosto 1792 era minacciata da nemici interni (lealisti monarchici, ma anche fazioni politiche rivoluzionarie), rivolte (come quella nella regione della Vandea) e attacchi militari stranieri (soprattutto di Austria e Prussia). Per difendere la rivoluzione e mantenere il nuovo ordine costituito
la Convenzione (il parlamento francese di allora) decise di insediare un Comitato di salute pubblica. Di questo governo con poteri speciali Robespierre prese rapidamente la guida. Fu istituito anche un Tribunale rivoluzionario, che cominciò a condannare alla ghigliottina (ricorrendo a poteri speciali) chiunque si opponesse alle decisioni del Comitato. Chi fu “fritto” nella marmitta di Robespierre? Nobili (inclusa Maria Antonietta), ecclesiastici, rivoltosi e membri della Gironda (il partito della borghesia provinciale). Ma anche, nel crescente clima di sospetto, altri giacobini (nella vignetta riconoscibili per il copricapo frigio). E, il 28 luglio 1794, lo stesso Robespierre, a sua volta ghigliottinato.
IL NUMERO
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CHI L’HA DETTO? “Nunc est bibendum”
È un verso tratto dalle Odi del poeta romano Orazio (nell’immagine), convinto seguace del filosofo Epicuro e quindi amante dei piaceri della vita. La frase latina significa infatti: “Ora si deve be-
TOP TEN
I GRANDI “SECONDI POSTI”
re” , sottintendendo che si tratta di vino, non certo di acqua. Oggi il motto viene spesso utilizzato per introdurre un brindisi o per indicare che è giunto il momento di darsi alla pazza gioia.
D.VITTIMBERGA
L’OGGETTO MISTERIOSO In metallo e lungo circa 43 centimetri, ha 11 denti su ogni lato e pesa circa 3 chilogrammi. Per che cosa poteva essere utilizzato secondo voi? Aspettiamo le vostre risposte, indicando anche la località, a: Focus Storia, via Battistotti Sassi, 11/a - 20133 Milano oppure a
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È stato Renzo Rossi di Bologna il più veloce a indovinare il difficile oggetto misterioso del numero scorso. È una “pila” del ’700: riempita d’acqua, veniva messa davanti a una candela e rifrangeva i raggi luminosi sul lato opposto, agevolando il lavoro delle ricamatrici.
VOCABOLARIO: AMBARADÀN Il termine, che significa confusione, insieme disordinato di oggetti, deriva probabilmente dalla battaglia di Amba Aradam (nell’illustrazione, tratta dalla Domenica del Corriere), nome di un massiccio dell’Etiopia. A combattere, nel 1936, furono italiani e abissini. I primi erano alleati con alcune tribù locali, che però talvolta si alleavano con il nemico, per poi riaffiancare i soldati italiani: una situazione davvero caotica.
MILA
La stima più alta dei morti nell’eruzione del Vesuvio del 79, a Pompei, Ercolano, Stabia, Oplonti e nelle località vicine.
1
Il secondo papa San Lino (morto nel 79) venne scelto dalla comunità cristiana di Roma come guida dopo la morte di san Pietro.
2
Il secondo circumnavigatore Il corsaro Francis Drake (1540-1596) fu costretto dagli eventi a circumnavigare il globo per tornare in Inghilterra.
3
Il secondo uomo al Polo Sud Robert Falcon Scott (1868-1912) vi arrivò poche settimane dopo Amundsen. Morì durante la marcia di ritorno.
4
Il secondo uomo sulla Luna Fu Buzz Aldrin, subito dopo Armstrong. Ma fu il primo, dopo l’allunaggio, a espletare una funzione fisiologica.
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Il secondo a sganciare l’atomica Charles W. Sweeney (1919-2004) il 9 agosto 1945 sganciò la seconda bomba atomica, sulla città di Nagasaki.
6
La seconda donna ministro italiano Franca Falcucci (1926-2014) fu, dopo Tina Anselmi, ministro della Repubblica. Ma fu la prima nella Pubblica Istruzione.
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La vincitrice del secondo campionato Nel 1899 il Genoa vinse il secondo Campionato federale di football. La squadra aveva vinto anche l’anno precedente.
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Il secondo Führer del Terzo Reich L’ammiraglio Karl Dönitz (1891-1980) dopo il suicidio di Adolf Hitler ricoprì (per poco) la carica di Reichspräsident.
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La seconda donna nello spazio Fu Svetlana Savickaja nel 1982, a più di 19 anni dallo storico volo di Valentina Tereskova, durante la missione Sojuz T-7. La seconda donna premier Fu Indira Gandhi, nel 1966 primo ministro dell’India. La prima fu Sirimavo Bandaranaike, nello Sri Lanka (1960).
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ARCHEOLOGIA
IN VIAGGIO CON FOCUS STORIA Questo articolo è il frutto di un itinerario che abbiamo organizzato per voi, in collaborazione con il tour operator I viaggi di Maurizio Levi.
Lungo il fiume Il corso del Nilo e (numerate) le sue cateratte. In rosso, i luoghi interessati dal nostro viaggio, che si è svolto dal 7 al 15 novembre 2014.
Old Dongola
Napata Meroe
Khartoum
Piramidi, oro, grandi templi: il Sudan è ricco dei resti di una civiltà millenaria, che al suo apice conquistò l’intero Egitto e che (secoli dopo) ha dato filo da torcere anche a Roma.
NEL REGNO DEI FARAONI NERI
Orgoglio nubiano
K. GARRETT/ NATIONAL GEOGRAPHIC
A. PARLANGELI
Le piramidi della necropoli di Meroe (III sec. a.C.-IV sec. d.C.) e quattro statue di faraoni neri (VIII sec. a.C.) da Kerma. Entrambe le località sono in Sudan.
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Nel 728 a.C. un re nubiano, Piye, conquistò l’intero Egitto. E fondò la dinastia dei faraoni neri, che rimase al potere per circa un secolo
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he cosa ci fa una regina nera, corpulenta e orba da un occhio, di fronte all’imperatore Augusto e al prefetto romano d’Egitto Publio Petronio? Non cercate la risposta sui libri di scuola, non la troverete. Eppure è accaduto nel 21 a.C. a Samo, nell’Egeo Orientale. Il motivo? Un fatto grave: due anni prima, per la prima volta nella Storia, una donna aveva osato attaccare la potenza romana, scuotendo i lontani confini dell’impero nella Valle del Nilo. Era lei, Amanishekheto, la nostra regina nera. Terra di oro e arcieri. Su due dei tre protagonisti di quell’incontro c’è poco da dire: Augusto lo conosciamo tutti, il prefetto è poco più che una comparsa in questa storia. Sulla guerriera africana, tra l’altro citata nella Bibbia (Atti 8:27), invece, c’è molto da scoprire. A cominciare dal suo regno: fiero, antico, erede della gloriosa epoca dei faraoni neri della 25ma dinastia, che avevano governato l’Egitto in uno dei suoi momenti di massima estensione e che proprio lì, in Nubia, erano nati e si erano fatti seppellire. Per capire davvero chi era Amanishekheto e comprendere la sua insofferenza per i Romani, è utile partire dall’inizio. Quando cioè, paralle-
lamente alla grande civiltà egizia, più a sud, sotto la prima cateratta del Nilo, nasceva e si sviluppava quella nubiana. Le storie dei due popoli sono fortemente intrecciate, e inevitabilmente il loro rapporto è stato di amore e odio. Si narra, per dirne una, che Tutankhamon avesse sotto i suoi sandali due figure di nubiani, in modo da calpestarle ogni volta che camminava. La Nubia era infatti patria di fieri arcieri che dettero filo da torcere agli Egiziani: Ramesse II non mancò mai di aggiungere l’aggettivo “miserabile” ogni volta che menzionava questa regione. Eppure Nubia deriva dalla parola egizia “nebu”, che significa oro. E si devono proprio alle abbondanti riserve aurifere gran parte dei tesori egizi, forse anche gli oltre 100 chili del prezioso metallo rinvenuti nella tomba di Tutankhamon. Sacrifici umani. La prima civiltà nubiana, il Regno di Kush, sorse intorno al 2.500 a.C. a Kerma, in una zona fertile del Nilo, quando più a nord da non molto erano state innalzate le grandi piramidi di Giza. Nel resto dell’Africa, dal punto di vista dell’organizzazione statale, non si era mai visto nulla di simile. «Da Kerma partivano le navi e le carovane verso l’Egitto colme d’oro del deserto nubiano e di prodotti esotici pro-
Architettura e stelle: l’importanza di Sirio
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faraoni neri che governarono nell’VIII-VII secolo a.C. erano originari della città di Napata sorta ai piedi di una montagna sacra, il Jebel Barkal (considerata la casa del dio Amon). Ordine cosmico. «Questi faraoni ripresero i valori, le tradizioni, la cultura di oltre 2mila anni di civiltà egizia», spiega Giulio Magli, docente di archeoastronomia al 16
Politecnico di Milano. «Per loro, alla base dello Stato e del potere c’era la dea Maat, simbolo dell’ordine cosmico, che doveva essere riportato sulla Terra con l’architettura». Una concezione ben visibile nella necropoli di Nuri (foto), a pochi km dal Jebel Barkal. «In quest’area straordinaria ci sono esattamente gli stessi elementi presenti a Tebe: le tombe dei faraoni, una
montagna sacra, un tempio di Amon. E sono tutti in relazione tra loro. Anche il cielo è un elemento del paesaggio». In particolare Sirio, la stella più brillante, che in Egitto era particolarmente importante perché legata al calendario e alle piene del Nilo, oltre a essere simbolo di rinascita. «Da Nuri», conclude Magli, «si vedeva tramontare Sirio sul Jebel Barkal».
venienti dall’Africa nera», spiega l’archeologo Emanuele Ciampini, dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, direttore della missione italiana in Sudan. «Le navi e le carovane egizie a loro volta si dirigevano a sud, per portare oggetti di pregio, testimoni di una diffusa rete di traffici». Purtroppo del Regno di Kush non sappiamo molto, perché non aveva una lingua scritta: restano alcune enigmatiche costruzioni monumentali senza ingresso, le deffufa, che facevano parte di un sistema urbano complesso e gigantesche tombe circolari dove i re erano sepolti con centinaia di persone (vittime sacrificali) vive. A lungo per gli Egiziani la Nubia fu un ricco bottino di guerra. «E non solo per l’oro», puntualizza Ciampini. «Dai resoconti sappiamo infatti che le spedizioni nella regione, in particolare nella fertile zona di Kerma, permettevano di razziare centinaia di capi di bestiame». Ma inizialmente i faraoni del Nord non andarono più in là: si limitarono a costruire imponenti fortezze per controllare i punti strategici. Almeno fino a Thutmosi III, il Napoleone del Nilo, che nel 1450 a.C. distrusse Kerma e soggiogò la regione, mettendo fine a un’indipendenza che era durata un millennio. Fu un “bagno di sangue”, rac-
conta il vincitore con poca modestia nella sua stele della vittoria. Accadde allora un episodio senza precedenti: Amon, il potente dio di Tebe protettore della regalità, il cui nome significa “colui che è nascosto”, si manifestò invece al conquistatore a caccia di legittimazione. E lo fece in un luogo speciale: una montagna solitaria sulla sponda del Nilo, 300 chilometri a sud di Kerma: si chiamava “Dju Wab” (oggi Jebel Barkal) e lì Thutmosi riconobbe la casa di Amon. La prova era un pinnacolo roccioso alto 90 metri, che si ergeva di fronte al massiccio: rievocava l’ureo, un cobra eretto, simbolo del potere del faraone. Ai piedi del Jebel Barkal, Thutmosi costruì una città, Napata, e un tempio di Amon destinato a espandersi e a rivaleggiare con quello di Tebe nei secoli successivi (v. riquadro in basso a sinistra). Rivincita dal basso. Per più di tre secoli i Nubiani furono sudditi fedeli e assimilarono il culto di Amon con le altre tradizioni. Fecero dunque parte a pieno titolo dell’Egitto al massimo della sua gloria, che raggiunse il suo apice con Ramesse II. Con la fine del Nuovo Regno, però, lo Stato faraonico gradualmente decadde e infine si sgretolò. Il Nord finì in mano a diverse di-
CRO N O LO G I A
Una civiltà plurimillenaria 6000 a.C. I primi agricoltori attraversano il Mar Rosso e portano il Neolitico sul corso del Nilo sudanese.
2500 a.C. Si sviluppa a Kerma il primo regno di Nubia, la più antica civiltà dell’Africa sub-sahariana.
1450 a.C. L’Egitto di Thutmosi III conquista la Nubia e fonda il tempio di Amon a Jebel Barkal.
728 a.C. Il re nubiano Piye fonda la dinastia dei faraoni neri, conquistando la valle del Nilo fino al Mediterraneo.
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671-663 a.C. Con Esarhaddon e Assurbanipal, gli Assiri invadono l’Egitto. I faraoni neri, sconfitti, si ritirano in Nubia.
260 a.C. I discendenti dei faraoni neri si spostano a Meroe e fondano l’ultimo grande regno di Nubia.
150 a.C.
Più piramidi che in Egitto! A sinistra, la necropoli di Nuri, fondata dal faraone nero Taharqa. Sopra, una tomba nel sito di El Kurru, nei pressi di Napata.
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Compare la prima iscrizione in meroitico, una lingua ancora da decifrare.
23-21 a.C. La regina Amanishekheto attacca l’Impero romano vicino ad Assuan. La controffensiva di Augusto termina con la pace di Samo.
330 d.C. Ezana, re di Axum (Etiopia), conquista Meroe e sconfigge gli ultimi eredi dei faraoni neri.
543 d.C. Il cristianesimo penetra in Nubia e i templi pagani sono convertiti in chiese.
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nastie, che si contendevano il territorio e non si preoccupavano più dei vecchi dèi. Ma allora avvenne un fatto clamoroso: fu proprio il Sud, la Nubia, a diventare la cassaforte degli antichi culti e degli antichi valori. I Nubiani, infatti, erano diventati ormai più Egizi degli Egizi. E quando si sentirono minacciati dal disordine che imperversava al Nord, non poterono fare a meno di intervenire. Fu così che nel 728 a.C., nel nome del “vecchio” Amon, un’ondata di arcieri solcò le rapide di tre cateratte al comando del loro re Piye e, nel giro di un anno, conquistò l’intero corso del Nilo fino alle sponde del Mediterraneo, in uno dei momenti più memorabili della storia egizia. Neri al comando. L’Egitto era nuovamente riunificato e i Nubiani ridiedero ai “cugini” del Nord la loro vecchia cultura. «Adottarono innanzitutto il geroglifico», precisa Ciampini, «cioè – è importante enfatizzarlo – una lingua che per loro era straniera». Poi costrui-
rono templi, palazzi, piramidi. Riformarono lo Stato, garantendo l’ordine e la pace. E, soprattutto, imposero i loro re. Cioè Piye e il suo clan, i faraoni neri della 25ma dinastia, che rimasero al potere per un secolo circa. A Piye seguì il fratello Shabaka, i figli Shabataka e Taharqa, e infine il nipote Tanutamani (figlio di Shabataka). Tra tutti, il più glorioso fu Taharqa, che proprio come Augusto a Roma fu abile a mantenere i confini di uno dei più grandi imperi della Storia, un territorio sterminato che dal Delta del Nilo si estendeva a sud fino alla sesta cateratta per oltre 3.000 km: due volte e mezzo l’Italia. Taharqa impostò un ambizioso programma architettonico, ampliò in modo grandioso i già ricchi templi di Karnak, di Kawa e del Jebel Barkal, fondò la necropoli di Nuri (v. riquadro nella pag. precedente) e fu anche l’unico dei faraoni neri a guadagnarsi una (doppia) citazione nella Bibbia (2Re 19,9 e Isaia 37,9) perché prese le difese di Gerusalemme contro gli Assiri, suoi nemici giurati. E infatti furono proprio gli
SCALA
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La regina nera Amanishakheto, una delle poche donne citate nella Bibbia, diede filo da torcere ai Romani e rimase indipendente
Il divo Augusto... calpestato A sinistra, la testa in bronzo di Augusto, razziata dalla candace Amanishakheto nel 23 a.C. nei territori occupati dai Romani nei pressi di Assuan. La regina, una delle donne più potenti e orgogliose della Storia, fece incastonare l’oggetto nelle scale (sopra) del Tempio della Vittoria a Meroe, la capitale del suo regno, in modo che tutti la potessero calpestare.
SCALA (2)
Assiri la causa della disfatta sua e della sua stirpe: Esarhaddon e il figlio Assurbanipal invasero e saccheggiarono l’Egitto rispettivamente nel 671 e nel 663 a.C. Al faraone Taharqa e al nipote Tanutamani non rimase che ritirarsi in Nubia. E l’Egitto non tornò più agli antichi splendori: fu la fine di un’epoca durata tre millenni. Crocevia di culture. I Nubiani, però, sempre fieri e orgogliosi, non scomparvero nel nulla. Anzi. A sud di Assuan gli eredi dei faraoni neri diedero vita a un originalissimo Stato detto Regno di Meroe, dal nome della sua nuova capitale situata ancora più a sud di Napata. Questo popolo tesseva rapporti con l’Egitto dei Tolomei e con i popoli mediterranei, commerciando prodotti esotici che dall’Africa e dall’oceano Indiano giungevano sul Nilo. Ne nacque uno straordinario miscuglio di cultura africana, egizia, ellenistica e romana, che ancora oggi è ben visibile nei monumenti rimasti (v. riquadro a destra). Il Regno di Meroe durò fino al IV secolo d.C. E intorno all’anno zero divenne così potente che
Il tesoro depredato In alto, la piramide della regina Amanishakheto a Meroe. Fu distrutta nel 1834 dall’avventuriero bolognese Giuseppe Ferlini, che al suo interno trovò il corredo funebre della donna. Ferlini, però, fece fatica a rivendere i gioielli, che furono presi per falsi. Oggi sono conservati nei musei archeologici di Berlino e di Monaco di Baviera (foto a lato e qui sopra).
anche i Romani si trovarono ad affrontare i suoi arcieri, questa volta capeggiati da una donna. Torniamo così all’inverno del 23 a.C., quando la candace (così era detta più propriamente la regina) Amanishekheto si spinse fin dentro i territori di Roma nel Sud dell’Egitto, che considerava suoi per diritto di discendenza. Lì razziò una testa bronzea di Augusto, forse decapitandola da una statua, e la portò con sé come trofeo. Sotto i piedi. Lo storico romano Strabone ci narra la fine della vicenda: dopo due anni la regina guerriera firmò a Samo, con Augusto, un trattato che stabilì una volta per tutte il confine tra i territori, a sud della prima cateratta. Ma la storia non finì nemmeno lì, come compresero nel 1912 gli archeologi che ritrovarono la testa rubata. Amanishekheto non la restituì mai. Anzi, la fece interrare sotto i gradini del Tempio della Vittoria nella sua capitale, Meroe (v. foto in basso a sinistra). In modo che tutti, entrando, la potessero calpestare. • Stefano Lucchesi e Andrea Parlangeli
Il palazzo del grande riformatore
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n imponente palazzo reale, che faceva parte di un complesso ancor più ampio, costruito ai piedi del sacro massiccio del Jebel Barkal in epoca romana e sorprendentemente ricco di influenze ellenistiche, qui inaspettate fino a pochi decenni fa. È questa la principale scoperta della missione archeologica italiana in Nubia, fondata più di quarant’anni fa dall’egittologo Sergio Donadoni. Mix di stili. Il palazzo era alto 10 metri e aveva pianta quadrata. «Ciascuna delle facce aveva un accesso imponente», spiega Emanuele Ciampini, l’attuale direttore della missione. «L’ingresso principale conduceva in un corridoio dipinto o ricoperto d’oro che portava a un cortile quadrato, largo circa 9 metri, con un loggiato (peristilio) su due piani». Il tutto era decorato con uno straordinario mix di stili diversi: raffigurazioni di tipo dionisiaco, lesene policrome, capitelli e decorazioni di tipo egiziano ed ellenistico. Una nuova lingua. L’edificio fu costruito da Natakamani, più o meno nello stesso periodo di Domiziano (80-90 d.C.). «Fu un re che segnò una svolta», dice Ciampini. «Il suo nome, infatti, insieme a quello della sposa (o madre) Amanitore, è presente in tutte le grandi città del Regno di Meroe, dove ha costruito templi, palazzi, piramidi... Mancano però dati storici dettagliati sul suo conto». Natakamani cambiò anche la lingua di Stato: favorì infatti l’uso del meroitico, un idioma locale la cui scrittura solo da pochi anni gli studiosi hanno cominciato a decifrare. 19
GRANDI AMORI
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Passionali, litigiose, infedeli, eterne: una rassegna delle unioni artistiche e sentimentali più famose di scrittori e pittori, drammaturghi e poeti
OPPIE REATIVE A cura di Maria Leonarda Leone
Frida Khalo e Diego Rivera Fu un amore eccessivo e romanzesco: l’elefante Diego Rivera (1886-1957), la colomba Frida Khalo (1907-1954), così li soprannominarono. Una simbiosi assoluta, quella tra l’intensa artista messicana e il pittore di murales, comunista e sciupafemmine. Dopo tre incontri e un breve fidanzamento, il 21 agosto 1929, si sposarono. Ma da allora cominciarono a emergere le differenze. Da una parte Frida, concentrata sulle sue sofferenze fisiche (un terribile incidente stradale le aveva compromesso la schiena) e psicologiche, dovute al fatto di non aver avuto figli. Dall’altra Diego, sempre alla ricerca di stimoli creativi, ideologici, ma anche sessuali. Lei sapeva di non essere la sua unica donna, ma quando il marito la tradì con sua sorella, scelse il divorzio. Fu una fortuna artistica, perché allora Frida realizzò le sue opere più belle. Eppure emotivamente non era cambiato nulla: l’anno dopo, nel 1940, si risposarono e rimasero insieme fino alla morte.
Abelardo ed Eloisa La loro passione scoppiò a Parigi, nel 1116. Lei, Eloisa, l’allieva quasi diciassettenne, che “se nell’aspetto non era tra le ultime, per la profonda conoscenza delle lettere era la prima”; lui, Abelardo, il chierico di venti anni più vecchio, famoso maestro di teologia votato al celibato. Un amore instancabile che culminò in una gravidanza, una fuga e un matrimonio riparatore. Le nozze dovevano rimanere segrete per non compromettere la carriera di Abelardo. La notizia invece si diffuse ed Eloisa si trasferì in convento. I parenti di lei, pensando che Abelardo avesse voluto liberarsi della moglie, lo aggredirono e lo castrarono. Fu la fine: Eloisa, costretta da Abelardo a prendere i voti, divenne badessa. Abelardo divenne abate. Li riunì solo la morte: Eloisa raggiunse il marito nella tomba, nel 1164. 20
Yoko Ono e John Lennon
Auguste Rodin e Camille Claudel Camille Claudel (1864-1943) voleva essere scultrice, cosa non facile per una 17enne cresciuta in una famiglia borghese della Francia di fine ’800. Auguste Rodin (18401917) era invece uno scultore già affermato. Camille ne divenne allieva, poi collaboratrice e amante. Nonostante l’estremo affiatamento, anche artistico, il loro fu un amore infelice. Posto di fronte all’eterno dilemma, l’uomo, 24 anni più vecchio di lei, scelse Rose, la storica compagna più volte tradita. L’amore di Camille si tramutò in odio e l’ira la spinse a scolpire capolavori; ma il rancore folle diventò malattia mentale. Nel 1913 sua madre la fece rinchiudere in manicomio, dove trascorse 30 anni, fino alla morte. Forse senza mai sapere che, nel 1917, Rodin scoppiò a piangere davanti a una scultura della sua ex allieva.
Capì subito che suo padre era rimasto un po’ spiazzato di fronte a quell’uomo con i capelli lunghi: “Cosa ne pensi?”, gli chiese trattenendo il respiro. Lui le rispose con un’altra domanda: “Tu cosa ne pensi?”. Yoko disse che lo amava ed Eisuke concluse: “Allora ne penso bene”. Così il Beatle John Lennon, sette anni meno di lei, entrò nella famiglia Ono. I due si erano conosciuti a New York nel 1966, a una mostra di Yoko: due anni dopo iniziarono a frequentarsi e si sposarono il 20 marzo 1969. Anticonvenzionali, pacifisti e artisti a 360 gradi, condivisero gli anni Settanta e l’attivismo politico, la protesta contro la guerra in Vietnam, l’appoggio ai comunisti radicali, alle femministe americane, alle pantere nere, ma anche la sperimentazione musicale, 15 mesi di separazione e un figlio. Il loro legame, intensissimo, non si interruppe nemmeno dopo l’8 dicembre 1980, quando un fan sparò al famoso cantante con gli occhialetti tondi: da allora, infatti, Lennon rivive ogni giorno nel lavoro artistico di sua moglie. 21
Per le loro amate scrissero romanzi
Emilie Floge e Gustav Klimt Secondo alcuni Cupido scoccò la sua freccia nel 1891, il giorno in cui Emilie Floge (1874-1952) e Gustav Klimt (1862-1918) divennero cognati. Da quel momento, infatti, molti quadri del pittore austriaco, celebre per i suoi dipinti simbolisti, mostrarono il viso dell’affascinante 17enne, che diventò sua musa e compagna. La loro storia culminò artisticamente nel tripudio di oro e colore sulla tela del Bacio (1907). Ma Emilie sapeva bene di non essere l’unica donna di Klimt: non poteva certo ignorare i 14 figli riconosciuti in giro per l’Austria. Tuttavia rimase la sua compagna, pronta a supportarlo durante i frequenti periodi di depressione. Lui l’amò? Sì, anche se non riuscì mai a scriverlo: molte delle lettere e cartoline che le inviò dall’estero si concludono con “cordiali saluti”, ma su tela riuscì a trasmettere quello che non sapeva fare con l’inchiostro.
Vanna di Coldimezzo e Jacopone da Todi Un notaio, rampollo di una nobile famiglia, innamorato di una contessina bella e buona. Una coppia di sposi felice come poche nel XIII secolo, quella composta da Jacopone de’ Benedetti e Vanna di Coldimezzo. I due sposi conducevano una bella vita, tra banchetti, spese pazze e mondanità, da circa un anno, quando nel 1268 ci fu il dramma: durante una festa a Todi (in Umbria), il pavimento della sala da ballo, su cui fino a un secondo prima Vanna volteggiava, crollò. E lei fu l’unica vittima. Solo allora Jacopo si accorse, stringendola a sé, che la moglie custodiva un segreto: sotto il vestito portava un cilicio, una cintura di corda irta di nodi che i penitenti indossavano a pelle per punirsi della loro vita dissoluta. Il giovane ne rimase così colpito che donò tutto ai poveri, diventò frate e si dedicò solo alla preghiera e alla poesia.
Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio Fin da subito Gabriele D’Annunzio (1863-1938) le propose senza giri di parole di “giacersi” con lui. Eleonora Duse (1858-1924), attrice di teatro (dall’età di 4 anni), due relazioni alle spalle e una bimba piccola, inizialmente lo cacciò sdegnata. Quel giovane “già famoso e molto attraente” l’aveva però colpita e galeotto fu un successivo incontro a Venezia. Dal 1894 il Vate sfruttò l’amore dell’attrice in un rapporto più lavorativo che amoroso: lei finanziò (e interpretò) quattro tragedie di D’Annunzio, ma anche le sue amanti e i suoi stravizi. In cambio il poeta, stroncato dalla critica, incolpò l’attrice del suo insuccesso e spiattellò i dettagli più intimi della loro relazione nel romanzo Il fuoco. 22
Laura de Noves e Francesco Petrarca Ben prima del cantante Nek, fu il poeta e scrittore trecentesco Francesco Petrarca (1304-1374) a cantare la bella Laura, eterno amore impossibile. L’autore del Canzoniere raccontò di averla incontrata il 6 aprile 1327, un Venerdì Santo, nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone. Fu “un amore autentico per una donna reale” insiste il poeta, nelle sue Confessioni. Molti invece la ritengono un’invenzione letteraria, emulazione dell’amore di Dante per Beatrice. Anche nel caso di Petrarca, infatti, la donna, identificata con la nobildonna Laura de Noves, moglie del marchese Ugo de Sade, diventò protagonista di molti suoi componimenti, persino dopo la morte (per la peste, nel 1348). Se non fosse che il poeta, nonostante la carriera ecclesiastica, non rinunciò mai ai piaceri della carne (ebbe 2 figli), si potrebbe dire che l’unica a competere con Laura fu la gatta di lui, imbalsamata e tenuta in una nicchia di casa.
e poesie. E dipinsero quadri che hanno fatto epoca
Vasilij Kandinskij e Gabriele Münter
Marta Abba e Luigi Pirandello Fu un amore senza speranza che, forse, non fu consumato ma consumò il cuore di Marta Abba (19001988) e di Luigi Pirandello (1867-1936). Marta fu attrice prediletta, musa e forse amante del drammaturgo. Dopo averla scritturata nel 1925, ogni giorno, per tre anni, il maturo scrittore la circondò di mille premure. Molti sospettano che la relazione con Pirandello, sposato, non fosse platonica, altri sono invece sicuri che il moralismo del drammaturgo gli avesse impedito di avere rapporti con Marta. Di certo c’è solo che la donna abbandonò la compagnia nel 1928. A nulla valse la supplica di Pirandello: “Marta non m’abbandonare, [...] io sono la mano. Quella che in me detta dentro, sei tu”.
Nel 1896, il trentenne Vasilij Kandinskij (1866-1944) lasciò la Russia, la moglie e la toga di avvocato per la Germania e la carriera di artista. Nel 1902, la ricca ventenne Gabriele Münter (1877-1962) bussò allo studio di Vasilij, voleva realizzare il suo sogno: dedicarsi all’arte iscrivendosi alla scuola sperimentale del maestro russo. Fra tele e lezioni esplose l’amore, nonostante i sensi di colpa di lui nei confronti della ex moglie. Con i primi successi artistici, nel 1908, i due andarono a vivere insieme a Monaco. Ma non funzionò: dopo tre anni l’ardore si spense. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, nell’agosto 1914, il pittore ritornò in patria. Lui non ebbe mai il coraggio di dirle “è finita” e lei si vendicò tenendosi i suoi quadri.
Gala Éluard Dalí e Salvador Dalí Musa, amante, moglie, mercante d’arte e terapeuta, Elena Dmitrievna Djakonova (1894-1982), soprannominata “Gala” dal suo primo marito, fu tutto questo per Salvador Dalí (1904-1989). E, come raramente accadde nei grandi amori di inizio ’900, ne ricevette in cambio la più completa libertà. Russa, più che bella affascinante, e di 11 anni più vecchia del pittore spagnolo con l’aria stralunata, collezionò diversi amanti e numerosi flirt, prima durante e dopo i suoi due matrimoni. Incurante dei tradimenti, la prima volta che la vide, nel 1929, Dalí capì subito di aver trovato l’amore della sua vita. Le confessò i suoi sentimenti sulla scogliera di Capo Creuso (in Spagna): di lì a poco Gala lasciò il marito e andò a vivere col pittore, che sposò cinque anni dopo. “Guarì la mia follia”, confessò l’artista, che cominciò a firmare i suoi quadri con entrambi i nomi.
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APERNE DI PIÙ
C’eravamo tanto amati, Elena Del Drago (Electa). Coppie d’arte del ’900.
Dora Maar e Pablo Picasso Metti un’intrigante fotografa e un affascinante artista spagnolo, in un giorno d’estate del 1936 sulla terrazza di un caffè parigino: impossibile che la scintilla non scocchi. Così accadde a Dora Maar (1907-1997) e Pablo Picasso (1881-1973): non nuovo alle fiammate, intense ma rapide, della passione, Picasso fu travolto dalla bellezza retrò di quella brunetta nemmeno 30enne, piena di carisma, intelligenza ed eleganza dietro uno sguardo triste che il pittore ritrasse spesso. Occhi che piansero la morte della madre, la propria sterilità, i tradimenti di Picasso e la fine dell’amore. Dora fu ricoverata in clinica psichiatrica, sottoposta a elettroshock e ne uscì dopo 2 anni. “Tutti pensavano che mi sarei uccisa dopo il suo abbandono. Anche Picasso se lo aspettava. Il motivo principale per non farlo fu privarlo della soddisfazione”, spiegò Dora. 23
ESPLORAZIONI
UN GEOLOGO
Thule
Per dimostrare la correttezza della sua teoria Alfred Wegener, all’inizio del ’900, non si fermò neppure davanti ai ghiacci polari
GROENLANDIA B A I A D I B A F F I N
Upernavik Stazione meteo
Base Eismitte Scoresbysund
SPEDIZIONI WEGENER 1912-13 1929-30 S T R E T T O D I D A V I S Capo Farvel
Ritratto di Alfred Wegener (1880-1930) tra i ghiacci. Lo studioso tedesco compì tre spedizioni in Groenlandia, due organizzate da lui (v. cartina) e una (nel 1906-08) come meteorologo. 24
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L’uomo dei ghiacci
ALLA DERIVA
A
inizio Novecento ormai la Terra era stata quasi tutta esplorata. Rimanevano esclusi solo i ghiacci delle regioni polari, una delle ultime frontiere ad attirare pionieri e avventurieri. Il norvegese Roald Amundsen e il britannico Robert Falcon Scott si contendevano la conquista del Polo Sud, mentre il Polo Nord era nel mirino del norvegese Fridtjof Nansen e del Duca degli Abruzzi, Luigi Amedeo di Savoia. Meno nota, ma altrettanto avventurosa, è l’epopea di Alfred Wegener (1880-1930): scienziato tedesco, pioniere della meteorologia, protagonista di una accesa disputa sull’origine dei continenti. Visse i suoi 50 anni pericolosamente, animato da spirito di avventura e desiderio di conoscenza, scegliendo l’inospitale Groenlandia come laboratorio. Qui costruì la sua stazione di osservazione meteorologica e sempre qui, durante l’ultima spedizione, trovò la morte. Oggi dimenticato, ha lasciato un’importante eredità scientifica. Sui banchi di scuola. Ultimo di cinque fratelli, nacque a Berlino il giorno di Ognissanti del 1880. Il padre era un pastore protestante, a capo di un orfanotrofio. Dopo un’infanzia trascorsa tra il grande dormitorio, la chiesa e i banchi di scuola, decise che la sua strada sarebbe stata la scienza. Iniziò così i suoi studi in città, sotto la guida di grandi maestri, dal fisico Max Planck al chimico Emil Fischer. Ciliegina sulla torta, un dottorato in astronomia (1904). Ma Alfred non sarebbe diventato un astronomo. A quel mestiere preferì quello di meteorologo, esperto di glaciologia e geofisica. Appena laureato lavorò come assistente all’Osservatorio aeronautico di Lindenberg, in Germania, dove si conducevano pionieristici esperimenti per lo studio della fisica dell’atmosfera con aquiloni e palloni aerostatici. Compagno delle sue prime esplorazioni fu il fratello Kurt. Insieme finirono sulle prime pagine dei giornali per aver stabilito il record di permanenza in volo su un pallone aerostatico: rimasero in aria per oltre due giorni (52 ore ininterrotte), dal 5 al 7 aprile 1906. Non pago, pochi mesi dopo partecipò alla spedizio-
Avanti tutta! Sopra, un’immagine della spedizione in Groenlandia del 1930. A lato, Wegener al timone durante la sua prima missione polare, a bordo di una nave danese dove era imbarcato come meteorologo (1906-08). Sotto, i membri della spedizione tedesca in Groenlandia poco prima della partenza, a Copenhagen, nel 1930. Proprio nella sua ultima missione tra quei ghiacci Wegener perderà la vita: aveva appena compiuto 50 anni.
La base allestita nel cuore dell’immensa distesa di ghiaccio fu detta proprio ne vulcanica. Con i suoi esperimenti portò conferme a favore della teoria secondo cui i crateri erano provocati dall’impatto con i meteoriti; una convinzione in seguito confermata dalle missioni spaziali. Ma c’era un’altra teoria sulla quale la storia della scienza gli avrebbe dato ragione. E per dimostrarla avrebbe lasciato la comoda vita del docente, la moglie e le tre figlie. Osteggiato. In quegli anni Wegener stava mettendo a punto la teoria della deriva dei continenti: una volta accettata, negli Anni ’60, avrebbe rivoluzionato il modo di concepire la storia geologica del pianeta (v. riquadro a destra). Il 6 gennaio 1912, quando Wegener la presentò in una conferenza a Francoforte, di fronte al gotha dei geologi tedeschi, la levata di scudi fu immediata: le sue idee furono rifiutate dal mondo accademico. Per niente abbattuto, Alfred organizzò una nuova spedizione in Groenlandia. Si fece accompagnare da altri tre colleghi, cani da slitta e cavalli di piccola taglia per il trasporto di viveri e strumenti. Partiti nell’estate 1912, dopo
una sosta in Islanda, raggiunsero la costa orientale dell’isola e ci rimasero un anno. Con i compagni, Wegener attraversò il deserto bianco da est a ovest, nel suo punto più largo. Percorrendo 1.000 km a piedi fu protagonista della più lunga traversata della calotta polare effettuata fino ad allora. Un successo messo in ombra dallo scoppio della Prima guerra mondiale. Deserto bianco. Arruolato come ufficiale, Wegener fu ferito due volte e trasferito al servizio meteorologico dell’esercito tedesco in Bulgaria e in Estonia. Con la fine della guerra prese la direzione della sezione meteorologica dell’Osservatorio marittimo di Amburgo e nel 1924 si trasferì all’università austriaca di Graz. Ma il richiamo della Groenlandia era ancora troppo forte. Dopo un sopralluogo nel 1929, vi ritornò l’anno successivo, per l’ultima spedizione. Questi i suoi obiettivi: raccogliere campioni di neve, esaminare il terreno sotto il ghiaccio, registrare le variazioni di clima e le precipitazioni nevose nel corso dell’anno. Ma soprattutto misurare lo spessore della calotta glaciale, usando piccole cariche esplosive e registrando la propagazione delle onde sonore. Wegener intendeva allestire tre campi di appoggio: due sulla costa orientale e occidentale dell’isola (a 71° di latitudine) e uno, il più importante, nel cuore dell’immensa distesa di ghiaccio, a 3.000 metri di altitudine e 400 km dalla costa ovest. Convinto di agevolare le operazioni, usò delle slitte a motore, una scelta che si rivelò fatale: la potenza del motore nulla poteva di fronte alle pareti di ghiaccio dell’isola.
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ne organizzata dal danese Ludvig Mylius- Erichsen. Meta, la Groenlandia. Trombe d’aria e crateri. Imbarcatosi sul vascello Danmark come meteorologo, vi trascorse due inverni polari (1906-1908). Scopo della spedizione era mappare la costa meno nota dell’isola, nella parte nordorientale. Wegener usò per primo i palloni meteorologici durante una spedizione polare. Dall’impresa non fecero ritorno in tre, tra cui il capo della spedizione. Nonostante le difficoltà e le sofferenze, nell’arco di una ventina d’anni Wegener sarebbe tornato altre tre volte sull’isola che il vichingo Erik il Rosso, alla fine del X secolo, aveva battezzato “Terra verde”, Groenlandia (questo perché, oltre mille anni fa, il clima era meno rigido a quella latitudine). Al suo ritorno, Wegener iniziò a insegnare all’Università di Marburgo. Spiegò come si formano alcuni tipi di nubi e studiò la meccanica delle trombe d’aria. E, forse rispolverando i suoi studi di astronomia, entrò nel dibattito sull’origine dei crateri lunari, che per molti erano di origi-
Al freddo e al gelo Un momento di della spedizione in Groenlandia di Wegener nel 1929-30. A destra, un membro della spedizione con i cani da slitta, in mezzo ai ghiacci polari. La base da allestire era a 3.000 metri di altitudine. 26
Eismitte: in tedesco, vuol dire “in mezzo al ghiaccio” Percorso a ostacoli. La lunga notte artica era alle porte e i rifornimenti per Johannes Georgi e Ernst Sorge, i due scienziati che si trovavano già alla base nel cuore della Groenlandia, non erano partiti. Wegener sapeva bene che la sopravvivenza dei compagni dipendeva da quel trasferimento. Il 21 settembre lasciò il campo base occidentale insieme al connazionale Fritz Loewe e al groenlandese Rasmus Villumsen con le tradizionali slitte trainate da cani. Il viaggio durò 40 giorni, invece dei previsti 20, a causa di violente tempeste di neve e temperature che sfioravano i 50 gradi sotto zero. La compagnia raggiunse la base a fine ottobre: Loewe aveva un principio di congelamento agli arti inferiori ed era impossibile per lui rimettersi in viaggio. Il 1° novembre, dopo aver festeggiato il suo cinquantesimo compleanno, Wegener e Villumsen presero così la via del ritorno senza di lui. Fu l’ultima volta che qualcuno li vide in vita.
Senza collegamento radio tra le basi, per quasi sette mesi nessuno seppe più nulla. Il corpo di Wegener fu ritrovato nel maggio del 1931, a un centinaio di chilometri dalla meta. Il suo giovane compagno aveva segnalato con degli sci la tomba di Alfred, portando con sé l’ultimo diario dell’esploratore, nella speranza di farcela. Nessuno può raccontare gli ultimi giorni di Wegener. Nemmeno lui, che descrisse le altre speAPERNE dizioni con foto DI PIÙ (tra cui quelle di queste pagine) e resoconUna terra senza fine, Jo Lendle ti. Il suo ultimo (Keller). Vita e viaggi diario è sepolto di Wegener. sotto una spessa coltre di neve e ghiaccio, insieme al corpo, mai ritrovato, di Villumsen. •
S+
Elena Canadelli
Fine corsa Un altro ritratto di Alfred Wegener. A destra, la sua tomba, tra i ghiacci della Groenlandia dove morì durante la sua ultima spedizione, nel 1930.
La teoria controversa (ma vera) della deriva
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egener aveva no tato che tra le coste atlantiche di Africa e Sud America esisteva una corrispon denza. Sulla carta geografica i due continenti gli sembravano pez zi di un immenso puzzle che una volta decifrato avrebbe rivelato la storia della Terra. All’epoca, la maggior parte dei geologi ac cettava l’idea che i continenti fos sero stati sempre come apparivano (teoria della permamenza). Wegener, invece, avanzò l’ipotesi della deriva dei continenti: circa 240 milioni di anni fa ci sarebbe stato un unico grande blocco di terre emerse circondato dalle acque, chiamato Pangea, che si sarebbe in segui to disgregato. Wegener non era
l’unico a pensarla così. Teoria. Anche l’italiano Rober to Mantovani, nel 1909, aveva parlato di al lontanamento dei continenti, attribuendolo alla dilatazione globale del pia neta. Wegener arrivò a spiegare quello che non spiegavano, se non con compli cati espedienti, le altre ipotesi: ad esempio, perché fossili ritrovati sulle due coste dell’Atlantico fos sero simili. Quello che non riuscì a chiarire era inve ce la causa degli spostamenti, motivo per cui le sue idee caddero nell’oblio. La teo ria di Wegener fu ripresa negli Anni ’60, quando l’esplorazione dei fondali oceanici dimostrò il feno meno dell’espan sione delle plac che tettoniche.
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PRIMO PIANO
La vita quotidiana degli artisti fiorentini, la ricchezza degli armorari milanesi, gli intrighi dietro ai tesori di Urbino e Ferrara, i significati nascosti dell’arte.
A BOTTEGA DAL VERROCCHIO pag. 30 ■
LE ARMI DI MILANO pag. 38 ■
IL MONDO DI ALLORA pag. 44 ■
L’ARGENTO DI ALFONSO pag. 46 ■
Originale La dama con l’ermellino, di Leonardo, da noi fatta “rivivere” sulla copertina di questo numero.
LA CORTE DI BORSO pag. 52 ■
CACCIA AL SIMBOLO pag. 58 ■
IL DUCA DI URBINO pag. 64 ■
IL MODERNO ARIOSTO
LUISA RICCIARINI
pag. 70
sorprendente
RINASCIMENTO
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PRIMO PIANO
Firenze
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Come si lavorava in una bottega d’arte, i rapporti fra “ragazzi” che si chiamavano Leonardo o Botticelli. E come si tramandava l’arte nella culla italiana del Rinascimento.
P
NELLA BOTTEGA DELLE
MERAVIGLIE N
Ricostruzione della bottega fiorentina del Verrocchio. Sul cavalletto a sinistra, Il Battesimo di Cristo (1475-78), con l’angelo dipinto da Leonardo.
G. ALBERTINI
Artisti artigiani
evrotici, appassionati e passionali, particolarmente sensibili, soggetti a collera improvvisa e sbalzi d’umore, per lo più amanti della solitudine e del silenzio: anche nel Quattrocento fiorentino, un po’ come oggi, gli artisti erano bollati come persone dal carattere eccentrico, capriccioso e stravagante. Ma non immaginiamoli osannati proprietari di eleganti atelier, né snob anfitrioni alla loro ultima personale: gli artisti rinascimentali attivi a Firenze tra il 1430 e il 1530 erano “operai del bello” e la loro bottega una specie di officina, in cui il lavoro si svolgeva organizzato come in una piccola impresa familiare, diviso tra apprendisti, garzoni e assistenti. Mani in pasta. Non si poteva scappare: chiunque volesse cimentarsi con l’arte doveva sporcarsi le mani. Persino un genio come Leonardo da Vinci aveva passato alcuni anni chiuso in una bottega fiorentina: quella, famosissima, di Andrea del Verrocchio. E non fu l’unica star a uscire da lì: nel più importante atelier della Signoria dei Medici, nave scuola dei migliori artisti rinascimentali fiorentini, crebbero infatti lo scultore Giovanfrancesco Rustici e pittori del calibro di Pietro Perugino, Domenico Ghirlandaio e, per un breve periodo, Sandro Botticelli. Cos’aveva di speciale il laboratorio del Verrocchio? Soprattutto la polivalenza. Andrea aveva compiuto il suo apprendistato da un orafo e per questo possedeva conoscenze tecniche sfruttabili sia nella pittura sia nella scultura. Basandosi sulla propria esperienza fece una scelta precisa: mentre i suoi colleghi cercavano di difendersi dalla concorrenza specializzandosi in singole attività, nel suo atelier 31
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Nelle botteghe degli artisti si entrava bambini: l’apprendistato durava in genere 12 anni. Quello di Michelangelo finì dopo tre abbracciò l’eclettismo. Pittura, scultura, oreficeria: la bottega del Verrocchio sfornava opere artistiche di qualsiasi genere. Se non era impegnato su qualche cantiere, ogni giorno il maestro lavorava con i suoi apprendisti finché la luce lo permetteva, circondato da una mobilia che chiunque non fosse del mestiere avrebbe giudicato quanto meno stravagante. Da una parte il telaio di legno, con i fili tesi a formare una griglia quadrettata, che serviva a studiare la prospettiva di oggetti e figure da disporre sul dipinto, da un’altra gli strumenti per la fusione del bronzo, i materiali necessari a preparare i cartoni per gli affreschi, i pennelli e le tempere. Sparsi qui e là alcuni manichini, spesso coperti di drappi, per osservare i panneggi e i diversi atteggiamenti del corpo umano. P orte aperte . Imparare a usare questi attrezzi e a muoversi con scioltezza in
un ambiente simile richiedeva una lunga preparazione. Secondo il pittore Cennino Cennini, autore del Libro dell’arte, una specie di manuale di pittura, l’iter formativo ideale durava 12 anni: durante i primi sei il ragazzo doveva apprendere
Capobottega attivissimo Pietro Perugino (14481523). Pittore allievo del Verrocchio, fu a sua volta titolare di due botteghe, a Firenze e a Perugia.
le basi dell’arte, nei successivi avrebbe dovuto collaborare con il maestro, continuando poi a perfezionarsi fino ai 25 anni. Con il raggiungimento della maggiore età, infatti, gli era concesso iscriversi alla corporazione di mestiere e diventare a sua volta un capobottega. Questa la teoria: in pratica, però, il periodo di formazione poteva essere più breve, come nel caso di Michelangelo Buonarroti, che malsopportò il suo apprendistato dal Ghirlandaio solo per tre anni. «Chiunque, anche senza una preparazione specifica, poteva entrare a bottega: la decisione veniva presa dal padre, nella maggior parte dei casi un artigiano o un piccolo commerciante, per seguire una particolare predisposizione del figlio oppure con la speranza di migliorarne la condizione sociale», spiega Leandro Ventura, che ha insegnato Teoria e Storia della Produzione e della Committenza Artistica all’Università Ca’ Foscari di Venezia. «Per contratto, il maestro offriva alloggio, vestiario e un salario al ragazzo, che in cambio si impegnava a essere obbediente, puntuale, rispettoso, moralmente irreprensibile e volenteroso». Zero teoria. Ma niente banchi e libri di storia dell’arte: l’insegnamento era esclusivamente pratico. Gli apprendisti cominciavano imparando a impastare i pigmenti per ottenere i colori, a trattare il fondo della tavola da disegno, prima di usarla, con uno strato di gesso o stucco, a lucidare i manufatti in bronzo. Ma soprattutto si esercitavano anche nel tempo libero, copian-
Nelle corporazioni ognuno Lavorazione del legno in bottega. Carpentieri e scultori facevano parte della stessa corporazione. 32
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Firenze, per lavorare, gli artisti erano costretti a iscriversi a una corporazione: peccato che non
ne avessero una propria. Per questo si dividevano a seconda della loro specializzazione, unendosi a chi fa-
NELLA CASA FIORENTINA Per le vie della Firenze quattrocentesca si percepiva un grande fermento, grazie anche alle migliorate condizioni economiche.
A LAVORO IN CAMERA All’ultimo piano si trovava spesso la camera da letto. Per alcuni artisti, era anche un luogo di studio. RISVEGLIO GASTRONOMICO Sulle tavole delle persone più agiate comparvero carne e pasta.
STRADE BRULICANTI Per le strade non circolavano solo venditori ambulanti, ma anche musicisti, mendicanti, giocatori d’azzardo.
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AFFACCIATI SULLA STRADA Macellai, sarti, fabbri, armaioli, rivenditori di cappelli: erano solo alcuni dei mestieri praticati in città. Le botteghe (incluse quelle d’arte) erano al livello della strada.
aveva il proprio posto. Tranne gli artisti ceva dei mestieri con cui avevano qualcosa in comune. Eccone qualche esempio. Tutti mischiati. I pittori erano iscritti
nella corporazione dei Medici e Speziali, dato che i secondi vendevano loro i pigmenti necessari a impastare i colori; gli
orafi facevano parte dell’Arte della Seta, insieme ai battiloro e ai filatori d’oro, perché considerati l’anello di congiun-
zione tra l’Arte dell’oreficeria e quella della seta. I numerosi maestri e le botteghe dove si lavoravano il legno, la pietra e il
marmo formavano l’Arte dei maestri di pietra e legname, che rappresentava gli scultori figurativi e i carpentieri.
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Lorenzo il Magnifico circondato dai “suoi” artisti, in un’opera del ’600. Fondò quella che è considerata l’antesignana delle accademie d’arte: tra gli allievi, il giovane Michelangelo.
do instancabilmente i disegni e le opere del maestro o le sculture classiche. Solo così potevano passare alla fase successiva: la realizzazione, partendo dagli schizzi preparatori del capobottega, di modelli a grandezza naturale da trasferire sulla tavola, sul muro o sugli arazzi prima di mettere mano ai pennelli. Spesso gli allievi più bravi finivano anche per dipingere al posto del proprio maestro: aureole, panneggi e vesti, luci e ombre a cui poi il Verrocchio dava soltanto il tocco finale. Discepoli e maestri. «Gli statuti delle corporazioni imponevano un numero massimo di allievi, in genere sei, per evitare lo sfruttamento del lavoro giovanile. Tuttavia da questo numero erano esclusi i parenti: ciò spiega la diffusione delle botteghe familiari, co-
In un disegno del Parmigianino (1503-1540), un apprendista mescola i pigmenti per realizzare un colore. Le ricette erano custodite gelosamente. 34
sì come la pratica di adottare gli allievi», sottolinea Ventura. Ma al di là della convenienza, in genere il rapporto che si creava tra l’apprendista e il maestro, spesso scapolo e senza figli, era davvero forte: al punto che, proprio come fece il Verrocchio, da adulti molti di loro prendevano il co-
gnome non dal proprio padre ma dall’uomo che li aveva formati in bottega. Certo, gli screzi non mancavano, soprattutto nel proverbiale caso in cui l’allievo avesse superato il maestro: secondo Giorgio Vasari (1511-1574), quando vide che nel Battesimo di Cristo (v. immagine nella prima pagina dell’articolo) l’angelo dipinto da Leonardo era molto più bello delle altre figure, “Andrea mai più non volle toccar colori, sdegnatosi che un fanciullo ne sapesse più di lui”. In realtà, all’epoca del Battesimo sembra che Da Vinci non fosse più apprendista, ma uno di quegli artisti già formati che gravitavano attorno alla bottega per aiutare il Verrocchio in opere specifiche, insieme a orafi, scultori di bronzo e pietra, pittori autonomi, legati a lui da varie forme di collaborazione. Nessuno però si lamentava di questi che oggi definiremmo “lavori a progetto”: era evidente, infatti, che le botteghe d’arte a Firenze fossero già troppe. Intorno al 1470 il numero dei soli intagliatori superava quello dei macellai: la rivalità, ovviamente, esisteva e scatenava quelle che il Vasari definì le “lingue malevole degli artisti”, pronte a sparlare dei colleghi come nella miglior tradizione lavorativa italiana. Committenti in fila. Bisogna dire che, come ogni legge economica insegna, tanta offerta era motivata dall’enorme richiesta fiorentina. Quadri, affreschi, pale d’altare, vetrate, sculture piccole e grandi, cassoni decorati, arazzi dipinti venivano ordinati da committenti sia pubblici sia privati. Da una parte il governo della Signoria, l’Arte della lana (la potente corporazione dei lavoratori della lana) e la Calimala (la ricca corporazione dei commercianti e mercanti) che finanziavano le grandi costruzioni cittadine, come il Duomo, il Battistero e il Palazzo della VICTORIA AND ALBERT MUSEUM / SCALA
SCALA
A Firenze le botteghe erano persino troppe: c’erano più intagliatori che macellai. E tra loro non si contavano le invidie
Non solo Firenze: ecco MILANO Divenne importante per l’arte in seguito all’arrivo di Bramante (1479) e Leonardo da Vinci (1482) alla corte di Ludovico il Moro.
PIAZZA DELLA SIGNORIA Era il cuore pulsante della città. E qui l’arte era sotto gli occhi di tutti.
MUSEO A CIELO APERTO Nel ’500 nella loggia venivano esposte le sculture della collezione dei Medici. Prima era un balcone da cui arringare la folla durante le cerimonie ufficiali.
E a Palazzo Pitti, l’aria condizionata
F LA CASA DEL DUCA Prima era la sede della signoria (il consiglio cittadino). Nel 1540 Cosimo I de’ Medici la trasformò nella sua dimora (diventò Palazzo Ducale).
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CENTRO DI POTERE La piazza è stata il centro della vita cittadina per secoli. Era anche sede delle pubbliche esecuzioni.
irenze non fu solo città d’arte, ma anche di ingegneria. A dimostrarlo, oltre alla cupola di Brunelleschi, c’è palazzo Pitti, residenza medicea dal 1550. «Durante i lavori di ampliamento del 1560», spiega l’architetto Giovanni Minutoli, dell’Univeristà di Firenze, che all’argomento ha dedicato uno studio, «fu realizzato un sistema di raffrescamento che, grazie a grate nei pavimenti e finestre affacciate sul giardino di Boboli, creava flussi d’aria fresca dai seminterrati ai livelli superiori degli appartamenti estivi, abbassandone la temperatura anche di 10 gradi».
gli altri centri d’eccellenza dell’Italia rinascimentale VENEZIA I più raffinati si rivolgevano alla bottega di Jacopo Bellini. Il figlio Gentile si dedicò anche ai “teleri”, grandi tele che sostituivano gli affreschi (che soffrivano l’umidità).
MANTOVA L’architetto Leon Battista Alberti e il pittore Andrea Mantegna cambiarono il volto alla città dei Gonzaga.
ROMA Trascurata durante la cattività avignonese, ritrovò lustro con Sisto IV, papa dal 1471. La Cappella Sistina attirò i migliori artisti di stanza in Toscana.
PADOVA Qui lo scultore Donatello aprì la sua bottega e si formò anche il giovane Mantegna.
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SCALA
Lorenzo de’ Medici manteneva i suoi artisti anche quando non lavoravano per lui, pagando dei sussidi ai più vecchi
Scalpellini nel rilievo (XV secolo) della Chiesa di Orsanmichele (Firenze). È dedicato a 4 artisti martirizzati per aver rifiutato di scolpire divinità pagane.
Signoria; dall’altra i membri delle classi ricche e istruite e della borghesia, che ne finanziavano le decorazioni interne. Che cosa li spingeva? La devozione, o meglio la convinzione che le spese destinate a edificare e a decorare chiese e conventi fossero gradite a Dio. Ma anche una malcelata vanità: un edificio o un affresco in cui compariva lo stemma di famiglia o il proprio ritratto davano al committente la garanzia di essere ricordati anche dopo la morte. “Cupido più di fama che di roba, si messe in animo di fare un edifizio che a sé e a tutti i suoi in Italia e fuori desse nome”, scrisse Lorenzo Strozzi di suo padre Filippo il Vecchio, banchiere che dopo decenni di esilio fece ritorno nella sua Firenze e diede il via alla costruzione dell’imponente Palazzo Strozzi, alla faccia dei rivali Medici. I più facoltosi sentivano il mecenatismo come un dovere di classe e consideravano l’investimento di denaro nelle più grandiose imprese artistiche un
importante privilegio che rendeva grande la città. Lorenzo de’ Medici, il più famoso della famiglia di signori e mecenati fiorentini, andò persino oltre, inviando i suoi migliori artisti all’estero, come ambasciatori culturali di Firenze. Senza dimenticare di assisterli, in patria o fuori, con salvacondotti, lettere di raccomandazione e sussidi. Al potere dal 1469, il Magnifico fu davvero amante dell’arte, capace di apprezzarne il valore estetico e di collezionarla per puro piacere personale: con lui iniziò a cambiare anche il modo di intendere l’artista e la sua opera. Orgoglio d’autore. Pittori e scultori, grazie al loro successo, cominciarono a prendere coscienza del proprio valore. E a rivendicare nel loro lavoro il ruolo centrale dell’ispirazione e del talento, effetto di una predestinazione quasi divina. «Nel ’400 iniziò un processo di emancipazione delle arti figurative: prima considerate parte delle artes mechanicae medioevali, cioè attività prevalentemente
pratiche, la pittura, la scultura e l’architettura entrarono nell’orbita delle artes liberales, le materie in cui prevaleva la creazione intellettuale», conclude Ventura. Il nonno del Magnifico, Cosimo de’ Medici, l’aveva già capito mezzo secolo prima: “L’eccellenze degli ingegni rari sono forme celesti e non asini vetturini”, diceva. Ma i membri delle classi superiori non la vedevano così, soprattutto quando erano i loro figli a scegliere quella “degradazione sociale”: c’era voluto l’intervento del Magnifico per convincere il padre di Michelangelo, un patrizio, che scultore e scalpellino non erano la stessa cosa. E forse per quella mancata accettazione patita da giovane, proprio il Buonarroti fu uno dei primi a pretendere con violenza, persino dal pontefice, quella considerazione che dopo la metà del Cinquecento gli artisti avrebbero finalmente ottenuto. Nonostante, o proprio in virtù, del loro caratteraccio. • Maria Leonarda Leone
Come (e quanto) ti pago l’archistar
I
l lavoro d’artista rendeva? Difficile rispondere. Di certo i maestri più famosi guadagnavano bene e conducevano una vita agiata. A Firenze Michelangelo ricevette 3mila fiorini per l’affresco della battaglia di Cascina
La pagnotta. Diversi erano i metodi di pagamento: alcuni ricevevano il compenso a rate mensili, altri accettavano piccoli versamenti regolari. Moltissimi, infine, accettavano, al posto di una parte dei soldi,
vitto, alloggio e vestiti. Durante i lavori alla Certosa di Firenze, nel 1506, i giovani assistenti del pittore Mariotto Albertinelli si rifecero del cibo insufficiente razziando la dispensa del monastero.
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nella Sala del Gran consiglio: una cifra cento volte più alta di quella pagata a nomi meno noti. E non fu un caso isolato: Donatello riceveva dal 15 al 25 per cento in più di quanto veniva dato ai suoi colleghi scultori.
PRIMO PIANO
Milano U
Il ducato sforzesco nel Rinascimento era già una capitale della moda. Almeno in fatto di armature. E le armi bianche prodotte dagli armorari meneghini erano ambite da tutti.
SCALA (2)
n’aureola luminosa sospesa sui boccoli biondi, l’imman cabile carcassa verde del mo stro schiantata a terra: nel ce lebre San Giorgio di Andrea Mantegna, la leggenda aurea del pio uccisore di dra ghi ci viene riproposta completa di tut ti gli accessori iconografici. Tuttavia un dettaglio del quadro è assolutamente sto rico, anzi è autentica cronaca del costu me: l’elegante corazza del santo guerrie ro. Proprio come l’occhio allenato di una fashion victim contemporanea riconosce rebbe un capo di Armani o di Versace, un gentiluomo del Rinascimento, davan ti a quell’armatura dalle forme smussate e dalle linee armoniose, avrebbe procla mato con sicurezza: “è di Milano, dalla bottega dei Missaglia!”. Risposta azzec cata, ma facile: a metà Quattrocento in fatti i nomi delle più affermate famiglie di armaioli (o “armorari”, secondo la dizio ne più antica) meneghini erano ormai fa mosi quasi come griffe di moderni stilisti, i loro prodotti celebrati nelle corti d’Euro pa e ben riconoscibili nell’estetica, la loro resistenza testata su innumerevoli cam pi di battaglia. Non erano gli unici, cer to: la metallurgia andava forte anche in città europee come Augusta, Norim berga, Innsbruck e Toledo, nonché in centri italiani quali Firenze, Fer rara, Urbino e Napoli. Eppure i raffinati e costosi manufatti
guerreschi del Ducato di Milano, in parti colare le armature, avevano qualcosa in più: un ingrediente segreto che oggi forse chiameremmo design. Uomini d’arme. Indispensabili per il me stiere delle armi, segnato tuttavia dal com piuto esordio dell’arma da fuoco, la loro bellezza le aveva rese anche un irrinun ciabile status symbol per i ceti più abbien ti. Ecco perché Mantegna, Donatello, Pao lo Uccello, Botticelli, Giorgione, Tiziano e molti altri artisti rinascimentali avevano voluto “fotografare” nelle loro opere que sto fondamentale accessorio del corredo maschile dei loro tempi. Capitale della “moda d’acciaio”, Mila no lo era del resto sin dal Trecento: il pri mo documento che attesta concessioni a un armaiolo risale al 1337, ma è con l’a scesa al potere di Gian Galeazzo Viscon ti nel 1379 che l’elargizione sistematica di favori e privilegi a questi artigiani apri rà la strada al loro exploit nel primo Rina scimento, con oltre cento botteghe in atti vità. Perché proprio nella città lombarda? «I motivi sono molteplici», spiega l’esper to di armi storiche Silvio Leydi. «Innanzi tutto la presenza di materie prime, quin di di miniere di ferro in territori che il du cato controllava: il Bergamasco, il Lecche se e soprattutto l’area di Brescia con la Val Trompia, nell’orbita della Serenissima so lo dopo il 1426 e non a caso specializzata si in seguito nel parallelo settore delle ar
ARMATI CON STILE 38
P Gioielli d’arme Nella pagina a fianco, il San Giorgio di Andrea Mantegna (1460), con un’armatura del tempo. A destra, armatura decorata, della metà del Cinquecento.
SCALA (5)
Ogni bottega aveva specifici marchi di fabbrica apposti in vista sul metallo: famoso quello dei Missaglia, una “M” con una croce mi da fuoco. Scaldando e battendo il ferro a ciclo continuo, gli armaioli di Milano eliminavano le scorie minerali ottenendo con pazienza lastre d’acciaio di ottima qualità, che andavano però modellate a colpi di maglio: non dimentichiamo che forni a temperature adatte per liquefare il ferro non esisteranno fino al Settecento». Altra ragione del boom delle armi milanesi fu la ricchezza e l’esuberanza militare del ducato. «Non a caso lo stesso Leonardo da Vinci scelse di accreditarsi alla corte di Ludovico il Moro come ingegnere bellico ed esperto di fortificazioni, piuttosto che come artista (v. riquadro a destra). Gli investimenti della Milano quattrocentesca nel business della guerra faranno la fortuna delle grandi dinastie di armorari milanesi, di cui i Visconti e gli Sforza erano gelosi al punto di vietare loro di viaggiare per timore che divulgassero i loro segreti professionali», dice Leydi. Maglie pesanti. Nella prima metà del XV secolo la professione è in pieno sviluppo: le cronache raccontano che dopo la battaglia di Maclodio del 1427, Milano poté approntare armi e corazze per 4.000 cavalieri e 2.000 fanti. La memoria di questa attività ha lasciato tracce nella toponomastica cittadina nelle centrali via degli Spadari e via degli Armorari, mentre nella cerchia interna dei Navigli troviamo via del Mulino delle Armi: per muovere i pesanti magli degli operai della guerra serviva infatti l’energia dell’acqua. Complice del successo, anche una novità epocale: il passaggio dall’armatura mista in “maglia e piastra” – cioè la vecchia cotta di maglia del Medioevo, con l’aggiunta di protezioni metalliche applicate sopra gli anelli di ferro – alla definitiva armatura a piastre, composta da robuste “pezze” d’acciaio fra loro interconnesse: un capolavoro di tecnica al quale i fabbri milanesi diede-
Pezzi da museo Dall’alto, un elmo da fante realizzato dai Missaglia (1470); uno “alla borgognona” (1450) e una celata con maglia di ferro.
ro un contributo fondamentale, man mano che alle efficienti armi e armature da battaglia si sovrapponevano le loro opulente versioni “da parata”: pezzi unici belli come sculture, con motivi zoomorfi o floreali decorati ad agemina – cioè con inserti di oro o argento, che riempivano solchi tracciati a bulino sull’acciaio – e talora arricchiti da pietre preziose. Merce di lusso. Ovvio che i prezzi fossero spropositati. «Una delle armature da parata più belle, costruita intorno al 1560 per l’arciduca Ferdinando II del Tirolo, spuntò quello che forse è il prezzo più alto mai pagato: 2.600 scudi, qualcosa come dieci quadri di Tiziano messi insieme», sottolinea Leydi. «Ovviamente una semplice armatura completa da battaglia costava molto meno, ma pur sempre come un intero anno di paga di un artigiano specializzato». Problema non da poco, considerando che lo sviluppo dei giochi guerreschi di corte aumentava l’esigenza di non avere un solo completo di metallo, ma un intero guardaroba. L’armatura da giostra – usata negli scontri a due tra cavalieri montati e armati di lancia ma divisi da uno steccato – era infatti diversa da quella per il torneo,
Lance di design Da sinistra, un falcione in acciaio in dotazione alle guardie dei Gonzaga (XVII secolo) e una “ronca”, anch’essa di fabbricazione italiana.
ANCHE LEONARDO SI DIEDE ALLE ARMI
La fama di “città bellica” attrasse alla corte degli Sforza anche il genio di Vinci.
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M
In cerca d’ingaggio
ALINARI
Sopra, l’autoritratto (considerato tale dalla maggior parte degli studiosi) di Leonardo da Vinci (1452-1519). A destra, il progetto di un cannone enorme e (sotto) studi di alabarde.
ilano, grazie alla fama dei suoi condottieri e dei suoi armorari, attirava il meglio degli ingegneri bellici. Persino un “pacifista” come Leonardo da Vinci, quando nel 1482 scrisse a Ludovico il Moro, si presentò come un esperto dell’arte della guerra. Se poteva sperare di trovare un ingaggio a corte, era puntando sulle armi, più che sulle belle arti. Curriculum d’autore. Nella missiva Leonardo si dice capace di progettare “secondo la varietà de’ casi varie et infinite cose da offender e difendere”. I suoi disegni contengono cannoni e carri semoventi, bombarde “commodissime et facile ad portare”. Tra i disegni non mancano neppure studi di armi bianche e armature, sebbene questi ultimi potevano servire anche per realizzare quadri, dipinti o scenografie (Leonardo ne realizzò di sicuro per la corte sforzesca). A parte le armi da fuoco, il genio toscano progettò un’enorme balestra e (soprattutto quando fu al servizio di Cesare Borgia) opere di fortificazione in muratura. Secondo la maggior parte degli storici, però, Leonardo non realizzò mai nessuna delle sue macchine da guerra.
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ARMATURE DA MANUALE ELMO E CELATA Esistevano vari tipi di elmo, semplici per la battaglia e più elaborati da parata o torneo, a volte a forma di animali.
GIOIELLO DA GUERRA Questa armatura in acciaio fu realizzata intorno a metà del ’500 dal milanese Pompeo della Cesa. Per le decorazioni si usava oro all’interno di cesellature a bulino.
SCALA
Gli armorari milanesi proseguirono un’antica tradizione, ma innovando. Al servizio dei capitani di ventura.
PUNTO DELICATO Gli spallacci proteggevano l’articolazione della spalla. Gli armorari milanesi introdussero “rotellini” inferiori, per l’ascella.
ATTENTI ALLE MANI Le manopole erano dotate di guardamano, talvolta incernierati.
VENTRE MOLLE Il busto del cavaliere era protetto dalla “panziera”.
“CANNONI” DA BRACCIO La “cubitiera”, a cerniera e fissata al corpo con cinghie di cuoio, proteggeva i gomiti e permetteva i movimenti. I “tubi” per le braccia erano detti “cannoni”.
CAVALIERI CON LE “GONNE” I “faldali” (come i cosciali a più piastre) proteggevano gli arti inferiori.
A DUE MANI Fanti e cavalieri usavano spade molto pesanti, da brandire con due mani.
LA “PARTE DI SOTTO” La parte inferiore comprendeva cosciali, ginocchielli, schinieri, sabotton (scarpe).
Confortevoli e pratiche, nonostante l’acciaio
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avalieri-tartaruga ingabbiati nel metallo, addirittura costretti a farsi issare in sella grazie a un argano… una mitologia nera priva di fondamento. Molto più confortevole da indossare di quanto non si creda 42
oggi, un’armatura completa pesava intorno ai 35 chili, peraltro non “concentrati” come uno zaino in spalla, ma ben distribuiti su tutto il corpo. E proprio come il corpo umano, la veste d’acciaio non era un
blocco unico bensì un insieme di componenti diverse, le cosiddette “pezze”. Elmo e pettorale (o panziera) in primis, e poi spallacci, cubitiere per i gomiti, “cannoni” e manopole per braccia e mani, faldali e scarselle
per il punto vita e l’inguine, cosciali, ginocchielli, schinieri e scarpe per gli arti inferiori: dalla testa ai piedi tutto era rivestito di metallo, reso mobile da snodi e fibbie e completato da eventuali optional.
Alcuni pezzi a caso della partita erano provati “a botta”, cioè con un colpo di archibugio o di pistola: un test per valutarne la resistenza vale a dire il combattimento “a squadre” in campo aperto. «Per la giostra gli armorari milanesi inventarono un pesante elmo da incernierare al petto, una specie di scafandro da palombaro, con cui proteggere il capo nel caso che il colpo di lancia fosse slittato verso l’alto. Con “giochi” simili c’era infatti poco da scherzare: proprio un incidente di giostra nel 1559 costò la vita a re Enrico II di Francia», spiega Leydi. Tocco di classe. Guerra, sport, sfilate: ogni situazione aveva esigenze diverse, ma una sfilza di armature ad hoc superava le possibilità di buona parte dell’aristocrazia. Fu così che i milanesi inventarono l’idea delle “guarniture”, pezzi intercambiabili che potevano rendere una sola armatura-base da guerra adattabile a utilizzi diversi. Più che dalle lussuose commesse dei singoli, tuttavia, la prosperità degli armaioli venne garantita dalle non meno esigenti forniture per gli eserciti. «Dagli antichi contratti conservati sino a noi, sappiamo che spesso veniva richiesto un test», continua l’esperto. «Alcuni pezzi a caso di ogni partita erano provati “a botta”, cioè a colpo di archibugio o di pistola; su alcune di queste corazze conservate nei musei d’armi si può ancora osservare l’incavo lasciato dal proiettile». La Storia ci ha anche tramandato i nomi di famiglie milane-
si che divennero sinonimo di eccellenza nel settore: tra questi i Da Merate e i Piccinino, fuoriclasse della produzione di spade, il campione delle “guarniture” Pompeo Della Cesa, ma soprattutto i Missaglia, il cui vero cognome era Negroni e che furono un po’ gli Agnelli delle armi antiche. Dinastie d’acciaio. Originari di Ello, nel Lecchese, il capostipite Tommaso e quindi il figlio Antonio con la perfezione tecnica delle loro armature, contese da sovrani del calibro di Massimiliano I d’Asburgo e Alfonso d’Aragona, fecero la fortuna della famiglia, che da Ludovico il Moro ricevette proprietà, esenzioni fiscali e anche un titolo nobiliare. Si narra addirittura che il duca, per amicizia verso Antonio, durante un incendio nel sontuoso (e oggi scomparso) palazzo Missaglia, in via Spadari, accorse personalmente a dare una mano ai soccorritori.
Un artigiano lavora un’armatura: a Milano le famiglie più famose in questa lavorazione erano i Da Merate, i Piccinino, i Della Cesa e i Missaglia.
Su commissione. Di fabbricazione milanese e particolarmente richiesti erano i “rotellini”, elementi rotondi di circa 10-12 centimetri di diametro che servivano a coprire l’ascella, un punto di giuntura
GRANGER/ALINARI
Made in Milano
Divenuti ricchi, i discendenti dei Missaglia smisero col tempo di occuparsi di armi e nella loro attività subentrò con successo una famiglia quasi omonima, i Negroli: i fratelli Filippo Gianbattista e Francesco lanciarono per primi la moda dell’armatura da parata, in particolare di quella cosiddetta “all’antica” che si ispirava alle corazze dei condottieri romani. Questa produzione d’élite, unita ai grandi appalti per una fanteria che si avviava a oscurare in battaglia la vecchia cavalleria pesante, garantì la salute del comparto per tutto il Cinquecento. Nel secolo successivo, il lento e inarrestabile declino. «A causarlo, la devastante celebre peste del 1630, di manzoniana memoria, ma ancor più le mutazioni nella geografia dei conflitti, le cui zone-chiave con la Guerra dei trent’anni (1618-1648) si spostarono verso l’Europa centrale, privando Milano di quella posizione strategica che ancora deteneva con la dominazione spagnola nella seconda metà del Cinquecento. Infine artiglierie e armi da fuoco portatili migliorarono moltissimo in precisione, velocità, potenza, il che rese la difesa passiva offerta dalle corazze sempre meno efficace». Nella Milano di fine Seicento le botteghe armorarie si contavano ormai sulle dita delle mani. Il crepuscolo della guerra a misura di cavaliere era ormai un fatto compiuto: il testimone passava adesso inesorabilmente alla polvere da sparo e ai vicini archibugiari bresciani, pionieri di un’industria fiorente ancora oggi. • Adriano Monti Buzzetti Colella
tra “pezze” particolarmente delicato e perforabile da lance e daghe. Così bardato, un uomo d’armi allenato poteva comunque salire a cavallo da solo ma anche chinarsi, strisciare e persino arrampicarsi su una scala,
restando al contempo protetto da lame, frecce o proiettili. Alla sostanza poi si aggiungeva la forma, fattore su cui le armature milanesi non temevano rivali: l’acciaio era così levigato da risultare “a specchio”, quasi
bianco. Le loro forme crearono uno stile contrapposto a quello spigoloso dell’armatura “gotica”, cioè di tipo tedesco (e che comunque gli armaioli milanesi erano, su richiesta, in grado di riprodurre).
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LE INNOVAZIONI DEL
RINASCIMENTO Volere è potere: potrebbe essere questo il motto del Rinascimento in cui una nuova cultura economica, letteraria e scientifica rivoluziona il mondo del sapere. Mettendo l’uomo al centro del pensiero e della politica.
POLITICA
Machiavelli (14691527) inventa la filosofia politica, laica e moderna.
MEDICINA
Il fiammingo Andrea Vesalio (1514-1564) inizia lo studio sistematico dell’anatomia umana, basato sulla dissezione dei cadaveri.
SCIENZA
L’astronomo polacco Mikolaj Kopernik (Copernico, 1473-1543) dimostra la teoria eliocentrica, confutando la Chiesa.
RELIGIONE
Lutero e Calvino avviano nel ’500 la rivoluzione protestante, mettendo in discussione l’autorità della Chiesa e ridisegnando la società.
TECNOLOGIA
Intorno al 1450, sfruttando l’invenzione della pressa tipografica, il tedesco Gutenberg e altri mettono a punto la stampa a caratteri mobili.
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PRIMO PIANO
L’Italia (e l’Europa) del XIV e del XV secolo erano uno “spezzatino” di regni e signorie, spesso in guerra. Eppure fu allora che una nuova era ebbe inizio
ESPLORAZIONI
Diaz, Da Gama, Colombo e Magellano. Sono i grandi navigatori che, sfruttando gli studi di astronomi ebrei e cartografi arabi, partono alla scoperta del mondo.
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IDEE
FILOSOFIA
L’inglese Thomas More (1478-1535) e l’olandese Erasmo da Rotterdam (1466-1536) mettono in discussione la filosofia medioevale (la Scolastica) e promuovono una nuova visione dell’uomo. Con loro l’umanesimo si diffonde in Europa.
Lo svizzero Paracelso (1493-1541) brucia in piazza i libri di Galeno e Avicenna. Il messaggio che vuole dare è chiaro: l’esperienza conta più dell’autorità degli antichi.
ARTE
Leonardo (al centro, il suo Uomo vitruviano), Piero della Francesca, Leon Battista Alberti e tanti altri fanno fare passi da gigante alle arti. Nei loro lavori per la prima volta si adotta il punto di vista dell’uomo sul mondo.
CONTEA DI BORGOGNA
TIROLO
CONFEDERATI SVIZZERI E ALLEATI
VESC. DI TRENTO
Ginevra
Trento
CARINZIA DUCATO DEL FRIULI
Aosta
DUCATO DI SAVOIA DELFINATO (REGNO DI FRANCIA)
CONTEA DI PROVENZA
Milano Torino MARCH. DI MONFERRATO
MARCH. DI SALUZZO Nizza
Genova
REPUBBLICA DI GENOVA
Venezia
DUCATO DI MANTOVA
DUCATO DI MILANO
Modena Massa
Bologna
DUCATO DI FERRARA
Cesena
REP. DI LUCCA Firenze
REPUBBLICA DI FIRENZE
Le principali casate (e i loro dominii) nel 1499 SFORZA (Milano, Genova e altro)
CORSICA (GENOVA)
REP. DI SIENA
CONTEA CARNIOLA DI GORIZIA (ASBURGO) REPUBBLICA DI VENEZIA
Rimini Urbino Pesaro Senigallia Ancona DUC. DI
URBINO
Roma
GONZAGA (Mantova)
Napoli
MONTEFELTRO (Urbino)
BENTIVOGLIO (Bologna) SAVOIA (Piemonte, Savoia, Nizza)
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REGNO DI NAPOLI
D’ESTE (Ferrara, Modena, Reggio Emilia)
REGNO DI SARDEGNA (ARAGONA)
Spalato
STATO DELLA CHIESA
DE’ MEDICI (Firenze)
MALATESTA (Rimini)
DALMAZIA
DUCATO DI CAMERINO
Perugia Camerino
D’ARAGONA (Napoli)
PALEOLOGHI (Monferrato)
REGNO DI UNGHERIA
Ravenna Forlì
Siena
ELBA
AUSTRIA (ASBURGO)
ARCIV. DI SALISBURGO
A
R
REPUBBLICA DI RAGUSA
A
D
R
IMPERO OTTOMANO
Ragusa
IA TI CO
(RAMO CADETTO DELLA CASA D’ARAGONA)
M A R T I R R E N O
ALERAMICI (Saluzzo) BAGLIONI (Perugia)
M A R
DELLA ROVERE (Senigallia) MALASPINA (Lunigiana, Massa e Carrara)
I O N I O
APPIANI (Piombino, Elba) COLONNA, ORSINI, CAETANI E ALTRE (Roma)
G. ALBERTINI
DA VARANO (Camerino)
REGNO DI SICILIA (ARAGONA)
L’eredità Ecco, per ogni città, il “peso” del patrimonio rinascimentale conservato. Massima importanza (Firenze) Grande importanza (Mantova, Venezia, Ferrara, Urbino, Roma) Importanza media (Milano, Padova, Siena, Perugia, Napoli) Importanza relativa (Bergamo, Genova, Bologna, Parma, Rimini, Cortona, Palermo, Messina) 45
PRIMO PIANO
Napoli
P
CERCATORE
er Alfonso V il Magnanimo, primo sovrano aragonese del Regno di Napoli, quella dell’argento fu una vera ossessione. Aveva conquistato il regno estromettendo gli Angioini nel 1442 e aveva fatto della capita46
Per far risplendere la sua corte – cuore pulsante del Rinascimento meridionale – re Alfonso V d’Aragona sognava di far diventare Napoli capitale dell’argento. Ci riuscì solo a metà.
le uno dei centri della cultura rinascimentale. Ma non si rassegnò mai a dover dipendere dalla Bosnia, principale fornitore di Napoli, per ottenere l’argento necessario a soddisfare le esigenze del suo grande regno dell’Italia Meridionale.
B eni preziosi . Riunendo i territori dell’antico Stato dei Normanni di Svevia (tutto il Sud Italia, Sicilia inclusa), Alfonso intraprese una nuova politica di apertura culturale ed economica. L’argento, simbolo di prestigio e di grande valore mercanti-
P
Costa splendente Ritratto di Alfonso d’Aragona, che governò il Regno di Napoli tra il 1416 e il 1458. Sotto, il porto della città partenopea nel XV secolo. Qui arrivava l’argento, principalmente dai Balcani.
le, era funzionale a questi obiettivi: materiale nobile, veniva utilizzato per coniare monete nelle zecche del regno e per produzioni artistiche di pregio. Le importazioni del metallo arrivavano soprattutto dalla città di Ragusa, l’attuale
Dubrovnik croata. Si trattava di un’enclave indipendente costruita su una roccia della costa adriatica orientale, che vantava antiche tradizioni nella lavorazione dei metalli preziosi. Inoltre, godeva di una certa autonomia d’azione dal 1358, quan-
SCALA (2)
D’ARGENTO do aveva formalmente riconosciuto la sovranità del re ungherese. Di fatto, Ragusa con quell’atto mantenne libertà di iniziativa commerciale, svincolata dalle restrizioni imposte da Venezia, titolare dei diritti economici sulla Dalmazia dal 1409. 47
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Napoli dipendeva dai Balcani per l’importazione dell’argento. Ne serviva molto, come merce di scambio e materia prima Si cercano minatori. Fu guardando proprio a Ragusa che Alfonso pensò di fare di Napoli la capitale dell’argento. Lì cercò di reclutare minatori da far giungere nell’Italia Meridionale, per sfruttarne le risorse. Nel 1452 contattò il bosniaco Matko Cidilovic, commerciante d’argento, affidandogli un incarico delicato: individuare artigiani esperti, da convincere a trasferirsi a Napoli per sondare i giacimenti minerari del regno. In cambio, Alfonso promise il pagamento anticipato di sei mesi di salario. Il tentativo di reclutamento non riuscì. Ma re Alfonso non si arrese e pensò a un’alternativa: scrisse al re bosniaco Stefano Tomas, per chiedergli di appoggiarlo in quella “ricerca del personale”. Anche questa volta non ebbe successo. “Mi scuso con il re di Napoli, ma i tempi di guerra non consentono di portare a buon fine la richiesta”, rispose asciutto re Tomas. Alfonso era caparbio e non si rassegnò. Produrre argento nel proprio Stato, riducendo l’acquisto dai monopolisti balcanici, divenne un obiettivo cruciale della sua politica economica. Anche perché la sua
Ufficio reclutamento Sotto, il tiranno serbo Giorgio Brankovich, a cui si rivolse Alfonso d’Aragona per ingaggiare minatori esperti nell’estrazione dell’argento. A destra, una testa in argento conservata al monastero francescano di Dubrovnik (Ragusa).
48
corte era ormai una delle più raffinate del Rinascimento italiano. Corte senza argento. Sotto gli Aragonesi, a Napoli erano di casa umanisti e uomini di cultura come Lorenzo Valla, che smascherò la Donazione di Costantino, dimostrando (grazie agli strumenti della filologia) che era un falso storico creato per giustificare il potere temporale della Chie-
sa. Sempre all’ombra del Vesuvio il poeta Antonio Beccadelli, nel 1448, fondò l’Accademia Pontaniana, importante centro di studi. E una corte così prestigiosa doveva importare il suo argento? Era frustrante. Alfonso fu costretto ad ammettere che “nel regno sono stati scoperti giacimenti minerari auriferi e argentiferi, ma non ci sono esperti in grado di ripulire i metalli”.
Regina dell’Adriatico
SCALA (2)
LUISA RICCIARINI/LEEMAGE
La città di Ragusa (oggi Dubrovnik) e il suo porto nel XV secolo: all’epoca era un importante centro di commercio dell’argento.
Rincorrendo un sogno. Il re tornò alla carica, contattando il despota serbo Giorgio Brankovich per chiedere di indicargli almeno sei esperti minatori. Fu la volta buona. Alcuni di loro si misero al servizio della corte aragonese, per lavorare argento e oro. Due nomi si distinsero sugli altri, quando sul trono del Regno di Napoli era ormai seduto Ferdinando I, detto “don Ferrante”, successore di Alfonso. Si chiamavano Marino di Giorgio e Francesco di Michele e organizzarono la produzione in alcune miniere della Calabria. Nel 1473, don Ferrante li pagò 600 ducati veneziani per mettere insieme una squadra di “esperti dai Paesi turchi” (cioè dalla Bosnia nel frattempo diventata ottomana) in grado di estrarre e lavorare l’argento calabrese. I più abili, però, non si spostavano da Ragusa. Dalla città bosniaca, superando le restrizioni di Venezia e le leg-
Metalli preziosissimi Sotto, monete croate in argento. A destra, un ducato d’oro napoletano coniato durante il regno di Alfonso V. Nel 1467 il successore Ferrante autorizzò l’uso di oro per l’acquisto di argento.
Lucrezia d’Alagno, la favorita di Alfonso, che voleva diventare regina
L
ucrezia d’Alagno aveva 18 anni, quando re Alfonso la notò tra la folla partenopea, alla tradizionale festa di San Giovanni. Lui aveva 54 anni e la sua corte era
già famosa. Sua moglie, Maria di Castiglia, era in Spagna a occuparsi delle proprietà terriere. Alfonso si innamorò subito della bellissima ragazza, ultima di 7 figli.
Determinata. I d’Alagno non erano molto ricchi, ma la fortuna cambiò. Il re trascorreva molto tempo da Lucrezia, a Torre Annunziata, e la famiglia ricevette pri-
vilegi e favori. Eppure, molti cronisti giurarono che tra i due l’amore fu solo platonico. Lucrezia voleva diventare regina, e chiese a papa Callisto III l’annullamento del
matrimonio del re. Andò a Roma con un corteo di 500 cavalli, dame e gentiluomini. La missione, però, fallì e Lucrezia restò solo la favorita del re, tra dicerie e sorrisini. 49
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I buoni rapporti commerciali tra il Regno di Napoli e Ragusa, motivati dall’argento, favorirono anche un forte sodalizio politico
SCALA (2)
gi ottomane, ricorrendo al contrabbando, si continuava a esportare nell’Italia Meridionale argento semilavorato in cambio di altre merci: olio, sale, carni salate, lardo, formaggio, vino, frutta, pane biscottato, zucchero, ma soprattutto grano. La “fame d’argento” aragonese fece crescere il mercato del grano in Sicilia (che era degli Aragona, come Sardegna e Corsica, ma costituiva un regno a sé) e del Regno di Napoli. Nel 1481 Ferrante scrisse direttamente a due famosi periti minerari di Ragusa, Nicola Hanzovich e Gano Lapor. Fece loro grandi promesse, chiedendo che si mettessero subito in viaggio per Napoli. Ma i due scelsero di restare nella loro città, temendo di perdere lavoro e terre. Il sogno di Alfonso si stava infrangendo. Non restava che rassegnarsi a importare l’argento, lavorato dai Paesi balcanici, attraverso il porto di Ragusa. Il minerale prezioso prendeva anche la rotta di Venezia, ma cliente privilegiato rimasero il Regno di Napoli e la Sicilia (governata da Giovanni II d’Aragona). Nel XV secolo salparono dal porto di Ragusa qualcosa come 25mila libbre di argento
Legami fraterni. Quasi una svolta, nel rapporto tra Napoli e Ragusa, arrivò nel 1467. In quell’anno, re Ferrante autorizzò il pagamento in monete d’oro, di ogni conio e senza tassazioni di dogana, per acquistare l’argento utilizzato nelle zecche di Napoli e dell’Aquila. Il re di Napoli cercò anche di estendere il mercato all’Impero ottomano: chiese (senza successo) al sultano Maometto II di cedergli argento in cambio di sale, grano e altri prodotti del Sud Italia. I commerci tra aragonesi e Ragusa ebbero risvolti politici. La città adriatica si sentì in dovere di fornire informazioni sulle guerre in preparazione nella Penisola balcanica. E don Ferrante ricambiò, aiutando Ragusa contro i Turchi. Insomma, grazie all’argento gli Aragonesi mantennero una politica di grande apertura verso i Balcani e l’Oriente. Alfonso ebbe sempre granAi piedi de considerazione per queldel sultano la parte del mondo, tanto che si tenne ben stretti i titoIl sultano Maometto II: li di duca di Atene e di Neoanche lui fu contattato per racimolare argento patria (poi Ypati, in Grecia). da Oriente. Sotto, Poco più che titoli onorifici, si carica una ma per lui un simbolo di apnave a Napoli, in partenenza ai Balcani, di cui una miniatura l’argento era emblema. •
all’anno, per un valore di 500mila ducati. E, secondo le stime dell’epoca, a Napoli confluivano ufficialmente non meno di 5mila libbre d’argento ogni anno, per un valore di 37.500 ducati. Era il cosiddetto argentum de glama, bianco e fino, di buona qualità e pronto per essere lavorato, venduto a 7-8 ducati la libbra.
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PRIMO PIANO
Ferrara
Borso d’Este fu lo sponsor di grandi artisti e contribuì ad arricchire la sua città di capolavori rinascimentali. Era un modo per accrescere il proprio prestigio e affermare il suo potere.
LA CORTE PERFETTA
I
P -
contemporanei la definivano “giardino delle delizie” oppure “corte delle meraviglie”. Probabilmente Ferrara, nel XV secolo, fu entrambe le cose: un luogo dove vivere con spensieratezza la vita di corte e dove era possibile incontrare alcuni dei massimi artisti e ingegni dell’epoca, dai pittori Piero della Francesca, Pisanello, Mantegna e Cosmè Tura, fino all’architetto L eon Battista Alberti. Nel suo secolo d’oro, non a caso, la città divenne una delle capitali europee dell’arte e della cultura e si trasformò dal punto di vista urbanistico tanto da essere considerata il primo vero centro urbano moderno. Le vie strette e gli edifici incombenti, tipici dell’età medioevale, lasciarono il posto alla città rinascimentale, ariosa, ordinata e “ideale”, che possiamo ammirare ancora oggi. Promotori di questo cambiamento, che fece di Ferrara una delle officine più attive del Rinascimento italiano, furono i principi che si susseguirono nel corso del Quattrocento: Niccolò III d’Este (13931441) e i suoi figli Lionello (1441-1450), Borso (1450-1471) ed Ercole I (1471-1505), veri protagonisti della grande stagione del mecenatismo ferrarese. Per la gloria. Il mecenatismo degli Estensi non era disinteressato, né dettato unicamente da amore per l’arte, la cultura, la bellezza. Era mosso da interessi molto precisi che si collegavano alla gestione del potere. In epoca rinascimentale, infatti, lo sfarzo, l’ostentazione del lusso e della ricchezza, il saper impressiona-
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Duca in miniatura Borso d'Este (1413-1471), duca di Ferrara, in una miniatura del XV secolo. A fianco, il “libro di Ezechiele”, dalla Bibbia miniata commissionata da Borso.
DEA/ALINARI (2)
DEA/ALINARI (2)
Borso era un uomo rozzo e poco istruito, ma comprese il valore politico di una corte trasformata in centro culturale e artistico
600 6 ANNI 5.000
I fogli miniati (fronte e retro) della Bibbia di Borso
Il tempo impiegato per realizzarla, dal 1455 al 1461
Le miniature di Taddeo Crivelli e Franco dei Russi
re i visitatori e stupire i propri concittadini con edifici sfarzosi e preziose opere d’arte era considerato parte del bagaglio che ogni buon principe doveva avere. Erano attributi fondamentali del potere. Potersi permettere artisti, elargire commissioni e finanziamenti indicava il grado di prosperità del signore e dei suoi domini. Poco contava che questa prosperità fosse solo apparente e pagata dai sudditi con maggiori imposizioni fiscali. L’importante era l’immagine che la città e il suo principe riuscivano a dare. Una signoria prospera e appariscente, in pratica, era più facilmente rispettata e quindi temuta dagli alleati e dagli avversari. Una corte da temere. Questa ostentazione di magnificenza personale e dinastica era ancora più necessaria per gli Stati che avevano un ruolo di minor rilievo politico nel panorama italiano, come quello estense. Per i signori di Ferrara era infatti impensabile sfidare militarmente le grandi potenze italiche come lo Stato Pontificio, Venezia, Milano o Firenze. L’unica possibilità era puntare sulla diplomazia per garantirsi la sopravvivenza e guadagnare credito attraverso una grandiosa “campagna d’immagine”, anche a costo di dissanguare le casse dello Stato. Insomma, i signori del Rinascimento assomigliavano a pavoni che rivaleggiano tra loro mostrando ai rivali lo splendore della propria coda. Borso d’Este si adattò in modo particolare a queste regole non scritte. Divenne un modello ideale di principe rinascimentale: sempre attento a rafforzare il potere della sua famiglia e della sua città, impegnato a “rubare” gli artisti più richiesti dalle altre corti e deciso a celebrare fino in fondo la propria gloria e a mostrarla al mondo. Il suo mecenatismo, inoltre, rispondeva a un fortissimo desiderio di autoaffermazione che probabilmente era legato alla
La Bibbia di Borso, perduta e ritrovata
G
li Estensi considerarono sempre la Bibbia di Borso d’Este come l’emblema del loro casato e il simbolo della loro potenza. Non se ne 54
separarono mai, portandola a Modena quando la sede del loro ducato si spostò in quella città nel 1598 e nascondendola durante il dominio di
Napoleone per timore che finisse in Francia. A Vienna. Quando l’ultimo duca d’Este, Francesco V, dovette abbandonare il potere nel 1859
in pieno Risorgimento la portò in esilio a Vienna assieme ad altri codici della biblioteca di Modena. Rifiutò sempre di restituirla allo Stato
italiano e, non avendo eredi diretti, la lasciò in eredità agli Asburgo. Oltreoceano. Dopo la 1a guerra mondiale, la Bibbia fu messa all’asta
Poema in dono Candido Bontempi, cavaliere perugino, consegna a Borso d’Este Il Salvatore, poema da lui scritto e dedicato al signore di Ferrara.
a Parigi e rischiò di diventare “americana” per l’interesse mostrato dalla Morgan Library di New York. A scongiurare l’evento fu Giovanni
zione iniziato alla fine del '200, quando Obizzo II d’Este aveva preso con la forza il potere a Ferrara, spazzando via le istituzioni comunali e instaurando la signoria. Un risultato cruciale per il futuro della dinastia, a cui contribuì la calcolata prodigalità da principe rinascimentale di Borso. Prodigalità che il signore di Ferrara dimo-
strò in varie occasioni, tra cui il dono fatto all’imperatore Federico III d’Asburgo: un diadema di diamanti del valore di 40mila ducati d’oro, una cifra con cui stipendiare un esercito per anni. Grandeur. I riconoscimenti del papa e dell’imperatore erano importanti, però Borso sapeva che la sua autorità pog-
AGF/TIPS
sua vicenda biografica. Borso, infatti, era figlio illegittimo di Niccolò III, principe che di eredi, anche legittimi, ne aveva avuti a bizzeffe tanto che un detto del tempo diceva “al di qua o al di là del Po, sono tutti prole di Niccolò!” In cerca di approvazione. Ovviamente l’autorità di Borso, in questa situazione, rischiava di essere messa in discussione dagli eredi legittimi. E proprio perché discendente illegittimo dell’antico signore il suo potere necessitava del riconoscimento degli altri principi italiani. In primis del papa, che considerava Ferrara un feudo pontificio solo temporaneamente affidato agli Estensi. Per questa ragione, da politico abilissimo quale era, Borso fece di tutto per garantirsi appoggi e alleanze tra gli Stati italiani. Grazie a questa abile diplomazia, nel 1452 ottenne per sé e la propria famiglia il riconoscimento del titolo ducale per Modena e Reggio e nel 1471 divenne anche duca di Ferrara per decisione di Pio II. Fu l’apoteosi per gli Estensi, la conclusione di un percorso verso la legittima-
Treccani, industriale bresciano che aveva fatto fortuna nel tessile. Nel 1923 Treccani incontrò Giovanni Gentile, ministro della Pubblica
Castello fortificato Il castello estense di Ferrara, voluto da Niccolò III d’Este, nel 1385, fu fatto costruire lungo la cinta muraria che allora delimitava la città.
istruzione dell’allora governo fascista, e gli propose la creazione, a sue spese, di una fondazione culturale. Gentile invece consigliò a Trec-
cani di investire i suoi soldi nell’acquisto della Bibbia. L’imprenditore accettò entusiasta e l’operazione andò in portò per una cifra enorme,
pari a 4 milioni di euro attuali. Il codice fu poi donato alla Biblioteca Estense di Modena, dove è custodita ancora oggi. 55
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Il duca scelse un’opera unica per celebrare il suo potere: la Bibbia, in cui re e personaggi furono raffigurati come i contemporanei noscimenti ufficiali. In questo senso Borso seppe incarnare perfettamente il proprio ruolo. Era amato dai sudditi che si inorgoglivano per il fulgore della sua corte. Le sue scuderie ospitavano 700 cavalli e le sue cacce, con stuoli di levrieri, erano emblema del grandioso. Borso amava ve-
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giava principalmente sull’immagine che egli sapeva trasmettere al mondo. Diventava quindi fondamentale ostentare magnificenza, offrire all’interno e soprattutto all’esterno la parvenza di un potere forte, solido, legittimato dalla grandezza donata alla città di Ferrara oltre che dai rico-
stirsi d’oro ed era appassionato di gioielli e del lusso, tanto da far splendere la corte estense di uno “sfarzo orientale”, come ebbe a dire Pio II. Certo, il duca amava anche l’arte e ne ricavava piacere e soddisfazione. Il suo mecenatismo, però, era finalizzato a esigenze ideologiche: la glorificazione della propria dinastia, di se stesso e del proprio potere. La Borseide. Così, negli affreschi della Sala dei mesi di Palazzo Schifanoia, voluti da Borso, i pittori di corte, Cosmè Tura, Francesco del Cossa ed Ercole de Roberti, lavorarono a un’epopea cavalleresca in onore del proprio signore, la Borseide. Borso era rappresentato in vesti di principe idealizzato, circondato da cortigiani e dame, immerso in un paesaggio simile a un Eden. Gli affreschi volevano infatti celebrare il “buon governo” del principe di casa d’Este, signore che si immaginava godere, per sé e il ducato, della protezione degli dèi pagani e delle divinità ce-
Dalla città di Este alla corte imperiale di Vienna
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e origini degli Estensi risalgono probabilmente all’epoca longobarda, anche se abbiamo notizie certe sulla casata a partire dal 56
Mille. I primi esponenti della dinastia erano, infatti, uomini d’armi legati in quegli anni alla famiglia milanese degli Obertenghi. Assunsero
poi il nome dalla città di Este, presso Padova, che a partire dall’XI secolo, fu il centro del loro potere. Nelle lotte medioevali gli Estensi si
schierarono con i guelfi (filopapali) contro i ghibellini (filoimpero). Per questa ragione il papa vide di buon occhio, alla fine del ’200, la loro pre-
sa del potere a Ferrara, feudo papale. Quasi estinti. Nel giro di alcuni decenni gli Estensi allargarono la loro influenza anche
Il fratellastro
SCALA
Ritratto di Ercole I d'Este (1431-1505), fratello e successore di Borso (figlio illegittimo di Niccolò III) a Ferrara.
lesti, affrescate in gran numero a Palazzo Schifanoia. Questa vocazione del duca a farsi celebrare come una sorta di padre della patria raggiunse l’apice con la Bibbia di Borso d’Este (v. riquadro nella pagina precedente), realizzata tra il 1455 e il 1461 da Taddeo Crivelli e Franco dei Russi. Fu concepita anch’essa come strumento di propaganda ed esposta in occasione di visite diplomatiche. La Bibbia di Borso è un’opera unica: oltre 600 fogli di pergamena miniati in recto e verso con una fantasia espressiva rimasta ineguagliata nella storia dei codici miniati. I re biblici imitano, nelle vesti e nel portamento, il signore di Ferrara, mentre le storie del Vecchio e del Nuovo Testamento sembrano scene di corte, popolate di dame e cavalieri. Il codice rappresenta la più importante di tutte le celebrazioni del culto della personalità di Borso. Anche perché realizzata a partire dalla Bibbia, il “libro dei libri”. • Roberto Roveda
Palazzo delle delizie La Sala dei mesi nel Palazzo Schifanoia di Ferrara. Voluto da Borso, l’edificio era un “buen retiro”. A sinistra, un’altra pagina miniata della Bibbia di Borso.
DEA/GETTY IMAGES
Niccolò III d’Este (1383-1441) Lionello
(1407-1450) sui territori di Modena e Reggio. Nel 1597 il ramo principale della famiglia si estinse e il titolo di duca passò a un ramo collaterale. Il papa non riconobbe la successione a Ferrara, che
ritornò sotto il controllo della Chiesa. Gli Estensi mantennero il ducato di Modena e Reggio e si legarono sempre di più all’impero e alla casata degli Asburgo. Alla fine del Settecento, in segui-
to a vari matrimoni, la casata divenne Asburgo-Este, mantenendo il ducato modenese fino al 1859. L’ultimo sovrano della dinastia senza figli, Francesco V, per evitare che il nome degli
Borso
Ercole I
(1413-1471)
(1431-1505)
Este fosse cancellato, ottenne che Francesco Ferdinando d’Asburgo, nipote dell’imperatore d’Austria, assumesse la discendenza e il nome della famiglia. Francesco Ferdinando, erede al
trono d’Austria, sarà assassinato a Sarajevo nel 1914, alla vigilia della Prima guerra mondiale. Senza quell’attentato un Este, anche se acquisito, sarebbe divenuto imperatore. 57
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iamo abituati a contemplarli per la loro bellezza, eppure i dipinti rinascimentali sono densi di significati che non siamo più in grado di comprendere. È proprio in quest’epoca, infatti, che furono pubblicati i primi manuali di simbologia, che spinsero i pittori a comunicare alla gente, attraverso le loro opere, le idee rivoluzionarie portate dall’Umanesimo e dal Neoplatonismo. Nei dipinti del ’400 e del ’500 scompaiono gradualmente i temi di morte tipici del Medioevo (il “memento mori” degli scheletri semoventi nelle varie danze macabre) per lasciare il posto
ARTE
a immagini di vita e di rinascita. «L’uomo diventa più importante: tutto ruota intorno a lui e alla natura che lo circonda», spiega Lorenzo Soave, autore del recente libro Simboli nell’arte (Palombi). «La riscoperta dei classici riporta in auge idee di bellezza e di amore, che durante il Rinascimento restano comunque ancorate alla religione cristiana. Ma l’uomo non è più separato da Dio, come nel Medioevo: è un “piccolo dio”, che può ambire a raggiungere l’armonia e la perfezione divina». In queste pagine abbiamo scelto alcuni dipinti, noti e meno noti, traboccanti di simboli nascosti, non tutti oggi decifrabili. •
SANDRO BOTTICELLI Nascita di Venere
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SCALA (2)
PRIMO PIANO
Messaggi da decifrare più che immagini da ammirare: le opere rinascimentali pullulano di simboli e significati nascosti
Una Venere molto... verginale Dietro a questo capolavoro (148285) c’è la filosofia neoplatonica, dominante nell’Umanesimo e che sottolineava il legame fra l’uomo e Dio. Lo dimostra la presenza di elementi pagani e 58
cristiani. Al centro del dipinto c’è Venere (1), nuda ma casta (si copre con mani e capelli), quasi a ricordare la Madonna cristiana. La conchiglia (2) è legata al mito che vede la dea nascere dal mare, ma
richiama contemporaneamente una fonte battesimale, con l’acqua purificatrice del battesimo. Il dipinto mostra quindi come la bellezza non sia solo carnale ma anche spirituale, sinonimo
di purezza interiore. E come l’amore non sia solo un piacere terreno, ma anche energia vitale, come sottolineato dal soffio “fecondatore” di Zefiro (3), dio pagano con le ali da angelo.
IN CODICE
A cura di Marta Erba e Irene Merli
BRONZINO Allegoria del Trionfo di Venere
4 Attenti alla passione La donna in primo piano in questo dipinto del 1540-45 è Venere, identificata dal pomo d’oro (1) del “giudizio di Paride”, episodio mitologico a lei collegato. Il putto che la bacia e le tocca il seno (2) è Cupido, mentre quello a destra che sparge petali è la Gioia, il momento del piacere. Dietro, una figura si dispera (3): è la Gelosia, con Malattia e Follia tra le possibili conseguenze della passione. L’uomo alato che stende un panno sulla scena (4) è invece il Tempo, che pone fine a gioie e inganni dell’amore. Dietro alla Gioia si cela una fanciulla col volto grazioso, ma con il corpo di serpente (5) e zampe di leone: tiene in una mano miele e nell’altra uno scorpione: è l’Inganno. Durante il bacio, infatti, Venere ruba una freccia a Cupido e lui tenta di sfilarle il diadema.
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Il sonno che porta a Dio In quest’opera (1503-04) l’uomo diventa protagonista: al centro c’è infatti un cavaliere (1) che dorme e sogna. A sinistra c’è la Virtù (2), una donna casta armata di spada (l’arte militare) e di un libro (la saggezza), e un paesaggio montano impervio (3). Una pianta (4), cioè l’albero della vita, connette la terra (l’uomo) al cielo (Dio) e divide il dipinto in due. Nella parte destra un paesaggio sereno (5) fa da sfondo al Piacere (6), una donna provocante che regge un fiore, simbolo di amore. L’artista non intende spingere a scegliere tra le due alternative, ma ad armonizzare virtù e amore, via di perfezione.
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RAFFAELLO Sogno del cavaliere
Paesaggi, oggetti, fiori, frutti, piante: niente è dipinto per caso dai grandi Io sono il sangue di vita L’affresco che vediamo si trova nell’Oratorio Suardi, a Trescore Balneario (Bg). Dipinto nel 1524, ci mostra un Cristo dalle cui mani partono lunghissimi tralci di vite (1), che vanno a formare dei “frutti” (2) con santi e sante. Sopra Gesù, una scritta (3) dice: “Ego sum vitis, vos palmites”: “Io sono la vite, voi i tralci” (dal Vangelo di Giovanni). E i grappoli d’uva simboleggiano il sangue di Cristo, la Passione, anche in altri quadri rinascimentali. Alle estremità i Padri e i Dottori della Chiesa rappresentano la Tradizione e respingono le scale dei vendemmiatori (4) ossia i luterani, facendoli precipitare. 60
LORENZO LOTTO Cristo-vite
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Il dipinto del mistero
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GIORGIONE La tempesta
Su questo capolavoro del Giorgione (1510 circa) esistono da 30 a 40 ipotesi interpretative e nessuna ha mai prevalso. C’è chi vi ha letto un significato alchemico per la presenza dei 4 elementi: terra, fuoco, aria, acqua. O un’allegoria dei rovesci della natura, simboleggiati dal fulmine (1), coi quali la Forza, cioè la figura del soldato (2), e la Carità, la donna che allatta (3), devono convivere. C’è poi chi suppone che si tratti di Adamo ed Eva dopo la cacciata dall’Eden: il bimbo sarebbe Caino, il fulmine la spada dell’angelo, il quadro una metafora della condizione umana.
del Rinascimento. Le fonti? Bibbia, Vangelo, storie dei santi, mitologia classica
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SCALA (3)
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Il Rinascimento scopre la prospettiva: gli artisti ne faranno ampio uso per far ANTONELLO DA MESSINA San Girolamo nello studio E il santo diventa un umanista
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Il Padre della Chiesa, di solito ritratto nel deserto, si trova qui in uno studio, intento alla lettura come un dotto umanista. Tra i simboli che lo caratterizzano ci sono la Bibbia (1), che egli tradusse in latino. Ai suoi piedi, due piante (2): un bosso, simbolo della fede nella Salvezza divina, e un geranio, riferimento alla Passione di Cristo. Curiosi i due uccelli in basso, che si danno le spalle: una coturnice (3), simbolo del Male (si diceva che dopo aver bevuto l’acqua, la intorbidasse per impedire ad altri di abbeverarsi), e un pavone (4), simbolo di onniscienza (come la pietra filosofale) e di rinascita, poiché le piume si rinnovano. Il senso è: la Virtù (il pavone) rifiuta il Male (la coturnice). Mancano i più “medioevali” simboli associati a Girolamo, come teschio e clessidra, che richiamano la meditazione sulla morte. È invece presente il leone (5), che secondo la leggenda il santo guarì togliendogli le spine dalle zampe. Eseguito a Venezia nel 1474-75, il dipinto sfrutta la novità rinascimentale della prospettiva, per esempio nella serie di archi sulla destra (6), per indirizzare lo sguardo verso san Girolamo.
SCALA (2)
convergere lo sguardo dello spettatore in particolari punti dei loro dipinti CARLO CRIVELLI Annunciazione di Ascoli
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Quanto è pura la Madonna Questa tela del 1486, oggi alla National Gallery di Londra, colpisce per l’uso “spregiudicato” della prospettiva e per il tripudio di simboli che contiene. Tra questi: lo Spirito Santo (1) che “buca il cielo” e, sotto forma di colomba, scende verso la Vergine; una gabbietta con uccellino (2), simbolo dell’innocenza di Maria; un pavone (3), che richiama l’onniscienza divina (per via degli “occhi” sulle piume); una candela (4), simbolo di fede religiosa; una finestra a grata con piantina (5), l’hortus conclusus (“orto recintato”), il giardino protetto e inviolabile come la Vergine. Connesso alla purezza di Maria è anche il giglio (6) in mano all’arcangelo Gabriele, al cui fianco c’è sant’Emidio, patrono di Ascoli, che regge un modellino della città (7). Infine, due elementi in basso “sporgono” dal quadro, come a creare una sorta di tridimensionalità: un cetriolo (8), giudicato poco nutriente e quindi “ingannevole”, accostato alla Vergine proprio per sottolineare il contrasto con questa, mai sporcata dall’inganno diabolico; una mela (9), che richiama il peccato originale, da cui Maria è immune.
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PRIMO PIANO
Urbino
Il duca Federico da Montefeltro, capitano di ventura, trasformò un centro periferico in una corte sfarzosa. Giocando di sponda tra Venezia, Firenze e il papato.
Fasti ducali Sopra, lo stemma dei duchi di Montefeltro, nell’alcova di Federico. A destra, il Palazzo Ducale fatto realizzare da Federico a partire dal 1454.
TRA PAPI E SIGNORI
SIME
ALINARI (2)
P Uomo d’arme Il duca di Urbino, in armatura da condottiero, con il figlio Guidobaldo in un dipinto di Pedro Berruguete. I Montefeltro erano per tradizione capitani di ventura.
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lcune opere d’arte, si sa, raccontano il nostro passato meglio di tanti libri. Un esempio? La cosiddetta Pala di Brera, conservata a Milano (v. immagine alla fine di questo articolo). Il dipinto sintetizza alla perfezione la sfarzosa storia del Ducato di Urbino, o meglio di colui che ne fu il deus ex machina e ne fece un centro d’eccellenza del Rinascimento: il duca Federico da Montefeltro. Realizzato attorno al 1472 da Piero della Francesca, la pala raffigura la Madonna con in grembo Gesù, una schiera di angeli e santi tutt’intorno e, inginocchiato sulla destra, Federico, committente del
quadro. Dove appare nella sua veste (anzi, armatura) da condottiero. Il duca ha le stesse dimensioni della Vergine: mania di grandezza? Sì, visto che la tradizione prevedeva che il committente fosse raffigurato in scala ridotta. Ma anche uno specchio dell’epoca: senza la forza bruta dei capitani di ventura, i maestri del colore sarebbero rimasti senza lavoro. E se Urbino diventò quel che divenne, fu per il ruolo che Federico giocò negli equilibri di potere. Amici a Roma. «A gettare le basi per i fasti dello Stato urbinate fu l’uomo d’arme Antonio da Montefeltro (1348-1404). Apparteneva a una dinastia di capitani di 65
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Federico da Montefeltro era in primo luogo un capitano di ventura. Ottenne il titolo ducale in cambio di servigi militari
ALINARI (5)
ventura che si affermò prima a San Leo – sul Monte Feretrio, da cui il nome Montefeltro – e poi nel territorio urbinate. Qui, nel 1213, prese forma l’omonima contea», racconta Enzo Bentivoglio, storico dell’architettura dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria ed esperto di Rinascimento. «Antonio fu abile ad assecondare gli interessi dello Stato della Chiesa – in cerca di sostegni nell’Italia Centrale – ottenendo il riconoscimento dei suoi possedimenti nelle Marche con appendici in Umbria e Romagna. Ossia in territori pontifici». Già con Antonio iniziò la fioritura artistica, ma era la politica papale a manovrare i destini della città. Fu infatti un pontefice, Eugenio IV, a riconoscere a Oddantonio II il titolo (ufficioso) di duca. Era il 1443 e la Chiesa aveva un obiettivo preciso: frenare le mire espansionistiche sull’area mar-
Nobili profili Nel Doppio ritratto dei duchi di Urbino Federico appare con la moglie Battista, di profilo. Una scelta stilistica ma anche una necessità estetica: durante una giostra, il duca era rimasto orbo da un occhio. 66
chigiana di un altro, ben più potente duca, il milanese Francesco Sforza. L’anno dopo Oddantonio fu ucciso in una congiura. Dietro, c’erano i cortigiani, che gli preferivano il carismatico fratellastro Federico. Capitano di ventura. Nato nel 1422 da una scappatella di Guidantonio da Montefeltro (padre del defunto Oddantonio), il futuro duca trascorse l’infanzia in un monastero benedettino. Poi fu inviato a Venezia e a Mantova. Nominato cavaliere, rientrò in patria nel 1437 e, subito dopo la morte del fratello, fu acclamato signore di Urbino. Doti militari e capacità diplomatiche ne fecero uno scaltro navigatore nell’intricatissimo puzzle geopolitico dell’Italia Centrale. Portandolo a elevare velocemente Urbino, fino ad allora del tutto periferica, al rango delle principali signorie della Penisola.
Federico era prima di tutto un capitano di ventura. Già a capo di milizie sforzesche, fiorentine e napoletane, nel 1458 fu nominato capitano generale dell’esercito della Chiesa e dal 1460 appoggiò papa Pio II contro il signore di Rimini, Sigismondo Pandolfo Malatesta, invadente vicino e nemico storico del Ducato di Urbino. Anche le nozze di Federico furono nel segno dell’equilibrio politico. Morta la moglie Gentile Brancaleoni, sposò Battista Sforza, figlia del signore di Pesaro Alessandro ma, soprattutto, nipote di Francesco Sforza. L’asse Roma-Milano, in quel 1458, passò anche da Urbino. Nel gennaio 1472, arrivò il tanto atteso erede maschio, dopo uno stuolo di figlie femmine. «Pochi mesi più tardi, Federico raggiunse l’apice del proprio prestigio militare», riprende Bentivoglio. «Al coman-
do di un esercito di mercenari espugnò per conto di Lorenzo de’ Medici la ribelle Volterra, in guerra con i fiorentini per la gestione di alcune miniere di allume. Forte di un potere senza precedenti nella storia dei Montefeltro, convinse il pontefice Sisto IV della Rovere a riconoscergli in forma ufficiale il titolo di duca, legittimando uno Stato che aveva già reso tre volte più esteso di quando lo aveva ereditato». Dopo Roma e Milano, anche Firenze era dunque entrata nel gioco di Federico. Nonostante la recente alleanza anti-Volterra, nel 1478 il duca di Urbino fu tra i manovratori della congiura dei Pazzi (la potente famiglia di banchieri concorrente dei Medici), che tentò di assassinare Lorenzo il Magnifico e il fratello Giuliano (ci riuscirono solo con il secondo). A testimoniarlo, una lettera cifrata dello stesso duca. Quella volta Federico perse la partita. Ma se i fasti fiorentini rimanevano in mano ai Medici, il duca di Montefeltro era ormai abbastanza potente da coltivare i propri. Splendori urbinati. In quasi quarant’anni di governo Federico si circondò di artisti, letterati e uomini di scienza (v. riquadro nella pagina seguente). Grazie al raffinato spirito umanistico di questo principe rinascimentale, la corte urbinate divenne celebre in tutta Europa per il suo fervore artistico: Urbino, fino ad allora sconosciuta ai più, divenne una meta ambita dagli artisti di tutta Europa (fu costante, in particolare, la presenza di artisti fiamminghi). Al centro di tutto, il Palazzo Ducale voluto dallo stesso Federico, prova tangibile della sua grandezza e per i cui lavori vennero investiti i cospicui guadagni delle imprese militari. «Spesso si dimentica, ma in ogni corte rinascimentale la fioritura artistica era il riflesso delle imprese belliche e del potere dei committenti. Prima di Federico la residenza urbinate era un palazzo di poco rilievo, ma con i suoi interven-
Immutato Lo Studiolo di Federico, in legno intarsiato e dipinto. Vi lavorarono artisti fiamminghi, fatti venire a Urbino. Sotto, due dettagli: uno dei trompe-l’œil e papa Pio II.
Le grandi manovre matrimoniali di Alessandro VI, il papa Borgia
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a Roma papalina fu decisiva negli equilibri rinascimentali. Per questo i Medici e altre famiglie cercarono di piazzare propri espo-
nenti sul soglio di Pietro. Ma nessuno superò in nepotismo Rodrigo Borgia, papa Alessandro VI (1492-1503). I suoi due figli, Cesare (detto
il Valentino) e Lucrezia, divennero perno di una strategia di conquista. Cesare fu il braccio armato e Lucrezia fu data in sposa prima al
signore di Pesaro per sancire un’alleanza con gli Sforza, poi ad Alfonso d’Aragona, figlio del re di Napoli. Il primo matrimonio fu dichiara-
to nullo dal pontefice, il secondo fu risolto con l’assassinio. E Lucrezia fu maritata per la terza volta: ad Alfonso d’Este, duca di Ferrara. (l. d. s.)
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Urbino tornò a essere “periferia” quando i Della Rovere presero il posto della dinastia dei Montefeltro. Spostandosi a Pesaro ti divenne un modello», spiega Bentivoglio. «Non a caso Baldassarre Castiglione – l’autore del Cortegiano, la “bibbia” dell’uomo rinascimentale scritta dopo un soggiorno a Urbino – definì la residenza una “città in forma di palazzo”». Cuore del cuore del potere era lo Studiolo del duca: pareti di legno intarsiato, una biblioteca traboccante di edizioni miniate (classici greci e latini), trattati e manoscritti antichi, bibbie preziosissime (Federico aveva un forte senso del sacro derivato dalla frequentazione con il predicatore Bernardino da Siena) che rivaleggiavano con quelle delle altre dinastie italiane. Dinastia esaurita. Il duca bruttino che amava il bello morì nel 1482, come aveva vissuto: combattendo. Era al fianco di Ercole I d’Este nell’ennesimo braccio di ferro contro i veneziani. In palio c’era il controllo del commercio del sale. Il figlio Guidobaldo I, malato di gotta fin da piccolo, ereditò il demone del mecenatismo (nel 1506 fondò l’Università di Urbino), ma non quello della guerra. Urbino subì l’umiliazione della conquista, per mano dello spregiudicato Cesare Borgia (il Valentino), figlio di papa Alessandro VI. Ancora una volta, il ducato giocava la sua partita. Ma ormai erano i pontefici a dare le carte.
«A sistemare le cose fu la morte del papa Borgia e l’ascesa di Giulio II della Rovere (1503). Il pontefice proveniva da una famiglia amica (suo nipote Giovanni aveva sposato una figlia di Federico) e rimise al suo posto Guidobaldo», spiega l’esperto. «Questi morì tuttavia nel 1508 senza figli. Il suo posto fu preso a quel punto dal nipote Francesco Maria I della Rovere». La dinastia dei Montefeltro uscì di scena e Urbino finì nell’orbita vaticana. Nel 1523 Francesco Maria traslocò la capitale del ducato a Pesaro. Declino economico e politico seguirono inesorabili, per Urbino. Nel 1631 un altro Della Rovere, Francesco Maria II, senza eredi, consegnò quel che restava del ducato (con altri ter-
ritori di famiglia) alla Curia romana. «A sancire l’assegnazione del ducato allo Stato Pontificio fu papa Urbano VIII, un Barberini», specifica Bentivoglio. Il tesoro di Federico prese vie che lui probabilmente non avrebbe voluto. «I “beni mobili” rimasero a Vittoria della Rovere che, sposando Ferdinando II de’ Medici, portò a Firenze molte opere d’arte. Una parte di queste fu invece dirottata a Roma dai Barberini». Non si poteva però spostare Palazzo Ducale. Che lì, a Urbino, ancora oggi conserva il dipinto-simbolo del Rinascimento: la Città ideale. Ideale come la parabola di guerra e arte che fu la vita del capitano di ventura Federico da Montefeltro. • Matteo Liberti
Palazzo modello Il cortile interno di Palazzo Ducale a Urbino. Sotto, la Città ideale, dipinto conservato nella Galleria nazionale urbinate e realizzato nel 1480-90. È una delle opere-simbolo dell’arte della prospettiva e di tutto il Rinascimento.
La sfilata degli artisti e degli umanisti alla corte di Urbino
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ederico da Montefeltro fece della sua corte uno dei centri nevralgici del Rinascimento. Ecco chi la frequentò (anche dopo di lui). 68
FRA CARNEVALE (1420-1484) Pittore urbinate, fu lui a portare in città lo stile fiorentino, dopo il 1446.
PIERO DELLA FRANCESCA (1416-92) Fu alla corte urbinate nel 1469-72. Qui dipinse la Pala di Brera e la Madonna di Senigallia.
GIUSTO DI GAND (1430-1480) Pittore fiammingo, realizzò tra l’altro i “ritratti degli uomini illustri” nello Studiolo.
TIZIANO VECELLIO (1480 ca.-1576) Arrivò a Urbino quando c’erano già i Della Rovere, per i quali dipinse la Venere di Urbino.
Peccato d’orgoglio
ALINARI (3)
La Pala di Brera realizzata nel 1472 da Piero della Francesca, oggi a Milano. Federico, inginocchiato, ha la stessa dimensione della Madonna in trono.
RAFFAELLO SANZIO (1483-1520) Nato a Urbino, si formò nella bottega del padre pittore. Nella sua città realizzò alcuni ritratti.
LUCIANO LAURANA (1420-1479) Architetto, progettò (con Francesco di Giorgio Martini) Palazzo Ducale.
DONATO BRAMANTE (1444-1514) Architetto formatosi con Laurana, lavorò nella chiesa di San Bernardino.
BALDASSARRE CASTIGLIONE (1478-1529) Umanista, vi scrisse Il cortegiano, testo-base del Rinascimento.
PIETRO BEMBO (1470-1547) Veneziano, a Urbino scrisse le Prose della volgar lingua, pietra miliare della storia letteraria.
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PRIMO PIANO
BRIDGEMAN/MONDADORI PORTFOLIO
FANTASTICO ARIOSTO Quando scrisse l’Orlando furioso cercava la fama. Ma non poteva sapere che i suoi eroi alati avrebbero ispirato i posteri (e i supereroi dei fumetti)
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n mondo in cui si arriva sulla Luna in pochissimo tempo e senza nessun affanno. E si corre dall’Europa all’Asia con la stessa facilità e leggerezza. Ma senza superpoteri o ipertecnologie da Fantastici 4: solo con un cavallo alato o addirittura con uno “normodotato”. Già, perché Ludovico Ariosto diede alle stampe l’Orlando furioso nel 1516, dopo averci lavorato fin dal 1505, e nel XVI secolo di effetti speciali non se ne parlava. Eppure quel poema di un cortigiano rinascimentale, che canta “le donne, i cavallier, l’arme, gli amori”, ebbe un enorme successo. E non solo al suo tempo, con più di 60 edizioni entro 70
il Seicento: pittori, scultori, fumettisti, poeti, scrittori ne hanno tratto ispirazione fino ai giorni nostri, fuori e dentro l’Italia. Sorte che invece non è stata riservata a La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, il principale rivale di Ariosto. Ma i motivi non mancano, anche se magari quando l’abbiamo letto a scuola non l’avremmo mai pensato. Ai confini della realtà. «L’immaginazione senza confini che portò Ariosto a concepire il suo poema è tuttora punto di riferimento ideale e fermento vitale per chi concepisca di creare un mondo e una visione “altra” dalla realtà», scrive Sandro Parmiggiani, critico d’arte e curatore del-
la mostra L’Orlando furioso. Incantamenti, passioni e follie recentemente tenutasi a Palazzo Magnani (Reggio Emilia). In pratica, la complessa trama ariostesca, un incastro perfetto di storie, quasi una Mille e una notte nostrana, ha dato il via all’immaginario moderno e fantascientifico, nel quale addentrarsi nel soprannaturale sembra una faccenda del tutto normale. Basti pensare al viaggio del paladino Astolfo sulla Luna, alla ricerca dell’ampolla col senno perduto di Orlando. Astolfo ci va cavalcando l’ippogrifo, una creatura inventata di sana pianta dall’Ariosto. Il cavallo alato dell’antichità, Pegaso, le ali le aveva infatti ai piedi. È il primo di una
Piume e ippogrifi
GENTILE CONCESSIONE FONDAZIONE PALAZZO MAGNANI (4)
A sinistra, il celebre ritratto, opera di Tiziano (1510 ca.), che raffigurerebbe Ludovico Ariosto con una delle illustrazioni di Gustave Doré all’edizione 1881 dell’Orlando furioso: qui si si vede Ruggero che vola sull’ippogrifo (Canto VI). A destra, Rodomonte , scultura di Marco Bolognesi (1972) ispirata a uno dei personaggi ariosteschi.
A ispirare Ariosto fu anche la diffusione delle prime mappe del Nuovo Mondo, che lui ebbe modo di avere per le mani
LUISA RICCIARINI/LEEMAGE
lunga serie di viaggiatori dello spazio: poteva non affascinare illustratori e disegnatori di fumetti? Del resto l’Ariosto si definiva un poeta “cavallaro”, costretto com’era ad andare su e giù da colline e Appennini per servire il suo signore, il cardinale Ippolito d’Este, al quale dedicò il suo capolavoro. Soldato e poi diplomatico itinerante, ma affezionato alla sua pianura di nascita, chissà quante volte l’aveva sognato per sé, un cavallo alato: nelle sue lettere si lamenta di non potersene stare tranquillo a Ferrara.
Ruggero e Angelica sull’ippogrifo in un dipinto tedesco dell’Ottocento.
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Rivoluzione cartografica. Per il suo lavoro, oltre che andare su e giù per le insicure strade rinascimentali, Ariosto si trovò spesso tra le mani carte e mappe geografiche: banditi e contese territoriali erano all’ordine del giorno, non si poteva farne a meno. «Non solo. Ferrara all’epoca era un grande centro di sapere cartografico: vi arrivarono allora le prime mappe del Nuovo Mondo, la preziosa Carta del Cantino con le scoperte portoghesi successive al viaggio di Colombo», spiega Franco Farinelli, docente di Geografia all’Università
LA TRAMA
S
ono tre i filoni dell’intricatissimo Orlando furioso. Il primo è quello della guerra tra l’esercito di Carlo Magno e i Mori in territorio francese, il secondo quello delle vicende dei paladini di Francia, delle loro lotte e dei loro amori, e il terzo l’“encomiastico”: il moro Ruggero e la cristiana Bradamante, che si amano di una passione ostacolata, vengono qui presentati come i capostipiti della famiglia D’Este.
I paladini francesi più valenti sono Rinaldo, Orlando, che diventerà folle per amore della bella Angelica, e Astolfo, che andrà sulla Luna a riprender il senno di Orlando. I grandi guerrieri mori sono Rodomonte e Gradasso. Nelle file dei cristiani milita anche Brandimarte, travestita da uomo, e sarà un combattimento tra lei, Orlando e Rinaldo contro i tre più forti Mori a decidere la vittoria dei Franchi.
Rodomonte difende un ponte dal nemico (Canto XXIX).
di Bologna e presidente dell’Associazione dei geografi italiani. Tra il XV e il XVI secolo si compì la rivoluzione delle scoperte geografiche e cambiò la concezione del mondo. «È ai tempi di Ariosto che si passa dalla sfera aristotelica per rappresentare il mondo alla tabula, la mappa», continua Farinelli. «Le nuove mappe permettevano di pensare senza più limiti: si poteva andare dappertutto. Di colpo il mondo si era ingrandito. E la rappresentazione delle terre, la cartografia, produceva essa stessa meraviglia». Di quello stesso incanto era intriso l’Ariosto, uomo rinascimentale cresciuto a classici latini, ma anche conoscitore dell’animo umano, per le sue frequentazioni a corte, e di luoghi remoti, per i suoi incarichi diplomatici. I viaggi del parossistico poema di Ariosto e l’immaginazione spinta al massimo erano specchio dei tempi. Dopo i viaggi di Colombo, l’uomo si rese conto che si poteva vivere in qualsiasi parte del globo. Nell’immaginario del poeta, quell’enorme, nuova apertura di orizzonti si tradusse nelle avventure di Orlando e degli altri paladini franchi, con i loro viaggi in luoghi fantastici, come il castello di Atlante, il Paradiso terrestre o la Luna. Tutto appariva possibile, come quando l’uomo contemporaneo, negli Anni ’60, lo spazio lo raggiunse davvero.
Inventiva. Ispirato dalla realtà del suo tempo, l’Orlando furioso ha fornito a sua volta un’inesauribile spinta a superare i limiti dell’immaginazione. Un’opera di pura invenzione (per viaggiare bastano la fantasia e la Geografia di Tolomeo, diceva Ariosto), nutrita di conoscenze cartografiche e politiche: nel poema ci sono circa 600 allusioni a episodi reali e alle guerre del 1509 e del 1512. Quando, per esempio, il paladino Ruggero, per schivare la città di Alcina che gli sembra d’oro, incappa in una “iniqua frotta” di creature mostruose, secondo gli studiosi si tratta di un riferimento alle figure che ornavano i bordi delle carte nel ’400 e nel ’500. «Anche lo stile poetico dell’Orlando furioso, la sua ricchezza descrittiva, ha qualcosa di figurativo», dice Giulio Ferroni, docente emerito di Letteratura italiana alla Sapienza di Roma e autore di Ariosto (Salerno edizioni). Ed ecco perché, dal Rinascimento fino alle moderne correnti artistiche, i pittori hanno spesso scelto come soggetti i personaggi del poema: da Tintoretto e Guido Reni nel Cinque-Seicento, ai pittori dell’Ottocento, fino agli artisti contemporanei. Nel mondo fantastico di Ariosto regnano ironia, tolleranza, persino l’ambiguità sessuale (Brandimarte, una donna vestita da paladino) e il diritto della donna a scegliere chi amare (come fanno Angelica e Bradamante). Ariosto è forse il più moderno dei rinascimentali per la sua visione laica e terrena dell’esistenza. Erano i valori dell’Umanesimo e saranno quelli dell’Illuminismo. E sono tra le eredità rinascimentali più vive e attuali nell’era della globalizzazione. • Irene Merli
Una sfida rosso sangue Aligi Sassu, Fantasie d’amore e di guerra sull’Orlando furioso (15 incisioni del 1972): la lotta tra paladini e Mori reinterpretata dal pittore italiano.
I
l disegantore Guido Crepax (1933-2003) amava così tanto l’Orlando furioso da realizzare un “gioco dell’oca” con lo stesso titolo: protagonista, la sua celebre Valentina in versione pirata (a destra). Italo Calvino si ispirò alla trama ariostesca per un libro illustrato per ragazzi e per la sua trilogia di romanzi (Il cavaliere inesistente, Il visconte dimezzato, Il barone rampante). Lo stesso fecero lo
scrittore argentino Borges (Ariosto e gli Arabi, 1960) e l’indiano Salman Rushdie (L’incantatrice di Firenze, 2009). Illuminista. Ariosto godeva anche della stima di Voltaire e degli illuministi, e del nostro poeta romantico Ugo Foscolo, che fa dire al suo alter ego Didimo Chierico, davanti alle onde dell’ocea no: “Così vien poetando l’Ariosto”. Gli esperti trovano innesti del Furioso
anche in Shakespeare e nell’opera Così fan tutte di Mozart. Restando nel mondo della musica, tra Seicento e Settecento ci sono almeno tre composizioni di Vivaldi, due di Haendel, una di Lully e una di Rameau, di soggetto ariostesco. E sapete quale fu l’unico testo che Don Chisciotte, l’anti eroe di Cervantes, salvò dal rogo dei suoi libri? Naturalmente, l’Orlando furioso.
GENTILE CONCESSIONE FONDAZIONE PALAZZO MAGNANI
Gli insospettabili “fan” dell’Ariosto
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SCALA
VIAGGIO A CORTE Il Rinascimento nei racconti degli storici. Per scoprire personaggi e lati meno noti di un’epoca in cui l’Italia primeggiò. L’umanesimo italiano. Filosofia e vita civile nel Rinascimento Eugenio Garin (Laterza) Un grande classico della storia del pensiero che ha colto e indicato alla cultura dei nostri anni il volto più profondo e moderno dell’umanesimo italiano. L’Europa nell’età del Rinascimento John R. Hale (il Mulino) Che cosa significava vivere in Europa nel Rinascimento? Risponde questo libro, che allarga l’orizzonte rinascimentale oltre i nostri confini, tra guerre, grandi pensatori, rivoluzioni culturali, vita quotidiana. 1493 Charles C. Mann (Mondadori) L’eloquente sottotitolo di questo libro è Pomodori, tabacco e batteri; come Colombo ha creato il mondo in cui viviamo. L’argomento, infatti, è lo scambio di culture e il rivolgimento economico che seguì l’esplorazione delle Americhe
e che fu la prima forma di vera globalizzazione. Simboli nell’arte Lorenzo Soave (Palombi editore) Una guida agile, con un ricco corredo iconografico per svelare i segreti nascosti in molti dei dipinti che ammiriamo nei musei. Per capire che “dentro” a un dipinto c’è una storia che l’artista vuole raccontare. E che ogni personaggio, animale, pianta e oggetto ha un preciso significato. Il duca Pietro Gattari (Castelvecchi) La vita di Federico da Montefeltro, duca di Urbino, un personaggio centrale ed emblematico del Rinascimento. Grande capitano di ventura sui campi di battaglia, coniugò strategia militare e politica. Il popolo ama il duca? Matteo Provasi (Viella) Rivolta e consenso nella Ferrara estense. La domanda posta nel titolo rimanda direttamente al rapporto tra governanti e governati nella signoria feudale
Particolare del dipinto rinascimentale La Madonna del Magnificat (1481-85) di Sandro Botticelli.
degli Este tra tardo Medioevo e prima età moderna. L’indagine è condotta analizzando episodi di rivolta popolare e attraverso l’interpretazione delle impercettibili conflittualità quotidiane tra casata d’Este e cittadinanza. Alfonso I D’Aragona Enrico De Rosa (Biblioteca D’Auria) Il re che ha fatto il Rinascimento a Napoli. Un saggio per avvicinarsi alla vita di un principe affascinante
a capo di un regno che sognava di trasformare la sua corte nel salotto più esclusivo del Mediterraneo. L’Orlando furioso. L’arte contemporanea legge Ariosto (Silvana Editoriale) Il catalogo della mostra omonima a Palazzo Magnani di Reggio Emilia ispirata ai personaggi dell’Orlando furioso. Il volume spiega l’attualità dell’opera di Ariosto.
La Storia raccontata in queste pagine rivive anche in tv
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nche questo mese History, il canale di Sky dedicato alla Storia, disponibile anche in Hd, approfondisce i temi del Primo piano di Focus Storia. Lo fa in particolare con un approfondito documentario su una figura chiave del Rinascimento artistico: Michelangelo. MICHELANGELO: UNA PASSIONE ERETICA Michelangelo Buonarroti (1475-1564) è prima di tutto
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il “campionissimo”, insieme a Leonardo da Vinci, dell’arte rinascimentale. La sua figura poliedrica fu esaltata da biografi come il Vasari e resa immortale dalle sue opere: il Giudizio Universale nella Cappella Sistina, le sculture del Mosè, del David (foto) e della Pietà, le Cappelle Medicee a Firenze, solo per citarne alcune. Ma scavando nella sua vita (di cui restano vari documenti) e nelle sue opere poetiche (anche
in questo campo ci ha lasciato una preziosa eredità) alcuni storici hanno creduto di trovare le tracce di un pensiero più che originale: addirittura eretico. Dietro alla frenesia con la quale si dedicò a una prodigiosa produzione artistica ci sarebbe l’influsso di inconfessabili passioni religiose, che se scoperte lo avrebbero portato sul rogo. Sabato 31 gennaio, ore 6:00
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PRIMO PIANO
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di Paolo Panerai
su Alibaba o sul sistema bancario? Viene naturale rispondere che il sistema bancario internazionale è oggi straordinariamente più potente. Ma se ad Alipay si unisse Apple Pay... la musica potrebbe essere molto diversa. Anche per un fondamentale motivo: mentre Alipay, Apple Pay e tutti gli altri sistemi di pagamento dei colossi dell’e-commerce come Amazon o anche sei social network hanno una libertà assoluta, nessuna legge, nessun regolamento li sta condizionando, il sistema bancario internazionale e in particolare quello europeo si trovano in una situazione di paradossale stress da regolamento, non pieno di una crisi che, per definizione di quasi tutti gli economisti, sono allo stesso tempo il cardine e il punto debole del sistema finanziario globale. Se Ma e Cook si alleeranno e approcceranno con determinazione il mercato europeo, per le banche, e con esse le varie economie nazionali saranno dolori. Infatti, Alipay e Apple Pay possono introdurre una novità tecnologica al giorno, non avendo strutture obsolete alle spalle, mentre le banche hanno vaste reti fisiche e soprattutto un nuovo organismo di vigilanza europeo, l’Eba, che assieme alle strutture che hanno organizzato gli stress test ragiona su criteri drammaticamente rigidi e ormai superati. Ma non solo: Eba, dovendo vigilare su sistemi bancari nazionali dell’area euro molto diversi fra loro, sta creando squilibri e trappoloni volontari o involontari come quello che ha portato Mps a subire l’onta della bocciatura, mentre, come ha rivelato questo giornale una settimana fa, l’accordo fra Banca d’Italia, Bce e Commissione europea era di considerare la banca senese nella categoria delle banche in ristrutturazione, da valutare sul rispetto del piano quinquennale per il risanamento, e non
PENSIONI
Poveri quarantenni se il pil resta fermo alle pagine 30 e 31
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Quel male oscuro che stoppa le ipo italiane a pagina 21
ESCLUSIVO / TUTTI I PROGETTI PER BRUXELLES
L’Italia bussa a Juncker Ecco come Renzi vuole portare a casa 40 miliardi di euro
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iura Jack Ma, fondatore di Alibaba, nell’intervista a Class Cnbc pubblicata su MF-Milano Finanza di giovedì 13: «... Le banche sanno che non possono ucciderci e che noi non vogliamo uccidere loro... abbiamo spiegato (alle banche) che possiamo fare le cose in modo più efficiente, economico e veloce. Vogliamo aiutare le piccole imprese e i consumatori che usano la tecnologia. Le banche da sole non sono in grado di farlo... Sì, è notorio, ho incontrato poco tempo fa Tim Cook. È sicuramente possibile che la nostra Alipay e Apple Pay facciano una partnership. Tutto è possibile. Apple è una grande società che ha cambiato il mondo specialmente nel mobile». Capito signore banche e signori banchieri? La sfida è lanciata, anche se ora Ma tenta (come nell’intervista) di gettare acqua sul fuoco, dopo anche le rivelazioni di questo giornale sulla decisione delle banche cinesi guidate dal presidente di Bank of China, Tian Guoli, di creare alternative ad Alibaba proprio per il progetto di invasione di campo da parte di Ma non solo con la fortissima Alipay, che non si limita a incassare ma fa anche microcredito, bensì anche con il Fondo monetario lanciato durante l’ultimo Capodanno cinese e arrivato a raccogliere 140 miliardi di dollari, diventando il secondo fondo monetario al mondo. La piattaforma CCIG/Mall, di cui la casa editrice che edita questo giornale è il riferimento per l’Italia, è il frutto della reazione in primo luogo delle banche cinesi. E alleata delle banche è il leader dei pagamenti digitali, China Union Pay. Quindi uno schieramento forte al quale si potranno affiancare banche di tutti i Paesi dove Alibaba intende operare. Ma se si dovesse scommettere punteresti per la vittoria
L’anno chiave, però, potrebbe essere proprio il 2013, visto che a metà maggio Hines Italia Sgr e Qatar Holding hanno siglato un accordo per l’ingresso del fondo sovrano in Porta Nuova, un’intesa che ha rappresentato anche la prima volta che in cui il Qatar ha scelto un partner privato in Italia. Lo stato di salute del progetto prima dell’intervento qatarino era già buono. Nel 2013 dovrebbero essere di fatto completati i lotti Isola e Varesine che saranno abitati già nel primo semestre del 2014. L’anno successivo sarà invece destinato alle ultime consegne, dal centro culturale di Unicredit all’ultima fase del progetto Garibaldi fino al completamento del parco. Il trend dice che dall’inizio delle vendite (meno di tre anni fa) è stato già messi sul mercato più del 50% degli appartamenti con il prezzo medio passato da 7.500 euro al mq agli attuali 9.200 euro, un incremento del 30% simile a quello riscontrato nel collocamento dei negozi (e derivante anche dalla strategia tenuta da Hines, cioè di far partire le vendite da prezzi di mercato). In totale restano da collocare circa 200 apparta-
Gioi
Tanto che ben tre fondi strategici hanno investito in Cremonini. Ed è solo l’inizio
Ecco tutte le opportunità anche per gli investitori
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IMMOBILIARE La prima fase del progetto milanese è stata completata Il prezzo medio in tre anni è passato da 7.500 a 9.200 euro al mq Ora si punta anche sull’estero con un’esclusiva al gruppo inglese
Porta Nuova da Sotheby’s
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FOOD Sicuramente può dare un aiuto importante per la ripresa insieme a lusso e turismo
Sarà il cibo a salvare l’Italia?
asterebbe avere in mente a che punto erano i lavori un anno fa per capire la velocità di crociera alla quale si sta muovendo il progetto immobiliare che sta realizzando il gruppo Hines a Porta Nuova (nel centro di Milano). Uno dei simboli del quartiere è il grattacielo Cesar Pelli, il più alto d’Italia (231 metri), chiamato anche Unicredit Tower perché è il palazzo nel quale si stanno via via trasferendo tutti gli uffici della banca di Piazza Cordusio. Finora lo sviluppo del quartiere ha rispettato i tempi previsti con la consegna a fine giugno 2012 proprio della sede di Unicredit e quella agli inizi di dicembre della prima parte del parco.
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Spedizione in A.P. art. 1 c.1 L. 46/04, DCB Milano
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menti, distribuiti in maniera omogenea tra i progetti Isola e Varesine, mentre la parte restante dello sviluppo immobiliare è già completamente venduta. In molti casi, come
nelle residenze Solaria, sono stati trattenuti gli appartamenti dei piani più alti, ossia quelli di maggior pregio. Per ora quasi il 100% delle vendite ha avuto come destinatari
di Giovanni Barbara - Partner KStudio Associato (Kpmg)
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clienti italiani e quasi il 70% di questi erano milanesi. Adesso, completata la prima fase del progetto con le consegne del 2012 e in attesa delle inaugurazioni del 2013,
ROSSO & NERO
Come evolve l’informativa societaria
l tema dell’informazione societaria è sempre più sotto i riflettori. A fronte di stakeholders sempre più esigenti sotto il profilo della trasparenza, il tema della tracciabilità dei comportamenti degli organi sociali per ricostruirne i profili di responsabilità è un aspetto centrale della governance. Un primo perimetro di distinzione è quello tra l’informativa interna ed esterna. La prima consiste nell’informativa destinata a circolare nel perimetro interno delle società. Si pensi agli obblighi informativi degli organi delegati nei confronti del consiglio di amministrazione a quelli del presidente del consiglio di amministrazione o in tema di operazioni con amministratori interessati. L’informativa extrasocietaria è quella rivolta all’esterno, come ad esempio gli obblighi di comunicazione per gli emittenti quotati. Una dimensione peculiare dell’informativa societaria è quella relativa ai gruppi societari, dove l’individuazione dell’area di legittima circolazione delle informazioni si rivela spesso impresa non facile. In questo scenario dove l’informazione assume sempre più carattere di continuità e permanenza, il confine tra trasparenza e riservatezza è ancora molto labile. Qual è, in altri termini,
la giusta dose di informazioni da condividere per consentire una buona trasparenza societaria, senza tuttavia ledere il diritto alla riservatezza delle informazioni societarie? E’ questo il nodo ancora da sciogliere nel contesto societario e del mercato finanziario, soprattutto alla luce dell’indiscutibile tendenza all’apertura e alla disclosure. Sul tema dei flussi informativi possiamo aspettarci ulteriori interventi del legislatore. L’esigenza più sentita è quella di sistematizzare in una piattaforma integrata la molteplicità di norme leggi e regolamenti, codici di autodisciplina che tentano di favorirne l’organicità. Più in generale l’informativa societaria si trova a un punto di svolta rispetto al passato. Non più intesa in chiave per così dire punitiva, ma concepita come aspetto integrante della gestione aziendale funzionale nell’esercizio del potere amministrativo e strumento tanto di indirizzo quanto di correzione dell’attività. In un contesto dove le imprese spesso sono spinte a cambiare strategie e indirizzi per seguire il mercato, la gestione dell’informativa diventerà sempre di più una delle aree su cui si misurerà la qualità del management e uno strumento strategico per trasmettere e far percepire correttamente ad azionisti, investitori, dipendenti il valore creato in azienda.
Hines punta a proporre gli appartamenti anche sul mercato internazionale e per questo ha siglato un accordo in esclusiva con Sotheby’s International Realty (una delle divisioni del gruppo Sotheby’s) che si occuperà del collocamento di alcuni appartamenti selezionati tra quelli più pregiati da proporre sui mercati del Nord Europa, della Russia e dell’Asia. Sono in aumento anche le collaborazioni con le divisioni di private banking degli istituti di credito, perché il particolare momento di mercato (fra Btp e inflazione) sta spingendo alcuni risparmiatori a tornare sugli investimenti di lunga durata in real estate. Quanto al settore uffici, circa il 60% degli spazi è stato occupato e di questa percentuale una grossa fetta riguarda proprio la sede di Unicredit. A breve dovrebbe essere annunciato un nuovo contratto d’affitto con un gruppo del settore moda (di piccola entità ma prestigioso) e sono in corso le trattative con altri conduttori. L’intero progetto ha però registrato un’impennata quando è stato annunciato l’accordo con Qatar Holdings. Il fondo sovrano entrerà con un aumento di capitale, immettendo soldi che potrebbero andare in gran parte a ridurre il debito del progetto di sviluppo (le trattative con gli istituti di credito sono in corso) e in parte a costituire riserve. L’investimento del Qatar non ha carattere speculativo, visto che è previsto un orizzonte temporale di 10 anni, con un’exit quindi prevista al 2023. L’operazione, insomma, è destinata a dare maggiore solidità alla situazione patrimoniale di Hines, che nel frattempo già gode i frutti di questa alleanza su fronte dell’immagine. A seguito della comunicazione dell’operazione, quindi, in meno di un mese, già tre nuove aziende si sarebbero fatte avanti ipotizzando di spostare i loro uffici dal centro storico di Milano a Porta Nuova, e benefici (pur se inferiori) sono stati riscontrati anche nella vendita delle residenze, probabilmente legata al fatto che la maggior parte dei clienti di Porta Nuova sono imprenditori o operatori del mondo della finanza. (riproduzione riservata) Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/hines
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Nell’antica Persia Una meta imperdibile, con la guida di un archeologo
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verso il tempo, grazie alla guida di un esperto archeologo. Si comincerà con la visita della capitale Teheran e dei suoi musei. Poi, via terra, si raggiunge ranno Kashan, con il giardino di Fin e le case tradizionali, e Isfahan, scrigno dell’arte islamica. Di Isfahan (e dell’I ran) il grande viaggiatore Robert Byron scrisse: “È uno di quei rari luoghi, come Atene o Roma, in cui l’umanità trova comune sollievo”. Da Pasargade, cul la della dinastia achemenide, si entre rà nel cuore del passato persiano: le ro vine di Persepoli. Fondata nel 512 a.C. è uno dei più imponenti complessi ar cheologici al mondo. Chicca finale sarà Bishapur, grandiosa capitale del re sa sanide Shapur I (III secolo). •
opo il successo del viaggio in Sudan sulle orme dei fa raoni neri (v. articolo a pag. 14), Focus Storia e il tour operator I Viaggi di Maurizio Levi pro pongono ai lettori una nuova, irresisti bile meta: l’Iran, ovvero l’antica Persia. Una terra dove si sono succedute civil tà che hanno lasciato importanti testi monianze, dagli Arii agli Achemenidi di Ciro il Grande, Dario e Serse, dall’elle nismo di Alessandro Magno agli splen dori seleucidi fino ai regni islamici. Luoghi magici. Il viaggio, di dieci giorni, si terrà in maggio, uno dei pe riodi migliori per visitare l’Iran, un Pae se che offre standard di sicurezza e tu ristici elevati. Sarà un viaggio attra
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La scalinata con le offerte dei popoli sottomessi ai Persiani, a Persepoli.
Le rovine di Persepoli, una delle capitali dell’Impero persiano. A sinistra, le località toccate dall’itinerario del viaggio. 81
AFP/GETTY IMAGES
una foto un fatto
La grande marcia verso la libertà Nel 1963 gli americani sfilarono pacificamente per dire no al razzismo. Era il “sogno” di Martin Luther King.
“L
a più grande dimostrazione di libertà nella storia degli Stati Uniti”. Così Martin Luther King definì la “Marcia su Washington per il lavoro e la libertà” (ricordata anche come “La grande marcia su Washington”) che si svolse nella capitale americana il 28 agosto 1963. Circa 250mila persone si radunarono al centro della città, intorno al Washington Monument, un obelisco alto 169 metri. Da lì partì un lungo corteo guidato da vari leader del movimento dei diritti civili a cui si unirono anche personaggi dello spettacolo tra cui i cantanti Joan Baez e Bob Dylan. Si trattò di uno dei maggiori raduni politici per i diritti umani nella storia americana. Diversamente da quanto si temeva, non ci furono scontri né violenze: nella città presidiata dalle forze dell’ordine,
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si invocarono del tutto pacificamente leggi che impedissero la segregazione degli afroamericani, ancora legale in molti Stati degli Usa. Simbolo. Fu proprio al termine della marcia che Martin Luther King tenne il suo comizio, pronunciando davanti alla folla un lungo discorso in cui scandì più volte la frase “I have a dream” (“Io ho un sogno”). Anche grazie a quella manifestazione pacifica, furono approvate negli anni seguenti leggi che tutelavano i diritti degli afroamericani. Già nel 1964 al trentacinquenne leader nero fu assegnato il premio Nobel per la pace: fu l’uomo più giovane a ricevere il riconoscimento. Il 3 aprile 1968 King venne assassinato a Memphis. Il sogno di libertà però non morì con lui. • Anita Rubini
In nome di un sogno Il leader afroamericano Martin Luther King (1929-1968) parla alla folla riunita a Washington invocando la fine del razzismo. Il suo è uno dei discorsi più celebri della Storia, intervallato dal motto “I have a dream”.
WASHINGTON (STATI UNITI) 28 AGOSTO 1963
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domande & risposte GAMMA/GETTY IMAGES
A cura di Marta Erba e Maria Lombardi
Queste pagine sono aperte a soddisfare le curiosità dei lettori, purché i quesiti siano di interesse generale. Non si forniscono risposte private. Scrivete a Focus Storia, via Battistotti Sassi 11/a, 20133 Milano o all’e-mail
[email protected]
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a “spagnola” fu la più grave pandemia influenzale della Storia; tra il 1918 e il 1920 uccise circa 50 milioni di persone, più della peste del Trecento, e più della Grande guerra, di cui fu in un certo senso la conseguenza. L’epidemia scoppiò infatti a ridosso della Prima guerra mondiale, e fu certamente favorita dalle condizioni umane e igieniche in cui dovettero combattere i soldati sui vari fronti, all’interno delle trincee.
Germania
Poliziotti di Seattle (Usa) nel 1918, con le mascherine. Nel grafico, l’andamento dell’epidemia.
News spagnole. Ma perché fu detta “spagnola”? Non perché veniva dalla Spagna, bensì perché i primi a parlarne all’epoca furono i giornali spagnoli. La stampa degli altri Paesi, che era sottoposta alla censura di guerra, negò a lungo che fosse in corso un’epidemia, sostenendo che il problema fosse
confinato alla Spagna. Nella popolazione si diffuse quindi l’errata convinzione che quella malattia, che cominciò a mietere vittime in tutta Europa, provenisse dalla Penisola iberica. Oggi si ritiene fosse stata portata dai soldati americani sbarcati in Europa dal 1917, per prendere parte alla Grande guerra.
Che cosa significa “di Svevia” dopo i nomi di alcuni re medioevali?
THE LIFE PICTURE COLLECTION/GETT
Perché l’influenza spagnola Domanda posta da Irene Mariani. fu chiamata così?
Chi erano
S
i chiamavano così i cattolici messicani ribelli che tra il 1926 e il 1929 insorsero in armi contro Plutarco Elías Calles, presidente anticattolico. Il nome viene dal loro grido di battaglia: Viva Cristo Rey! (“Viva Cristo Re!”).
Domanda posta da Cristian Bertolina.
Lago di Costanza Svizzera
Una mappa cinquecentesca della Svevia, con gli Stati attuali. 84
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a locuzione “di Svevia” sta a indicare il ducato di provenienza dei sovrani, la Svevia appunto. Alcuni imperatori del Sacro romano impero appartennero infatti alla dinastia degli Hohenstaufen, duchi di questa regione della Germania Meridionale. Il territorio della Svevia si estendeva dalla catena montuosa dei
Vosgi alle Alpi ed era delimitato dalla Borgogna e dalla Foresta Nera (compresa). Oltre alla zona tedesca, la Svevia comprendeva parte dell’attuale Alsazia (Francia), del CentroNord della Svizzera e dell’Ovest dell’Austria. Dal Barbarossa. Il ducato di Svevia conobbe un periodo di particolare sviluppo tra il XII e il XIII
secolo, quando le sue sorti si intrecciarono con quelle dell’impero. Fu in quel periodo che i duchi di Svevia governarono il Sacro romano impero. Tra gli imperatori di questa dinastia ricordiamo Federico Barbarossa (1125-1190), alias Federico I di Svevia, che rafforzò l’autorità imperiale ripristinandola anche in Italia, e Federico II (1194-1250).
“Viva Cristo Re!”
Domanda posta da Giulio Valentini.
Calles, salito al potere nel 1924, sosteneva che la Chiesa era “l’unica causa di tutte le sventure del Messico”. Così, limitò fortemente la libertà religiosa, adottando una serie di provvedimenti: vietò di indossare l’abito ecclesiastico fuori dalle chiese,
introdusse pesanti sanzioni contro i sacerdoti che criticavano il governo, razziò i beni ecclesiastici, chiuse monasteri, conventi e scuole cattoliche, espulse i preti stranieri. In alcuni Stati del Messico i sacerdoti furono obbligati a sposarsi.
Guerra. I cattolici messicani risposero inizialmente con iniziative non violente, come il boicottaggio dei prodotti statali e dei mezzi pubblici. Ma presto la ribellione si trasformò in lotta armata. Nel giro di qualche mese studenti, contadini, ope-
rai e impiegati si organizzarono in un autentico esercito ribelle, che con il tempo ingrossò le sue file fino a comprendere 50.000 uomini nel 1929. Seguì un conflitto che durò fino al 1934 e che vide la morte di decine di migliaia di persone. •
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i cristeros?
Il gesuita Miguel Agustín Pro Juárez, condannato alla fucilazione dopo un processo sommario nel 1927, che gridò “Viva Cristo Re” prima di morire.
Perché Mosca era detta “terza Roma”? Domanda posta da Alice Esposito.
L
a definizione si diffuse dal 1453, dopo la conquista di Costantinopoli da parte degli Ottomani di Maometto II (autodefinitosi “imperatore dei Romani”). Con l’ascesa del Principato di Moscovia si affermò l’idea che l’eredità di Bisanzio (“seconda Roma” dal V secolo, do-
po la caduta dell’Impero romano d’Occidente) fosse stata raccolta dalla città russa. A rivendicare quell’eredità fu il principe Ivan III di Moscovia, che si considerava erede dell’ultimo imperatore bizantino, Costantino XI, avendone sposato la nipote, Sofia Paleologa.
Anti-papa. Inoltre, i russi si ersero a difensori della fede ortodossa, non solo contro l’islam ma anche contro il cattolicesimo romano, il cui baluardo era la Polonia. Processione a Mosca nel 1498. Tra i partecipanti, Ivan III. 85
curiosario A cura di Giuliana Rotondi
L’uva di Maria Teresa d’Austria
I
Rigore nordico. Il contadino, non riconoscendo i sovrani, li “sequestrò” in casa sua per alcune ore. A un tratto Francesco, spazientito e preoccupato, decise di rivelarsi. Ma il contadino non volle saperne: “Mi avete preso per stupido? Farete 24 ore di più di prigione per questa menzogna!”. A palazzo reale, dove la regale coppia non si palesava, era intanto scattato l’allarme. Quando i cortigiani ritrovarono Maria Teresa e Francesco, avrebbero voluto punire il contadino insolente. Ma l’imperatrice ordinò: “lasciatelo stare; non ha fatto che esercitare un suo diritto”.
V. SIRIANNI
n una calda giornata di ottobre Maria Teresa d’Austria (17171780) e suo marito Francesco I di Lorena (1708-1765) facevano una passeggiata in campagna, senza seguito. L’aneddotica narra che per strada la regina ebbe sete e il marito fu così galante da scalare il muro di un vigneto e da cogliere per lei un grappolo d’uva. Mentre stavano per mangiarlo, arrivò di corsa il contadino, che pretese cinque scudi di ammenda. I due coniugi cercarono invano nelle loro tasche, ma da buoni reali erano usciti senza un soldo.
Pecunia non olet
Michelangelo nella neve
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a storiografia antica insiste molto sull’avarizia dell’imperatore Vespasiano (9-79). In realtà provò soltanto, a suo modo, a risanare le finanze dello Stato intaccate dai predecessori e dalle guerre. Aumentò la tassazione provinciale e revocò le esenzioni fiscali, concesse in precedenza a province e città di lingua greca; poi confiscò le terre occupate abusivamente e aumentò le tasse a tutti. 86
Tasse pazze. Ne stabilì anche di curiose. La più nota resta il vectigal urinae: una tassa che i conciatori e i fullones – cioè coloro che trattavano la lana – dovevano pagare sull’urina raccolta nelle latrine pubbliche, di cui sfruttavano l’ammoniaca come sbiancante. Ma c’era anche il fiscus iudaicus, per dirottare su Roma parte dei tributi versati dagli Ebrei per il sostentamento del Tempio di Gerusalemme.
i fa presto a dire statua: quella “scolpita” da Michelangelo nel gennaio del 1494 fu all’origine di svariati aneddoti. Di certo c’è soltanto che l’artista, che allora aveva 19 anni, la scolpì con la neve nel palazzo di via Larga per ordine di Piero de’ Medici, detto il Fatuo, quando su Firenze si abbatté una violenta nevicata. Si trattava, sembra, di un Atlante che sosteneva il peso del globo.
Un onore. Non è vero, come si racconta, che Michelangelo si risentì della richiesta, come se il suo estro fosse ridotto a un passatempo. Era consuetudine infatti, durante le più forti nevicate, commissionare ad artisti grandi sculture di neve. Anzi, quella di Michelangelo si rivelò così bella che il principe lo richiamò a palazzo, chiedendogli di riprendere la camera occupata ai tempi di Lorenzo il Magnifico.
tecnovintage A cura di Eugenio Spagnuolo
1915
L’invenzione del toast
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D. VITTIMBERGA
ra le prime invenzioni del ’900 ci sono… i toast: è all’inizio del secolo scorso, infatti, che spuntano i primi tostapane elettrici, come l’E945 dell’americana Landers, Frary&Clark. Il brevetto è del 1905, ma l’apparecchio ci ha messo qualche anno per perfezionarsi: bisognava assicurarsi che il filamento di nicromo (una lega di nichel e cromo) resistesse al calore. Nell’E945, le bobine di nicromo si trovano al centro: due sportelli con cerniera a molla, uno su ogni lato, consentono di inserire due fette di pane, che una volta tostate vanno riposte nella parte superiore del tostapane. La cottura è veloce e pratica. Con alcuni limiti: per abbrustolire il pane da entrambi i lati, bisogna girarlo a mano e non c’è un timer che avverta quando è pronto. Per il tostapane che “sputa” fuori le fette al momento giusto, bisognerà aspettare il 1921. Conviene comprarlo? È un curioso oggetto di modernariato, ma inutilizzabile. Comunque, un pezzo di storia dell’innovazione che è entrata nelle cucine del XX secolo. •
Tostapane d’annata Sopra, il modello E945 della Landers, Frary&Clark: le fette tostate venivano riposte in alto. A lato (da sinistra a destra), un General Electric del 1908, il primo tostapane elettrico sul mercato Usa, e un più moderno Hotpoint della Edison Electric (1930).
E NELLO STESSO ANNO...
SPORT Con l’entrata in guerra dell’Italia il campionato di calcio è sospeso a due giornate dalla fine. Le squadre del Nord giocano una coppa federale.
CINEMA Esce, tra le critiche, il film muto Nascita di una nazione di David Wark Griffith: racconta l’America dalla parte del Ku Klux Klan.
ECONOMIA I fratelli Jacuzzi, immigrati nel 1907 negli Usa da Casarsa della Delizia (Pn), fondano la Jacuzzi Bros. Diventerà famosa per le vasche.
LETTERATURA Viene pubblicato La Metamorfosi di Franz Kafka. La storia inizia con il protagonista che si sveglia nei panni di un insetto gigantesco. 87
I GRANDI TEMI
Re
VELENO Unì i popoli dell’Anatolia e sfidò Roma. L’epopea di Mitridate, il principe ellenistico con la passione per la “tossicologia”.
Carisma e ambizione Testa di Mitridate in veste di Ercole (con pelle di leone), conservata al Louvre. Sullo sfondo, le rovine romane di Panticapeo, città del Regno del Bosforo Cimmerio (oggi Crimea) da lui conquistata intorno al 110 a.C.
ALINARI
MITRIDATE RE DEL PONTO
IL
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INTANTO NEL MONDO REGNO DEL PONTO 281-80 a.C. Mitridate I fonda il Regno del Ponto.
ALTRI PAESI
CULTURA
280 a.C. Guerre fra i diadochi di Alessandro Magno.
280 a.C. L’astronomo Aristarco di Samo propone per la prima volta la teoria eliocentrica.
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264-41 a.C. Prima guerra punica fra Roma e Cartagine. Roma conquista la Sicilia. 221 a.C. Unificazione della Cina sotto la dinastia Qin. Qin Shi Huang-di è il primo imperatore cinese.
150 a.C. Mitridate V diventa re del Ponto. 149-146 a.C. Il Ponto appoggia Roma nella Terza guerra punica.
149 a.C. Inizia la Terza guerra punica. 146 a.C. Vittoria romana nella Terza guerra punica e distruzione di Cartagine. Conquista romana della Grecia e distruzione di Corinto.
120 a.C. Assassinio di Mitridate V. Il figlio Mitridate VI diventa re, di cui la madre è co-reggente. 115 a.C. Mitridate fa imprigionare la madre e prende il potere assoluto.
100 a.C. circa Sima Qian, il più importante storico cinese antico, sotto la dinastia Han compila lo Shij, prima grande opera storiografica cinese. DREAMSTIME
DREAMTIME
144 a.C. Muore Aristarco di Samotracia, grammatico e importante curatore della Biblioteca di Alessandria.
106 a.C. Nasce ad Arpino (Lazio) Marco Tullio Cicerone, politico, filosofo e oratore.
103 a.C. Annessione di Colchide e parte dell’Armenia. Espansione in Cappadocia.
88-84 a.C. Prima guerra mitridatica, fra il Ponto e Roma.
156 a.C. circa A Pergamo (Turchia) viene completato l’altare di Zeus, capolavoro di architettura ellenistica.
CORBIS
N
el 132 a.C., negli aspri recessi del Regno del Ponto (attuale Turchia asiatica) nacque Mitridate VI Eupatore Dioniso. “Bambino miracoloso”, “Salvatore d’Oriente”, “il Grande” sono solo alcuni dei suoi appellativi. Il più pittoresco però è quello scelto dalla storica Adrienne Mayor, che lo definì “re veleno” vista la sua passione per le sostanze tossiche che imparò ad assumere fino ad assuefarsi. Una passione perversa che il sovrano di cultura greca acquisì forse dalla madre, la regina Laodice, che pare avesse avvelenato il marito. Rimasto orfano di padre a 11 anni (o a 13, le fonti non concordano), Mitridate visse nella corte ellenistica di Sinope, la capitale affacciata sul Mar Nero (v. cartina nella pagina successiva) per un paio d’anni, sopravvivendo a continui attentati, ad agguati e a congiure organizzate dai sostenitori della madre. Fu in questi anni che ideò misture a base di veleno di vipera, scoprì pesci tossi-
87 a.C. Il romano Silla (sopra) assedia e conquista Atene e invade la Beozia.
94 a.C. circa Nasce Lucrezio, filosofo epicureo autore del De Rerum Natura.
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I GRANDI TEMI
ci nei laghi dell’Armenia e un miele selvatico mortale. Testò poi su di sé piante medicinali come giusquiamo, tasso, belladonna, cicuta, mandragora, aconito, elleboro, sangue di drago. Nel frattempo trovò le energie per appassionarsi alla politica. A scuola di vita. Per quanto giovane, l’erede al trono aveva infatti idee molto chiare sulla strategia che il suo regno avrebbe dovuto intraprendere. A differenza della madre, che una volta al potere aveva optato per una completa sottomissione a Roma in cambio di autonomia locale, Mitridate puntava all’indipendenza. Così, i cortigiani che ne sostenevano le idee, per proteggerlo dai tentativi di eliminarlo, lo inviarono nelle recondite montagne del Ponto. Qui per sette anni Mitridate si allenò nella ginnastica e nella lotta, acquisendo doti atletiche e marziali fuori dal comune. La giovinezza di Mitridate non fu quindi scandita da pedanti lezioni di precettori, ma dal vociare dei suoi sudditi: montanari, pastori, contadini, artigiani. La frequentazione di questa “scuola” gli insegnò le regole del governo, una tra tutte, l’empatia con il suo popolo. Non a caso si dice che in questo periodo imparò a parlare tutte le lingue e i dialetti dell’Anatolia, vero e proprio crogiuolo di razze ed etnie (v. riquadro a destra). Nel frattempo la madre continuava a governare tra i privilegi che le garantiva la poli-
Atletico
ALINARI
Statua in bronzo del giovane Mitridate VI, le cui doti atletiche e marziali erano ritenute fuori dal comune. Sotto, fronte e retro di una moneta in argento con l’effigie del sovrano (raffigurato somigliante ad Alessandro Magno), datata 74 a.C.
tica fiscale della Repubblica romana, basata su uno sfruttamento feroce della schiavitù (è di questi anni la celebre rivolta guidata dal gladiatore Spartaco). Ponto libero! Mitridate rientrò a Sinope in “tono minore”, evitando sanguinarie rese dei conti. Ma il suo carisma faceva proseliti e il “ribaltone” fu presto servito. Nel 111 a.C., acclamato dal popolo, Mitridate si mise in testa la corona del Ponto, associando al potere il fratello Evergete e, cosa comune nel mondo ellenistico, sposando la sorella. Il suo primo obiettivo fu espandere i confini del regno. A Oriente, Mitridate poteva contare sull’appoggio del re Tigrane d’Armenia (suo cognato). Ma l’occasione propizia venne da oltremare: le colonie greche di Crimea chiedevano il suo aiuto. La penisola non era mai stata nel mirino dei sovrani pontici, ma la richiesta era allettante. Se si fosse garantito il controllo delle coste del Mar Nero, si sarebbe trasformato da semplice satrapo ellenistico in ago della bilancia negli equilibri geopolitici dell’area. Accorse quindi in aiuto dei “cugini” greci proponendosi niente meno che come erede di Alessandro Magno, cavalcando il mito del condottiero macedone. Dall’Egitto a Samarcanda, del resto, il mondo era unificato nel nome della sua eredità: sebbene la polis fosse ormai entrata in crisi, sostituita da monarchie dinastiche, le città dell’Asia Minore restavano infatti ellenistiche a tutti gli effetti. Secondo l’archeologo e storico John Cook, città come Sinope erano allo stesso tempo custodi della tradizione classica e centri di grande contaminazione culturale molto vivaci. C’erano spettacoli pubblici, feste e continui pellegrinaggi. I templi erano enormi, le manifestazioni sportive assidue e di alto livello, i santuari delle divinità guaritrici conoscevano un’altissima affluenza. La vita a Sinope, come a Pirene, a Pergamo o a Mileto, era cosmopolita. Contro Roma. Nonostante l’uniformità culturale, il frazionamento politico faceva però di quest’area una preda appetitosa per la potenza di Roma, attorno al I secolo a.C., quasi al suo apice. Fu proprio
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MITRIDATE RE DEL PONTO
La sua nascita, secondo la leggenda, fu accompagnata addirittura dall’apparizione di una cometa. A sottolineare l’evento eccezionale
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INTANTO NEL MONDO
MONDADORI PORTFOLIO
85 a.C. Sconfitta dell’esercito pontico da parte di Silla a Orcomeno (Beozia). 83-82 a.C. I Romani attaccano il Ponto: è la Seconda guerra mitridatica, in cui Mitridate respinge i nemici.
82-79 a.C. Guerra civile e dittatura di Silla a Roma. 75 a.C. In India governa la dinastia Kanva.
Incontro al vertice Il momento in cui Mitridate si scontra con
Ariarate VI, re di Cappadocia, in un’incisione tedesca del Seicento.
73 a.C. Rivolta di Spartaco.
73 a.C. Scoppia la terza guerra mitridatica contro Roma. Il Ponto viene invaso e Mitridate fugge in Armenia.
il “re veleno” a mettersi di traverso. Alleatosi con Nicomede III Evergete, re di Bitinia, Mitridate conquistò e divise la vicina Paflagonia (104 a.C.). Poi dilagò in Asia Minore ingaggiando con Roma le tre guerre “mitridatiche” (88-63 a.C.). Il suo non era però un semplice desiderio di conquista. C’era qualcosa di più: un astio verso tutto ciò che aveva a che fare con Roma. Con la sua politica, la cultura, l’economia e le tasse. Così nella primavera dell’88 a.C. ordì un complotto, riuscendo a uccidere tutti i Romani presenti nelle città dell’Anatolia e nelle isole dell’Egeo. In un solo giorno, secondo gli storici antichi, furono trucidati fra gli 80.000 e i 150.000 Romani e Italici. Cifre esagerate, probabilmente, ma che danno l’idea dell’effetto che ebbe quella che nella capitale era vista come una “minaccia orientale”.
70 a.C. Presso Mantova nasce Publio Virgilio Marone, futuro poeta alla corte di Augusto e autore dell’Eneide.
70 a.C. Consolato di Pompeo e Crasso a Roma.
66 a.C. Sconfitta di Mitridate e degli Armeni suoi alleati da parte dell’esercito romano.
65 a.C. Nasce Orazio, epicureo, uno dei massimi poeti dell’antichità.
Un regno multiculturale
A
ffacciato sul Mar Nero (che gli antichi chiamavano Ponto Eusino), il Ponto era sta to il nucleo dell’Impero ittita (II millennio a.C.). Le genti locali non svilupparono una tradi zione marinara, nonostante la presenza di coste, e il territorio divenne nel tempo multi etnico, a seguito di deportazio ni e fondazioni di colonie. Espansione. Si può parlare di un embrionale Regno del Ponto dal IV secolo a.C. quan do una dinastia persiana, i
M A R
TRACIA
Atene
52 a.C. Vercingetorige guida la rivolta dei Galli. M A R C A S P I O
Sinope PONTO
GALAZIA
Xanthos
60 a.C. A Roma, primo triumvirato (Pompeo, Crasso e Cesare).
N E R O
PAFLAGONIA BITINIA
Pergamo
ARMENIA
CAPPADOCIA
CIRENAICA
CIPRO
Province romane Protettorati romani Regno di Mitridate Alleati di Mitridate
V. SACCHI
M E D I T E R R A N E O
SIRIA
CRETA
M A R
63-62 a.C. Cicerone scopre e fa reprimere la congiura di Catilina.
63 a.C. Mitridate progetta l’invasione dell’Italia. L’esercito si ribella e il re prova a togliersi la vita.
47 a.C. Battaglia di Zela (Turchia): Giulio Cesare sconfigge Farnace, figlio e successore di Mitridate VI, che viene ucciso. Il Ponto entra nell’orbita romana.
59 a.C. Nasce Tito Livio, storico romano, autore di una monumentale storia di Roma, gli Ab Urbe condita libri CXLII.
51 a.C. Cleopatra VI diventa regina dell’Egitto.
CORBIS
MACEDONIA
Mitridati (dalla divinità indopersiana Mithra), vi fondò una capitale. I Mitridati approfitta rono del trambusto dell’epo pea alessandrina e si emanci parono con Mitridate I Ctiste (“Fondatore”), che al servizio di Antigono (uno dei successori di Alessandro Magno) nel 302 a.C. prendeva il controllo della regione, dominata dai suoi discendenti fino a Mitridate VI. Questi portò il regno alla mas sima espansione (v. cartina) prima della sfida a Roma.
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I GRANDI TEMI
MITRIDATE RE DEL PONTO
Generali a confronto
SCALA
MONDADORI PORTFOLIO/AKG
Le rovine di Panticapeo, nell’attuale Crimea. Sotto, i tre generali romani che comandarono le cosiddette Guerre mitridatiche, concluse con la deposizione del re del Ponto.
SILLA
LUCULLO
Siglò la pace a conclusione della Prima guerra mitridatica: costrinse Mitridate a ritirarsi dai domini conquistati.
Sconfisse Mitridate a Cabira (72 a.C.) e finì di conquistare il Regno del Ponto, riportando l’ordine in Asia Minore.
Mitridate costrinse i generali romani a tre guerre. Per frenare le sue ambizioni Fu il punto più alto della carriera militare di Mitridate. «La vittoria fu celebrata con un grande falò sulla cima di una montagna, che bruciò per molti giorni, illuminando la notte», racconta Adrienne Mayor. «Il calore era così intenso che nessuno poteva avvicinarsi e le navi nel Mar Nero potevano scorgere le fiamme alzarsi verso il cielo da quasi duecento chilometri». Furono necessari tre dei più brillanti generali che la storia di Roma abbia mai conosciuto – Silla, Lucullo e Pompeo – per ridimensionare Mitridate. Guerra permanente. Non riuscirono però a ucciderlo: persi quasi tutti i suoi domini, il sovrano si rifugiò in Crimea dove riorganizzò l’offensiva. La situazione di guerra permanente alla quale Mitridate costringeva il suo esercito e i suoi generali (molti 92
dei quali suoi figli) cominciava però a non essere più sostenibile. Quando decise di muovere alla riconquista del suo regno Mitridate trovò a dir poco un’accoglienza tiepida. Alcuni centri si ribellarono apertamente, rifiutando di riconoscere la sua sovranità. Forte delle proprie abilità carismatiche, credette di spuntarla giocandosi la carta della diplomazia: diede in sposa le sue figlie a vari principi sciti alleati (i “barbari” delle steppe attorno al Mar Nero). Ma il gemellaggio non funzionò. I circa 500 soldati incaricati di accompagnare le fanciulle ai futuri mariti infatti lo tradirono, portando le donne da Pompeo. Rimasto senza alleati e senza regno, ma soprattutto senza un vero esercito, giocò l’ultima carta cercando l’appoggio a Ovest, presso i Galli.
I
termini mitridatizzazione, mitridatizzarsi o, più precisamente, praticare il mitridatismo in linguaggio medico indicano l’assuefazione dell’organismo agli effetti dei veleni, acquisita con l’assunzione protratta a dosi crescenti. Il termine deriva da Mitridate VI, che per primo, secondo gli antichi, praticò una sorta di “avvelenamento controllato”, per proteggersi dagli attentati. Assuefazione. Un esempio è l’arseniofagia che si osserva in individui abituati a tolle-
rare dosi di arsenico assunte giornalmente per via orale. In questi soggetti l’arsenico provoca un’irritazione cronica dell’intestino (colite arsenicale) che assicura un limitato assorbimento dell’arsenico, e quindi la resistenza al veleno. Nella medicina popolare, si dice mitridate un elettuario, ovvero una miscela di sostanze aromatiche e principi attivi di sapore pessimo, addolcita con miele perché altrimenti impossibile da assumere: un’altra idea attribuita al re del Ponto. DE AGOSTINI/GETTY IMAGES
DREAMTIME
Mitridatismo: che cosa significa?
MONDADORI/PORTFOLIO
Leggendario Mitridate fornisce un antidoto alla puntura di un serpente, in un manoscritto arabo del 1199.
POMPEO Nel 66 a.C. promosse una nuova guerra contro Mitridate: sconfisse definitivamente il re del Ponto tre anni dopo.
loro ci misero quasi trent’anni. E quando morì, nell’Urbe festeggiarono Delirio finale. Da qui, non dandosi per vinto, pianificò l’invasione dei territori romani, sperando di suscitare la ribellione delle genti italiche, che sapeva essere esasperate dal dominio repubblicano. Il piano si rivelò però illusorio, frutto di quello che agli storici di allora sembrò un delirio di onnipotenza. L’enormità dell’operazione e la distanza da coprire per raggiungere l’obiettivo, facevano pensare che Mitridate fosse, stando alla ricostruzione dello storico Appiano di Alessandria, “in uno stato ormai di disperazione totale, e volesse porre fine alla sua vita in modo coraggioso e regale, piuttosto che nell’ozio”. Farnace, il figlio più fedele, che Mitridate aveva indicato come suo erede, per fermarlo arrivò a ordire una congiura, temendo
che la scellerata spedizione in Italia segnasse il punto di non ritorno nei rapporti fra il Ponto e Roma. L’esperimento fallì e i congiurati furono scoperti e messi a morte. Tranne il figlio, che fu perdonato. Ma ormai tutto era perduto: i disertori si moltiplicarono e il re ricevette una formale richiesta di lasciare definitivamente il regno in mano al giovane Farnace. Temendo di essere consegnato ai Romani, Mitridate tentò di uccidersi con quel veleno che ben conosceva, ma ormai ne era immune. Fu, sembra, un generale dei Galli di nome Bituito ad aiutarlo a trafiggersi con la spada. Era il 63 a.C. e moriva l’ultimo grande oppositore di Roma. • Piero Pasini 93
STORIE D’ITALIA PALERMO
Il 1° ottobre 1862 a Palermo vengono assalite 13 persone: uno degli attentatori indica come mandante l’uomo più potente di Sicilia, senatore del regno. La “strategia della tensione”, un secolo prima
sero che il lustrascarpe avesse tirato in ballo quel nome così importante per depistare le indagini sul vero mandante, il cui scopo era evidentemente quello di spargere terrore. E far così rimpiangere i tempi dei Borbone. I pugnalatori di Palermo avevano ricevuto l’ordine di non uccidere: l’unico morto arrivò perché la lama aveva reciso, forse accidentalmente, l’arteria femorale. Da parte sua, il principe di Sant’Elia rilasciò una serie di dichiarazioni alla stampa, grazie alle quali divenne rapidamente la quattordicesima “vittima” dei pugnalatori, dichiarandosi “colpito con la calunnia e non con la lama”. Alla sbarra. Il processo, istruito con una celerità sospetta, si aprì davanti alla Corte d’Assise di Palermo già l’8 gennaio 1863. L’accusa, sostenuta dal pubblico ministero Guido Giacosa, era di omicidio nel caso dell’unico mor-
Diffamato A sinistra, la fuga di uno dei pugnalatori palermitani nel 1862. Sopra, il senatore di Sant’Elia, chiamato in causa come mandante. Sotto, Palermo, piazza della Vigliena, XIX secolo.
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A. MOLINO
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el 1862 l’Italia era unita da un anno. Ma il cammino per arrivare alla nazione che conosciamo oggi era ancora lungo e accidentato. Nel Sud strappato ai Borbone cresceva il brigantaggio e si registravano episodi antiunitari. Come quello di Palermo, dove, nella notte del 1° ottobre, con un’azione terroristica che anticipava di oltre un secolo il periodo della cosiddetta “strategia della tensione”, in diverse zone della città furono accoltellate 13 persone, di cui 12 rimasero ferite e una morì. “Cose borbonesche”. Tutte le vittime dichiararono di non conoscere gli aggressori e di non aver mai ricevuto minacce. Che cosa e chi aveva guidato la mano degli attentatori? Il mistero cominciò a dipanarsi dopo che tre ufficiali di fanteria riuscirono a catturare uno dei presunti pugnalatori: tale Angelo D’Angelo, lustrascarpe, che poi risulterà essere stato un delatore della polizia dell’ex Regno delle Due Sicilie. La mattina del 3 ottobre, di fronte agli investigatori, D’Angelo rivelò i contorni di un complotto a tutti gli effetti. Grazie alla sua deposizione furono arrestate 11 persone, fra cui l’uomo che aveva reclutato i pugnalatori. Era la guardia notturna Gaetano Castelli, che aveva promesso a ciascuno un compenso di 3 tarì (la moneta borbonica che ancora circolava in Sicilia) al giorno. Quando gli ingaggiati avevano chiesto garanzie per quei soldi, rimasero stupiti nel sentire il nome del finanziatore, eminenza grigia e mandante di quella trama oscura: Romualdo Trigona, principe di Sant’Elia e senatore del Regno d’Italia. Alla domanda su come fosse possibile che l’uomo più in vista e potente dell’isola potesse essere coinvolto in un affare così losco, D’Angelo si era sentito rispondere così da Castelli: “Questo non vi deve interessare, sono cose borbonesche”. Alludeva ai tanti complotti progettati a partire dal momento in cui i Borbone erano stati spodestati. Le dichiarazioni di D’Angelo furono ritenute inattendibili e si convin-
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I PUGNALATORI DI PALERMO
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Durante il processo agli attentatori di Palermo nel 1863 to, un gestore del banco del lotto, e di tentato omicidio per gli altri feriti. Ma c’era anche l’accusa di attentato contro il governo. Il dibattimento-lampo durò 4 giorni. Gaetano Castelli, Pasquale Masotto e Giuseppe Calì furono condannati a morte come organizzatori degli attacchi. E la sentenza fu eseguita ricorrendo, come usava allora, alla ghigliottina. Gli altri attentatori furono condannati ai lavori forzati a vita. A D’Angelo fu riconosciuto il contributo dato all’inchiesta, e per questo la sua pena fu ridotta a vent’anni. Il nome del principe di Sant’Elia fu pronunciato solo in relazione alle calunnie ricevute. La sentenza parlò anche di un non meglio identificato “partito dei Borboni” cui avrebbero “fatto gioco quegli attentati”. Ma quella strana storia non era ancora finita. Un nuovo attentato. Al processo aveva assistito un panettiere, Domenico Di Marzo, con sua moglie, il quale quando uscì dall’aula, fu 96
accoltellato alla schiena da uno sconosciuto, che poi si confuse nella folla, dileguandosi. Nell’arco di poche ore furono arrestati altri tre uomini: Giovanni Russo, Michele Ennio e Camillo Bruno. La notizia di quest’ultimo accoltellamento si propagò velocemente per tutta la città, mentre da altre zone rimbalzarono voci di altri ferimenti: ben otto! Erano tutte notizie false, smentite dalle indagini, che però alimentarono il terrore. Quanto al panettiere, dei tre arrestati, solo Russo fu riconosciuto da Di Marzo e da sua moglie come il pugnalatore. Il pm Giacosa si sentì sicuro di chiudere velocemente il caso. Ma si sbagliava. Quando il giudice istruttore si recò al capezzale del panettiere morente, questi ritrattò tutto, come fece anche sua moglie, confidandogli un altro nome, sosteneva di esser stato accoltellato da Eugenio Farana, professione fontaniere. Il poveretto risultò poi estraneo ai fatti.
La famigerata Legge Pica
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l 17 marzo 1861 fu proclamata la nascita del Regno d’Italia, con a capo Vittorio Emanuele II di Savoia. Fra i primi atti del neonato Parlamento italiano ci fu l’introduzione della coscrizione militare obbligatoria, il cui servizio di leva fu fissato in 6 anni. Per molte famiglie, privarsi di giovani braccia maschili significava precipitare nella miseria. A ciò si aggiungeva la forte ostilità nei confronti del nuovo Stato unitario percepito come un nemico, anche per la maggiore ingerenza rispetto ai Borbone, che con la loro dominazione si limitavano a raccogliere i soli benefici erariali. Briganti alla sbarra. La ribellione del Meridione si estese in modo esponenziale, finché, nell’agosto del 1863, pochi mesi dopo il processo ai pugnalatori di Palermo, fu promulgata la Legge Pica, che assegnava ai tribunali militari presenti sui territori “infestati dal brigantaggio” tutti i poteri necessari per debellarlo. Nei 2 anni in cui rimase in vigore, finirono in galera 12mila persone e 55 furono i giustiziati.
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In parata Notabili palermitani di fronte alla cattedrale cittadina, in un dipinto di Nicolò Giannone (1848-1915).
Il pubblico ministero Giacosa era convinto che la moglie del panettiere fosse stata minacciata: scoprire da chi, significava svelare la verità. Decise così d’interrogare gli agenti che avevano piantonato il ferito e, dopo aver passato al setaccio il personale dell’ospedale, la soluzione gli parve vicina: raccolse le confessioni della figliastra del panettiere e di alcuni parenti che erano stati informati da un’infermiera di turno che, oltre alla moglie, a far visita al ferito c’era stato anche un estraneo. Un uomo che si era introdotto con modi spicci: “una persona che mi pareva della Pubblica Sicurezza”. E lo era. Si trattava infatti dell’ispettore Daddi, comandante del mandamento del Molo. Il depistaggio. A che titolo, e con quale autorizzazione, l’ispettore Daddi aveva incontrato Di Marzo? La cosa risultò molto strana poiché il crimine era avvenuto in un mandamento non di sua competenza. Per i magistrati,
quell’ispettore non solo aveva indotto Di Marzo a ritrattare, ma era uno dei membri che avevano preso parte al complotto dei pugnalatori. Giacosa stava per farlo arrestare, quando il questore lo informò che si era presentato spontaneamente (forse perché avvertito da qualcuno), assicurandogli che se fosse rimasto libero per cinque giorni, sarebbe tornato con rivelazioni importantissime sui pugnalatori, spiegando d’essersi infiltrato per smascherarli. Dopo quei cinque giorni, ne passarono altri senza che Daddi si facesse vivo. Finché, rintracciato, disse di non essere ancora riuscito nel suo intento. La notizia di quegli sviluppi giunse, non si sa come, ai giornali e alla fine l’ispettore tornò nell’ombra, lasciando i magistrati Mari e Giacosa con un pugno di mosche. Il sipario si chiuse così definitivamente su una vicenda destinata a diventare uno dei tanti misteri della storia d’Italia. • Pino Casamassima
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all’uscita dall’aula ci fu un’altra vittima: un panettiere
Cadaveri di presunti briganti negli Anni ’60 dell’800. In alto, il testo della Legge Pica (1863).
NOVECENTO
Salite agli onori della cronaca durante la Seconda guerra mondiale, furono il fiore all’occhiello dell’aviazione sovietica. Le imprese della “squadriglia rosa”, esaltate dalla propaganda
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Le “lady di ferro“ Da sinistra, Polina Osipenko (pilota), Valentina Grizobudova (copilota) e Marina Raskova (navigatore). Alle loro spalle, il Tupolev Ant-37, ribattezzato “Rodina”, (Patria). A destra, una locandina dell’epoca recita: “La madrepatria chiama”.
onne sovietiche, voi che guidate autocarri e trattori e pilotate aerei, che siete pronte in ogni istante a sedervi in una macchina da combattimento e lanciarvi in battaglia. Care sorelle, è arrivata l’ora di una dura ricompensa: entrare nei ranghi dei guerrieri per la libertà!”. Con questo discorso alla radio, l’8 settembre del 1941, l’aviatrice russa Marina Raskova annunciava la formazione dei tre reparti aerei femminili sovietici. Tre reparti che avrebbero scritto una delle pagine più memorabili della Seconda guerra mondiale. Tutto cominciò alla fine di giugno del 1941, in seguito all’invasione dell’Urss da parte della Germania nazista. Secondo la ricostruzione degli storici sovietici (probabilmente enfatizzata), la Raskova chiese e ottenne udienza da Stalin. Si presentò con una valigetta piena di lettere. Poco pesante, ma dal contenuto prezioso, racchiudeva centinaia di richieste di ragazze che volevano arruolarsi volontarie come piloti o navigatori. Inizialmente il “Piccolo Padre” era perplesso: “Tu capisci, le future generazioni non ci perdoneranno di aver sacrificato delle ragazze!”. Raskova rispose: “Loro correranno al fronte comunque”. Carne da macello. A dicembre del 1941 nacquero così i reggimenti 586, 587 e 588 (v. riquadro a destra). Quest’ultimo era destinato al bombardamento notturno e le sue aviatrici divennero celebri come “le Streghe della notte”. Le centinaia di prescelte dalla Raskova (piloti, navigatori, meccanici) si trovarono nella città di Engels, a 800 km da Mosca, per trasformarsi in brevissimo tempo in leonesse dell’aria. «Le ragazze selezionate per diventare piloti», spiega il professor Gian Piero Milanetti, autore del libro Le streghe della notte, «svolsero in sei mesi l’addestramento che normalmente richiedeva tre anni. Le future aviatrici seguivano dieci corsi al giorno (tra questi, aerodinamica, motoristica, balistica, tattica) più due ore di esercitazioni all’aperto. Le aspiranti navigatrici studiavano per un’ora anche il codice Morse». I membri del reggimento notturno 588, tutte donne intorno ai venti anni, vennero affidati al comando di un’esperta istruttrice, Evdoki-
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I tre reggimenti rosa dell’Unione Sovietica
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l reggimento delle Streghe della notte, il 588, è noto. Ma anche il 586 e il 587 diedero lustro all’Urss. Il primo, Reggimento Aviazione da Caccia, era una formazione di difesa e aveva il compito di scortare aerei con personalità a bordo e soprattutto proteggere dai bombardieri tedeschi possibili obiettivi come ponti, ferrovie e depositi di armi. Il reggimento compì più di 4mila missioni e abbatté 38 velivoli nemici.
Le eccellenze. Tra le file contò aviatrici eccellenti come Lydia Litvyak, nota per aver abbattuto almeno 12 aerei tedeschi e per essere stata nominata Eroe dell’Urss alla memoria nel 1990. Il Reggimento diurno bombardieri (il 587) era invece specializzato nei bombardamenti in picchiata: contò sull’appoggio di 35 uomini, dato l’alto numero di specialisti richiesti per i più moderni monomotori Petlyakov Pe-2. 99
Furono i militari tedeschi a ribattezzare il reggimento 588 “Streghe della notte”. Accusando tra l’altro le aviatrici di fare uso di sostanze stupefacenti
Eroine rosse
ja Bershanskaja, e impararono presto a volare con ogni condizione meteorologica, anche per molte ore a notte. I loro aerei erano Polikarpov Po-2, biplani di legno e tela scarsamente equipaggiati, pesanti e altamente infiammabili, che non offrivano nessun riparo da freddo e pioggia: “Essere una Strega della notte”, si legge nella testimonianza di una sopravvissuta, “significava volare anche con nuvole basse, nebbia, venti che scuotevano dalla punta di un’ala all’altra l’aereo. Un aereo superato, piccolo, lento e facile a incendiarsi”. Se un proiettile colpiva il serbatoio, uscirne vivi era praticamente impossibile. A questo si aggiunga che fino al 1944 le aviatrici del 588 volavano addirittura senza alcun paracadute. Sulle linee. Dal maggio del 1942, le Streghe della notte vennero inviate al fronte. Agirono in particolare tra Stalingrado, il Caucaso, la Crimea, spostandosi poi in Polonia e a Berlino, dove arrivarono giusto in tempo per la resa dei te-
Come le star Marina Raskova (a sinistra) e Polina Osipenko in uno scatto del 1938. La Raskova fu la fondatrice dei tre reggimenti aerei femminili.
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Reggimento delle streghe della notte. La rara immagine è tratta dal libro Le Streghe della notte di Gian Piero Milanetti (IBN).
deschi. Visti gli scarsi equipaggiamenti, il reggimento 588 si dedicò soprattutto ad attaccare depositi di carburante e armamenti, ponti, gruppi di rifornimento nemici. Ma supportarono anche l’Armata Rossa nella difesa di Sebastopoli e Varsavia e durante gli sfondamenti delle linee nemiche. «Il reggimento combatteva in prima linea», continua lo storico, «a fianco e in cooperazione con l’aviazione maschile». Ogni biplano poteva trasportare due bombe, quindi durante la notte le Streghe svolgevano più missioni, rifornendosi fino all’alba. Con il rischio continuo che la stanchezza prendesse il sopravvento: “Alla fine, per tenerci sveglie i medici ci somministravano certe pillole eccitanti, soprannominate Coca-Cola”. Il loro compito di “disturbatrici” notturne contribuì al crollo psicologico dell’esercito tedesco: “Non potevamo concepire”, scrisse un capitano della Luftwaffe, “che gli aviatori russi, che ci procuravano il massimo dei problemi, fossero donne. Venivano notte dopo notte coi loro lentissimi biplani e per un certo tempo non ci permisero di dormire”. Alla meno peggio. Accolte inizialmente con disappunto, le ragazze, molte studentesse, guadagnarono l’ammirazione dei piloti sovietici, coi quali dividevano i campi militari. «Le basi spesso mancavano di tutto, gli equipaggi di terra dormivano a terra accanto agli aerei, i piloti in edifici senza bagni né acqua, a volte si ricorreva alle pozzanghere per bere e lavarsi. Da mangiare spesso c’era solo pane secco». Anche le divise erano un problema. «Le uniformi assegnate alle aviatrici per molto tempo furono le stesse degli uomini, quasi sempre di taglie molto più grandi. Lo stesso valeva per gli stivali, che spes-
Arianna Pescini
Marina Raskova: la Amelia Earhart dell’Unione Sovietica
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so perdevano. Solo a guerra inoltrata cominciarono ad arrivare divise di taglio femminile, con gonne al posto dei pantaloni». Quando il maltempo impediva il decollo degli aerei, ci si intratteneva come si poteva: «Le aviatrici improvvisavano dei party, cantavano, organizzavano gare di poesia. La navigatrice Evgenija Rudneva per esempio le riuniva e raccontava loro storie di fate o la saga di Tristano e Isotta». Dimenticate. Dopo tre anni di missioni, il reggimento alla fine della guerra venne sciolto. Sul campo erano rimaste, morte, 31 giovani. Complessivamente le aviatrici avevano compiuto più di 24mila missioni e sganciato 3mila tonnellate di bombe. Fu la formazione più decorata: 23 “Streghe” ricevettero il titolo di “Eroe dell’Urss”. Per loro, dopo la fine del conflitto, cominciò una nuova vita. Ma nell’oblio delle nuove generazioni: «Solo a pochissime fu concesso di rimanere nell’Aeronautica», conclude lo storico, «alcune divennero insegnanti, altre scrittrici o giornaliste, altre ancora agenti segreti o registe. Quasi tutte morirono in povertà e dimenticate». Il mito sovietico del “Piccolo Padre” non aveva più bisogno di loro. •
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dorate alla stregua delle star di Hollywood, le aviatrici in Urss godevano di ottima fama. Marina Raskova (1912-1943), primatista mondiale di volo oltre che fondatrice dei reggimenti sovietici di aviatrici (foto), ha nel suo Paese una fama paragonabile a quella della trasvolatrice Amelia Earhart negli Usa. Sposatasi giovanissima, da piccola studiò canto e teatro, per poi diplomarsi in chimica. Divenne famosa negli anni Trenta per le traversate da record, promosse dall’Urss: «Una delle più straordinarie si svolse nel 1938», precisa lo storico Gian Piero
Milanetti. «Quell’anno compì con altre due aviatrici sovietiche un volo senza scalo di oltre 6mila chilometri, da Mosca a Komsomolsk, stabilendo un record mondiale. La Raskova si trasformò in eroina e si diceva che Stalin avesse una particolare simpatia per lei». Morte precoce. Divenuta, in guerra, comandante del 587esimo reggimento, morì nel 1943, a soli 31 anni, schiantandosi con il suo aereo durante il trasferimento degli equipaggi a Stalingrado. Le vennero concessi funerali di Stato e i suoi resti furono tumulati nelle mura del Cremlino. 101
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Pluridecorate Le aviatrici Rufina Gasheva e Natalija Meklin. In basso, un Tupolev DB-1, bombardiere sovietico monoplano.
ANTICHITÀ Supervisione
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Il silfio era talmente importante per gli abitanti della Cirenaica da essere raffigurato nelle monete del regno (a sinistra). A destra, Arcesilao II, re di Cirene dal 560 al 550 a.C., controlla la pesatura del silfio nella ricostruzione di un vaso antico.
Circa 2.500 anni fa il silfio, pianta “miracolosa”, fece la fortuna della città libica. Ma, troppo ricercato, si estinse
L’ORO VERDE DI CIRENE
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na sorta di finocchio gigante alto fra il metro e mezzo e i due metri: una grossa radice a tubero, un lungo tronco quadrangolare, rigato verticalmente all’esterno e cavo all’interno, interrotto da 3-4 segmenti con altrettanti steli secondari e foglie, un ciuffo di piccoli fiori alla sommità, a forma di palla o di 102
ombrello. Era il silfio (silphion in greco, silphium in latino). Produceva anche una resina (che i Romani chiamarono laser e gli Arabi asa) ed era una pianta annuale spontanea. Famiglia delle Umbrellifere o Apiaceae, genere Ferula. Fin qui la botanica, ma per la Storia, il silfio cirenaico fece la fortuna di Cirene (attuale Libia), oltre 2mila anni fa.
Mille usi. Oggi il silfio è estinto. Ma rimane un esempio dei danni che un fenomeno apparentemente secondario come l’estinzione di una pianta può causare. Come tramanda il greco Teofrasto, padre della botanica antica, i frutti del silfio maturavano a fine primavera e l’odore e il gusto erano simili a quelli dell’anisetta.
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L. TARLAZZI
Trasporti eccezionali
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Ricostruzione di un imbarco di silfio da Cirene verso altre città. A lato, l’originale della coppa di Arcesilao II, del VI secolo a.C.
Fu il primo anticoncezionale della Storia, usato circa 2.500 anni fa. Ma aveva, pare, anche poteri afrodisiaci 104
La pianta era di note vole versatilità: radice e stelo tagliati a pezzetti ni, conditi con aceto, ve nivano usati come legumi di pregio, gli scarti costitui vano foraggio per gli anima li; dai succhi del tronco si ri cavava una spezia impiegata come condimento alimentare, per insaporire arrosti e trippa, o anche come correttivo nel vino; dai fiori si rica vava un profumo. Secondo il gastronomo romano Apicio, autore del più noto ricettario antico, il silfio costituiva la spezia per eccellenza, quella più ricercata e costosa, e il suo uso, segno di buon gusto del padrone di casa, era anche un’ostentazione di ricchezza. Il vero tesoro del silfio cirenaico, però, stava nella radice. Il tubero veniva inci so a fine primavera per estrarne una re sina acre, rossa e traslucida, solubile in acqua. Simile alla mirra, era denominata laserpitium, laserpicium o laser, cioè lat te di silfio, ed era un ingrediente ricerca
tissimo della farmacopea antica. A legge re i trattati antichi, il laserpicium era una vera panacea. Per Ippocrate, considerato il padre della medicina antica, e il farma cologo greco Dioscoride, a seconda del la preparazione e del dosaggio il laserpicium (potenzialmente tossico) veniva usato per curare asma e tosse, come an tispastico per l’apparato digerente e come anti-infiammatorio e antidolorifico, oltre che per alleviare una serie interminabile di altri sintomi. Celsio lo annovera tra i digestivi, mentre gli Egizi lo usavano uni tamente alla mirra per curare la psoria si. Plinio il Vecchio, nel I secolo, conclu se che le sue proprietà terapeutiche era no praticamente infinite. Viagra e anticoncezionale. Ma il record di consumo il siflio lo registrò quando gli vennero attribuiti anche poteri afrodisia ci (per quanto ne dica Catullo, probabil mente assai blandi) e, soprattutto, anti concezionali. Parola di Ippocrate (IV se colo a.C.) e di Sorano di Efeso (II secolo), fondatore della ginecologia e autore di un trattato sulle tecniche antifecondative.
Il Giardino delle Esperidi (divinità greche) in un bassorilievo del I-II secolo: per alcuni storici, il mito fu ispirato dalle coltivazioni cirenaiche.
GRANO Insieme ad altri cereali (orzo e farro) fu tra le prime piante domesticate dall’uomo, quasi 10mila anni fa. Cominciò così, tra Anatolia e RISO Mesopotamia, la In Cina, fu questo rivoluzione che cereale a dare il via portò alla civiltà alla civiltà agricola, stanziale. 9mila anni fa.
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raneo del Jebel el-Akhdar (la “Montagna Verde”), che occupa la Cirenaica dal Golfo della Sirte fino al confine con l’Egitto. L’incontro tra le correnti umide marine e quelle calde sahariane genera qui un particolare microclima, ricco di piogge, evidentemente assai favorevole, assieme al suolo calcareo ricco di carbonato di calcio. Ippocrate, del resto, racconta gli inutili tentativi di coltivare il silfio nel Peloponneso, in Siria e in Asia Minore. Se consideriamo la versatilità, la rarità e la crescente domanda di silfio in tutto il mondo mediterraneo, non stupisce che la lavorazione e il commercio di questa pianta nel regno di Cirene fossero un monopolio statale. Certificato dalla presenza del silfio stilizzato sulle monete libiche, nonché da un fiorente contrabbando. Più di grano, orzo, uva, frutta e olio d’oliva, e più del fiorente commercio transahariano, il silfio divenne la ricchezza di Cirene. Che non a caso era sede di una rinomata scuola di medicina e farmacologia. Secondo la leggenda, la pianta era stata un dono del dio Apollo, patrono della città venerato in un imponente santuario ai piedi dell’Acropoli, alla ninfa Cirene. Un dono che per secoli portò enormi benefici agli abitanti dell’omonima città. Su una coppa greca del 560 a.C., oggi alla Biblioteca nazionale di Parigi, compare l’immagine di re Arcesilao II di Cirene intento a pesare sacchi di silfio, un compito riservato al sovrano. E fu forse la presenza del silfio a portare diversi autori classici a localizzare il mitico Giardino delle Esperidi in Cirenaica, in quella che Omero chiamò Terra dei Lotofagi (i mangiatori di loto). Qui crescevano anche gli alberi dalle mele d’oro (probabilmente arance, sconosciute nel mondo greco e romano). A peso di silfio. Un personaggio di una commedia di Aristofane (V secolo a.C.) afferma che la maggior ricchezza della Terra sarebbe costituita dal possesso di
Parenti moderni Un’immagine del Silphium perfoliatum (stessa famiglia del silfio antico) che cresce in America. Sotto, un’altra pianta “cugina” del silfio estinto di Cirene, il Silphium terebinthinaceum.
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Il principio attivo doveva evidentemente contenere delle proprietà che agivano sugli ormoni, ostacolando la fecondazione dell’ovulo o il suo impianto nell’utero, oppure inducendo un aborto. Circa 2.500 anni fa, era nato il primo anticoncezionale orale della Storia, e anche la pillola del giorno dopo. Sorano d’Efeso suggeriva a tutte le donne di bere succo di silfio almeno una volta al mese. Col tempo, per potenziarne le proprietà afrodisiache, si cominciò a mischiare al latte di silfio la cantaridina, principio attivo della polvere ottenuta dallo sbriciolamento di un coleottero (Lytta vesicatoria). Prezioso. La fama del silfio come risorsa economica e anticoncezionale è sintetizzata da una moneta cirenaica (v. immagine nella pagina successiva): una figura femminile che con una mano tocca una pianta di silfio e con l’altra indica i genitali. Questo “oro verde”, però, era raro anche più di quello giallo. L’unico luogo in cui cresceva la pianta sembra fossero i prati stepposi incolti in un’area di circa 200 per 50 km, sul versante mediter-
Le piante che hanno fatto la Storia
IGNAME Da 5mila anni questa sorta di patata dolce è alla base della dieta tradizionale africana.
MAIS Le civiltà precolombiane sono figlie di questa pianta, coltivata da circa 5mila anni (con fagioli e zucche).
INDACO ROBBIA Utilizzata per La Rubia tinctorum tingere (di blu e PATATA fin dall’antichità viola) i tessuti in Alla base greco-romana fu il Egitto e in Asia dell’alimentazione colorante vegetale già 4mila anni sulle Ande da più sfruttato fa, l’Indigofera 5mila anni, in per ottenere il Europa rivoluzionò tinctoria nel ’400 ha rosso e la “lacca scatenato guerre l’economia (e la di robbia”. commerciali. gastronomia). 105
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tutto il silfio libico, mentre “silfio di Battus” (dal nome del primo re di Cirene) divenne un modo di dire per indicare una ricchezza estrema. Del resto, i Romani arrivarono a pagare il succus cyrenaicus (gli estratti del silfio) con il controvalore in argento, e lo conservavano presso il Tesoro dell’Urbe assieme all’oro. Nel 49 a.C. se ne accumulò una tale quantità che Giulio Cesare ne sottrasse all’erario pubblico ben 1.500 libbre (circa 490 kg), oltre ad argento e oro, per fare fronte alle spese della guerra civile. Ma come tutte le belle storie, anche quella del silfio stava per finire. Ai tempi di Augusto, nel I secolo, il silfio cirenaico originale era ormai talmente raro da essere pagato a peso d’oro. Si cominciò a sostituirlo con varietà mediorientali come il Laser persicum e la Ferula asafoetida, a quanto pare assai meno efficaci. Qualcuno sostiene che l’ultima pianta venne donata all’imperatore Nerone. Nel 93 d.C. secondo Plinio il Giovane, Roma decise di acquistarne una certa quantità per calmierarne il prezzo, ma riuscì a trovarne solo 30 libbre (10 kg), reperito chissà come. Nel 111 d.C. il farmacista comasco Aulo Geminio Giusto, amico di Plinio, effettuò una apposita spedizione in Cirenaica alla ricerca dell’ormai mitica pianta, senza trovarne alcun esemplare.
Dettaglio di un capitello di Cirene (oggi in Libia) con motivi vegetali. Sotto, moneta con silfio ritrovata a Naucrati (Egitto), prova dell’importanza della pianta nel Mediterraneo.
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Nel I secolo, ai tempi di Augusto, il silfio era talmente ricercato e prezioso da essere pagato a peso d’oro
Avidità. Ma che fine aveva fatto il tanto apprezzato oro verde di Cirene? Nel 1800 la Società francese di geografia istituì un premio per il ritrovamento delle piante di silfio, che non venne mai assegnato. Il silfio cirenaico è infatti una pianta estinta. Come accadde? Varie sono le ipotesi: contrasti tra produttori e commercianti per i relativi guadagni, eccessiva richiesta sul mercato, voracità delle capre libiche. Forse agirono varie concause, ma quasi certamente si trattò di ben altro tipo di voracità. Il rapido declino del silfio (testimoniato dalla crescita dei prezzi) cominciò all’inizio del I secolo a.C., quando Cirene e Creta divennero una provincia senatoriale romana, la Cirenaica. I governatori non venivano retribuiti, ma erano auto-
rizzati a sfruttare le risorse locali. E, come denunciava Cicerone, la loro avidità non aveva limiti. Secondo molti storici è probabile che, per soddisfare la domanda e massimizzare i guadagni, si sia cominciato ad abbattere piante troppo giovani, non consentendo più la loro riproduzione spontanea. E arrivando in fretta all’estinzione. Eco lontana. Per le popolazioni nordafricane, già allora a corto di altre risorse, soprattutto per quanto riguarda la farmacologia, fu un duro colpo. Eppure, quasi duemila anni dopo, il ricordo del silfio cirenaico non è del tutto cancellato nelle sue terre d’origine. Le popolazioni sahariane usano ancora oggi sostanze medicamentose ricavate dalle radici delle piante (Umbrellifere) che i loro antenati usarono come sostituti del silfio. Sorelle povere dell’oro verde di Cirene, alle quali però si ricorre ancora oggi come a una panacea universale. • Giulio Badini
Il regno di Cirene, Atene d’Africa
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irene fu fondata come colonia greca nel 630 a.C. da emigrati dorici provenienti dall’isola di Santorini. Dei suoi primi governanti sappiamo poco, se non il nome del
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primo re della città-Stato, Aristotele Batto. In pochi anni divenne la più importante città sulla costa nordafricana, epicentro di cultura. La chiamavano “Atene d’Africa”: lì
nacquero o lavorarono il matematico Teodoro e il filosofo Aristippo (V-IV secolo a.C.), il poeta Callimaco (IV-III secolo a.C.), il geografo Eratostene (III-II secolo a.C.) e tanti altri.
Filopersiani. Anche se di cultura greca, nel VI secolo a.C. Cirene si mise sotto l’ala protettiva della Persia, mentre in epoca ellenistica (III-II secolo a.C.) entrò nella sfera di
influenza dei Tolomei. Nel 96 a.C., Tolomeo Apione, ultimo re di Cirene, cedette la sovranità a Roma, che nel 74 ne fece il capoluogo della Cirenaica. (a. c.)
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Storia
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IN EDICOLA CON NOI GARIBALDI: L’E-BOOK L’Eroe dei due mondi è da sempre un personaggio storico controverso. Chi lo vede come il padre dell’Unità nazionale, chi come un avventuriero. Di certo nella sua vita non mancarono i colpi di scena. A soli € 1,99 su www.bookrepublic.it e nelle principali librerie online.
MASSACRI DIMENTICATI Con questo numero è possibile acquistare il libro di Gigi Di Fiore 1861: Pontelandolfo e Casalduni. Gli eccidi compiuti dall’esercito sardo-italiano nel Beneventano, episodio rimosso della guerra civile che fu il brigantaggio al Sud. A € 9,99 oltre al prezzo della rivista.
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Direttore responsabile Jacopo Loredan
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[email protected]), Marco Casali (Photo Editor, vicecaporedattore,
[email protected]), Andrea Parlangeli (caporedattore centrale,
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[email protected]) Redazione Federica Ceccherini, Lidia Di Simone (caporedattore), Marta Erba, Irene Merli (caposervizio), Giuliana Rotondi, Anita Rubini Ufficio fotografico Patrizia De Luca (caposervizio), Rossana Caccini Redazione grafica Katia Belli, Mariangela Corrias (vicecaporedattore), Barbara Larese, Vittorio Sacchi (caposervizio) Segreteria di redazione Marzia Vertua,
[email protected] Hanno collaborato a questo numero: A. Bacci, G. Badini, F.-Xavier Bernard, G. Boarotto, E. Canadelli, P. Casamassima, E. Cattaneo, G. Di Fiore, M. L. Leone, G. Lomazzi, M. Lombardi, M. Liberti, S. Lucchesi, A. Monti Buzzetti Colella, P. Pasini, A. Pescini, R. Roveda, E. Spagnuolo, D. Venturoli.
IL VOSTRO NOVECENTO È ancora in edicola il numero speciale di Focus Storia interamente dedicato alla storia fotografica del Ventesimo secolo in Italia. Attraverso gli scatti di grandi maestri e le fotografie inviate dai nostri lettori, rivivono, tra grandi fatti e ricordi comuni a tutti, le emozioni di cent’anni di vita italiana. In edicola a € 7,90.
IL NUOVO FOCUS STORIA COLLECTION Da Spartaco, il gladiatore ribelle che mise in difficoltà i generali romani, a Che Guevara, dall’Ottobre russo alla lotta di Gandhi, dalla Bastiglia alla caduta del Muro di Berlino, il nuovo Focus Storia Collection vi racconta tutte le rivoluzioni che in 2mila anni hanno cambiato il mondo. In edicola a € 7,90.
Amministratore Delegato e Chief Operating Officer Roberto De Melgazzi Publisher Magazine Elena Bottaro Direttore del Personale e Affari Legali Lucio Ricci Direttore Controllo di Gestione Paolo Cescatti Focus Storia: Pubblicazione mensile registrata presso il Tribunale di Milano, n. 753 del 3/11/2004. Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica sono riservati. Il materiale ricevuto e non richiesto (testi e fotografie), anche se non pubblicato, non sarà restituito. Direzione, redazione, amministrazione: via Battistotti Sassi 11/a, 20133 Milano. Tel. 02/762101; e-mail:
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Periodico associato alla FIEG (Federaz. Ital. Editori Giornali)
Accertamento Diffusione Stampa Codice ISSN: Certificato n. 7151 del 14/12/2011 1824-906x
neI prossimI numerI
IN EDICOLA dal 19 febbraio con tante altre storie e personaggi
ANTICHITÀ
NOVECENTO
1945: la fine di un incubo, settant’anni dopo
Ricchissimo Creso
Le verità sulla caduta di Hitler, gli ultimi giorni di Mussolini, la resa del Giappone, le speranze di libertà alla luce di quello che rivelano gli archivi.
Il nome dell’ultimo sovrano della Lidia divenne sinonimo di ricchezza. Ma anche di una sventatezza che pagò cara.
OTTOCENTO
GETTY IMAGES (4)
POPOLI
Nel regno degli Armeni
La rivolta dell’Amistad
Splendori e misteri di un regno tanto antico quanto poco conosciuto, dai primi secoli cristiani alla diaspora.
Nel 1839 gli schiavi della nave negriera Amistad si ammutinarono. Processati e assolti negli Usa, segnarono una svolta nella storia dell’abolizionismo. 109
flashback
1899, nel cortile della ditta siderurgica Glisenti a Villa Carcina (Brescia). Questo signore che cosa starà azionando? Difficile indovinarlo. Si tratta di un cannone antigrandine. Alla base del cono rovesciato si trovava una camera a scoppio, dove venivano fatte esplodere, a intervalli regolari, cariche di gas. Gli scoppi erano amplificati dalla “tromba”, che indirizzava verso l’alto le onde d’urto. Si pensava così di riuscire a sminuzzare i chicchi di grandine presenti nelle nuvole a bassa quota. Sistemi analoghi si sono usati
ARCHVIO NEGRI
anche in anni recenti.
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È IN EDICOLA IL NUOVO FOCUS STORIA COLLECTION
LE RIVOLUZIONI
CHE HANNO CAMBIATO IL MONDO
Dalla rivoluzione francese, madre di tutte le rivoluzioni, ai motti risorgimentali del 1848, dalla rivoluzione d’ottobre alla nascita della Repubblica popolare cinese. E poi ancora la guerra civile americana, la ribellione guidata da Zapata in Messico e da Che Guevara a Cuba, l’ascesa del Führer, la dittatura di Khomeini in Iran, la fine del comunismo nell’Europa dell’Est fino alla primavera araba. In un imperdibile numero da collezione!
FOCUS STORIA COLLECTION. STORIA E STORIE DA COLLEZIONE. Disponibile anche in versione digitale su: