Storia SCOPRIRE IL PASSATO, CAPIRE IL PRESENTE
n° 102
MENSILE – Austria, Belgio, Francia, Lussemburgo, Portogallo, Spagna � 8 - Germania � 11,50 - Svizzera CHF 12 - Svizzera Canton Ticino CHF 11,50 - Canada CAD 11,50 - USA $ 11,50
Un radar per vincere
Hitler lo snobbò. E Churchill ne fece l’arma finale
RIVOLUZIONE? NO GRAZIE 1792: la rivolta in Vandea che poteva cambiare la Francia
COMPLOTTI, DENARO, AVVENTURA... DA ERODOTO A COLOMBO A GAGARIN, PERCHÉ SIAMO ANDATI VERSO L’IGNOTO
I segreti del profumo
Curiosità e aneddoti in 4000 anni di fragranze
LE ETÀ D’ORO DELLE
ESPLORAZIONI
APRILE 2015 � 4,90 in Italia
Sped. in A.P. - D.L. 353/03 art.1, comma 1, DCB Verona
ERETICI D’ITALIA
FURONO I NONNI DEI PROTESTANTI. MA FINIRONO MALISSIMO
REGINA DI SABA
I MISTERI DELL’IMPERO DI AXUM CHE CUSTODÌ L’ARCA DELL’ALLEANZA
STALIN IN MUSICA
IL COMPOSITORE SHOSTAKOVICH: DAL PALCO AL RISCHIO GULAG
I N O I Z O M E E L I V I WARS. RIV DELLE GRANDI . A I R O T S A L L E D BATTAGLIE
POSTERO IN REGAL
Nuove tattiche e strategie belliche, armi sempre più sofisticate e letali: quella del 1915-18 è la Prima Guerra Moderna. E inoltre: le uniformi dei Samurai, Mitridate, il nemico più ostinato di Roma, la sconfitta di Napoleone a Waterloo. IN PIÙ, IN REGALO IL POSTER CON LE DIVISE DEI FANTI E LE MAPPE DELLE BATTAGLIE ITALIANE!
WARS. LA STORIA IN PRIMA LINEA Disponibile anche in versione digitale su:
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102 aprile 2015
focusstoria.it
Storia Colombo illustra il suo progetto.
I
Jacopo Loredan direttore
rubriche 4 LA PAGINA DEI LETTORI
6 NOVITÀ & SCOPERTE
11 AGENDA 12 MICROSTORIA 14 CURIOSARIO 82 DOMANDE & RISPOSTE 84 MANUALE PER VIAGGIATORI NEL TEMPO 86 CARTA CANTA
dell’altopiano
Ascesa, declino ed eredità dell’antica Etiopia, culla di civiltà e (forse) custode dell’Arca dell’Alleanza.
ARTI 22 Musica pericolosa
COLOMBO E GLI ALTRI 34 E loro andarono oltre
Le sfide al di là delle Colonne d’Ercole di Egizi, Fenici, Greci e Romani.
40 Non solo europei
Tra gli scopritori non c’erano soltanto i cittadini del Vecchio Mondo.
42
L’intrigo del Mare Oceano
Colombo era segretamente al servizio dei portoghesi?
50 Alla ricerca del giorno perduto
Al seguito di Magellano, Pigafetta scoprì l’esistenza dei fusi orari.
56
Nel nome della scienza
I viaggi di James Cook, esploratore al servizio della conoscenza.
62 Con le migliori intenzioni
Pietro Savorgnan di Brazzà, il “colonialista buono” in Congo.
68
Madame va in Tibet
Alexandra David-Néel, la prima occidentale a Lhasa, nel 1924.
72 Gli orizzonti si allargano
L’uomo non si ferma mai: nel ’900 ha esplorato foreste, abissi e spazio.
76 Popoli ritrovati
87 TECNOVINTAGE 88 UNA FOTO, UN FATTO
110 FLASHBACK
IN PIÙ... ANTICHITÀ 16 Axum: l’impero
AA/MONDADORI PORTFOLIO
l caso, la necessità, la fame. Ma anche l’ambizione, la curiosità, lo spirito di avventura, la voglia di conquista, la sete di denaro... Esplorare, per gli esseri umani e per alcuni esseri umani in particolare, è veramente uno specchio dell’anima. Non c’è quasi moto dello spirito che non abbia scatenato la voglia di andare oltre l’orizzonte: nei maschi, ma anche in molte donne e non ovviamente soltanto occidentali, che hanno lasciato la certezza e la quotidianità per incamminarsi verso l’ignoto. E, lungo la strada, regalare, più o meno volontariamente, nuove visioni e nuove possibilità a chi rimaneva a casa. Se si osservano oggi le avventure boreali del greco Pitea o quelle atlantiche del nostro Cristoforo Colombo, vengono alla luce risvolti sconosciuti e affascinanti dei loro viaggi attorno al pianeta ma anche dentro loro stessi. Ve li presentiamo in questo numero. Buona lettura.
CI TROVI ANCHE SU:
Nel 1933, a Papua Nuova Guinea, gli indigeni “scoprono” i bianchi. In copertina: Cristoforo Colombo in una elaborazione grafica al computer. ILLUSTRAZIONE GRZEGORZ PĘDZIŃSKI
La tormentata vicenda biografica e artistica di Dmitrij Shostakovich, il grande compositore russo che finì nel mirino di Stalin.
28 ICOSTUME segreti delle fragranze
Dagli Egizi a Chanel, le curiosità sorprendenti che si nascondono nelle boccette di profumo. E i personaggi che ne hanno fatto la storia.
GRANDI TEMI 90 Rivoluzione?
No, grazie
Nel 1792 una rivolta contadina contro la Rivoluzione francese si trasformò in quella che oggi è nota come Guerra di Vandea.
RELIGIONE 96 Umiliati
arrabbiati
L’ordine degli Umiliati, i monaci del ’200 che san Carlo Borromeo mise fuori legge.
102 TECNOLOGIA Radar,
innovazione vincente
Nel 1940-41 i nazisti erano sicuri di vincere la Battaglia d’Inghilterra. Ma non tennero conto di un’invenzione che loro avevano snobbato. 3
LA PAGINA DEI LETTORI Inviateci opinioni, idee, proposte, critiche. Pubblicheremo le più interessanti oltre a una selezione dei commenti alla nostra pagina Facebook. (www.facebook.com/FocusStoria). Scrivete a Focus Storia, via Battistotti Sassi 11/a, 20133 Milano o all’e-mail
[email protected] Storia
personaggi che hanno segnato Battaglie, invenzioni, scoperte, (dall’invenzione della scrittura). l’evoluzione della civiltà è stato più come prima. Dopo queste svolte niente
lE torri gEmEllE
21 luglio
1800
charlEs darwin
alEssandro Volta inVEnta la pila, primo gEnEratorE statico di EnErgia ElEttrica
1859 charlEs darwin pubblica l’origine delle specie, “bibbia” dEll’EVoluzionismo
giulio cEsarE
31 ottobre
570
1517
martin lutEro aVVia la sua riForma protEstantE E la chiEsa cristiana si spacca
313
costantino Emana l’Editto di milano. il cristianEsimo è rEligionE dEll’impEro romano ma c’è libErtà rEligiosa
profeti, papi, riforme e scismi fatali
16 luglio
scisma d’oriEntE: è la Frattura nEl cristianEsimo tra oriEntE E occidEntE
2900 a.C. ca.
590
a.C.
1206
FondazionE di roma, la città dEstinata a dominarE tutto il bacino dEl mEditErranEo E buona partE dEll’Europa continEntalE. lE origini sono aVVoltE nElla lEggEnda
Civiltà città, imperi, regni, popoli e nazioni
gEngis khan uniFica lE tribù mongolE. l’impEro mongolo si EspandErà dalla cina alla russia, Fino al mEdio oriEntE
960 a.C. ca.
si EdiFica il tEmpio di gErusalEmmE, simbolo dEgli EbrEi
1250 si Forma sullE andE l’impEro incaico, chE sottomEttE i rEgni locali. gli incas saranno poi stErminati dai conquistadorEs
476
la Ford modEllo t EscE dalla prima catEna di montaggio. è dEstinata a un mErcato di massa. nascE la sociEtà dEi consumi
1487
1728
eConomia leggi, trattati, banche e crisi epocali
1776
29 ottobre
1929 crolla la borsa di nEw York durantE il “martEdì nEro”. si aprE la più graVE crisi Economica dEl sEcolo, chE prosEguirà nEgli anni trEnta
in inghiltErra nascE il primo sindacato opEraio
1911
1407
2500 a.C.
nEl codicE di hammurabi si dEFiniscE (pEr iscritto) la propriEtà priVata
1826
l’olandEsE Jakob roggEVEEn sbarca sull’inEsplorata isola di pasqua
1497
il norVEgEsE roald amundsEn conquista pEr primo il polo sud
1792 a.C.
costruzionE in Egitto dEllE piramidi di giza. insiEmE ai succEssiVi tEmpli inFluEnzano tutta l’architEttura antica
ViEnE scattata la prima FotograFia, rEalizzata da JosEph nicÉphorE niÉpcE
1895 i FratElli lumièrE organizzano la prima proiEzionE priVata di un Film di animazionE. usano un cinématographe
nascE in mEsopotamia la scrittura, con l’introduzionE dEi carattEri cunEiFormi
a.C.
primo alFabEto FEnicio: ha 30 lEttErE
Cultura
1304
dantE alighiEri scriVE la divina commedia. con pEtrarca è il padrE dElla lingua italiana
1435 lEon battista albErti dEscriVE il mEtodo corrEtto pEr ottEnErE la prospEttiVa nEllE arti FiguratiVE. inizia il rinascimEnto
napolEonE ViEnE dErFintiVamEntE sconFitto a watErloo
26 luglio
1953
334 a.C.
inizio dlEla riVoluzionE cubana di FidEl castro
8 novembre
1917
1642
alEssandro magno inVadE la pErsia
scoppia in russia la riVoluzionE (chiamata d’ottobrE, comE da calEndario russo). prEndono il potErE i bolscEVichi
in inghiltErra si scontrano monarchia E parlamEnto
1949
rivoluzioni mutamenti di regime, rivolte e ribellioni
gennaio
1751
EscE l’encyclopédie di didErot E d’alEmbErt. si diFFondono lE idEE di illuministE contro pEna mortE E schiaVitù
15 agosto
1815
prima crociata: l’obiEttiVo dichiarato è libErarE i luoghi santi, in particolarE gErusalEmmE
1° ottobre
Vasco da gama raggiungE Via marE l’india circumnaVigando l’aFrica. si aprE una Via commErcialE altErnatiVa alla Via (tErrEstrE) dElla sEta
1100 letteratura, lingua e saperi
1776
la dichiarazionE d’indipEndEnza dEllE coloniE amEricanE usa. sanciscE la nascita dEgli con la costituzionE dEll’anno succEssiVo l’EmancipazionE dall’inghiltErra è dEFinitiVa
6 aprile
1909
inVasionE tEdEsca dElla polonia: è allE portE la sEconda guErra mondialE
1096
18 giugno
14 luglio
l’amEricano robErt Edwin pEarY raggiungE il polo nord
arti,
3500 a.C.
inizio dEllE guErrE pErsianE: nEl mirino sparta E atEnE, potEnzE grEchE
il britannico daVid liVingstonE Esplora il bacino dEl nilo E l’aFrica intErna. il colonialismo Entra nElla sua FasE più dura
28 dicembre
Fondata la prima banca pubblica d’Europa: è il banco di san giorgio, di gEnoVa. sEguita dalla prima borsa intErnazionalE (1460, ad anVErsa)
cristoForo colombo
le scoperte che hanno allargato gli orizzonti
14 dicembre
il dollaro diVEnta la Valuta uFFicialE dEi nEonati stati uniti
1347
eSplorazioni
V. J. bEring scoprE lo strEtto chE sEpara nord amErica E asia
6 luglio
1785
1° settembre
1939 la storia combattuta sui campi di battaglia
490 a.C.
1866
i turchi conquistano costantinopoli. crolla l’impEro romano d’oriEntE, ultimo ErEdE dEl mondo antico
guerre
a sEguito dElla tErza guErra punica i romani radono al suolo la sconFitta cartaginE
novembre
1453 2 settembre
31a.C.
Vittoria ad azio di ottaViano, Futuro primo impEratorE romano
146 a.C.
il naVigatorE olandEsE willEm Janszoon tocca il suolo australiano: è il primo sbarco documEntato
1722
28 giugno
1919
nascE la cEE. si Va VErso l’unionE dEl VEcchio continEntE
una grandE EpidEmia di pEstE giunta dall’asia cEntralE dimEzza la popolazionE EuropEa E innEsca una crisi agricola Ed Economica sEnza prEcEdEnti
12 ottobre
il naVigatorE gEnoVEsE cristoForo colombo scoprE l’amErica. ForsE non Fu il primo a mEttErE piEdE sul nuoVo continEntE, ma la sua imprEsa è un punto di sVolta
29 maggio
nascE in palEstina lo stato di israElE E subito inizia il conFlitto con i Vicini stati arabi
a.C.
giulio cEsarE passa il rubiconE con il suo EsErcito. è la FinE dElla FasE rEpubblicana di roma
1606
1492
bartolomEo diaz doppia il capo di buona spEranza
1521
settembre
49
uniFicazionE dElla gErmania. nascE il “sEcondo rEich” dEl cancElliErE bismarck. gli Equilibri EuropEi cambiano pEr sEmprE
con la marcia su roma inizia in italia la dittatura Fascista
1948
18 gennaio
1871
500 a.C.
in grEcia comparE l’abaco, prima Forma di calcolatricE, prEcEdEntEmEntE utilizzato anchE in cina
uomo sulla luna 28 ottobre
1922
28 giugno
in un attEntato a saraJEVo ViEnE ucciso l’arciduca FrancEsco FErdinando. è la scintilla chE Fa EsplodErE la prima guErra mondialE
cambi di scenari, conflitti, società, nuovi equilibri
il congrEsso di ViEnna dEFiniscE il riassEtto dEll’Europa dopo napolEonE
1202
lEonardo Fibonacci introducE in Europa i numEri arabi
alExandEr FlEming scoprE la pEnicillina. inizia così l’Era dEgli antibiotici, graziE ai quali si riducono notEVolmEntE i tassi di mortalità
il trattato di pacE di VErsaillEs dopo la grandE guErra imponE alla gErmania condizioni punitiVE chEcrisi. innEscano una proFonda dEl gli usa pongono lE basi prEdominio Economico E politico in Europa
25 marzo
1957
scoppia la crisi pEtroliFEra. i paEsi arabi bloccano lE ForniturE di pEtrolio
dantE alighiEri
1928
ad atEnE pEriclE Entra in politica. è considErato l’“inVEntorE”sE dElla dEmocrazia (anchEdi godE a tutti gli EFFEtti un potErE assoluto)
1914
politiCa
novembre
1814
1942
SCienza
l’universo, la medicina, i numeri e la fisica
FErdinando magEllano compiE la circumnaVigazionE dEl globo
in aFrica occidEntalE si sViluppa il grandE impEro dEl mali, il cui rE più Famoso Fu mansa musa (xiV sEcolo)
1973
il costruttorE di occhiali olandEsE JansEn rEalizza il primo microscopio
1687
30 gennaio
hitlEr è nominato cancElliErE: assumE piEni potEri E nEl giro di poco spazza Via tutta l’opposizionE. inizia in gErmania il tErzo rEich
Enrico FErmi ottiEnE a chicago la prima rEazionE nuclEarE
1590
isaac nEwton pubblica i principia, in cui dEFiniscE la lEggE dElla graVitazionE uniVErsalE
1235
caduta dEll’impEro romano d’occidEntE. l’impEratorE romolo augustolo ViEnE dEposto da odoacrE
1908
10
il trattato dEl FrancEsE a. parÉ Fonda la chirurgia modErna
nElla Francia riVoluzionaria l’accadEmia dEllE sciEnzE costruiscE il mEtro campionE, basE dEl sistEma mEtrico dEcimalE
753
nascE l’impEro cinEsE dEi qin
in mEsopotamia si sViluppano lE città-stato con la dinastia di uruk
1545
1795
grEgorio magno diVEnta papa E ponE lE basi dElla nascita dEllo stato dElla chiEsa
246 a.C.
uniFicazionE dEll’antico Egitto, potEnza pEr trE millEnni
si Firma la magna charta libertatum chE limita il potErE dEl rE in inghiltErra, concEdEndo libErtà E diritti
con un colpo di stato inizia l’EpopEa napolEonica
1933
a. laVoisiEr Formula la lEggE dElla consErVazionE dElla massa, alla basE dElla chimica modErna.
galilEo galilEi pubblica il suo dialogo sopra i massimi sistemi. dimostra la Validità dElla tEoria copErnicana, l’anno dopo è costrEtto a ritrattarE
1215 463 a.C.
9 novembre
1799
1789
1632
religione
1054
si aprE il concilio Vaticano ii Voluto da gioVanni xxiii.
ca.
00 31a.C.
11 ottobre
1962
100 inizio dElla ciViltà maYa in cEntroamErica
4
nascE cristo (quEsta la datazionE più accrEditata). nEi sEcoli succEssiVi il cristianEsimo si aFFErmErà nEll’impEro romano
l’italia è unita. Vittorio EmanuElE ii è il primo rE
15 giugno
JamEs watt inVEnta la macchina a VaporE. il watt, l’unità di misura dElla potEnza, prEndE il suo nomE
si diFFondono in pErsia i mulini a VEnto: pEr la prima Volta l’uomo sFrutta l’EnErgia Eolica
1861
attacco tErroristico islamista allE torri gEmEllE di nEw York E al pEntagono. gli stati uniti sono sotto attacco
1769 rEalizzazionE dEl prototipo di tElEVisorE
650 ca.
21 febbraio
2001 11 settembre
2 ottobre
1925
il tEdEsco JohannEs gutEnbErg mEttE a punto un sistEma di stampa a carattEri mobili. il primo libro a stampa è una bibbia
in cina VEdE la lucE conFucio
in cina si inVEnta il modo di FabbricarE la carta partEndo da brandElli cina di stoFFa usata. dalla giungErà anchE la polVErE da sparo
invenzioni che ci hanno cambiato la vita
1456
551 a.C.
in india nascE buddha, FondatorE dEl buddhismo
a.C.
105 d.C.
l’uomo sbarca pEr la prima Volta sulla luna
teCnologia
antonio mEucci brEVEtta in amErica il tElEFono
nascE maomEtto,
il FondatorE dEll’islam, rEligionE chE si diFFondErà oVunquE
560 a.C. ca.
1378
scisma d’occidEntE (si concludErà nEl 1417)
gioVanni xxiii
1871
1969
dEbutta arpanEt, la rEtE antEnata di intErnEt (il www è dEl 1991)
ca.
1969
1979
riVoluzionE in iran: Va al potErE l’aYatollah khomEini
387 a.C. ad atEnE ViEnE Fondata l’accadEmia FilosoFica di platonE
21 agost0
1968
a.C. 494 sEcEssionE dEl
14 luglio
1789
montE sacro: è il primo sciopEro. la plEbE diVEnta soggEtto politico
con la prEsa dElla bastiglia scoppia la riVoluzionE FrancEsE. trE anni dopo ViEnE abolita la monarchia E proclamata la rEpubblica
la cEcosloVacchia si ribElla al dominio soViEtico: è la primaVEra di praga
305 a.C. ca.
il lEadEr comunista mao tsE-tung proclama la nascita dElla rEpubblica popolarE cinEsE
9 novembre
1989
caduta dEl muro di bErlino: accElEra la disgrEgazionE dEl blocco soViEtico
il FaraonE EllEnistico tolomEo i Fa ErigErE ad alEssandria d’Egitto la prima grandE bibliotEca dEll’umanità. contiEnE quasi tuttE lE opErE allora EsistEnti
l’umanità (fattore alto) Fattore altri coinvolsero tutta locali (basso fattore d’impatto), di impatto alcuni ebbero conseguenze qui in ordine cronologico, globale tra gli eventi,
alExandEr FlEming
A curA di Aldo cArioli
e AnitA rubini. reAlizzAzione
infogrAficA: vittorio sAcchi.
copyright 2015 - AllegAto
A focus storiA n°100 - gruner+jAhr/mondAdori
rano dove si concent “date fatali”
59
11 in america centrale si svilupparono le maggiori civiltà precolombiane
5
dall’asia si sono diffuse invenzioni decisive
7
12
2
6 1
scr ittU ra cUn civi eifo piraUnifica ltà rme mid ziondi UrU cod i di giza e egit k ice di (egi to tem alfa Ham tto pio betomUr ) di abi fon ger fen daz Usa icio nas ione lem me nas cita di rom diff cita di bUd a Usio di dHa rivo ne confUc lta dell’ab io gUe della aco rre pleb acc età per e ade di sian alesmia di per e bibl san pla icle iote dro ton prim ca ales mag e dist o imp san no rUz ero dria ione cine car giUl tag se bat io ine tag cesa nas lia re cita di inve di azio nzio civi cris edit ne ltà to cad to della may Uta di cos car a nas imp tan ta cita ero tino di d’oc gre mao cid. gor met mUl io magto scis ini no ma a ven prim d’or to a croient imp ero nUm ciate di eri a gen ara mag gis bi imp na kHan ero cHa rta imp del ling ero mali Ua inca ital s scis pest ma e iana d’oc ner art primcide a cad e rina nte Uta scima ban cos ca tan ent cap invenzio tino ale o di ne pol colobUona stam i circ mbo sper pa Umn in anz avig ame a rifo circ rmaaz. rica afr Umn avigdi ica inve nas az.lUtero nzio cita glo ne cHir bo rivo scopermic Urg lUzi ta roscopia one aUs rivo cop tra io lUz ern lia teo ione ican ria ingl a isol di new ese enc str a di ton ylop etto pas édie di qUa nas mac illU bering cita cHin min deg a a ista vap primli stat ore nas o i cita sind Uniti del aca rivocHim dol to ica sist lUzione modlaro . met ern nap rico fra a ole decncese one ima al le bat tag pila pot con lia di ere inve gre di watvolta nzio sso erlo teo ne di vien o ria foto na evo gra lUz colo Uni ionifia Uni nial tà sta ism d’it inve fica o alia nziozion in afr ne e ger ica nas del man cate cita tele ia del fon con na di cine o qUis mon ma con ta tag pol gio atte qUis o rivontato ta polnord o tra lUzionedi sar sUd ttat ajev o di d’ot o inve mar ver tobre nzio cia sail les sco ne sU rom per tele cra ta visi a ck ant one di inva Hitl wal ibiotici prim sion er canl str a e del cell eet nas reazionla iere pol cita nas stat e nUc onia cita o lear di rivo cina isra e lUz pop ele nas ione ola con cita cUb re cili del ana prim o la ave vaticancee Uom ra di o o sUl pra ii la ga lUn rivocris arp a cad lUz i petr ane Uta ione olif t mUr iran era o di iana 11 ber sett lino emb re
2
0
1000 d.C.
3500 a.C.
1500
1900
2001
terra dell’impero incaico, il sud america fu depredato dagli europei
s.p.A.
le svolte
la distribuzione delle 100
l’america del nord divenne protagonista dopo la nascita degli stati uniti (1776)
dall’antichità culla della civiltà al novecento egizia, l’africa fu l’europa ha dato poi vittima del al mondo svariate colonialismo innovazioni europeo (e molte guerre)
il vicino oriente fu epicentro della civiltà palaziale
gli aborigeni
australiani rimasero isolati dal mondo fino al seicento
Date memorabili Nel poster ”100 date che hanno cambiato il mondo”, mi permetto di dissentire in due casi: 1) 18 giugno 1815: Waterloo. Questa data affascinante compare sempre negli studi di storia controfattuale, anche da voi ben trattati in passato. Napoleone aveva tutti i numeri per vincere quella battaglia ma, anche se avesse vinto, sarebbe stato irrimediabilmente sconfitto poco tempo dopo: troppa era la sproporzione delle forze. Inutile, quindi, disquisire sulle abbondanti piogge del giorno precedente, sul modo di agire di Ney e Grouchy ecc. Ipotesi tutte vane, poiché, come ha scritto Carlo Delcroix, “per la storia, la coerenza è nel fine e la logica nei risultati”; e la logica storica, nel 1815, voleva la sconfitta di Napoleone, poiché neppure un Napoleone può opporsi a tutto un mondo sollecitato da una nuova grande idea avviata a divenire realtà: la formazione in Stati indipendenti delle varie nazionalità. Non mi pare invece di avere visto (ma forse è colpa mia) il 14 ottobre 1066. La battaglia di Hastings cambiò veramente il mondo: senza di essa, l’Inghilterra sarebbe rimasta un protettorato scandinàvo [...]. 4
2) 313 (febbraio): editto di Milano. I due imperatori Costantino e Licinio si incontrarono a Milano, per dare attuazione all’editto di Nicomedia del 30 aprile 311, emanato, anche a loro nome, dall’imperatore Galerio, successore di Diocleziano e, come Augusto anziano, con potestà di legiferare per tutto l’impero. Galerio era stato il più feroce persecutore del cristianesimo e ammalatosi gravemente (le fonti dicono che il fetore generato dal morbo usciva dal palazzo imperiale e si spandeva per tutta la città) emanò l’editto di tolleranza ed ordinò di costruire chiese. Cinque giorni dopo, Galerio morì, ma il suo editto rimase: il 28 ottobre 312 Massenzio, che non volle accettare l’editto, fu sconfitto da Costantino alla battaglia di Saxa Rubra (impropriamente chiamata del Ponte Milvio, perché, da tale ponte, lo sconfitto Massenzio cadde nel Tevere e annegò). Quindi, l’editto di Nicomedia cambiò il mondo, non quello di Milano, che ne fu solo il rescritto. Antonio Baldissera, Bologna
Duca di padre incerto Riguardo all’articolo di pag. 64 (Focus Storia n° 100) su Federico da Montefeltro, voglio fare una precisazione. Ho letto che era figlio naturale del conte Guidantonio da Montefeltro ma, invece, era figlio del capitano di ventura Bernardino Ubaldini della Carda (il condottiero della Battaglia di san Romano di Paolo Uccello) e di Aura (lei sì, figlia del conte Guidantonio). Nacque a Gubbio nel 1422 ed ebbe come fratello Ottaviano II, conte di Apecchio e della Carda, che governò il ducato d’Urbino nelle sue assenze e alla sua morte assunse la reggenza per il nipote Guidobaldo. Una tesi, quella dell’appartenenza del duca Federico agli Ubaldini, sostenuta già all’epoca dei fatti (in
alcuni antichi alberi genealogici è citato come Federico Ubaldini da Montefeltro) ed ancora oggi da storici locali di Apecchio. Matteo Milli, Apecchio (Pesaro Urbino)
Risponde Matteo Liberti, autore dell’articolo. Pur riconoscendo l’esistenza della tesi secondo cui Federico fosse figlio di Aura e Bernardino Ubaldini e non di Guidantonio (ma da questi voluto a corte, “adottato” e rivendicato come figlio proprio), la questione resta dubbia per gli storici. Lo stesso Pierantonio Paltroni, segretario e biografo del duca, non dice nei suoi scritti se il suo signore fosse un Montefeltro o un Ubaldini. Abbiamo preferito attenerci alla versione generalmente accettata dagli storici. Come sostiene la studiosa Marinella Bonvini Mazzanti, «Federico vuole essere un Montefeltro e nella vita privata si comporta come tale». Per questo, non trattandosi di un articolo sulla genealogia del duca, abbiamo scelto di non affrontare la diatriba. Peraltro, in entrambi i casi Federico (che si considerò sempre figlio di Guidantonio) avrebbe Dna dei Montefeltro; sia che fosse figlio di Guidantonio sia che ne fosse il nipote. Il che non toglie legittimità all’ ”ipotesi Ubaldini”.
Spade e spadoni Scrivo per fare una precisazione riguardo l’articolo sulle armature del numero 100. La spada in corredo all’armatura a pag. 42 (a destra) è una spada da lato che, come si deduce dal nome, si portava al fianco e non (come
erroneamente segnalato dalla descrizione) una spada a due mani. Oltretutto le famose spade a due mani erano pressoché in disuso tra i fanti che, dovendosi muovere schierati in quadrato, preferivano utilizzare spade molto più corte come la storta veneziana o mezze spade come il pugnale bolognese e la cinquedea. Le spade a due mani in campo di battaglia si vedevano utilizzare da “serragenti” e ufficiali di grado inferiore e venivano denominate tranciapicche o spezzapicche, per l’utilizzo che se ne faceva. Questo ruolo veniva denominato anche “doppio soldo” dato che l’interessato prendeva il doppio di un fante normale data la pericolosità del suo ruolo. [...] La spada da lato era utilizzata a una mano, e gli archetti ben visibili in foto servivano per infilarci l’indice in modo protetto per poter garantire un più preciso utilizzo della punta della spada, essenziale nel Cinquecento. Matteo Coldebella
SCALA
100DATEmonDo BIaTo IL che hanno caM
Se ne è andato il nostro testimone Lo scorso 30 gennaio è mancato Ettore Zocaro, ex Internato militare italiano (Imi), intervistato da Dario Biagi nel suo articolo sui prigionieri di guerra italiani dei tedeschi (e apparso su Focus Storia n° 101). L’ultimo suo con-
CINECITTA LUCE /SCALA, FIRENZE
Il primo cane poliziotto Vorrei segnalarvi la storia del primo cane poliziotto italiano (foto), che negli Anni ’60 veniva raccontata nelle scuole. Si chiamava Dox (1947-1965) e con il suo proprietario e addestratore, il brigadiere Giovanni Maimone, partecipò attivamente a tante azioni di polizia rischiando la vita per ben 7 volte. Mi meraviglio che in Italia non venga più ricordato dopo tutto il lavoro svolto. Si ricordano episodi di cani d’altri tempi come, ad esempio, Hachiko, Greyfriars Bobby e cani in guerra, ma di Dox quasi nessuno se ne ricorda più. All’epoca era su tutti i settimanali con le celebrità di allora. Mi sorge un dubbio: non sarà che non viene più ricordato perché Maimone intentò una causa (poi vinta) alla polizia per il rimborso del mantenimento di Dox? Il monumento di Dox si trova nel giardino della casa di Maimone sita sulla via Braccianese, presso il comune di Bracciano. Su questa storia esiste un unico, vecchio libro, Dox il detective, della scrittrice Cyta Vacanti. Ettore Marinelli
Le vere ragioni del brindisi Vi scrivo in merito al “Chi l’ha detto?” del n° 100 di Focus Storia. Mi permetto di far osservare che il commento all’affermazione contenuta nell’articoletto è in qualche modo fuorviante e comunque
non aderente alle reali intenzioni degli “autori” (uno greco, uno romano) di quel verso. Il grande Orazio non pronunciò il verso “Nunc est bibendum” (“Ora bisogna bere”, oppure “Ora è tempo di bere”) come un semplice amante dei piaceri della vita sulla falsariga degli epicurei, ma come un invito a tutti a gioire della morte di Cleopatra, incarnatrice di pericolo e minaccia della stabilità della “civitas romana”. L’illustre poeta greco Alceo (l’originale cui attinse Orazio) con la stessa frase esortava i suoi concittadini a brindare alla dipartita di Mirsilo, crudele e spietato tiranno di Mitilene. L’esortazione di cui si parla quindi non si limita a invitare a godere e a divertirsi, ma ha valenze ben più profonde e significative, recanti insegnamenti politici e morali. Detto questo, voglio congratularmi con voi per il magnifico lavoro che state svolgendo: è da due anni che mi regalano l’abbonamento a Focus Storia e mai dono è stato più gradito e ben accetto. Rosario Reale Castello
Trame africane Vi ringrazio per aver parlato del grande leader africano Thomas Sankara, che purtroppo è poco conosciuto nel nostro Paese dato che l’Italia è completamente disattenta sulle questioni politiche e sulla storia africana. Vorrei però aggiungere qualche informazione in più. Il Burkina Faso di Sankara, oltre a quello che avete giustamente scritto voi, faceva paura alla Francia in quanto era anche una spina nel
tributo per testimoniare quella vicenda drammatica e a lungo rimossa è stato proprio la conversazione avuta con Dario Biagi, autore dell’articolo, per la quale ringraziamo i suoi cari e con la quale lo ricordiamo.
fianco per la vicina Costa d’Avorio del presidente Felix HouphouetBoigny; questo Paese era il “gendarme” degli interessi francesi in Africa Sub-sahariana. Fu proprio il leader ivoriano, supportato da Parigi e in parte anche da Washington, a sostenere con finanziamenti e armi Blaise Compaorè, che assassinò Sankara e poi prese il potere adottando una diplomazia filo-francese. Negli ultimi anni, dopo la guerra civile scoppiata in Costa d’Avorio, il Burkina Faso è divenuto il partner o meglio l’alleato principale di Parigi in Africa visto che il presidente burkinabè Compaorè fu “l’ascaro” dell’Eliseo e dei suoi interessi. Sebbene non ci fosse più nel Golfo di Guinea la minaccia del socialismo anticoloniale, iniziava allora a rafforzarsi l’egemonia regionale e continentale della Nigeria che come obiettivo principale aveva (e ha) scalzare la Francia dall’Africa Occidentale anche attraverso l’organizzazione regionale Ecowas/Ecomog, creata e sostenuta proprio dai governi nigeriani. L’ex colonia francese aveva il compito di creare conflitti nell’area, erodendo la “pax africana” imposta dal gigante africano. Dopo il recente golpe avvenuto in Burkina Faso, la Francia teme che la Nigeria e in parte anche Ghana e Senegal possano essere ostili al perdurare della sua influenza [...]. E paventa che quanto accaduto a Ouagadougou prima o poi accada anche in Togo, Camerun, Gabon, Ciad e Repubblica del Congo [...], baluardi contro l’egemonia di Nigeria e Sudafrica, nuovi protagoni-
sti del continente che decideranno la storia africana (come già aveva ben intuito lo storico burkinabè Joseph Ki-Zerbo). Raffaele Scirocco, Messina
I Bizantini che facevano? Desidero fare due domande su due avvenimenti storici avvenuti nel 476 e nel 568 dopo Cristo. 1) Perché l’ultimo imperatore Romolo Augusto, deposto da Odoa cre, non fu aiutato a riprendersi l’ex Impero romano d’Occidente? In che anno è morto? 2) L’invasione dei Longobardi si fermò un anno nel Friuli, ex regione romana Venetia et Histria, dal 568 al 569 d.C. Dopo dilagarono nella Penisola italica: perché i signori occupanti Bizantini non intervennero per respingerli in Pannonia da dove erano venuti? Paolo Rutigliano
I Bizantini intervennero sì contro gli Ostrogoti (che sconfissero) con la guerra gotica (finita nel 553, quando Romolo Augusto non c’era più). La seconda risposta troverà in parte risposta nel prossimo Focus Storia, in un Primo piano sui Longobardi.
I NOSTRI ERRORI
Focus Storia n° 100, pag. 70: nell’Orlando furioso, a combattere travestita da uomo è Bradamante; pag. 82, nella foto, quello indicato come il tempio di Artemide a Efeso è la Fontana di Traiano. 5
novità e scoperte
A
nche i soldati assiri soffrivano del disturbo post-traumatico da stress (anche conosciuto come Ptsd ovvero Post-traumatic stress disorder). La tipica “malattia dei reduci” è stata scoperta durante la Prima guerra mondiale e portata alla ribalta negli Anni ’60-’70 con la Guerra del Vietnam: in realtà si tratta di una patologia che ha radici molto più antiche. Secondo uno studio coordinato da Jamie Hacker Hughes, direttore del Veterans and Families Institute presso la Anglia Ruskin University (Gran Bretagna), nelle tavolette cuneiformi dell’Impero assiro (1300-609 a.C.) sono descritti sintomi che richiamano la sindrome da postconflitto: allucinazioni con i fantasmi delle vittime che tornano a tormentarli, flashback, disturbi del sonno e depressione.
Primi segnali. Fino a qualche tempo fa la prima descrizione di questa sindrome era considerata quella di Erodoto (V secolo a.C.). Raccontando del guerriero Epizelo, combattente nella battaglia di Maratona del 490 a.C., lo storico greco racconta che “mentre combatteva nella mischia comportandosi da valoroso, perse la vista, senza essere stato ferito”. Nei testi assiri queste manifestazioni vengono attribuite all’azione degli spiriti dei nemici uccisi. Più scientificamente il team di ricercatori, che ha intitolato lo studio “Niente di nuovo sotto il sole: Ptsd nel mondo antico”, li considera una chiara manifestazione della patologia che affligge i soldati che hanno partecipato ad azioni violente e rischiose e non riescono a liberarsi dall’ombra della guerra. (a. b.)
EPA/ANSA (2)
Lo stress dei reduci parte dagli Assiri
Post bellico
SCALA
Soldati assiri in un rilievo del VII secolo a.C. Anche loro erano stressati.
IN PILLOLE
1
La prima pizza
Il primo uso della parola “pizza” risalirebbe a un contratto del 997 d.C., per l’affitto di un mulino a Gaeta. Sarebbe dunque uno dei primi vocaboli del nostro volgare. 6
2
Antichi riti
Ritrovate nel deserto del Negev (Israele) pietre preistoriche a forma di organi sessuali del 6000 a.C. Sarebbero connesse a rituali ancestrali di fertilità e di morte.
3
Il ritratto di Anna Bolena
Per lei Enrico VIII ruppe col papa e fondò la Chiesa anglicana. Ma dopo la decapitazione di Anna Bolena (1536) ne fece distruggere i ritratti. Oggi uno è stato identificato come suo.
Un gruppo di subacquei dilettanti ha scoperto un tesoro di monete risalenti al X-XI secolo d.C. Il più grande (e perfettamente conservato) mai trovato in Israele.
Tempi d’oro Una delle monete del tesoro (a sinistra, un momento del recupero e l’intero “bottino”).
monete sotto il mare di Israele È
il simbolo stesso del sogno dell’archeologo: trovare un tesoro di monete d’oro. La fortunata impresa è riuscita a un gruppo di subacquei dilettanti, che nel mare di fronte all’antica città di Cesarea, in Israele, ha rintracciato duemila monete d’oro di età medioevale. Il tesoro risale all’epoca del califfato fatimide di Egitto e Medio Oriente, tra IX e XI secolo d.C. Le monete sono di tre valori: un dinaro, mezzo dinaro e un quarto di dinaro, di varie dimensioni e peso. La più antica è un quarto di dinaro coniato a Palermo nella seconda metà del IX secolo. La maggior parte delle altre monete risale ai califfi fatimidi Al-Hakim (996-
4
Super tatuato
Un nuovo tatuaggio è stato scoperto sul corpo di Oetzi, morto sulle Alpi 5.300 anni fa. Da allora sono stati svolti diversi studi per identificarne le incisioni sulla pelle.
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AFP/GETTY IMAGES
WWW.STRESS-SCARL.IT
2000
Il drone al lavoro sul sito di Cerreto Sannita (Bn).
1021) e di Al-Zahir (1021-1036), coniate in Egitto e Nord Africa nei decenni precedenti alle Crociate (iniziate nel 1096), ma che restarono in circolazione nei secoli successivi. Caccia aperta. Molte delle monete ritrovate mostrano i segni lasciati dall’uso e dai controlli dei mercanti: infatti sono state piegate e conservano i segni dei morsi, per testarne l’oro. A parte questo, secondo l’Israel Antiquities Authority sono in ottimo stato di conservazione e addirittura non necessitano di alcun intervento nonostante i mille anni in fondo al mare. Ora gli archeologi danno la caccia al relitto e al resto del carico. •
Tribune numerate
Come in uno stadio moderno anche al Colosseo c’erano le entrate numerate. Sono stati scoperti numeri rossi sulle arcate, che indicavano i settori a cui si accedeva.
Indiana Jones? È un drone
Q
uando l’archeologia scopre il futuro: archeologi italiani hanno usato un drone (ribattezzato Indiana Jones, in omaggio al loro famoso “collega” protagonista dei film di Steven Spielberg) per realizzare i rilievi del sito di Cerreto Sannita, in provincia di Benevento. La cittadina venne distrutta da un potente terremoto nel 1688 e sepolta sotto le macerie. Le informazioni raccolte permettono di realizzare una ricostruzione virtuale dell’antica cittadina e di guidare futuri scavi archeologici: grazie a impulsi laser inviati dal drone vengono infatti individuate le coordinate delle diverse strutture di una certa area, rendendo possibile un rilievo tridimensionale e un modello 3D dell’area archeologica. Lavori in corso. Il drone è stato prodotto da “Stress”, distretto ad alta tecnologia per le costruzioni sostenibili in Campania, in collaborazione con l’Istituto per le Tecnologie applicate ai Beni culturali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr). Sono anche previsti la messa in sicurezza dell’area, il restauro degli edifici nonché la catalogazione dei manufatti e delle eventuali opere d’arte rinvenute. (f. x. b.) 7
novità e scoperte
Invadiamo l’Australia
Una rappresentazione simbolica di Città del Messico, antica e moderna (sotto).
U
GABRIEL GARCIA FOR THE SANTA FE INSTITUTE
na delle ultime imprese della potenza imperiale spagnola doveva essere la più impegnativa. Così impegnativa che non fu intrapresa. Il sogno segreto era quello di invadere l’Australia. Chris Maxworthy, dell’Australian Association for Maritime History, ha ritrovato un documento con il piano di invasione di Madrid: inviare cento navi dal Sud America per bombardare Sydney. Siamo alla fine del ’700, in Francia c’è già stata la rivoluzione, ma per la Spagna in decadenza il nemico è la rivale di sempre sui mari, la Gran Bretagna. Avvisati. Nel 1793 era stato il navigatore italiano Alessandro Malaspina a confermare a Carlo IV che la colonia fondata da Londra nel 1788 rappresentava una minaccia. Le indecisioni nel dare il via all’azione portarono al suo annullamento.(a. b.)
A confronto. Secondo modelli matematici realizzati per descrivere come cambiano le città moderne con il crescere della popolazione, si è compreso che più grande è l’insediamento, più esso è produttivo. Elementi chiave sono la densità di popolazione, le infrastrutture, la produzione di beni e servizi, le strutture abitative e pubbliche. Si è visto, per esempio, che l’aumento della popolazione è più veloce dello sviluppo delle infrastrutture e, d’altro canto, la produzione di beni e servizi è più rapida dell’incremento degli abitanti. I ricercatori di Santa Fe hanno applicato gli stessi modelli agli insediamenti del Messico azteco. Il risultato? Le equazioni che servono a descrivere i modelli di sviluppo delle aree urbane moderne funzionano bene con quelle antiche. •
Metropoli antiche e moderne
Più sono grandi, più sono efficienti: le città funzionano così, oggi come ieri.
C
he cosa è cambiato nelle città dopo millenni di sviluppo? Quale impatto hanno avuto capitalismo, democrazia e industrializzazione sui centri urbani? Andando al sodo, poco o niente.
Il re spagnolo Carlo IV: a fine ’700 progettò di invadere l’Australia, per colpire l’Impero britannico.
I ricercatori del Santa Fe Institute e della University of Colorado Boulder se ne sono accorti esaminando i resti archeologici e i dati relativi a Città del Messico, in un periodo di duemila anni.
Aldo Bacci
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E
rano top secret, ma invece di essere distrutti servirono a tappare gli spifferi per ripararsi dal freddo. Sono gli appunti (a destra, un foglio) della squadra di decifratori britannici che, nella Seconda guerra mondiale, svelarono il codice nazista Enigma, contribuendo alla vittoria alleata. Li guidava il matematico Alan Turing (nella foto, a destra) cui è dedicato il recente film The Imitation Game. Infallibile. Nel 1939 a Bletchey Park, 75 km a ovest di Londra, sede dell’unità inglese di crittoanalisi,
partì la guerra crittografica contro i tedeschi, il cui sistema Enigma pareva invincibile. Ma nel 1942 la macchina Bomba, progettata da Turing, cominciò a decifrare migliaia di messaggi al mese. Al matematico si deve il metodo (banburismo) che ha preso il nome proprio dalla carta usata, prodotta a Banbury nello Oxfordshire. I decifratori praticavano dei fori (i messaggi criptati) su due fogli e
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Appunti murati
li facevano scivolare uno sull’altro fino ad allinearli. Così compresero le impostazioni del rotore di Enigma, cambiate ogni giorno. Proprio questi fogli, con tanto di appunti, furono ritrovati nel 2013 durante una ristrutturazione: da febbraio sono esposti a Bletchey Park. (g. l.)
agenda A cura di Irene Merli
MOSTRA
FIRENZE
Il potere
dei
bronzi
Statuetta di Alessandro Magno a cavallo (I sec. a.C.). Sotto, statua di Atena, o “Minerva di Arezzo”, 300-270 a.C.
EVENTO
TARANTO
Le donne di Federico In una grotta ipogea del 1200, ceramiche d’autore dello svevo Federico II e delle sue illustri mogli e amanti. 2-9 aprile. Quartiere delle Grottaglie. Info: 099 568442334 www.ceramichepinto.it
MOSTRA
GORIZIA
Interventismo
A
ttraverso 50 capolavori in bronzo del periodo ellenistico (IV-I secolo a.C.) la rassegna fiorentina “Potere e pathos” presenta al pubblico statue bronzee di divinità, atleti ed eroi affiancate a ritratti di personaggi storici e sculture, in un percorso che conduce i visitatori a scoprire le avventurose storie dei ritrovamenti di queste grandi opere antiche. Nella maggior parte dei casi, avvenuti nelle acque del Mediterraneo, del Mar Nero o nel corso di scavi archeologici. Bronzi globalizzati. I reperti in mostra sono messi in relazione ai loro contesti d’origine, che erano santuari, spazi pubblici, aree funerarie e case private. La gran-
de statuaria bronzea, infatti, era utilizzata sia come “voto”, sia a scopo commemorativo, funerario o decorativo, nell’ambito di ville e domus importanti. I bronzi raccolti a Palazzo Strozzi raccontano inoltre della prima globalizzazione del mondo: quella del linguaggio artistico. In epoca ellenistica, infatti, l’arte si internazionalizzò diventando comune in tutto il bacino del Mediterraneo e ovunque fosse arrivato il cosmopolitismo diffusosi dalla morte di Alessandro Magno. Le statue di “Potere e pathos” provengono dai più importanti musei italiani ed esteri, come il Kunsthistorisches di Vienna, il Louvre, il Metropolitan di New York. •
Fino al 21/6. Palazzo Strozzi. Info e prenotazioni: 0552645155, www.palazzostrozzi.org
Esposte Dimostrazione interventista di Giacomo Balla, capolavoro riscoperto, altre sue tele proguerra e cartoline di propaganda. Fino al 6/1/2016. Museo della Grande guerra. Info: 0481 5333926, www.provincia.gorizia.
FESTIVAL
MODENA
Festival del Gioco All’interno di Play, una sezione dedicata alla Storia e in particolare ai 70 anni dalla Resistenza e alla fine della Seconda guerra mondiale. 11-12 aprile. Fiera. Info: 059 848380, www.playmodena.it
SAGRA
CAMPOBASSO
La Cappella di Santa Lucia La patrona si festeggia con processione alla chiesa a 3 km dal borgo e con asta di dolci. Si tratta di un’antica tradizione croata. 12 aprile. Montenigro (Cb). Info: 0874 877259. 11
microstoria A cura di Marta Erba e Maria Lombardi
PAROLE DIMENTICATE
C A R C A M E
DEA/GETTY IMAGES
Probabilmente derivato dal latino caro, carnis (“carne”), indicava l’insieme delle ossa di un animale in parte spolpato o, per estensione, i resti di un’imbarcazione abbandonata.
Fondatore di Corinto, e suo primo re, SISIFO era il più furbo dei mortali. Numerosi sono gli episodi della mitologia greca di cui è protagonista, ognuno dei quali prova la sua tendenza a ingannare gli dèi. Ma Sisifo è noto soprattutto per la punizione esemplare cui lo sottopose Zeus. Eterna fatica. Una volta giunto nell’Ade, Sisifo venne condannato per l’eternità a spingere un macigno, con la sola forza delle braccia e facendo leva con la testa, dalla base alla cima di un monte. Tuttavia, ogni volta che Sisifo raggiungeva la cima, il macigno rotolava nuovamente alla base del monte e ogni volta lui doveva ricominciare da capo la sua scalata. L’espressione “fatica di Sisifo” indica oggi un’impresa che richiede grande sforzo senza alcun risultato, o destinata a vanificarsi non appena compiuta. 12
COSTA/LEEMAGE
IL MITO
LA VIGNETTA
SPECULATORI! Questa stampa, copia di una satira dell’inglese William Hogarth (1697-1764), ricorda il primo grande crack borsistico della Storia, la “bolla della Compagnia del Mare del Sud”, del 1720. Grandi attese. La South Sea Company era una società commerciale inglese nata nel 1711. Si era accollata l’enorme debito pubblico della Corona britannica (31 milioni di sterline, quasi tutte per spese belliche) convertendolo in propri titoli, ceduti poi ai creditori dello Stato. In cambio ottenne l’esclusiva sui commerci con il Sud America. Questa circostanza e un’abile propaganda della Compagnia, insieme ad aspettative di incredibili guadagni futuri nei commerci sudamericani, fece
schizzare verso l’alto il valore delle azioni. Ma nel settembre del 1720 si scoprì che quelle aspettative si fondavano su notizie false e che l’operazione era poco più che una frode. Le azioni crollarono e in molti persero ingenti fortune. Derisi. La stampa mostra la City di Londra (si vedono il Palazzo delle Corporazioni e la cupola della St. Paul’s Cathedral) con una grande “ruota della fortuna”, simbolo di una Borsa che si affida al caso e all’irrazionalità. I personaggi sono notabili e non coinvolti dalla bolla, esponenti di tutti gli strati sociali inglesi; tra loro, i poeti John Gay e Alexander Pope e il fisico Isaac Newton. In primo piano, legata alla ruota della tortura, l’allegoria dell’onestà.
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CHI L’HA DETTO?
IL NUMERO
50
METRI
L’altezza raggiunta dai depositi di guano nelle isole al largo del Cile intorno al 1865, poi sfruttati dagli inglesi.
TOP TEN
“Timeo Danaos et dona ferentes” Laocoonte tenta invano di convincere i suoi concittadini a diffidare di questo gesto. Oggi. La frase è usata per ricordare che non ci si deve fidare mai di chi si ritiene nemico, anche se ha atteggiamenti amichevoli.
L’OGGETTO MISTERIOSO All’estremità ha un vasetto. L’intera struttura è alta 24 centimetri, larga 15 e pesa 240 grammi. Presenta una scala graduata da 40 a 80 grammi, con lettere in corrispondenza dei settori colorati. A cosa serviva? Aspettiamo le vostre risposte, indicando anche la località, a: Focus Storia, via Battistotti Sassi, 11/a - 20133 Milano oppure a
[email protected]
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Molti lettori sono stati ingannati da questo curioso oggetto che, lo ammettiamo, non era proprio di uso comune: molti hanno pensato a un cornetto acustico. Ha indovinato Guido Boella, di Roma: si trattava di un antico anuscopio, usato per ispezioni rettali.
D.VITTIMBERGA
La frase latina, che significa “Temo i Danai anche se portano doni”, è citata nell’Eneide di Virgilio. A pronunciarla è Laocoonte, quando i Troiani trovano all’ingresso della città un cavallo di legno donato dai Greci (i “Danai”), loro storici nemici.
I LUOGHI ITALIANI DEL MISTERO
1
Cappella Sansevero (Napoli) Tempio massonico ospitato in una chiesa oggi sconsacrata e fatto costruire nel 1750 da Raimondo di Sangro.
2
Il giardino di Bomarzo (Viterbo) Detto “parco dei mostri” perché ospita varie sculture di animali fantastici, fu fatto costruire da Vicino Orsini nel 1547.
3
Villa Palagonia (Bagheria, Palermo) Fatta costruire nel 1715 da Francesco Ferdinando di Gravina, principe di Palagonia, è decorata da statue di esseri deformi.
4
Porta Alchemica (Roma) Detta anche “Porta magica” o “Porta dei cieli”, era uno degli ingressi di Villa Palombara, costruita a metà del XVII sec.
5
Piazza Statuto (Torino) Al centro si apre l’accesso al sistema fognario, visto da alcuni come l’ingresso delle tre Grotte alchemiche presenti in città.
6
Castel del Monte (Andria) Imponente costruzione nelle Murge, fatta realizzare da Federico II nel 1240. Vi si ripete ossessivamente il numero otto.
7
Catacombe di San Callisto (Roma) Tra le parti più antiche ed estese (oltre 20 chilometri) della rete di gallerie che si sviluppano nel sottosuolo di Roma.
8
Antro della Sibilla (Cuma, Napoli) Qui, dice la tradizione, la Sibilla cumana faceva le sue profezie. Per alcuni storici era invece una struttura militare di difesa.
9
Dunarobba (Terni) Scavando argille per la vicina fornace è venuta alla luce una foresta pietrificata che risale a circa due milioni di anni fa.
VOCABOLARIO: BAGNOMARIA L’idea di un recipiente con acqua scaldata in cui immergere quello con il cibo, senza esporlo all’azione diretta della fiamma (nella foto: cioccolato a bagnomaria per ottenere una cioccolata calda), avrebbe origini bibliche. A usare per la prima volta questo processo sarebbe stata, infatti, la sorella di Mosè e Aronne, Myriam (Maria in egiziano).
Rocca Ubaldinesca (Sasso Corvaro, Pu) Ogni anno, il 26 agosto, si sentirebbe un bisbigliare confuso, interrotto da pianti e grida, e il crepitare di un incendio.
10
13
curiosario A cura di Giuliana Rotondi
Soldati, abbottonati!
A
V. SIRIANNI
partire dalla seconda metà del XVI secolo, tra i soldati si diffuse una nuova moda, quella dei bottoni. Si iniziarono a cucire piccole “gemme” sui polsi delle maniche delle giacche, che rivoluzionarono per sempre l’aspetto delle divise militari. Il trend partì dall’Inghilterra: fu la regina Elisabetta, pare, la prima a imporre questa novità alle divise ben poco pratiche del suo esercito. La novità ebbe una serie di conseguenze positive: facilitava notevolmente il processo di ricarica dell’archibugio (e successivamente quello del fucile), evitando noiosi e fastidiosi intoppi con la stoffa (la giacca grazie ai bottoni era più aderente al corpo). Non era l’unico vantaggio di quella svolta: la manica si poteva infatti arrotolare a metà braccio fermandola grazie ai bottoni (salvo srotolarla se faceva troppo freddo). Da quando la moda si impose, fu un diffondersi a macchia d’olio di bottoni in vari materiali, tra cui oro e argento per gli ufficiali. A metà Seicento numero e tipologia di bottoni si affiancarono stabilmente ad altri elementi distintivi delle divise, come le mostrine dei reggimenti. Napoleonici. Qualche volta i bottoni giocarono un ruolo anche in battaglia. Le divise delle truppe napoleoniche, durante la campagna di Russia del 1812, avevano un difetto: erano di stagno e con il gelo si polverizzavano. Questo costrinse i napoleonici a combattere e affrontare la ritirata a temperature polari facendo i conti con cappotti e calzoni che non si chiudevano.
Detective all’americana
Il melograno esplosivo
L
I
a prima agenzia di investigazione americana fu fondata da Allan Pinkerton (1819-1884), figlio di un poliziotto di Glasgow (Scozia). Emigrato negli Stati Uniti, risolse il caso di alcuni furti di cavalli che stava mettendo in allarme la cittadina in cui si era stabilito. Gli abitanti lo nominarono sceriffo e lui, entusiasta del nuovo mestiere, si trasferì poi nella vicina Chicago, fondandovi nel 1850 la 14
sua agenzia di investigazione, dal motto emblematico: “Non dormiamo mai”. Agenti 10 e lode. Pinkerton e i suoi uomini si dimostrarono anche ottimi agenti segreti e guardie del corpo durante la Guerra di secessione. Nel 1861 scongiurarono un attentato a Lincoln: purtroppo, quando il presidente fu assassinato oltre 4 anni dopo, la sua incolumità non era più affidata all’Agenzia Pinkerton.
cinesi hanno inventato molte cose. Anche la famigerata granata, chiamata così per la sua somiglianza al frutto del melograno (in latino Punica granatum), che si presenta come una sfera piena di grani. I cinesi la inventarono durante la dinastia Song (9601279) inserendo all’interno di una palla metallica una polvere nera “magica” – la polvere da sparo – e frammenti di metallo.
Anche in Europa. Le granate, adottate dai Mongoli, furono importate in Europa verso la fine del XV secolo. Per lanciarle furono addestrati i soldati più alti, i granatieri. Ci si accorse poi che erano più utili se combattevano armati di fucile, ma mantennero ugualmente quel nome. Con la guerra moderna la granata fu adattata al lancio da obici e perfezionata nella variante chiamata “bomba a mano”.
ANTICHITÀ
Tesori e misterioso declino del regno africano, culla di civiltà e custode (forse) dell’Arca dell’Alleanza
AXUM
l’impero dell’altopiano
Chi era la regina di Saba?
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G
li antichi testi sacri monoteisti ne parlano diffusamente. A cominciare dalla sua leggendaria visita a re Salomone. Ma, sulla regina di Saba, archeologia e documenti non sono altrettanto generosi. Anzi, non offrono alcun riscon-
tro. Non ci dicono neppure il suo nome, visto che è chiamata Belquis da fonti arabe e Makeda da quelle etiopi. Sappiamo solo che era regina dei Sabei, una popolazione arabica. Il summit. La logica rende però plausibile un
incontro al vertice tra gli esponenti di due regni capisaldi di quell’importante arteria commerciale, la Via dell’incenso: Marib (capitale dei Sabei, oggi nello Yemen) e Gerusalemme. Ma la cronologia non collima. Se l’incontro
D Cristiani d’Africa
avvenne, non fu di certo nel X secolo a.C., al tempo di Salomone, bensì molto più tardi (al tempo dei Sabei). Ma c’è altro che non quadra. Per esempio, perché la regina, partita dallo Yemen, al ritorno se ne sarebbe andata in Etio-
pia (dove Axum era ancora da fondare) con il figlio Menelik, mezzo sabeo e mezzo ebreo, ma del tutto estraneo a quella terra? Va bene i rapporti commerciali, ma tra Etiopia e Yemen c’è di mezzo il mare (Rosso).
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Croce copta rinvenuta ad Axum, nel Tigrè, regione settentrionale dell’Etiopia (sullo sfondo, una veduta panoramica). In basso a sinistra, la regina di Saba in un’icona etiope del Settecento.
ire Etiopia, per noi italiani, vuol dire pensare al periodo tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. D’altronde, è in quell’epoca che le vicende di casa nostra s’intrecciano con quelle del Paese africano, dalle battaglie di Dogali (1887) e Adua (1896), primi tentativi d’espansione italiana nel continente nero, alla durissima occupazione coloniale fascista del 1935, terminata nel 1941 con la sconfitta inflittaci dagli inglesi e il ritorno sul trono di Hailé Selassié. Eppure l’Etiopia ha una storia ben più ricca e antica. E proprio Hailé Selassié, con il suo doppio ruolo di capo politico e spirituale, che incarnava il sogno d’indipendenza africano e quello del riconoscimento come divinità all’interno della religione rastafari, non fu che il più recente rappresentante di una civiltà che ha saputo dominare un’area estesissima e costituire un importante punto di riferimento religioso. Tesori e commerci. È intorno al III millennio a.C. che le cronache delle prime dinastie egizie iniziano a parlare della mitica Terra di Punt, ovvero l’area che si ritiene corrisponda più o meno all’Etiopia attuale, ricca di animali esotici e beni preziosi, dalla quale in seguito cominciarono a essere importati oro, avorio, incenso, ebano, piume di struzzo, animali selvatici, spezie e pure schiavi. Proprio la posizione favorevole al commercio proveniente dall’India e dall’Estremo Oriente verso l’Egitto e i Paesi affacciati sul Mediterraneo fece sviluppare attraverso la Penisola Arabica, il Corno d’Africa e il mar Rosso un percorso parallelo, e meno noto, della più celebre Via dell’Incenso e spinse all’insediamento diverse popolazioni. Così, alla tribù degli Habashat (da cui deriverebbe il termine Abissinia), nata dalla fusione di gruppi sudarabici di lingua semitica e degli autoctoni (i Kushiti), si unirono intorno al V-IV secolo a.C. alcuni rappresentanti di un’altra importante civiltà, quella dei Sabei. Si tratta dei discendenti della leggendaria regina di Saba, che nel frattempo avevano popolato lo Yemen e, grazie alle loro straordinarie conoscenze idrauliche, intuibili ancora oggi dai resti della diga di Marib, la più importante dell’antichità, fecero fiorire il deserto. Altopiano verde. A completare un quadro che offriva tutte le premesse per la nascita di una grande civiltà, come fu quella del regno di Axum (o Aksum, secondo un’altra grafia), contribuirono il suolo vulcanico e le piogge, che sfruttati efficacemente garantirono lo sviluppo di un’agricoltura produttiva. «I grandi edifici, le tombe, le sculture e gli altari, i raffinati bassorilievi in pietra, i manufatti in metallo e l’uso della scrittura indicano che una società complessa, organizzata in uno Stato, si era consolidata sull’altopiano già nel III secolo a.C.», spiega lo 17
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Lo spostamento dei monsoni più a nord fece crescere foreste sull’altopiano, Discesa agli inferi
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Sotto, la “tomba della falsa porta”, scoperta ad Axum nel 1972 e oggi visitabile. Sopra, calici in vetro, forse di origine siriana, rinvenuti in un sepolcro e monete d’oro axumite.
studioso di storia africana John Reader, nel suo libro Africa (Mondadori). «Ed esisteva già una stratificazione gerarchica, poiché alcune iscrizioni parlano di sovrani che regnavano su gruppi di sudditi denominati “rossi” e “neri”: si può supporre che la popolazione fosse divisa in base a criteri razziali». Il regno si sviluppò intorno ad Axum, città cosmopolita, in cui si parlavano tutte le lingue e si trovava ogni genere di mer-
canzia (dalle scimmie ai vetri, dai tessuti pregiati al vino e all’olio d’oliva), cresciuta a oltre 2.000 metri di quota, tra le montagne vulcaniche del Tigrè, al confine con il Sudan. Axum toccò l’apice poco più di 2.000 anni fa, mentre l’Egitto tolemaico declinava. Nei secoli successivi, il suo dominio si estese agli attuali Egitto Meridionale, Sudan, Etiopia, Eritrea, Somalia e Gibuti, toccando a un certo punto anche Yemen e Sud dell’Arabia Saudita. Era la prima volta che un regno subsahariano raggiungeva tale estensione nell’Africa Orientale, tanto che nel III secolo d.C. il teologo Mani, fondatore della religione manichea, lo pose per importanza sullo stesso piano dell’Impero romano, di quello persiano e di quello cinese. Piogge e religioni. «Nel periodo dal I al IV secolo d.C. nell’area si instaurò un clima più umido», spiega Reader. «Il monsone responsabile delle precipitazioni in Africa Orientale si spostò più a nord, investendo l’altopiano. Ad Axum la stagione delle piogge cominciò a presentarsi in aprile o maggio invece che in luglio». Questa alterazione, che durò secoli, fece crescere foreste che ali-
C RON OLOGIA
Un regno millenario 18
III-IV secolo a.C. Una civiltà camita evoluta si insedia sull’altopiano.
I secolo d.C. Grazie al clima, Axum raggiunge l’apice della sua potenza.
325 Il sovrano Ezanà si converte al cristianesimo, dando vita alla Chiesa etiope.
350 Vittoria sul regno di Meroe: Axum è la potenza egemone dell’Africa Orientale.
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Nil
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C’era una volta un re
PENISOLA ARABICA NUBIA (SUDAN)
La pietra di Ezanà, dalle dimensioni monumentali, documenta la conversione di re Ezanà al cristianesimo (IV secolo) e narra come sottomise vari popoli confinanti tra cui i Meroe. Nella cartina, l’espansione del regno di Axum.
Mar Rosso
Meroe
TERRA DEI SABEI (YEMEN) Marib
Adulis Yeha Axum
Aden
Golfo di Aden
ALTOPIANO ETIOPE Il regno di Axum intorno al IV secolo. Area di influenza nel VI secolo.
favorendo la progressiva fioritura del regno di Axum L’Arca invisibile. Secondo la religione etiope, poi, la chiesa di Santa Maria di Sion ad Axum conserverebbe al suo interno un altro importante simbolo: l’Arca dell’Alleanza, ovvero la cassa fatta costruire da Mosè, secondo la tradizione, per conservarvi le Tavole della legge con i Dieci comandamenti, inizialmente ospitata nel Tempio di Gerusalemme dopo la fuga nel deserto del popolo d’Israele. Come sarebbe arrivata ad Axum? Ancora una volta bisogna tornare alla regina di Saba, mille anni prima di Cristo: Bibbia,
Un murale copto raffigurante un santo, da una chiesa di Axum. MONDADORI PORTFOLIO/AKG-IMAGES
mentarono attività edilizie e artigianali. Fu in quell’altopiano verdeggiante che si trovò a predicare il siriano Frumenzio, poi divenuto vescovo di Axum. Grazie a lui nel 325 il re Ezanà si convertì al cristianesimo, dando vita alla Chiesa cristiana ortodossa etiope che divenne subito religione di Stato (seconda solo, in ordine di tempo, all’Armenia, v. Focus Storia n° 101). Si trattava di una variante del cristianesimo copto (quello egiziano) e monofisita (che riconosce a Gesù la sola natura divina). Axum fu il primo luogo dove il simbolo della croce, all’inizio una croce greca racchiusa in un cerchio, fece la sua comparsa sulle monete e al collo (quando non incisa sulla fronte) di ogni fedele all’atto del battesimo.
Sulle orme dei falasha, gli ebrei africani
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rima dell’avvento del cristianesimo la religione di Axum era il giudaismo, portato con l’immigrazione di genti semitiche dalla Penisola Arabica, o forse dalla diaspora conseguente alla distruzione babilonese di Gerusalemme (VI secolo a.C.). Con l’avvento del cri-
VI secolo Il regno di Axum prospera e vive una seconda età dell’oro.
stianesimo, gli ebrei che non vollero convertirsi furono discriminati e perseguitati. La confisca delle loro proprietà li condannò a una miseria atavica: potevano infatti lavorare soltanto come salariati o artigiani. E anche se loro si definivano Beta Israel (Casa d’Israele), gli etiopi li
615 Il re cristiano Armah ospita la figlia di Maometto, perseguitata in patria.
chiamavano con il termine aramaico dispregiativo di falasha, estranei. Deportati. Per sottrarre questi ebrei africani al loro triste destino, a partire dal 1977 il governo di Tel Aviv ha deciso di aprire loro le frontiere, organizzando anche arditi ponti aerei che in qualche
VII secolo Inizia il declino di Axum. Cessa la produzione monetaria.
decennio hanno portato in Israele circa 120 mila falasha. Ma nella nuova patria le cose non sono andate come sperato, per le difficoltà di integrazione e per l’ostilità dei rabbini ultra ortodossi, che non li considerano ebrei poiché discendenti dalla Regina di Saba, che ebrea non era.
950 circa La regina ebrea Yudit invade Axum, ponendo fine al regno.
XIII secolo I sopravvissuti si trasferiscono in quella che è oggi l’Etiopia. 19
Secondo vari testi sacri, Salomone avrebbe donato al figlio Menelik, imperatore L’Arca perduta e mai ritrovata
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a Bibbia (nel Libro dell’Esodo) la descrive nei dettagli: una cassa di legno d’acacia, interamente rivestita d’oro, sovrastata da due cherubini ad ali spiegate e munita di quattro anelli laterali per sorreggere due stanghe di legno dorato per il trasporto; all’interno un vaso con la manna, la verga fiorita di Aronne e le Tavole della Legge. Misteri. Ma non sappiamo se esiste ancora né dove possa essere. Per il clero etiope si trova ad Axum da 3mila anni, portata da re Menelik, ma inaccessibile a chiunque; per gli storici se ne è invece persa traccia già nel VI secolo a.C., in quanto non figura nell’elenco delle cose sottratte nel 586 a.C. dai Babilonesi di Nabucodonosor dal Tempio di Gerusalemme, dove avrebbe dovuto essere conservata. Quel che è certo è che in Etiopia l’Arca ha costituito il legame indissolubile tra Chiesa e monarchia, consacrando per ben 237 generazioni il potere teocratico degli imperatori abissini. Fino al colpo di Stato del socialista Mengistu, che nel 1974 depose Hailé Selassié e abolì quella religione.
Souvenir Menelik I arriva in Etiopia portando l’Arca dell’Alleanza, in una raffigurazione etiope (con scritte in lingua ge’ez). 20
Talmud, Corano e Kebra Nagast (il testo sacro della religione etiope) sono concordi nel raccontare che la ricca e potente sovrana decise di fare visita a Salomone, re di Israele, il quale si innamorò della bella ospite e, con uno stratagemma degno del miglior Casanova, la circuì. Dalla loro unione nacque Menelik, capostipite della casa reale etiope. Fu Menelik a portare l’Arca in Etiopia, vuoi trafugandola dopo una visita a Gerusalemme, vuoi ricevendola in dono dal padre che riteneva la Palestina poco sicura, a secon-
da delle diverse versioni della storia, ciascuna pronta a sostenere gli interessi di chi la racconta. Da allora i Sabei, da pagani politeisti, sarebbero diventati monoteisti giudaici. L’unico dato incontrovertibile è il fatto che in questo lasso di tempo nessuno è mai riuscito a vedere l’Arca, interdetta persino alla vista dello stesso clero. Ma per i fedeli non costituisce un problema: ogni chiesa ne possiede una copia portata in solenne processione nel giorno del Timkat, l’Epifania ortodossa etiope.
La Chiesa con l’Arca e le stele, tra cui il noto “obelisco italiano”, trafugato da Mussolini e ora reso all’Etiopia.
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ggi i pochi che si spingono fino ad Axum trovano ad accoglierli alcune singolari eredità monumentali degli splendori axumiti, mal tenute nonostante nel 1980
siano state riconosciute dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Gran parte della città antica, comunque, resta ancora da scavare. Ecco che cosa si può vedere.
Chiesa di Sion
È la più caratteristica testimonianza archeologica axumita: oltre 100 monoliti basaltici eretti circa 1.700 anni fa come segnali di tombe reali. La stele maggiore, alta 33 metri, giace a terra spezzata fin dalla costruzione (nella foto).
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La crisi. Nonostante il suo radicato cristianesimo, Axum stabilì buoni rapporti anche con il nascente Stato islamico. Secondo lo storico arabo Ibn Hisham, su richiesta di Maometto, che era stato allevato da un’etiope, il re cristiano Armah ospitò nel 615, sottraendolo alle persecuzioni in patria, un gruppo di musulmani tra i quali la figlia del Profeta e il genero, il futuro terzo califfo. Da allora Maometto, riconoscente, dispose che nessun musulmano dovesse mai recare offesa a un etiope, e così fu per sempre (o quasi). Fu proprio l’espansione islamica, però, a dare un’importante spallata alla fine del regno di Axum, tagliandone le rotte commerciali e isolandolo dagli altri Stati cristiani. L’altro elemento decisivo fu il mutare delle condizione climatiche che ne avevano favorito il successo. «La deforestazione fu portata avanti per secoli, per produrre legna, carbone e costruire edifici. Alla fine il terreno fu denudato ed esposto all’erosione», spiega Reader. Fra VI e VII secolo Axum, tradita dal monsone, non era più in grado di sostenere la propria popolazione. Il potere centralizzato crollò. «Attorno all’800 la città aveva quasi cessato di esistere», conclude lo storico. Non solo. Quella stessa morfologia montuosa che ne aveva difeso i confini da possibili invasioni finì per isolarla dal resto del mondo. Il colpo di grazia a un impero durato oltre un millennio lo diede intorno al 950 la fanatica regina ebrea Yudit. Rigurgiti d’orgoglio. Nel XIII secolo, i sopravvissuti eredi di questa civiltà si trasferirono nelle terre vergini dell’Etiopia Centrale, dove nascerà l’Etiopia moderna. L’antica capitale dell’altopiano si trasformò in uno sperduto villaggio agricolo di montagna, difficile da raggiungere, ma rimase un simbolo dell’autorità statale e religiosa, nonché meta di pellegrinaggio in quanto luogo più sacro del Paese. Da allora solo Hailé Selassié, noto anche come Ras Tafarì, ha provato a restituire a questa nazione la sua centralità storica, assegnandole lo status di meta messianica del grande ritorno dei neri deportati in America e modernizzandola in parte. Il risultato, però, alla fine del suo governo, deposto nel 1974 da una rivoluzione militare che abolì la religione di Stato, fu un Paese diviso e ricco di conflitti, che ancora oggi non riesce a riemergere dalla proprie contraddizioni. •
CHE COSA È RIMASTO
Fu eretta nel 1665 su un edificio precedente. Qui vengono incoronati gli imperatori etiopi. In una cappella un monaco di clausura . custodisce la presunta Arca.
Parco delle stele
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d’Etiopia, l’Arca dell’Alleanza
Il cosiddetto “obelisco italiano” arriva a 23 metri e pesa 152 tonnellate. Fu portato a Roma nel 1937 per volere di Mussolini quale bottino di guerra, per essere collocato come spartitraffico di fronte al Circo Massimo; fu restituito, dopo pressioni internazionali, solo nel 2005, con una complessa operazione costata al governo italiano 4,78 milioni di dollari. Uno dei tanti prezzi pagati dall’Italia alla vanità fascista.
Obelisco italiano
Giulio Badini (ha collaborato Federico Bona) 21
ARTI
La tormentata storia del compositore Shostakovich nella Russia di Stalin. Dove anche una sinfonia poteva costare molto cara
MUSICA
PERICOLOSA
Q
uesta è una storia esemplare. La storia di una sfida mortale tra potere e libertà d’espressione. Fra un tiranno e un artista dalla schiena diritta. Un duello a singhiozzo durato, tra tregue e colpi bassi, quasi vent’anni. Il perseguitato è uno dei tre maggiori compositori russi del secondo Novecento, Dmitri Shostakovich (gli altri sono Sergej Prokofiev e Igor Stravinskij, da lui accusati di essersi “venduti” all’Occidente). L’aguzzino è Stalin. Col suo codazzo di tirapiedi: Khrennikov, Kerzencev, Shepilov e l’inflessibile teorico del realismo socialista, Andrej Zhdanov.
Nemici-amici Stalin in un poster di propaganda. A sinistra, Dmitrij Shostakovich nel 1938. Sullo sfondo, la sala della Filarmonica di Leningrado (oggi San Pietroburgo).
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Successo rovinoso. «Nessuno», sostiene il musicologo Solomon Volkov, «ha sofferto a causa della propria musica come Shostakovich». Dalla composizione della Quinta sinfonia in avanti, cioè dalla fine del 1937, la paura dell’arresto e della pena capitale, associata all’idea del calvario, diventò un chiodo fisso. I trionfi, le ovazioni del pubblico, i riconoscimenti internazionali, i premi e i regali che il dittatore alternò alle bastonate e alle minacce, non riuscirono a far pendere la sua bilancia dalla parte della soddisfazione. Non per nulla le sue memorie (Testimonianza, a cura dello stesso Volkov) si aprono con la più deso-
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In guerra Un soldato acquista il biglietto per assistere alla Settima sinfonia nel 1942. A destra, Shostakovich nel 1941, mobilitato, in abiti da pompiere.
lante delle immagini: “Se volgo lo sguardo all’indietro, non vedo che rovine, non vedo che montagne di cadaveri”. Enfant prodige. La sua carriera era partita a razzo. Nel ’29, a 23 anni, era considerato un novello Mozart: aveva già composto e visto eseguite con successo due sinfonie, collaborato con il grande regista Mejerchol’d in teatro, firmato la colonna sonora del film La nuova Babilonia, composto un’opera ispirata al racconto grottesco Il naso di Nikolaj Gogol (1835). Con quest’ultima aveva scoperto la sua vena avanguardistica e più di un critico aveva storto la bocca dandogli del Inquisitore “teppista” musiIl politico sovietico e cale. Dopo sediteorico del realismo ci repliche nella socialista Andrej sua Leningrado Zhdanov (a sinistra) con lo scrittore russo Maksim Gorkij nel 1934.
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era intervenuto Kirov, capo del Partito comunista locale, bloccando l’opera. Fin lì, poco più che birichinate. L’incubo vero cominciò con l’opera seguente, Lady Macbeth nel distretto di Mcensk, tratta anch’essa da un racconto ottocentesco. La trama gronda sangue e sesso: omicidi familiari, passioni, erotismo smaccato. Temi proibiti dalla società sovietica d’allora. Al centro un’eroina tragica, Ekaterina Lvova, in cui Shostakovich raffigurava la futura consorte, Nina Varzar, prototipo della donna libera e disinibita. Oltre ai contenuti scabrosi, risultava conturbante la scrittura orchestrale impetuosa e sperimentale: una miscela di espressionismo tedesco e lirismo italiano. Il debutto avvenne nel gennaio ’34. Trionfo a Leningrado e poi a Mosca. Anche Gorkij, l’intellettuale più ascoltato da
Stalin, apprezzò. Mentre l’opera era ancora in scena, al Bolshoi debuttò una seconda creazione di Shostakovich, il balletto comico Il limpido ruscello, dalla musica melodica e scoppiettante. Stroncato. Il 26 gennaio del 1936 Stalin, che non si perdeva né un’opera né un balletto, assistette a una replica di Lady Macbeth. Qualcuno notò che la sezione di ottoni, posta sotto il palco governativo e aumentata per l’occasione, suonava a un volume eccessivo. Ma non fu solo questo a indispettire Stalin: troppe scene di sesso (lui si sforzava di moralizzare i costumi nazionali) e troppe dissonanze. Due giorni dopo uscì sulla Pravda, l’organo di stampa ufficiale, una stroncatura anonima in cui era facile riconoscere la mano del dittatore. Le parole più frequenti nell’articolo, intitolato Caos anziché musica, erano, appunto, “caos” e “rozzo”. Si accusava il compositore di “formalismo”, ossia di fare un’arte astrusa, incomprensibile alle masse. La musica per il popolo sovietico doveva essere semplice, melodica, edificante. E si aggiungeva un avvertimento: “Questo gioco con cose cervellotiche potrebbe finire molto male”. Pochi giorni dopo un editoriale intitolato Falso ballettistico fece a pezzi il balletto: “Musica priva di carattere, che non esprime nulla”. Infine, il 10 febbraio, un terzo editoriale completò la demolizione stigmatizzando il carattere “formalistico-truffaldino” dell’opera e quello “mellifluo-bamboleggiante” del balletto.
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La sua Settima sinfonia fu eseguita durante l’assedio di Leningrado nel 1942. Divenne un successo internazionale e un simbolo della resistenza al nazismo
Nemico del popolo. Per il regime le arti erano un’arma di consenso e di controllo fondamentale. Stalin passava le giornate ad ascoltare la radio e a leggere (500 pagine al giorno, secondo i biografi), sere e notti a visionare opere teatrali e film. E se non lo faceva lui, c’era chi passava al setaccio ogni produzione del Paese. Chi deviava dalla linea estetica diventava un nemico del popolo e rischiava la vita. L’attacco fece il vuoto intorno al novello Mozart. “Ne uscii completamente distrutto: con un colpo che spazzava via il mio passato e liquidava il mio futuro”, confesserà Shostakovich. In quel periodo pensava spesso al suicidio ed era “completamente in balia della paura”. Decise di non scrivere più opere né balletti e di tenere nel cassetto le sinfonie più dissacranti, come la Quarta o come Palco antiformalista, uno
sberleffo a Stalin e agli altri censori che venne eseguito per la prima volta solo dopo la sua morte. In sua difesa intervennero Gorkij, il maresciallo Tuchacevskij (fucilato un anno dopo per cospirazione) e i più noti intellettuali progressisti d’Occidente. La mobilitazione internazionale indusse Stalin a offrire una via d’uscita al reprobo: il cinema. Dopotutto un suo motivetto da film del ’32, Il mattino ci accoglie con refrigerio, l’aveva deliziato. Nonostante ciò, la famiglia del compositore venne decimata dalle purghe staliniane e lo strazio del musicista si riversò nella Quinta sinfonia, denuncia criptata di tutti i totalitarismi. Il messaggio critico nascosto nella partitura (grazie a temi musicali ironici) non fu colto dai censori e la sinfonia fu accolta con entusiasmo in patria e all’estero. Da quel
momento Shostakovich rientrò nelle grazie del tiranno e collezionò premi Stalin (100mila rubli), più una dacia. Tregua. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale assurse addirittura al rango di eroe. La sua Settima sinfonia, la più politica delle sue opere, fu eseguita nella Leningrado assediata il 9 agosto del ’42, e il concerto diffuso dalle radio di tutto il mondo. Lui posò con la divisa di pompiere volontario e la foto finì sulla copertina di Time. Lo spartito raggiunse l’America e fu eseguito con la direzione di Toscanini. Ma la tregua durò poco. Già la Nona sinfonia, che doveva essere una celebrazione della vittoria, aveva irritato il despota perché troppo breve, asciutta e scherzosa (uno dei temi era associato allo stesso Stalin) e non abbastanza celebrativa. Dopo la guerra Stalin vole25
Nel 1948 Shostakovich fu licenziato in tronco perché ritenuto controrivoluzionario. Ma poi Stalin lo perdonò
Caro Stalin, firmato Bulgakov ra le storie di artisti falciati dal terrore staliniano, quella dello scrittore e drammaturgo Michail Bulgakov (1891-1940, sopra), autore del romanzocapolavoro Il Maestro e Margherita (sotto) è unica. Fu vittima, sì, umiliata e imbavagliata, ma anche sedotta, in qualche misura soggiogata, dal carnefice. Una “sindrome di Stoccolma” (la patologica solidarietà diagnosticata ad alcuni rapiti nei confronti dei loro rapitori) epistolare. Medico al seguito dell’Armata Bianca (cioè zarista) nella guerra civile, Bulgakov era scettico sulla rivoluzione e rivendicava il diritto alla massima libertà espressiva. Stalin aveva apprezzato le sue opere giovanili, ma la censura lo bollò come esemplare di una “nuova razza di borghese”. Le sue commedie furono tutte bloccate. La lettera. Ridotto alla fame, si risolse, con gesto temerario, a scrivere a cuore aperto al leader. Chiese il permesso di espatriare o, in alternativa, un posto nel Teatro d’arte moscovita. Un mese dopo, il 18 aprile 1930, Stalin gli telefonò a casa. Gli promise l’assunzione in teatro e un colloquio a tu per tu. Il giorno dopo, Bulgakov fu assunto come aiuto regista, ma l’incontro promesso non avvenne mai e divenne per lui un cruccio. Convinto di aver trovato nel tiranno un protettore, Bulgakov scrisse altre tre lettere a Stalin ma non ebbe risposta. Così, per disperazione, si immerse nella stesura del libro che, pubblicato 26 anni dopo la sua morte, lo rese immortale. 26
Prima della prima
va estirpare le perniciose influenze occidentali dal mondo comunista. Perché non ci sono opere liriche sovietiche?, si chiedeva. Se la prese con l’opera di tale Muradeli, La grande amicizia, che, guarda caso, era influenzata dallo stile di Lady Macbeth. Nel gennaio del ’48, il “grande inquisitore” del regime, Zhdanov, responsabile dell’ortodossia culturale, riunì a convegno i più importanti musicisti russi. Il primo della lista. Come a bambini un po’ lenti di comprendonio ribadì i principi del realismo socialista: l’arte doveva rappresentare lo “sviluppo rivoluzionario” della realtà e stilò una lista di proscrizione dei controrivoluzionari, i formalisti. Shostakovich era in cima all’elenco. L’11 febbraio il compositore fu convocato di prima mattina al Cremlino, dove gli fu comunicata la decisione di Zhdanov: licenziato in tronco dai conservatori di Mosca e Leningrado, le sue opere cancellate dal repertorio. Di nuovo il suo sistema nervoso fu sul punto di cedere: i Quartetti, non destinati alle grandi sale da concerto, sono una sorta di drammatico “diario in musica” di queste sue fasi depressive.
Da sinistra: Shostakovich, Rostropovich (al violoncello) e il direttore d’orchestra Rozhdestvenskij a Londra nel 1960.
La telefonata. Il tiranno, sadico, lo graziò di nuovo. Il 16 marzo del ’49 squillò il telefono di Shostakovich: era Stalin, che voleva spedirlo alla Conferenza di pace di New York come fiore all’occhiello della delegazione sovietica. Quando il musicista rifiutò perché le sue opere erano al bando, il dittatore fece mostra di stupirsi. “Mi toccherà correggere i compagni”, lo blandì, e ordinò di riabilitarlo. Shostakovich fu costretto a imbarcarsi per la Grande Mela. Dove un esule di fama, Nikolaj Nabokov, lo accusò di essere un servo di Stalin e il direttore d’orchestra Toscanini non volle incontrarlo. Fu l’ultimo scambio fra gatto e topo. Il tiranno morì 4 anni dopo e il musicista (che vivrà fino al 1975) vuotò a suo modo il sacco nella Decima sinfonia. «Il selvaggio Scherzo», osserva Volkov, «è il ritratto musicale di Stalin». Il ritratto di uno “che sferrava i colpi da dietro un angolo, come un bandito di strada”. Come fanno “i più meschini”. Parole di Shostakovich. • Dario Biagi
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fragranze
COSTUME
I segreti delle
SCALA
Dagli Egizi a Chanel, le insospettabili curiosità storiche che si nascondono nelle boccette dei profumi
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ome confermano i rinvenimenti archeologici a Luxor, già gli Egizi, circa 5mila anni fa, facevano largo uso di profumi. E con loro tutti i popoli del Mediterraneo antico. Usavano prodotti a base oleosa a cui aggiungevano aromi vegetali come la mirra, l’incenso e l’aloe. Dopo il Medioevo, periodo considerato assai poco “profumato”, tornò in auge in tutta Europa la moda della fragranza, spesso esotica, ottenuta grazie a tecniche di produzione della cultura araba tramandate nei monasteri benedettini. La base dei profumi, più che oleosa, divenne alcolica. E così rimase fino alla fine del XVIII secolo, quando le innovazioni chimiche e tecnologiche introdussero nuove fragranze e nuovi prodotti commerciali, studiati in base alle caratteristiche della pelle. Finché non si giunse alla distribuzione su larga scala, che coinvolse la gente comune. • Elisa Bortolini 28
1700 Pregiati profumi di corte
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opo una lunga ricerca della storica Elisabeth de Feydeau, e altrettanto lunghe ricerche olfattive, il profumiere franco-
armeno Francis Kurkdjian è riuscito a riprodurre il profumo che alla reggia di Versailles usava la regina Maria Antonietta. I flaconi
da 25 ml, realizzati su ordinazione, sono stati messi in vendita a 350 euro. (Nella foto, un porta profumo del Seicento).
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Le rose di Bulgaria
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primi impianti per distillare essenza di rose risalgono al 1664. Le più famose piantagioni di rose da profumo erano in Bulgaria (sopra, la raccolta dei petali nel 1921) e sorsero intorno alla città di Kazanlak, fra le catene montuose di Stara Planina e Sredna Gora, detta Valle delle rose. L’essenza di rosa bulgara si ottiene proprio dalla varietà chiamata “rosa di Kazanlak”.
SCALA
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I SECOLO a.C.
1840 I gelsomini di Cleopatra
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ra le armi di seduzione di Cleopatra (I secolo a.C.) pare ci fosse l’idea di far profumare le vele delle navi perché, al soffio del vento del Nilo, diffondessero le fragranze che lei amava. La preferita era il gelsomino, allora molto usato nell’area (sopra, profumiere al lavoro in un bassorilievo egizio). La passione della sovrana per le essenze era tale che le si attribuì un trattato sui profumi, dal titolo Cleopatra gynaeciarum libri.
Anche la regina Vittoria...
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ittoria (sopra) è nota per essere stata il sovrano che ha reganto più a lungo nella storia della Gran Bretagna (dal 1837 al 1901). Ma anche per il suo intransigente rigore morale. Eppure sembra che un lato romantico l’avesse anche lei, e trovò l’essenza con la quale esprimerlo. Per il suo matrimonio con il principe Alberto di Sassonia venne appositamente creato un profumo, chiamato appunto bouquet de la reine. 29
L’acqua di Ungheria, a base di rosmarino e lavanda, pare sia stata creata da un monaco del XIII secolo, che poi la presentò alla regina Elisabetta d’Ungheria
Il patchouli di Poppea
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mbiziosa e senza scrupoli, la romana Poppea (30-65) riuscì a farsi strada soprattutto grazie ai suoi uomini, primo fra tutti Nerone. Fra i segreti della sua seduzione, si dice ci fosse anche una fragranza a base di patchouli (una pianta), utilizzata da moltissimi secoli in India, soprattutto come stimolante sessuale. La fragranza usata dalla matrona è stata individuata campionando i residui in 15 boccette restituite dagli scavi della Villa di Poppea a Oplontis (nella foto, il travaso del profumo in un affresco romano).
VII SECOLO a.C.
I SECOLO
Miscele mediterranee
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DEA/ALINARI
Pyrgos, sull’isola di Cipro, è stata scoperta la più antica fabbrica di profumi conosciuta, antica di quasi 4mila anni. Da allora si sviluppò una ricca industria profumiera in tutto il bacino del Mediterraneo. Plinio il Vecchio (I secolo) nella sua Storia naturale scrisse: “Il profumo più pregiato era quello dell’isola di Delo”. Grandi profumieri dovettero però essere anche gli Etruschi (nella foto, un loro porta profumo). Nella magnogreca Paestum esisteva poi un intero quartiere dedicato a questi artigiani. Una fedele descrizione di una loro bottega si ritrova in affreschi rivenuti nella Villa dei Vettii a Pompei e nella Casa dei Cervi di Ercolano, che rivelano la presenza di un locale dedicato alla produzione e uno alla vendita al dettaglio. Le profumerie erano anche luogo di incontro: famosa era quella di Atene nei pressi dell’agorà, di cui parlano le fonti antiche.
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1500 SCALA (2)
1921
Il profumo “minimal” di Coco
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i possono annoverare non più di 4 o 5 profumi la cui produzione è durata più di qualche decennio: il caso di Chanel N° 5 è uno di questi. Ma è anche forse l’unico prodotto da quasi 100 anni. Correva l’anno 1921 quando
il profumiere Ernest Beaux presentò alla stilista Gabrielle Chanel, in arte Coco, cinque varianti di una nuova fragranza. Chanel preferì la quinta e, rifiutando i nomi altisonanti spesso scelti per le fragranze, non fece altro che aggiunge-
re il numero della variante prescelta al nome Chanel. Il profumo divenne, come si dice, “iconico” e l’artista Andy Warhol nel 1985 realizzò una serie di serigrafie ispirate alle pubblicità degli anni Cinquanta (foto).
La profumeria moderna
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LEEMAGE/MONDADORI PORTFOLIO
1865
ndustriale e profumiere, Eugène Rimmel (1820-87) fondò la nota ditta cosmetica. Quella che ha dato il nome al mascara che ancora oggi da noi chiamiamo con il cognome del fondatore. Nel 1865 pubblicò Il libro dei profumi (a lato, la riproduzione di una stampa seicentesca contenuta al suo interno), un manuale che raccoglieva le informazioni del tempo sull’arte della profumeria.
Evoluzioni. Erano anni di cambiamenti: la sintesi dell’urea (un composto chimico), ottenuta nel 1828, e gli sviluppi della chimica organica contribuirono a un boom della profumeria attraverso l’utilizzo di composti organici e sintetici che aumentarono il numero e il tipo di fragranze. I fissatori permisero poi ai profumi di aderire alla pelle, profumandola meglio.
Un fiorentino in Francia
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l mercato dei profumi entrò in crisi nell’Alto Medioevo. Riprese però dopo l’Anno Mille grazie alla diffusione dei processi di distillazione, portati in Europa dai contatti con gli Arabi. Fu il Rinascimento, però, il momento di grande splendore: tra le più importanti figure di profumieri c’è quella di Renato Bianco, orfano raccolto dai frati di Santa Maria Novella nella Firenze del 1500 (sopra, un alambicco dell’epoca). Renato crebbe con i monaci e imparò l’arte profumiera dal frate farmacista del monastero, fino a divenire profumiere di fiducia della famiglia de’ Medici. Con questo incarico seguì Caterina a Parigi quando sposò Enrico II. A Parigi il suo lavoro contribuì a forgiare una miriade di novelli profumieri che aprirono botteghe in tutta la capitale francese. Ponendo le basi della raffinata arte profumiera d’Oltralpe. 31
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PRIMO PIANO
CERCATORI
DI IGNOTO
I misteri dietro ai viaggi di Colombo e gli altri aspetti meno conosciuti dell’esplorazione. ANTICHI IN VIAGGIO
L’INTUITO DI PIGAFETTA
ALEXANDRA IN TIBET
ALTRI SCOPRITORI
COOK E LA SCIENZA
ORIZZONTI DEL ’900
ENIGMI COLOMBIANI
BRAZZÀ IN CONGO
PRIMI CONTATTI
pag. 34 ■
pag. 40 ■ pag. 42
pag. 50 ■ pag. 56 ■ pag. 62
pag. 68 ■ pag. 72 ■ pag. 76
Avanguardia
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Il Monumento alle scoperte innalzato a Lisbona, sul fiume Tago, nel 1960. Tra i soggetti, il portoghese Vasco da Gama, che circumnavigò l’Africa nel 1497-98.
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PRIMO PIANO
PITEA SUPERA LE COLONNE D’ERCOLE E TOCCA IL CIRCOLO POLARE
NEARCO ESPLORA IL GOLFO PERSICO PER CONTO DI ALESSANDRO MAGNO
ANNONE RAGGIUNGE IL GOLFO DI GUINEA
L’uomo esplora il mondo da 5mila anni. Gli ANTICHI (Egizi, Fenici, Greci e Romani) lo fecero per fini diversi, ma con lo stesso spirito: superare ogni limite
E LORO ANDARONO
OLTRE P er terra o per mare, con i calzari sporchi di polvere o gli schizzi d’acqua salata sul viso, secoli prima dei più famosi esploratori cinquecenteschi furono gli audaci, coraggiosi (e a volte bugiardi) viaggiatori dell’antichità a varcare le mitiche Colonne d’Ercole, a navigare verso l’Oriente più lontano, a spingersi nell’entroterra africano pieno di misteri e pericoli. Lo fecero,
a volte per caso a volte coscientemente, ampliando orizzonti, confini e conoscenze geografiche dell’uomo. Apripista. «I Greci nel Mediterraneo e nei mari confinanti, i Fenici nell’oceano Atlantico, Pitea di Marsiglia a nord-ovest, Alessandro Magno a est, infine i Romani nel continente europeo hanno raccolto dati e osservazioni che sono stati elaborati e hanno portato alla progressiva defi-
nizione di un’immagine del mondo conosciuto sempre più articolata e dettagliata», spiega Annalisa D’Ascenzo, docente di Storia della geografia e delle esplorazioni all’Università Roma Tre. Le aree della Terra abitate dagli esseri umani antichi erano più o meno le stesse che occupiamo oggi: la differenza stava nel fatto che 5mila anni fa nessuno sapeva bene cosa ci fosse oltre i confini del proprio Paese.
Ai confini del mondo Ercole e le colonne che secondo il mito erano i monti Calpe (Europa) e Abila (Africa) e su cui l’eroe greco scolpì l’iscrizione (poi latinizzata) nec plus ultra, “non più avanti”, per indicare i limiti del mondo abitato. Sullo sfondo, quello che oggi è lo Stretto di Gibilterra, visto dalla costa europea. 34
DREAMSTIME
FENICI, INTREPIDI VIAGGIATORI
AA/MONDADORI PORTFOLIO
Abili commercianti e navigatori, attorno al 1000 a.C. dominarono il Mediterraneo.
Primi commerci
MATERIE PRIME I Fenici delle origini usarono per le navi il legno di cedro delle ricche foreste del Libano.
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Accadici di re Sargon (III millennio a.C.) prendono il mare. Sotto, la regina della Terra di Punt (l’Etiopia o la Somalia), raggiunta dagli Egizi.
PORTO PRIMARIO Cartagine (fondata dai Fenici nel IX secolo a.C.) fu una delle città più ricche e potenti del mondo antico. Il suo porto era tra i più trafficati.
TRASFORMAZIONI Da popolo di agricoltori e allevatori si trasformarono in abili costruttori e navigatori.
I primi a superare le Colonne d’Ercole furono probabilmente i Fenici. Che poi I primi viaggi esplorativi cominciarono intorno al III millennio a.C., con la nascita dei grandi imperi del Vicino Oriente. Sargon il Grande, che dal 2335 al 2279 a.C. fu re degli Accadi, una popolazione stanziata vicino all’attuale Baghdad, raggiunse le coste mediterranee spingendosi fin quasi all’Egitto. Da qui condusse una spedizione “attraverso il mare a occidente”, fino a raggiungere “le terre al di là del mare superiore”, forse Cipro o Creta, proclamandosi infine “re del Paese e del dominio universale”. Il che la dice lunga sulla sua ristretta conoscenza della Terra. Nello stesso periodo, il governatore dell’Alto Egitto, Harkhuf, si avventurò per tre volte nei territori dell’Africa Centrale, da dove riportò oro, incenso e molti prodotti ricercati. I navigatori d’Egitto affrontarono spesso lunghi viaggi per procurarsi ciò che il loro Paese non produce36
va: nella Terra di Punt (secondo alcuni la Somalia, per altri l’Etiopia), a metà del II millennio a.C. la regina Hatshepsut inviò delle imbarcazioni per il suo shopping di lusso, cioè alberi di incenso per il giardino profumato del dio Amon-Ra. E intorno al 1075 a.C., per procurarsi il legname per la costruzione delle navi, l’ambasciatore Wenamun attraversò “il grande mare della Siria” e raggiunse la città-Stato di Byblos (oggi Biblo), sulla costa del Libano. Pre-Colombo. Da quelle parti, fin dal XXI secolo a.C., abitavano i Fenici: a differenza degli Egizi, questi grandi navigatori preferirono spostarsi verso occidente, solcando il Mediterraneo. Data la povertà della loro patria, a muoverli fu la necessità di trovare nuove terre su cui fondare colonie e approdi lungo le rotte commerciali. Sempre in competizione con i Greci, intorno all’VIII secolo a.C. superaro-
no con nonchalance le temutissime Colonne d’Ercole (lo Stretto di Gibilterra), limite estremo, per gli antichi, del mondo abitato. E dalle coste andaluse non si limitarono a guardare l’Atlantico: secondo alcuni controversi studi lo attraversarono approdando nelle mitiche Isole Fortunate (forse le Piccole Antille, situate al largo dell’America Centrale), duemila anni in anticipo su Cristoforo Colombo. Lo confermerebbero le parole di Diodoro Siculo, storico del I secolo a.C. “In alto mare c’è un’isola di notevole grandezza, posta nell’oceano. […] Nei tempi antichi era sconosciuta per la sua distanza dal mondo abitato, ma poi […] i Fenici, mentre esploravano la costa fuori dalle Colonne d’Ercole, […] furono trascinati a grande distanza attraverso l’oceano da un forte vento e [...] spinti sulla costa dell’isola”.
SOTTO COSTA Le loro imbarcazioni a vela quadra e spinte da rematori navigavano quasi sempre sotto costa.
CACCIA GROSSA Commerciavano oro, tessuti, avorio e vetro. Per procurarsi metalli i Cartaginesi giunsero in Cornovaglia.
IMPORT-EXPORT I Fenici superarono le Colonne d’Ercole in cerca di argento, necessario per la produzione del bronzo.
Molto prima di Google Maps
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u pietre, pareti di roccia o tavolette d’osso d’epoca neolitica, gli archeologi hanno rinvenuto schemi e linee da alcuni interpretati come rudimentali piante topografiche. Ma è ai Greci che risalgono i primi tentativi di realizzare delle carte geografiche: se si esclude l’ipotetica mappa del filosofo Anassimandro di Mileto, di cui rimangono poche e dubbie notizie, pare che la loro prima rappresentazione del mondo risalga all’inizio del V secolo a.C. Secondo il racconto di Erodoto, era stata realizzata su una lastra di bronzo e il tiranno di Mileto Aristagora la utilizzò per convincere gli Spartani a combattere contro i Persiani, decantando loro le ricchezze dei Paesi della costa asiatica che via via indicava. Voi siete qui. Anche gli antichi Romani produssero mappe, ma l’unica giunta fino a noi è la Tabula Peutingeriana, una copia medioevale di un originale di epoca imperiale: quasi una moderna piantina della metropolitana, che mostra in successione le località attraversate dalle strade consolari, ma senza riprodurre la forma dei Paesi o le loro reali distanze.
Benvenuti al Nord? Anche un cartaginese, Imilcone, intorno al 470 a.C. affrontò l’oceano. Dopo un’incredibile traversata durata 4 mesi, istituì una rotta per il commercio dello stagno con la Britannia, nonostante gli enormi banchi di alghe, le secche, le zone di bonaccia e le strane creature che aveva incontrato. Questo almeno fu quello che raccontò, forse per scoraggiare i concorrenti Greci. Ma ci voleva ben altro, per quel popolo di navigatori e matematici: i Greci sapevano che il nostro pianeta era di forma sferica e di lì a un paio di secoli l’astronomo Eratostene ne avrebbe calcolato la circonferenza con un minimo margine di errore. Un astronomo e geografo come Pitea non si sarebbe fatto fermare da presunti mostri. Intorno al 330 a.C., questo greco di Massalia (l’odierna Marsiglia, sulla costa meridionale della Francia) partì con l’idea di
esplorare il Nord dell’Europa: per interesse scientifico, disse, ma forse anche per individuare quelle miniere di stagno che tanto fruttavano ai mercanti cartaginesi. Circumnavigò buona parte della Gran Bretagna e molte delle sue isole, osservando le maree, il rapporto tra la Stella Polare e la costellazione dell’Orsa Minore e il fenomeno del Sole di mezzanotte sull’“isola di Thule” (secondo alcuni storici l’Islanda). Ancora più a nord, a un giorno di navigazione da lì, scoprì anche che il mare era “solidificato”. Che avesse raggiunto il Circolo polare artico? Forse. Anche se alcuni cronisti antichi misero in dubbio persino la sua partenza. Padrino d’eccezione. C’era però chi diceva che il geografo era salpato eccome, sovvenzionato da un ricco sponsor: Alessandro Magno. «Il Macedone fu certamente il più grande esploratore del passato. Nel IV
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circumnavigarono anche l’Africa (ma da est a ovest)
L’ “isola di Thule” (l’Islanda?) in una mappa ispirata alla descrizione di Pitea.
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secolo a.C. volle sfidare i limiti delle conoscenze del tempo e dirigersi verso oriente alla ricerca dei confini del mondo», dice D’Ascenzo. «Viaggiando con un largo seguito di sapienti incaricati di descrivere e studiare i Paesi attraversati, giunse fino all’Indo, oltre il quale per secoli si estenderanno le favolose Indie ricercate ancora da Cristoforo Colombo». Fu poi costretto a tornare indietro, ma, mai pago di sapere, allestì una flotta guidata da Nearco di Creta, per esplorare la costa occidentale della foce dell’Indo, fin dentro il Golfo Persico. Invece Tolomeo VIII, sovrano di Alessandria nel II secolo a.C., era poco interessato al sapere: pragmatico, voleva raggiungere l’India bypassando gli Arabi, che all’epoca detenevano il monopolio del commercio verso occidente delle merci indiane. Fortuna volle, racconta il geografo Strabone, che alla sua reggia arrivasse un marinaio indiano, unico sopravvissuto di un naufragio. Quando si fu ripreso, l’uomo decise di sdebitarsi mostrando al sovrano come raggiungere l’India al riparo dalle navi arabe. Grazie all’esperienza della guida, la flotta del faraone, guidata da Eudosso di Cizico, raggiunse l’India dal Mar Rosso, solcando l’oceano Indiano. Tesori d’Africa. Quella rotta sarebbe diventata molto più veloce nel I secolo a.C., quando il pilota Ippalo scoprì come sfruttare, sia all’andata sia al ritorno, la spinta dei monsoni, venti periodici che soffiano nell’oceano Indiano in direzioni opposte a seconda della stagione. Comunque Eudosso riuscì a concludere il viaggio due volte, ma senza le sue merci, confiscate dal re. Stizzito decise di tentare un’altra strada: la circumnavigazione dell’Africa da ovest verso est. Non ebbe successo. Quella che aveva scelto non era una rotta facile: lo sapeva anche il cartaginese Annone, che l’aveva seguita prima di lui, verso la fine del V secolo a.C., avventurandosi forse fino alla Sierra Leone, dove catturò delle bestie “dal pelo ispido, che i nostri interpreti chia-
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Anche Alessandro Magno cercò i confini del mondo: ma fu costretto a fermarsi lungo le rive dell’Indo, nelle “Indie Orientali”
mavano gorilla”. Nessun marinaio dell’antichità completò mai la circumnavigazione dell’Africa in senso antiorario, impresa conclusa ben 17 secoli dopo dall’esploratore portoghese Vasco da Gama. In compenso, però, i soliti recordmen fenici furono i primi a girarle intorno in senso orario, da est verso ovest, partendo dal Mar Rosso e arrivando in Egitto dopo tre anni. Nel VII secolo a.C., scrive Erodoto, viaggiarono per oltre 13mila miglia su navi fornite dal faraone Neco II, lo stesso che diede il via allo scavo di un canale navigabile tra il Nilo e il Mar Rosso (completato
il secolo dopo dal re di Persia Dario I), per collegare oceano Indiano e Mediterraneo. Mostri e stranezze. «I Fenici raccontarono di aver osservato che per una parte del viaggio avevano il Sole che si levava alla loro sinistra, mentre successivamente la posizione dell’astro era “cambiata”, sorgendo da destra. Questa che venne da alcuni letta come una “stranezza”, se non come una palese falsità, è invece la prova del lungo viaggio compiuto intorno al continente», spiega D’Ascenzo. Per quanto riguardava l’entroterra africano, però, le conoscenze non erano pro-
PERCHÉ L’UOMO È UN ESPLORATORE
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Colonizzatori Le rovine di Tharros, antica colonia fenicia sul Golfo di Oristano, in Sardegna.
BRIDGEMANART/MONDADORI PORTFOLIO
Toccando antichi lidi A lato, operazioni di carico su una nave romana a Ostia, principale porto dell’antica Roma. A sinistra, il porto minoico di Thera (Grecia), attorno al 1500 a.C.
gredite molto dai tempi di Omero. È vero che Erodoto aveva parlato di sfuggita del deserto del Sudan, ma non era in grado di localizzare le sorgenti del Nilo e non sapeva cosa ci fosse al di là del Sahara. Furono le spedizioni compiute dai Romani tra I secolo a.C. e I d.C. a fornire qualche risposta su quelle regioni: i legionari macinarono migliaia di chilometri, a ovest oltre il deserto del Sahara e, a est, negli altopiani etiopici (dove scoprirono le sorgenti del Nilo Azzurro) e in Uganda fino al Lago Vittoria (“riscoperto” dagli inglesi nell’Ottocento) seguendo il corso del Nilo Bian-
co. Il mondo degli antichi era dunque più vasto di quanto si pensi: i Romani ne avevano esteso i confini a nord fino alla Scozia, a ovest fino alle Canarie, a sud fino a Zanzibar e a est fino all’Indonesia. Ne era passata di acqua sotto gli scafi delle navi, da quando, nel IX secolo a.C., Omero aveva descritto per la prima volta la Terra: un disco piatto circondato dall’Oceano, comprese tra la Sicilia e l’Ellesponto, divise in due dal Mediterraneo. Più in là, solo un mondo leggendario popolato di mostri. •
in dalla preistoria gli uomini hanno provato quell’istinto prepotente che spinge a partire, ad andare “oltre” i confini naturali. Per capirne le motivazioni profonde ne abbiamo parlato con Annalisa D’Ascenzo (foto), docente di Storia della geografia e delle esplorazioni all’Università Roma Tre. Che cosa dava il coraggio ai nostri antenati di marciare alla cieca verso terre ignote? All’inizio la necessità di trovare migliori condizioni di vita e disponibilità di cibo: erano spostamenti dettati dal bisogno. La crescita demografica favorì l’allontanamento di gruppi che si mossero via terra nelle regioni limitrofe e poi sempre più lontano, attraversando i continenti. Dall’Africa l’uomo raggiunse l’Europa e l’Asia, e da qui le Americhe e anche l’Oceania. Che cosa trasformò i primi “viaggiatori” in veri esploratori? La differenza fra uno spostamento e un viaggio di conoscenza sta essenzialmente nello spirito e nelle motivazioni di chi compie l’impresa, ma anche nella reazione dell’uomo davanti alle novità. Muoversi senza una meta, reale o immaginata, è molto diverso da cercare qualcosa. Nel “trovare” domina la casualità, nel “cercare” prevale l’intenzione, nello “scoprire” si manifesta la capacità di comprendere ciò che si ha di fronte, di descriverlo e di inserirlo tra le proprie conoscenze. Oltre alla casualità, certamente motivazioni “alte” come la curiosità e il desiderio di conoscenza spinsero i grandi viaggiatori a muoversi verso i limiti del mondo conosciuto. Ma su tutte dobbiamo riconoscere la volontà di ampliare il proprio territorio, di consolidare i confini del proprio regno, di costituire vie più sicure per gli scambi commerciali. E oggi invece che cosa ci muove? L’uomo di oggi è più complesso. Sicuramente l’istinto primario di sopravvivenza esiste e resiste, si pensi agli esodi derivati da carestie e guerre, ma nel tempo le motivazioni si sono moltiplicate: la curiosità di conoscere nuovi mondi, la sfida a se stessi e alle proprie capacità, l’interesse economico, il desiderio di riconquistare territori perduti, di rispondere scientificamente a quesiti antichi o di superare i limiti delle conoscenze e della tecnologia disponibile.
Maria Leonarda Leone 39
NON SOLO SCALA
Furono in molti ad avventurarsi in terre e mari
IBN BATTUTA
IL VIAGGIATORE DELL’ISLAM
È
Ibn Battuta in Egitto, in una stampa del Settecento.
stato definito “viaggiatore dell’islam”: Ibn Battuta (1304-1369) fu in effetti il più grande degli esploratori arabi, e sfruttò per le sue peregrinazioni la rete di rapporti commerciali che collegava la Spagna all’Indonesia. Passaggi a est. Marocchino di nascita, per quasi tre decenni della sua vita si spostò dall’Africa alla Cina, dall’India al Sud-est asiati-
co. Come? In cammello o a cavallo, con qualche sporadico passaggio a bordo di navi indiane e cinesi. Pellegrinaggio infinito. Battuta (nome completo Abu Abd Allah Muhammad Ibn Abd Allah AlLawati Attanji Ibn Battuta) cominciò all’età di 21 anni, quando partì da Tangeri per il rituale pellegrinaggio alla Mecca. A un certo punto della sua carriera
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ltre a Vasco da Gama e Bartolomeo Diaz, furono in molti a navigare per conto del Portogallo. Benché fosse un piccolo regno, quello Stato divenne infatti, in pochi anni, una superpotenza marinaresca. Il merito fu del lungimirante re Enrico (poi detto il Navigatore), che a partire dal 1430 incoraggiò con decisione la scienza nautica. Vista lunga. Sotto l’influenza del sovrano, il Portogallo sviluppò una serie di migliorie tecniche all’avanguardia. Una delle più im-
PORTOGHESI IL SEGRETO DEL SUCCESSO
di viaggiatore, fece scalo anche alle Maldive dove rimase colpito dall’ineguagliabile potenza sessuale dei suoi abitanti, frutto di una dieta a base di miele, latte di cocco e pesce. Così almeno raccontò nel diario, grazie al quale sappiamo dei suoi viaggi. Per non essere da meno, sposò sei donne locali prima di ripartire alla volta dello Sri Lanka. (a. r.)
portanti fu l’introduzione della caravella (simile alla caracca mercantile, ma più leggera). Altra importante innovazione portoghese fu la navigazione astronomica. Grazie a uno strumento chiamato prima quadrante e poi astrolabio, i lusitani furono i primi capaci di navigare molto al largo delle coste, scoprendo rotte capaci di eludere i venti contrari che soffiano sulla costa africana. E proprio navigando in alto mare scoprirono e colonizzarono gli arcipelaghi delle Azzorre e Capo Verde. (c. c.)
ZHENG HE
quipaggi di 500 persone (contro la quarantina delle caravelle), astrologi e concubine incluse. Così viaggiavano gli esploratori della dinastia Ming. O almeno così viaggiava sulla sua “Nave capolavoro” Zheng He (1371-1434), eunuco e ammiraglio cinese. In Africa. Qualcuno lo chiama “Colombo cinese”, ma in realtà non arrivò fino in America doppiando il
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Capo di Buona Speranza, come si è ipotizzato, sulla base di vari indizi, alcuni anni fa. Le sue giunche oceaniche, lunghe fino a 100 metri e larghe 40, si spinsero certamente fino alle coste orientali dell’Africa. E secondo alcuni potrebbero essere giunte fino alla punta meridionale del continente. Diplomatico. Zheng He era stato incaricato dall’im-
peratore Chi Ti di condurre le “navi tesoro”, cariche di merci di scambio pregiate (seta, spezie, pietre preziose), lungo la costa dell’India verso ovest. In cerca di nuovi contatti, Zheng He si spinse oltre e approdò alle coste somale prima e a quelle dell’attuale Kenya poi. Proprio da quelle terre avrebbe riportato una giraffa come dono al suo signore. (a. c.)
La giraffa che Zheng He portò dalla Somalia.
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IN MISSIONE PER CONTO DEI MING
EUROPEI
sconosciuti. E non tutti appartenevano al Vecchio Mondo
ERIK E LEIF, I VICHINGHI
Ricostruzione dell’insediamento vichingo a Terranova.
“AMERICANI” PER CASO
ALINARI/DEA
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Vichinghi erano grandi navigatori, che viaggiavano per razziare o commerciare. Ma tra il IX e il XIII secolo il loro raggio d’azione si estese. Il clima ci aveva messo lo zampino: in quei secoli l’Europa godette di un periodo particolarmente caldo, con inverni miti ed estati afose. Temperature superiori a quelle odierne, per capirci. Durante la stagione estiva, nei mari
settentrionali il ghiaccio si ritirava talmente a nord che si poteva navigare in relativa sicurezza anche in piena zona polare. Terre verdi. Fitti boschi e distese verdi accolsero Erik il Rosso quando, nel 985 approdò in Groenlandia (“Terra verde”). Una quindicina di anni dopo suo figlio, Leif Eriksson, raggiunse (per caso) il Labrador e Terranova, mettendo
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on c’è dubbio: il più celebrato fra gli occidentali che nel Medioevo si spinsero in Estremo Oriente è Marco Polo (1254-1324). Merito in gran parte del Milione, la sua fantasiosa relazione di viaggio. Ma, prima di lui, qualcun altro raccontò delle terre remote del Catai (la Cina dei medioevali). In particolare, lo fecero due frati francescani. Inviati. Il primo, Giovanni da Pian del Carpine, partì nel 1245. Otto anni dopo fu la volta di Guglielmo da Rubrouck. Giovanni era um-
I MONACI
AMBASCIATORI D’OCCIDENTE
piede in Nord America 500 anni prima di Colombo, anche se non ne nacque una colonia stabile. Inversione. Nel XIV secolo, però, le temperature precipitarono. Le colonie più settentrionali, troppo sfruttate, furono condannate da freddo e ghiacci. I Vichinghi, che negli anni avevano deforestato l’isola, abbandonarono la non più verde Groenlandia. (a. r.)
bro, Guglielmo fiammingo; viaggiarono (in gran parte a cavallo) rispettivamente per conto di papa Innocenzo IV e del re di Francia Luigi IX. Obiettivo? Evangelizzare la terra dei Mongoli. Entrambi fallirono. Ma riportarono notizie di prima mano sui costumi di quel popolo. Giovanni partì da Lione (allora sede papale) e giunse in Asia da nord, attraverso Boemia, Polonia e Ucraina. Guglielmo invece salpò da Costantinopoli e poi percorse la Crimea. Il primo impiegò 15 mesi, il secondo sette. (a. r.)
CONQUISTADORES
opo Colombo, molti conquistadores giocarono il ruolo ambiguo degli esploratori armati. La sete di tesori, che non si fermava davanti a stermini e violenze, paradossalmente contribuì a riscrivere la geografia del pianeta sulle mappe d’Europa. Due oceani. Il 25 settembre 1513, superate le foreste dell’istmo di Panama, il conquistador
Vasco Núñez de Balboa si trovò di fronte al Pacifico, che chiamò Mare del Sud (il nome Pacifico glielo diede Magellano 7 anni dopo). Il fatto che Colombo non fosse sbarcato in Asia, come si pensava, bensì in una terra sconosciuta, era a quel punto sotto gli occhi di tutti. Quello stesso anno, il 2 aprile, un altro conquistador esplorando i Caraibi approdò, la domenica della
Resurrezione (Pascua florida in spagnolo) appunto in Florida: era il primo europeo a calpestare il suolo dei futuri Stati Uniti. Amazzonico. In Sud America, invece, nel 1542 uno dei condottieri dello spietato Pizarro, Francisco de Orellana, fu il primo europeo a percorrere per intero il Rio delle Amazzoni. Che infatti, all’inizio, fu chiamato Rio de Orellana. (a. c.)
Vasco Núñez de Balboa (1475-1519). MUSEO NAVAL DE CASA AMERICA-MADRID
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IL LATO VIOLENTO DELL’ESPLORAZIONE
PRIMO PIANO
COLOMBO AI CARAIBI (1492) CABRAL IN BRASILE (1500) VESPUCCI NELLA BAIA DI RIO (1502)
Un genovese in America Ritratto (postumo) di Cristoforo Colombo, il navigatore che nel 1492 volle “buscar el Levante por el Poniente”. Invece di arrivare in India, come pensava, incappò nell’isola di Santo Domingo (chiamata Hispaniola). 42
Lo sanno tutti: COLOMBO nel 1492 scoprì l’America per caso. Ma aveva davvero sbagliato? Oppure aveva un piano preciso, nascosto agli spagnoli, ed era segretamente al servizio dei portoghesi?
L ’ INTRIGO DEL
MARE
OCEANO Quando Colombo approdò con le sue caravelle pensò di essere arrivato nel Cipango o nel Catai (convinzione che difenderà fino alla morte), il Giappone e la Cina di Marco Polo. Invece noi sappiamo che era nei Caraibi. E quelle terre appartenevano all’epoca del viaggio di Colombo, nel 1492, al Portogallo. O almeno così diceva un trattato oggi dimenticato, firmato nel 1479 ad Alcáçovas tra la Corona di Lisbona e quella di Castiglia. Con quel documento l’allora re del Portogallo, Alfonso V, aveva rinunciato a qualsiasi pretesa sul trono spagnolo, in cambio di una grande porzione di mare, l’attuale Atlantico. Perché mai i portoghesi avrebbero dovuto ri-
Il “padre” del Brasile DEAMSTIME
ANZENBERGER/CONTRASTO
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li anni a cavallo tra il ’400 e il ’500 furono caratterizzati da una vera “guerra fredda”, tra Spagna e Portogallo. Le due potenze marittime infatti cominciarono a contendersi uno dei territori più ricchi e favolosi del mondo, quello che poi si sarebbe saputo essere un nuovo continente e che fu chiamato America. E come ogni guerra fredda che si rispetti aveva le sue spie. Una di queste potrebbe essere proprio il navigatore genovese più famoso di tutti i tempi, Cristoforo Colombo. L’ipotesi parte da una domanda: siamo sicuri che i portoghesi, prima che Colombo compisse il suo primo viaggio per conto degli spagnoli, non immaginassero già che oltre quello che allora chiamavano Mare Oceano si trovavano nuove terre? Non ci sono documenti che lo attestino, ma una serie di indizi, se fossero confermati, aprono la strada a ricostruzioni che potrebbero cambiare i libri di Storia. Versione scolastica. Ma partiamo dall’inizio. Oggi gli studenti brasiliani cominciano a studiare la storia della loro nazione partendo dalla data simbolo del 22 aprile 1500. Ovvero il giorno della scoperta del Brasile da parte del navigatore portoghese Pedro Álvares Cabral. Una versione che da oltre 500 anni si ripete sempre uguale. Ma potrebbe esserci un’altra verità celata per secoli: i portoghesi sapevano dell’esistenza di un immenso territorio a sud dell’Equatore molti anni prima di Cabral. Ma l’informazione rimase segreta per negoziare in posizione di vantaggio con gli spagnoli.
Pedro Álvares Cabral, partì per l’India sulle orme di Vasco da Gama. Prima di giungere anche lui in Asia, toccò il Brasile nel 1500.
CIRCOLO ARTICO Allora chiamavano così il Circolo polare artico. LINEA DEL TRATTATO DI TORDESILLAS (1494) Con cui Spagna e Portogallo si divisero il mondo.
ANTILLE DEL RE DI CASTIGLIA
ISOLA DI HISPANIOLA Oggi divisa fra Repubblica Dominicana e Haiti, fu il primo approdo di Colombo.
LINEA EQUINOZIALE Così si chiamava allora l’Equatore.
BRASILE Una terra toccata da diversi navigatori, tra cui Cabral (1500) e Vespucci (1503).
PEDRO CABRAL 1467-1520 SCOPRITORE UFFICIALE DEL BRASILE 44
1500
PARTENZA DA CAPO VERDE
FLOTTA PODEROSA
VERSO SUD
IN BRASILE
La missione di Cabral è arrivare a Calicut (in India), sulla rotta al largo di Capo Verde.
Cercando una rotta particolarmente favorevole si dirige più a sud possibile, grazie agli alisei.
Il 23 aprile approda, probabilmente per caso, in una terra sconosciuta, il futuro Brasile.
Colombo di rientro dal suo primo viaggio si fermò un mese alla corte portoghese. Non si sa perché
IL MONDO NEL 1502
SCALA
La mappa di Cantino (1502) è la più antica mappa conosciuta che riporta il Nuovo Mondo (e il Brasile).
nunciare a qualcosa di così importante come il trono spagnolo per garantirsi il controllo di un’immensa distesa marina? Non aveva alcun senso. A meno che i portoghesi non immaginassero già allora che al di là dell’Atlantico non abitassero mostri, né ci fosse la fine del mondo, ma si trovassero terre ricche di tesori. Tappa misteriosa. Lo sapeva forse anche il navigatore genovese che, come molti altri italiani, si era trasferito a Lisbona, tra il 1470 e il 1480, capitale delle esplorazioni per mare? Di preciso non si sa. Si sa solo che al ritorno dal suo primo viaggio, nel 1493, si fermò un mese intero a Lisbona. La sua missione era stata finanziata dalla Spagna, e non aveva alcun senso apparente fermarsi nella capitale del Portogallo, che per di più in quel momento era un regno nemico della Spagna. Eppure Colombo fu ricevuto con tutti gli onori a corte da re Giovanni II (succeduto ad Alfonso V), facendo riparare la nave Niña nei cantieri lusitani. Giovanni peraltro era lo stesso sovrano, che aveva rifiutato di finanziare la sua missione verso le Indie, pochi mesi prima, costringendolo a rivolgersi agli spagnoli. Erano d’accordo da prima del viaggio? E se Colombo avesse rivelato solo ai portoghesi le sue clamorose scoperte, fingendo poi con la Spagna (e per tutta la vita) di essere stato in Asia? Se così fosse non v’è dubbio che il Portogallo avrebbe avuto un grande vantaggio sugli spagnoli. Con il rientro di Colombo, infatti, gli spagnoli si persero in feste, banchetti e celebrazioni, tanto da programmare la seconda spedizione di Colombo non prima della fine di settembre di quel 1493. Nel frattempo invece i portoghesi presero il mare, partendo da Madeira (come riferirono alcune fonti segrete spagnole) e, forse grazie
DIARIO DI BORDO VERSO L’AFRICA
SEQUESTRATORE
Prosegue verso le coste dell’Africa, dove incontra una tempesta che fa affondare 4 navi.
A giugno è a Calicut dove sequestra una nave musulmana carica di pepe. Poi torna a Lisbona.
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LE NAVI DELLA FLOTTA CON LE QUALI SALPÒ, UFFICIALMENTE PER L’INDIA
1.200
1501
RITORNO IN PORTOGALLO
GLI UOMINI IMBARCATI SULLE SUE NAVI, IN UNA DELLE SPEDIZIONI PIÙ COSTOSE DELL’EPOCA
La linea della discordia
P
er convincere gli spagnoli a “spostare” verso ovest la linea di spartizione stabilita da papa Alessandro VI, il re Giovanni II del Portogallo usò stratagemmi ingegnosi. Arrivò a sostenere che la linea di demarcazione del papa, che assegnava agli spagnoli i territori 100 leghe a ovest di Capo Verde (e al Portogallo quelli a est), sarebbe stata svantaggiosa per Madrid. Fatti più in là. La proposta portoghese prevedeva invece di spostare il meridiano di spartizione 370 leghe a ovest di Capo Verde. In teoria non sarebbe cambiato nulla per gli spagnoli, giacché per quello che – ufficialmente – si sapeva, le terre scoperte da Colombo si trovavano molto più a ovest di quella linea, e da Capo Verde fin laggiù, a nord dei tropici, c’era solo acqua salata. Dopo due anni di negoziati durante i quali re Giovanni, caparbio, insistette sulle sue richieste, lo sforzo diplomatico del sovrano venne premiato: la Spagna accettò, pensando di aver fatto un affare, e il 7 giugno 1494 si firmò il trattato di Tordesillas. (c. c.)
Duarte Pacheco Pereira, navigatore portoghese, probabilmente il primo a toccare le coste del Brasile nel 1494. Un’impresa rimasta segreta per secoli.
L’AMMIRAGLIA DI COLOMBO Le caravelle del tipo usato dal genovese per i suoi viaggi rimasero in attività sui mari fino al XVI secolo. Ecco come era fatta la Santa Maria.
LA BANDIERA Il vessillo rappresenta il regno di Castiglia e León, uniti dal 1230.
COFFA Era la piattaforma circolare dove un marinaio controllava il mare (e avvistava la terra).
VELA DI MEZZANA La vela triangolare era usata per le manovre.
LA CROCE La croce sulle vele era il simbolo dell’Ordine di Santiago, monaci guerrieri che combattevano per la corona di Spagna e che finanziarono la spedizione di Colombo.
L’ARCO Questo particolare archetto frontale serviva per “tagliare” le onde.
UNICO PASTO Nella cucina si preparava un solo pasto al giorno (c’era un braciere in ferro). La stiva conteneva acqua dolce e zavorra.
PONTE DI POPPA Qui dormiva Colombo, l’unico ad avere una camera e un letto. Gli altri dormivano sul ponte.
AMERIGO VESPUCCI 1454-1512 NAVIGATORE E CARTOGRAFO FIORENTINO 46
1499
PARTENZA DALLA SPAGNA
IN VENEZUELA
IL SEME DEL DUBBIO
A RIO DE JANEIRO
Come “piloto” parte con la spedizione di Alonso de Ojeda. Arriva alle foci dell’Orinoco.
Nel 1501 incontra Cabral e sospetta che le terre che aveva toccato non fossero in Asia.
Nel 1502, in un secondo viaggio, la flotta entra nella baia della futura Rio de Janeiro.
I portoghesi erano la più importante potenza marinara dell’epoca grazie ai loro progressi nell’arte della navigazione. Erano dunque gli “sponsor” ideali alle informazioni del navigatore genovese, si imbatterono proprio in quello che poi sarebbe stato il fiore all’occhiello del loro impero, il Brasile. A quel punto tra Portogallo e Spagna era crisi ufficiale: Colombo aveva piantato la bandiera della Spagna sulle isole che aveva raggiunto, rivendicandole a nome di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona. Tutto però in aperta violazione dei patti di Alcáçovas, cosa che costrinse Lisbona a mobilitare le truppe. Anche il papa... A peggiorare le cose, nel maggio 1493 papa Alessandro VI Borgia, spagnolo, emanò la bolla Inter Caetera, nella quale decretò che tutte le terre a ovest del meridiano, a 100 leghe dalle Isole di Capo Verde, sarebbero appartenute alla Spagna, mentre le terre a est di quella linea sarebbero state del Portogallo. Una divisione del mondo che avrebbe consegnato praticamente l’intero Nuovo Mondo (di cui ancora gli spagnoli non sospettavano l’esistenza) agli spagnoli. A Lisbona scoppiò il panico. La proposta era irricevibile, ma non si poteva fare la guerra contro la Spagna e anche contro il papa. Astutamente, allora Giovanni II, scavalcò la diplomazia pontificia e intavolò i negoziati direttamente con i reali di Spagna, facendo di tutto perché la linea fosse spostata più a ovest. Nacque una nuova spartizione, e la linea fu quella stabilita dal cosiddetto Trattato di Tordesillas del 1494 (v. riquadro nella pagina precedente). L’ostinazione di Giovanni di Portogallo per spostare la linea immaginaria dei domini, apparentemente insensata, fa sorgere un altro sospetto: il re sapeva dell’esistenza di territori nell’Atlantico occidentale (situati dove ora sappiamo esserci il Brasile) così importanti da giustificare tanta insistenza sul tracciare quella linea? L’ipotesi è
avallata dalla testimonianza di uno dei plenipotenziari portoghesi durante la trattativa, Duarte Pacheco Pereira: “Il giudizio del re e la sua intelligenza sono rimasti insuperati nel nostro tempo”. Pereira infatti era un navigatore, e forse sapeva che a quella latitudine si trovavano nuove terre dalle grandi potenzialità. Cercando il vento. Ulteriori indizi che avvalorano questa teoria sono i registri, tuttora esistenti, dei generi alimentari imbarcati sulle navi in partenza da Lisbona prima del 1494. Tra questi, un ordine di mille quintali di biscoitos (pane cotto due volte utilizzato come alimento per i marinai durante i lunghi viaggi) sufficiente per rifornire un paio di caravelle per oltre due anni. Un tempo immenso, spropositato per le esigenze delle missioni commerciali inviate nel Mediterraneo o lungo le coste dell’Africa Occidentale. Altre indicazioni provengono da rapporti di spie castigliane, che già nel 1493 segnalarono quattro caravelle in partenza dall’isola di Madeira in rotta verso ovest. Ma se Cabral partì solo nel 1500, quelle navi dove si dirigevano? Forse verso una terra che i navigatori portoghesi avevano già scoperto durante i loro viaggi verso l’Africa Meridionale. Grazie alle innovazioni tecnologiche e all’intraprendenza dei sovrani di Lisbona, i portoghesi erano la prima potenza marinara dell’epoca. La caravella era merito loro, come pure l’astrolabio. Ed erano stati loro a scoprire la volta pelo largo, una rotta che permetteva di avere sempre il vento favorevole, pur navigando molto lontani dalla costa. Secondo alcune ricostruzioni di storici, fu proprio durante uno dei viaggi in Africa che i navigatori portoghesi avrebbero avvistato le spiagge brasiliane, uno di loro, fu forse Vasco da Gama. Nell’agosto 1497 il
Perché America e non “Colombia”?
N
“
on vedo perché questa terra non possa essere chiamata Amerigen, cioè terra di Amerigo, o America, come omaggio al suo scopritore, uomo di acuto ingegno”. Se a noi è noto che fu Colombo a scoprire l’America, non altrettanto lo era ai suoi contemporanei. Nel XV-XVI secolo gli esploratori partivano e tornavano spesso senza capire dove erano stati, o credendo si trattasse di altri luoghi. E i loro resoconti di viaggio troppo tecnici erano incomprensibili ai più. Mondo nuovo. Solo il fiorentino Amerigo Vespucci (il primo a intuire che le coste del Brasile che aveva toccato fossero terre nuove per gli europei) fu capace di raccontare con il piglio del romanziere i suoi viaggi. Così, a sua insaputa, le sue lettere con il titolo Mondus Novus (1503-04) furono pubblicate e diffuse. Arrivarono nella corte francese di Saint-Dié-des-Vosges, dove alcuni umanisti e il cartografo Waldseemüller nel 1507 disegnarono una nuova mappa mondiale, che sulla quarta parte del globo riportava il nome “America”, convinti che lui ne fosse lo scopritore. (f. c.)
Vespucci (qui in una stampa), figlio di mercanti fiorentini, si dedicò ai viaggi e alla cartografia. A sua insaputa, un intero continente prese il suo nome.
IN PATAGONIA
ASTRONOMO
La spedizione si sposta sempre più a sud fino ad arrivare al Rio Cananor, in Patagonia.
In questo viaggio “riscopre” due stelle, Alfa e Beta Centauri (già note ai Greci).
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LE LEGHE PERCORSE RISALENDO IL RIO DELLE AMAZZONI
SCOPERTE
1504
FINE QUARTO VIAGGIO
FU IL PRIMO A CALCOLARE LA LONGITUDINE E FARE IL PUNTO OSSERVANDO LA DISTANZA LUNARE
SCALA WWW.SCALARCHIVES.COM
DIARIO DI BORDO
GLI ALTRI MISTERI DI COLOMBO
Era davvero genovese? Il suo viaggio avvenne veramente nel 1492? Dove riposano A cura di Federica Ceccherini le sue spoglie? Che cosa significa la sua firma? Le questioni più controverse. LA “PRESCOPERTA”
IL LUOGO DI NASCITA
C
olombo non scriveva in lingua volgare italiana. La parlava, la capiva, ma per scrivere usava il castigliano. E, eccezion fatta per il testamento e poco altro, lui stesso non si dichiarò mai apertamente genovese. Queste particolarità, unite al fatto che Cristoforo Colombo nel ’400 era un nome diffuso, che si trova in molti documenti dell’epoca, hanno fatto sorgere dubbi sulle sue origini (che rimagono ufficialmente genovesi). E in molti, anche fuori dall’Italia, ne hanno rivendicato i natali. Di qui e di là. Tra i più agguerriti ci sono gli spagnoli che a lungo hanno tentato di attribuirsi la nascita di Cri-
I
stóbal Colón, poi i portoghesi e perfino i polacchi, che lo vorrebbero figlio di Ladislao III, vissuto sotto mentite spoglie. E poi Calvi in Corsica (allora sotto la giurisdizione di Genova). Anche Sanluri, in Sardegna è stata presa in considerazione. E, sempre per rimanere in Italia, ci sono Cogoleto, Terrarossa di Mocònesi (Ge), Chiusanico (Im) e, recentemente, Savona. Poi Piacenza e Bettola (Pc). Di certo non è facile raccapezzarsi tra montagne di documenti per capire di quale Colombo si tratti. E se non era il genovese nato in vico Diritto dell’Olivella, tra il 26 agosto e il 30 ottobre 1451, chi era il Colombo scopritore dell’America?
l 12 ottobre 1492 Colombo, in realtà, avrebbe solo “riscoperto” l’America. Sì, perché secondo alcune ipotesi, tuttavia ben poco scientifiche, su quelle coste il genovese sarebbe giunto ben sette anni prima. Cioè nel 1485. Cose turche. Tutto ha inizio da un testo posto a corredo di una mappa del mondo, risalente al 1513, ritrovata nel 1929 in Turchia e oggi conservata nel museo Topkapi, a Istanbul. “Queste coste si chiamano litorale di Antilya. Sono state scoperte nell’anno 890 dell’era araba [corrispondente al 1485 dell’era cristiana, ndr]. E si racconta che un infedele di Genova, chiamato Colombo, ha scoperto queste
contrade”. Sono parole di Piri Reìs, navigatore ottomano da cui la cartina prende il nome, che fa riferimento a un misterioso libro su cui Colombo avrebbe saputo che ai confini del Mare d’Occidente si trovavano coste e isole ricche di tesori. Nella mappa di Reìs, inoltre, sarebbero state disegnate terre scoperte solo in seguito. Il tutto confermato, secondo i sostenitori della “prescoperta”, dalla frase presente sulla tomba di papa Innocenzo VIII: “Novi orbis suo aevo inventi gloria” che pone il suo pontificato nel periodo della scoperta di un Nuovo Mondo. Ma Innocenzo VIII morì nel luglio 1492, tre mesi prima della scoperta.
L’ENIGMA DELLA FIRMA n Italia era Cristoforo Colombo in Portogallo fu Cristóvão Colombo e in Spagna Cristóbal Colón. Tuttavia decise di non firmarsi con nessuno di questi nomi, ma in un modo misterioso (v. foto a destra), che ha fatto spaccare la testa a generazioni di studiosi. Senza grandi risultati. L’autografo di Colombo rimane ancora poco chiaro e sul suo significato esistono solo delle congetture. S. S. A. S. potrebbero significare Servus Sum Altissimi Salvatoris, “Sono servo
dell’Altissimo Salvatore”. Mentre la terza riga “X. M. Y.” corrisponderebbe a un’invocazione a Cristo, a Maria e Giuseppe, Xristus Maria Yosephus. L’ultima riga “Xpo FERENS”, corrisponde a Xristo Ferens, ossia portatore di Cristo, da cui il nome Cristoforo. Missione. Ma c’è anche un’altra interpretazione. In Colombo ambizione sfrenata e profonda fede si sposavano perfettamente e trovavano un unico obiettivo comune in quella che lui credeva la sua missione.
CRISTOFORO COLOMBO 1451-1506 APPRODÒ A HISPANIOLA IL 12 OTTOBRE 1492 48
1492
PARTENZA DA PALOS (SPAGNA)
Oltre alla gloria e ai commerci Colombo pensava infatti che i viaggi sarebbero serviti, in un secondo momento, anche alla conversione degli infedeli e soprattutto alla riconquista, da parte della Spagna, di Gerusalemme e Terrasanta. Per questo le tre S potrebbero rappresentare la Trinità, mentre le lettere successive X. M .Y. indicherebbero l’obiettivo della missione: cristiani, musulmani e ebrei (Xristianos, Mauros, Yudaeos), su cui scenderà lo Spirito Santo.
La criptica firma di Cristoforo Colombo. MONDADORI/AA
I
TRA I SARGASSI
TERRA! TERRA!
PRIMA COLONIA
Nel Mar dei Sargassi (alghe galleggianti) Colombo è certo che la terra è vicina. Si sbaglia.
12 ottobre: Rodrigo de Triana, a bordo della Pinta, avvista terra. È il Nuovo Mondo.
Nel 1494 Colombo a Santo Domingo (Hispaniola) fonda la prima colonia: La Isabela.
IL CORPO
C
olombo morì in Spagna, a Valladolid, il 20 maggio 1506 e inizialmente fu sepolto nella cripta del Convento dell’Osservanza della città stessa in cui morì. Ma le notizie certe finiscono qui. Secondo qualcuno il navigatore riposerebbe ancora lì. Eppure, assecondando le ultime volontà dello stesso navigatore che voleva essere seppellito nei territori da lui toccati, si sa che nel 1537 le sue spoglie furono traslate a Santo Domingo e inumate nella cattedrale. Navigatore eterno. I suoi resti nell’800 tornarono però in Europa, dopo una tappa all’Avana (Cuba) dove era stato portato dagli spagnoli in fuga dall’isola dominicana nel 1795. Solo nel 1902 trovò (forse) un po’ di pace, nella Cattedrale di Santa Maria della Sede a Siviglia (foto sopra). Come in vita, anche in morte Colombo conserva qualche segreto. A Santo Domingo esiste infatti un gigantesco mausoleo a lui dedicato che conserva una cassa con resti e ossa con scritto “Illustre grand’uomo don Cristóbal Colón”. Appartengono forse al famoso genovese? Non si sa. Un recente esame del Dna non ha dato gli esiti sperati e il mistero continua. Anche Genova ha qualcosa dell’esploratore: una parte delle ceneri donate dai dominicani sono oggi conservate a Palazzo Tursi.
Una delle tante statue di Colombo: questa è a Santa Margherita Ligure.
DIARIO DI BORDO
ECLISSI Nell’ultimo viaggio evita la ribellione degli indigeni all’eclisse di Luna, che li terrorizza.
capitano da Gama seguì proprio la volta pelo largo per doppiare il Capo di Buona Speranza e raggiungere l’India. Nel diario di bordo annotò: “avvistammo molti uccelli e, quando venne la notte, essi puntarono con grande decisione [...], come uccelli che si dirigono verso la terra”. Erano le coste sudamericane? Mappe nascoste. C’è un altro indizio: come mai sono così dettagliate le coste brasiliane nella mappa detta “Planisfero di Cantino” del 1502 (v. nelle pagine precedenti)? Il sospetto è che l’italiano Alberto Cantino, che la disegnò, fosse entrato in contatto con una “carta nautica delle isole recentemente scoperte nella regione delle Indie” gelosamente custodita dai portoghesi. Resoconti di viaggio e cartine degli esploratori erano conservate alla Casa da Mina e das Indias, un luogo chiuso al pubblico, e la mappa di Cantino mostra terre che in quella data avrebbero dovuto essere ancora sconosciute. L’italiano fu forse aiutato da navigatori approdati in Brasile prima di Cabral? Tra questi potrebbe esserci quello stesso Pereira che si era complimentato con Giovanni II per i negoziati di Tordesillas. Nel suo libro Esmeraldo de Situ Orbis (1505-08) racconta che re Giovanni gli ordinò di “esplorare la parte occidentale [del mondo, ndr], passando oltre la grandezza del Mare Oceano, dove è stata trovata una grande terra ferma”. Pereira non specifica la data di queste missioni ma,
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I GIORNI IMPIEGATI PER LA PRIMA TRAVERSATA, INIZIATA IL 3 AGOSTO 1492 DA PALOS, IN SPAGNA
1504
RIENTRO DAL QUARTO VIAGGIO
secondo studi indipendenti di storici portoghesi, spagnoli e inglesi, il navigatore sarebbe sbarcato sulle coste del Brasile prima del 1494, esplorandole e risalendo il Rio delle Amazzoni (le cui foci furono raggiunte anche dall’esploratore fiorentino Amerigo Vespucci nel 1499) per circa 900 km. E relazionando sulle sue scoperte alla corte di Lisbona. Questo sarebbe stato il “tesoro” da proteggere con il trattato di Tordesillas. Il segreto di Stato su quei primissimi viaggi costrinse Pereira a restare nell’ombra, lasciando a Cabral il titolo di scopritore del Brasile, nell’aprile del 1500. In realtà, anche lo spagnolo Vicente Yáñez Pinzón e Vespucci esplorarono quelle coste prima di lui. E non solo il “primato” di Cabral rimase a lungo ufficioso, ma anche non gli fu più affidata alcuna missione. Un triste destino per l’esploratore portoghese, immortale sui libri ma che morì senza gloria dimenticato da tutti. Il segreto di re Giovanni, in fondo, resiste ancora. • Carlo Cauti
DREAMSTIME
DREAMSTIME
Dopo il rientro di Colombo dal suo primo viaggio, furono i portoghesi a salpare subito verso ovest
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GLI UOMINI IMBARCATI CON LUI SULLE TRE CARAVELLE
PRIMO PIANO
GIOVANNI CABOTO ARRIVA IN CANADA (1497)
PIGAFETTA CON MAGELLANO PASSA DALL’ATLANTICO AL PACIFICO (1520)
VASCO DA GAMA CIRCUMNAVIGA L’AFRICA E ARRIVA IN INDIA (1498)
Il primo attorno al mondo Ritratto moderno di Antonio Lombardo, detto Pigafetta, che fu il cronista di bordo della spedizione di Magellano. A destra, il passaggio dello Stretto di Magellano.
ALLA RICERCA DEL 50
GIORNO
Salpato con Magellano nel 1519, il vicentino Pigafetta fu uno dei pochi a tornare. CIRCUMNAVIGANDO IL GLOBO scoprì mondi e popoli (e persino i fusi orari)
PERDUTO
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NATIONAL GEOGRAPHIC SOCIETY/GETTY IMAGES (2)
T
utto iniziò dalla fine. La fine del primo viaggio compiuto intorno al mondo. La spedizione era quella capitanata dal portoghese Ferdinando Magellano, che però era morto nel 1521, prima di portarla a termine. Fu proprio alla conclusione di quella lunga esplorazione, dicevamo, che il cronista di bordo, il vicentino Antonio Pigafetta (1492-1531), si accorse che strada facendo non avevano perso solo il capitano, la maggior parte dell’equipaggio e 4 delle 5 navi con cui erano partiti: all’appello mancava anche un giorno. Era il 1522 quando la nave Victoria e i suoi pochi superstiti avevano fatto “scalo tecnico” in una piccola baia di São Miguel, la più meridionale delle Isole degli Avvoltoi (cioè le Azzorre). Dove un certo scalpore aveva fatto la notizia che non era il 9 luglio, ma il 10. Cambio di data. “Commettessimo a li nostri del battello, quando andarono in terra, [che] domandassero che giorno era: me dis-
Primo sguardo
GETTY IMAGES (4)
Una veduta dell’Isola di Guam: la traversata del Pacifico da parte di Magellano si concluse proprio approdando sull’isola nell’arcipelago delle Marianne. I suoi uomini furono i primi europei lì.
Pigafetta aveva ottenuto il titolo di cavaliere di Rodi prima del 1519: aveva probabilmente fatto il suo noviziato combattendo sulle galee dell’ordine sero come era a li portoghesi giove [giovedì]”, annotava Pigafetta nella sua Relazione del primo viaggio intorno al mondo. “Se meravigliassemo molto perché era mercore [mercoledì] a noi; e non sapevamo come avessimo errato: per ogni giorno, io, per essere stato sempre sano, aveva scritto senza nissuna intermissione”. Era partito, con poco meno di 300 uomini, al seguito di Magellano quasi tre anni prima, il 20 settembre 1519 da Sanlúcar de Barrameda (Spagna). Quella mattina di luglio, solamente in 18 avevano rimesso
piede sul continente europeo, dopo aver circumnavigato il globo. Il vicentino, ricontrollando il suo diario senza trovare inesattezze, aveva concluso che l’errore dovevano averlo commesso per qualche oscura ragione i portoghesi delle Azzorre. Ma anche quando la Victoria gettò l’ancora dopo altri due mesi nel porto di Sanlúcar le date non combaciavano. Per gli esploratori era il 5 settembre, per il calendario il 6. Era la premessa per una serie di scoperte eccezionali, inclusa quella del fuso orario. Ma andiamo con ordine e torniamo all’inizio.
GIOVANNI CABOTO CA. 1450-1498? CAPOSTIPITE DI UNA FAMIGLIA DI NAVIGATORI 52
1497
PARTENZA DA BRISTOL (GB)
Imbucato. Antonio Lombardo, detto Pigafetta, sulla spedizione di Magellano c’era finito quasi per caso. Nato in una nobile famiglia vicentina in un non ben precisato anno tra il 1480 e il 1491, fu imbarcato come criado (addetto alla persona) e uomo d’arme (apparteneva all’ordine dei Cavalieri di Rodi) proprio sulla nave dell’ammiraglio, svolgendo al suo fianco incarichi di fiducia. Il suo obiettivo era “far esperienzia di me e andare a vedere quelle cose, che potessero dare alcuna satisfazione a me medesimo e potessero partorirme qualche no-
MADE IN ITALY
AGGIUSTIAMO LA ROTTA
PER L’INGHILTERRA
Le sue origini sono incerte: ne rivendicano i natali Genova, Savona e anche Gaeta.
Dopo il primo viaggio di Colombo vuole ripetere il tragitto, con una rotta più a nord.
L’unico a dargli credito (e una nave) è, nel 1496, Enrico VII, re d’Inghilterra.
Il mondo secondo lui Sopra, portoghesi al loro arrivo in India (a sinistra) e in Africa (a destra), in illustrazioni di fine Cinquecento ispirate alla testimonianza di Pigafetta. A lato, le Isole dei Ladroni (ovvero le attuali Marianne, nel Pacifico) in una mappa del XVI secolo ispirata alla relazione di Pigafetta.
me appresso la posterità”. Insomma, era un tipo ambizioso in cerca di fama, arrivato lì forse grazie alla spintarella di Francesco Chiericati, suo concittadino, nunzio pontificio di Leone X, al seguito del quale era arrivato in Spagna. Quanto al comandante di quella missione, gli intenti erano più pratici: portare a casa il pepe, per esempio, spezia molto utilizzata all’epoca per coprire il sapore della carne andata a male. Per procurarsene bisognava fare rotta verso le Isole delle Spezie, ovvero le Molucche, in Indonesia. Ma-
gellano, portoghese ma al soldo degli spagnoli, provò a farlo andando “contro corrente”, puntando cioè verso occidente. In mezzo c’era il continente sudamericano, già scoperto, ma si immaginava l’esistenza del paso, un canale che avrebbe dovuto tagliare l’America del Sud e portare a un altro mare da cui raggiungere l’Oriente. Detto, fatto: Magellano ci provò. Reporter di viaggio. Nella relazione che ne fece Pigafetta, in un bizzarro italiano misto a dialetto vicentino e con qualche contaminazione di spagnolo, ci sono “tut-
Grazie al Niño
A
ll’inizio era successo di tutto: tra ammutinamenti e naufragi, Magellano era arrivato con fatica a individuare il “Canal de Todos Santos”, l’angusto passaggio tra la Patagonia e la Terra del Fuoco (che poi avrebbe preso il suo nome). Ma una volta doppiata la punta meridionale del Sud America, il vento cambiò. Letteralmente. Erano sbucate nell’oceano Pacifico e, veleggiando per 14mila km a nord-ovest, le navi superstiti avevano raggiunto l’Arcipelago delle Marianne sfruttando le correnti marine e i venti favorevoli prodotti in quell’anno da El Niño (“il bambinello”). L’anomalia climatica che periodicamente colpisce l’oceano Pacifico quella volta risparmiò il lavoro dei marinai, decimati dalle malattie e stremati dalla fame. Malasorte. Questo fenomeno climatico fu decisivo per la riuscita della circumnavigazione del globo: furono quelle stesse correnti infatti a portare Magellano un migliaio di chilometri più a nord del previsto, fino a Cebu, nelle Filippine. Dove però aveva appuntamento col destino, e perse la vita. (m. l. l.)
DIARIO DI BORDO TERRA DI MEZZO
IN ASIA?
PADRE E FIGLIO
Nel 1497 Caboto tocca le coste canadesi avvistando l’isola di Terranova, che crede sia la Siberia.
Enrico VII, convinto che Caboto abbia toccato l’Asia Orientale, moltiplica gli aiuti.
Caboto e il figlio Sebastiano ripartono per un secondo viaggio. Obiettivo: il Giappone.
18 UOMINI L’EQUIPAGGIO DEL PRIMO VIAGGIO
10 STERLINE
PREMIO PER LA SCOPERTA DELLA SIBERIA (IN REALTÀ ERA IL CANADA)
SCOMPARSO CABOTO NON TORNÒ PIÙ
SCOPERTE
RAGGIUNGE TERRANOVA
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Arriva lo straniero
Pigafetta non era un marinaio, ma ottenne la massima fiducia di Magellano: era al suo fianco (e fu ferito) quando il suo comandante fu ucciso te le cose passate de giorno in giorno nel viaggio nostro”. Ci sono i pinguini chiamati oche e le foche soprannominate lupi marini, che “sarebbero ferocissimi se potessero correre”. Poi ci sono i giganti della Patagonia, come quello che a un certo punto presero a bordo: “un uomo, de statura de gigante […] così grande che li nostri non gli arrivavano alla cintura”. Statuarie anche le loro compagne che “non sono tanto grandi, ma molto più grosse. [...] Hanno le tette longhe mezzo braccio; sono dipinte e vestite come i loro mariti [cioè nude, ndr], se non [che] dinnanzi a la natura hanno una pellesina che la copre”. Nel suo racconto trovano spazio anche donne che restano incinte per l’azione del vento e altre che per coprirsi usano le loro stesse enormi orecchie, e persino uccelli che trasportano sulla cima degli alberi elefanti e bufali. Nonostante qualche evidente svarione, per gli storici quello del vicentino resta un documento preziosissimo, tra l’altro il primo dizionarietto del-
la lingua delle estreme regioni sudamericane. Parole che annotò con il piglio del ricercatore: “Me disse questi vocaboli quel gigante, che avevamo nella nave, perché domandandome capac, cioè pane, che così chiamano quella radice che usano loro per pane, e oli, cioè acqua, quando el me vide scrivere questi nomi, domandandoli poi de li altri con la penna in mano, me intendeva”. I conti tornano. Con la stessa accuratezza aveva annotato il passare di quei 2 anni, 11 mesi e 17 giorni di navigazione. Eppure c’era quel giorno perso che metteva in discussione la sua precisione. Solo quando mise piede a terra in Spagna ebbe la prova della correttezza dei suoi calcoli: Pigafetta si accorse infatti che nel porto di Sanlúcar era attraccata, ormai da oltre un anno, la San Antonio, la nave più grande della flotta di Magellano. Il suo equipaggio, il 21 ottobre 1520, si era rifiutato di proseguire il viaggio e aveva fatto dietrofront. Sulla San Antonio Pigafetta mise le
VASCO DA GAMA 1460-1524 IL PORTOGHESE INTORNO ALL’AFRICA 54
Gli uomini di Magellano accolti dagli indigeni, secondo le illustrazioni cinquecentesche ispirate ai racconti del cronista vicentino.
1497
8 LUGLIO: SALPA DA LISBONA
mani sul giornale di bordo e appurò che la data dell’ammutinamento coincideva con quella che anche lui aveva annotato. Nel resto del giornale però non c’era traccia di giorni perduti rispetto al calendario. Sembrava davvero che questo strano fenomeno fosse successo solo sulla Victoria. Il vicentino provò a buttarla in filosofia. Si procurò tutti i tomi che analizzavano il problema del tempo: da Tommaso d’Aquino a Plotino, passando per Platone e Aristotele. Ma non era lì che doveva cercare: la spiegazione era scientifica e stava nella rotazione della Terra intorno al Sole e della Terra su se stessa. I sopravvissuti della Victoria avevano calcolato i giorni rispetto alla circumnavigazione del globo, compiuta verso ovest, nella stessa direzione del Sole. La Terra, però, girando sul proprio asse verso est, aveva fatto accumulare ogni giorno un po’ di ritardo alla nave: in pratica il Sole era passato sulle loro teste una volta in meno rispetto a chi li aveva aspettati in Spagna, senza muoversi.
PRIGIONIERI SPIA
SEGUENDO DIAZ
VERSO IL LARGO
Parte con 4 navi, 150 uomini e qualche prigioniero (da usare come spia).
Segue la rotta di Bartolomeo Diaz, che nel 1488 aveva doppiato il Capo di Buona Speranza.
È il primo navigatore a scegliere di distaccarsi nettamente dalla costa per sfruttare i venti.
Tributo postumo Il monumento dedicato da Vicenza a Pigafetta nel 1936, opera dello scultore Giuseppe Zanetti.
GETTY IMAGES/PHOTONONSTOP RM
Dove tutto iniziò La facciata della casa della famiglia Pigafetta a Vicenza: fu eretta nella prima metà del Quattrocento.
Gira il mondo, gira. “Dunque non era errore; ma il viaggio fatto sempre per occidente e ritornato a lo stesso luogo, come fa il Sole, aveva portato quel vantaggio de ore ventiquattro, come chiaro se vede”. Bisognò aspettare più di tre secoli perché questo fosse sancito ufficialmente: basandosi sul tempo impiegato dalla Terra per compiere una rotazione completa su se stessa (24 ore appunto), un accordo internazionale del 1884 divise la superficie terrestre in 24 spicchi, chiamati fusi orari, ciascuno con un’ampiezza di 15° di longitudine (corrispondenti a un’ora). Il risultato? Un
viaggiatore che si sposti verso ovest, passando da un fuso orario al successivo, deve portare indietro le lancette dell’orologio ogni volta per ogni fuso, per recuperare il tempo “perso”. Su tutti i fronti, dunque, la spedizione di Magellano fu un successo. A bordo della Victoria, capitanata dal nuovo comandante Juan Sebastián Elcano (a lui, e non a Magellano, spetta tecnicamente il primato della circumnavigazione), c’era un carico di chiodi di garofano e di noci moscate dall’Isola del Borneo, che ripagava chi aveva finanziato l’impresa. Nel corso degli
85mila km percorsi erano state dimostrate, nell’ordine: l’esistenza del passaggio occidentale alle Indie, la possibilità di circumnavigare il globo e, non da ultima, la sfericità della Terra. In più c’erano le premesse per comprendere il concetto di fuso orario. Che Pigafetta fu chiamato a spiegare nel palazzo reale di Valladolid, la sera dell’8 dicembre 1522, al cospetto di Carlo V, sponsor di Magellano. Lo fece simulando la circumnavigazione, e girando intorno a un grande tavolo circolare d’ebano. E tutto finì com’era iniziato. • Anita Rubini
DIARIO DI BORDO LE INDIE VIA MARE
AIUTINO ARABO
SCAMBI FRUTTUOSI
Doppia l’Africa e attraversa l’oceano Indiano. Nel 1498 sbarca sulla costa indiana.
È una guida araba che gli insegna a sfruttare il monsone per la navigazione.
A Calcutta riesce a barattare perline di vetro in cambio di preziose spezie.
9.000
I KM PERCORSI IN MARE APERTO, DALL’AFRICA OCCIDENTALE AL CAPO DI BUONA SPERANZA
SCOPERTE
1499
IL 9 SETTEMBRE TORNA A LISBONA
APRE UNA NUOVA ROTTA COMMERCIALE ALTERNATIVA ALLA VIA (TERRESTRE) DELLA SETA
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PRIMO PIANO
3° VIAGGIO DI COOK: CERCA IL PASSAGGIO A NORD-OVEST (1776-79)
DARWIN ALLE GALÁPAGOS (1835)
2° VIAGGIO DI COOK: SFIORA L’ANTARTIDE (1772-75)
Pianeta in vista
PRINT COLLECTOR/GETTY IMAGES
Un ritratto di James Cook (1728-1779). A destra, l’osservatorio impiantato dal navigatore a Tahiti, per studiare il transito di Venere, in un acquarello del 1792.
LA PÉROUSE ESPLORA IL PACIFICO DEL NORD (1785-88)
1° VIAGGIO DI COOK: ARRIVA IN AUSTRALIA (1768-71)
NEL NOME DELLA
SCIENZA D
i se stesso diceva di essere destinato ad arrivare “non solo più lontano di qualsiasi altro uomo, ma tanto lontano quanto sia possibile andare”. Di lui, si dice oggi che sia stato uno dei più grandi navigatori di tutti i tempi, protagonista di eccezionali scoperte geografiche e promotore di discipline come la botanica, la cartografia, l’etnografia e la zoologia. Non bastasse, grazie a lui l’Occidente ha scoperto il surf e
riscoperto l’arte dei tatuaggi. Stiamo parlando dell’esploratore inglese James Cook, talento dell’arte marinaresca che, mentre l’Europa viveva l’Età dei lumi e oltreoceano nascevano gli Stati Uniti, raggiunse zone ignote del Pacifico, spaziando dal Circolo polare artico a quello antartico. Spirito dei tempi. Nato il 27 ottobre 1728 in un piccolo villaggio dello Yorkshire, Cook si avvicinò al mare a sedici anni, quando si trasferì nel borgo di pescatori di
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BRIDGEMAN/MONDADORI PORTFOLIO
L’inglese James Cook fu un pioniere dei viaggi scientifici. Il suo obiettivo era la CONOSCENZA, non la conquista
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NAVE OCEANOGRAFICA L’Endeavour era un brigantino a tre alberi, adattato per le osservazioni scientifiche.
VERSO I MARI DEL SUD Durante la prima spedizione in Australia (tra il 1769 e il 1771) Cook comandava l’Endeavour, proprietà della Royal Navy.
QUI STAVA COOK Cook aveva una cabina spaziosa e una cuccetta, accanto a quella di Banks.
TANTO SPAZIO A bordo c’era posto per strumenti scientifici ed esemplari di piante esotiche.
Nel 1768 re Giorgio III finanziò la spedizione scientifica di Cook. Tra gli 80 uomini imbarcati sull’Endeavour c’erano astronomi, geografi e naturalisti Staithes per lavorare come garzone. A dispetto delle origini contadine si fece quindi assumere come apprendista sulle navi carboniere di una compagnia locale e approfondì ogni aspetto della navigazione, studiando astronomia, cartografia, geometria e trigonometria. Infine, nel 1755, si arruolò nella Royal Navy, la Marina militare inglese. Inviato tre anni dopo in Nord America, si rivelò un grande cartografo e mappò l’isola di Terranova. Fu grazie a questo lavoro che lo notò la Royal Society (l’Accade-
mia delle scienze inglese, interessata all’esplorazione di nuove terre). Re Giorgio III aprì i cordoni della borsa e Cook fu incaricato di guidare una spedizione scientifica nelle acque del Pacifico Meridionale. Sponsorizzato. «Era il 1768, e quel viaggio incarnava appieno lo spirito dell’Illuminismo e la sete di conoscenza dell’epoca, quella stessa conoscenza che in Francia stavano divulgando gli autori dell’Encyclopédie e che negli anni seguenti sarà rilanciata dalle società geografiche
LA PÉROUSE 1741-1788 NAVIGATORE E GEOGRAFO FRANCESE 58
1785
PARTE PER IL PACIFICO
di tutta Europa», spiega Claudio Cerreti, vicepresidente della Società geografica italiana. «Cook e i suoi sponsor erano interessati al transito di Venere davanti al Sole, raro evento astronomico previsto per il 3 giugno 1769 e osservabile al meglio dal cuore del Pacifico, e alla Terra Australis Incognita, il continente di cui si favoleggiava dall’antichità e che si pensava ricoprisse quasi tutto l’emisfero australe». La nave scelta per il viaggio era l’Endeavour, del cui equipaggio – circa ottanta uomini
CON DUE NAVI
RISPETTOSO
NUOVE ROTTE
Le due navi Astrolabe e Boussole salpano da Brest con a bordo un nutrito gruppo di scienziati.
Dopo Capo Horn e l’Isola di Pasqua, sale verso l’Alaska, allacciando buoni rapporti con gli indigeni.
Mappa il Mar della Cina e il Mar del Giappone ed esplora la penisola della Kamčatka.
Specie esotiche
BRIDGEMAN/MONDADORI PORTFOLIO (3))
Disegni di Metrosideros excelsa e di Platycercus caledonicus (uccello noto anche come rosella verde) realizzati nella prima spedizione di Cook. A destra, re Giorgio III.
– facevano parte astronomi, botanici, geo grafi, naturalisti e disegnatori. Cook era un comandante premuroso: scelse per tutti una dieta a base di arance e limoni, utili a prevenire lo scorbuto (tipica malattia dei marinai, causata dalla carenza di vitamina C), e ordinò la massima cura dell’igiene. Dopodiché, salpato da Plymouth nell’a gosto 1768, attraversò l’Atlantico, passò il Sud America e sfidò il Pacifico. Nei mari del Sud. Nella primavera del 1769 la spedizione raggiunse l’isola di
Tahiti. Qui Cook allestì un osservatorio astronomico da cui assistere al transito di Venere. Ma non si accontentò. «Annotò in formazioni sugli usi e i costumi dei nativi, cosa che farà anche nelle tappe seguenti improntando sempre i rapporti sul rispet to e sulla conoscenza reciproca», riprende Cerreti. L’accoglienza dei tahitiani colpì Cook e il suo equipaggio. Almeno quan to il fascino delle donne locali e la bellez za dei tatuaggi sui loro corpi. Fu lui a co niare il termine inglese tattow (dalla paro la tahitiana tatau), poi tattoo. Fatti i rilevamenti, l’esploratore si mise in cerca della Terra Australis. Aiutato dal giovane tahitiano Tupaia, Cook giunse in Nuova Zelanda (fu il primo a circumnavi garla) e individuò, tra le due grandi isole dell’arcipelago, lo stretto che porta og gi il suo nome. Ben presto la missione divenne anche etnografica: nell’apri le 1770 Cook toccò finalmente la co sta australiana ed ebbe un “incon tro ravvicinato del primo tipo” con gli aborigeni. Li descrisse “di statura media, corpo dritto e snello, pelle color del cioccolato, capelli neri e con caratteristiche tutt’altro che spiacevoli e voci morbide”. «A eccitarsi per quelle scoperte era soprat tutto il naturalista Joseph Banks», riprende l’esper to. «Aveva stipato la nave di testi scientifici, micro scopi, strumenti di disse zione, contenitori per la conservazione di cam pioni. Fu soprattutto lui a contribuire alla clas sificazione di piante e animali (canguri, per esempio), con centinaia di disegni». Sosta forzata. In Australia l’Endeavour si arenò su un banco corallino e fu tirata in secco per le riparazioni.
DIARIO DI BORDO
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SPARITO NEL NULLA Parte per le isole Tonga, ma le due navi scompaiono. I resti saranno ritrovati alle isole Salomone.
LE TONNELLATE DI PESO DI CIASCUNA DELLE DUE NAVI
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1788
MUORE NELLE SALOMONE
IL NUMERO DI SCIENZIATI TRA I 114 MEMBRI DELLA SPEDIZIONE. CERCÒ DI IMBARCARSI ANCHE UN SEDICENNE CORSO: NAPOLEONE BONAPARTE
Dietro alle finalità scientifiche, le società geografiche con gli anni svelarono i propri interessi coloniali e commerciali
Testimonianze
DE AGOSTINI/GETTY IMAGES (3)
Indigeno del Canada (sopra) e donna tahitiana (qui sotto) incontrati da Cook. Li disegnò l’artista di bordo John Webber (a lato).
Ci vollero due mesi. Ma Cook colse il lato positivo: ne approfittò per studiare la Grande barriera corallina con l’aiuto dell’equipaggio, che considerava questi lavori di ricerca scientifica un ottimo modo per ingannare il tempo (anche se pochi ne vedevano l’utilità). Il ritorno in Inghilterra fu una festa per la comunità scientifica. Lo stesso Giorgio III volle ammirare i disegni con le meraviglie incontrate in quei luoghi lontani, oltre a una quantità di “souvenir” riportati dall’Endeavour (abiti, armi, gioielli, strumenti musicali). La seconda volta. Finita la festa, la Royal Society affidò a Cook una nuova missione “australe”. Questa volta partì con due navi, la Resolution e l’Adventure. Nel gennaio 1773, tra le gelide nebbie del Circolo polare antartico, le navi si persero di vista: l’Adventure ritornò in patria, Cook lambì invece più volte le coste dell’Antartide (facendo tappa all’Isola di Pasqua) e raggiunse poi la Terra del Fuoco. Per farlo, impiegò nuovi strumenti, tra i quali un cronometro marino che, ideato dall’orologiaio John Harrison, calcolava con precisione le longitudini. Rientrato in patria nel luglio 1775, il navigatore non fece in tempo a disfare i bagagli. Era infatti già in programma un terzo viaggio per cercare il “passaggio a Nord-ovest”, ossia una rotta che unisse Atlantico e Pacifico. Cook dichiarò che il tentativo doveva “essere fatto con molta cautela”. E infatti non avrà successo. Surf alle Hawaii. Sempre al comando della Resolution, Cook salpò nel luglio 1776 affiancato dalla nave Discovery. Nel 1778 approdò alle Hawaii. Qui rimase a bocca aperta di fronte ad alcuni indigeni che, in equilibrio su tavole di legno, cavalcavano le onde: i suoi appunti al riguardo restano la prima cronaca storica del surf (in hawaiano he’e nalu). Quella fu l’ultima parentesi di serenità. Dalle spiagge hawaiane Cook puntò a nord, verso l’attuale Alaska, e si inol-
CHARLES DARWIN 1809-1882 NATURALISTA E PADRE DELL’EVOLUZIONISMO 60
1831
PARTE CON IL BEAGLE
Screzio fatale La morte di James Cook alle Hawaii (1779) per mano di un indigeno, in un dipinto del tedesco Johann Joseph Zoffany.
trò nello Stretto di Bering. Non solo fallì il tentativo di trovare il passaggio verso l’Atlantico, ma gli iceberg rischiavano di far colare a picco le navi, così ordinò l’inversione di rotta. «In quel periodo C ook cominciò a soffrire di stomaco. Secondo alcuni biografi la malattia gli peggiorò il carattere al punto di farlo scontrare con i suoi uomini, abituati a un comandante pacato», dice Cerreti. A gennaio del 1779 Cook era di nuovo alle Hawaii. Il sovrano locale lo accolse bene e gli donò persino un mantello piumato. Il navigatore inglese, pare, fu scambiato per Lono, divinità hawaiana della fertilità, e ciò avrebbe
SOSTITUTO
ANCHE GEOLOGO
LE GALÁPAGOS
Salpa per il viaggio intorno al mondo sul brigantino Beagle al posto di un entomologo che rinuncia.
Le prime osservazioni le compie a Capo Verde, studiando la crosta terrestre.
Nel 1835, alle Galápagos, studia e classifica tartarughe, fringuelli e altre specie.
E prima di Cook...
contribuito a instaurare un clima di particolare cordialità, che purtroppo non durò. Fine violenta. «Cook descrisse le società indigene incontrate come amichevoli, contribuendo ad alimentare il mito del “buon selvaggio”, secondo il quale le società primitive vivevano in idilliaca armonia con la natura, non corrotte dal mondo occidentale», sottolinea Cerreti. «Alle Hawaii, però, quei “buoni selvaggi” entrarono in conflitto con gli europei. Il 14 febbraio 1779 alcuni indigeni rubarono una scialuppa e Cook reagì con durezza. Dalle parole si passò alle armi, e una lama affilata trafisse l’esploratore».
La dinamica della morte fu subito dibattuta: qualcuno sostenne che si era trattato di un omicidio rituale da parte di cannibali, altri parlarono di legittima reazione alla follia del comandante, le cui spoglie furono solo in parte riconsegnate agli inglesi. Quel che rimaneva del suo cadavere fu deposto in mare il 22 febbraio. Di lui restarono anche le relazioni di viaggio, che furono stampate in grandi tirature e portarono agli onori della cronaca i viaggi etnografici. Viaggi nei quali, però, emerse presto il vero scopo delle società geografiche: stabilire basi commerciali e fondare colonie. •
Matteo Liberti
DIARIO DI BORDO
PIÙ DI 3 ANNI
DISGUSTATO In Australia e in Tasmania è disgustato dal trattamento riservato agli indigeni dagli inglesi.
IL TEMPO TOTALE PASSATO A TERRA DURANTE LA SPEDIZIONE SUL BEAGLE
18 MESI
1836
RITORNO IN INGHILTERRA
IL TEMPO TOTALE PASSATO IN MARE SUL BRIGANTINO
l primo europeo ad approdare in Nuova Zelanda fu Abel Janszoon Tasman. Nato nel 1603, a trent’anni fu inviato in Indonesia dalla Compagnia olandese delle Indie Orientali. Da lì raggiunse Formosa, il Giappone e Sumatra. Dopodiché, nel 1642, partì per il Sud del Pacifico in cerca di nuove rotte commerciali e terre da sfruttare. Raggiunse quindi la Tasmania (che si chiama così in suo onore) e l’arcipelago neozelandese. Dopo aver realizzato varie mappe delle coste australiane si ritirò nell’odierna Giacarta, dove morì nel 1659. Dal punto di vista commerciale i suoi viaggi furono un flop, e per oltre un secolo le sue scoperte finirono nel dimenticatoio. A riscoprirle, tra gli altri, lo stesso Cook e il francese Louis Antoine, conte di Bougainville, viaggiatore intorno al mondo a scopo scientifico per conto di Luigi XV. Destino misterioso. Salpato nel 1766, Bougainville toccò il Brasile (dando il nome a una pianta locale, la bougainvillea), si inoltrò nel Pacifico (approdando a Tahiti) e attraversò poi l’oceano Indiano. Rincasato nel 1769, morì nel 1811, quarant’anni dopo l’uscita del suo Voyage autour du monde, best seller dell’epoca.
Nell’illustrazione, la visita di Cook all’Isola di Pasqua (1774) e ai suoi spettacolari Moai. LEEMAGE/MONDADORI PORTFOLIO
BRIDGEMAN/MONDADORI PORTFOLIO
I
PRIMO PIANO
BRAZZÀ SUL CONGO (1880)
LIVINGSTONE SULLO ZAMBESI (1858-64)
STANLEY ATTRAVERSA L’AFRICA (1874-77)
Esplorò il Congo in nome dei valori di uguaglianza, libertà e fraternità. Pietro di Brazzà, nell’800 COLONIALISTA, fu a suo modo un’eccezione
CON LE MIGLIORI
NATIONAL GEOGRAPHIC CREATIVE
INTENZIONI
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SCALA
C
olonizzatore dal volto umano. Condottiero disarmato in un’età rapace, quella di fine Ottocento, caratterizzata dalla sbornia nazionalistica delle grandi potenze europee. Settimo di tredici figli, Pietro Paolo Savorgnan di Brazzà (1852-1905) – nato a Castel Gandolfo, presso Roma, ma discendente da una nobile famiglia friulana – incarnò il meglio dello spirito pionieristico del suo tempo. Della sua età mantenne l’idealismo romantico. Del ’700 l’adesione ai principi illuministici di libertà, uguaglianza e fraternità, mantra delle sue spedizioni africane lungo il fiume Congo. Come un erede degli enciclopedisti, Pietro Paolo cercava territori inesplorati da conoscere, studiare e civilizzare. Imparò (cosa non troppo frequente tra gli europei di allora) a muoversi tra piroghe, capitribù e sciamani
Racconti di viaggio La macchina per scrivere di Pietro di Brazzà; sullo sfondo, un’immagine del fiume Congo, navigato dall’esploratore.
con la dimestichezza di un indigeno. Lungo il percorso liberò gli schiavi dalle catene, strinse accordi con re locali e fondò città, tra cui quella che ancora oggi porta il suo nome: Brazzaville. Eppure questo esploratore filantropico italo-francese resta, per i più, uno sconosciuto. Prima i sogni. Chi era, dunque? Di certo un idealista che fin dall’infanzia seguì il suo sogno: entrare nella Marina e solca-
re i mari. Ci riuscì. Tutto cominciò quando un ammiraglio di Napoleone III, Louis de Montaignac, si recò a Roma (1865) per omaggiare il papa. Lui si giocò la sua carta, lo cercò e con una buona dose di faccia tosta si propose come ufficiale. L’intraprendenza fu premiata e ancora adolescente si trovò a vivere la vita brillante della capitale europea. Erano anni convulsi: la Francia si preparava a una fallimen-
Colonialista “buono”
THE GRANGER COLLECTION/ALINARI
Pietro Savorgnan di Brazzà immortalato dal grande fotografo Nadar a fine ’800. Le sue esplorazioni e gli ideali che animarono i suoi viaggi contribuirono a renderlo molto popolare in Francia. I governanti invece lo estromisero da ogni decisione.
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THE GRANGER COLLECTION/ALINARI
SULLE ORME DI LIVINGSTONE
D
avid Livingstone (1813-73), medico ed esploratore britannico, fu uno dei primi europei a penetrare in Africa Equatoriale. Da principio si concentrò sull’alto corso del fiume Zambesi. Ma nella regione erano già presenti funzionari portoghesi, perciò decise di dirigersi più a sud, dove nel 1855 scoprì le cascate
Vittoria, che chiamò così in onore dell’allora regina d’Inghilterra. La celebrità era assicurata, anche se, come insinua un recente studio africano, il merito fu in gran parte di un 19enne sovrano locale, senza il quale l’esploratore europeo (poco preparato per quell’ambiente difficile) non sarebbe sopravvissuto. L’impre-
Eleganti, ma poco adatti
SCALA
Il baule-letto da viaggio di Brazzà commissionato a Louis Vuitton nel 1905. Sotto, il rivale Stanley, giornalista ed esploratore (1872).
La famiglia dei Brazzà, di origine friulana, si trasferì nella Roma papalina quando la Serenissima passò sotto il controllo degli Asburgo, nel 1797
SCALA
tare guerra contro la Prussia, l’Italia portava faticosamente a termine il suo processo di unificazione e lo Stato pontificio in cui era cresciuto veniva messo in discussione dalle nuove politiche nazionali. Brazzà, immerso nei suoi studi, intanto sognava di “esportare i valori occidentali” oltre le “colonne d’Ercole” europee. Africa! Africa! Al servizio del comandante delle forze navali dell’Atlantico Meridionale, Pietro si avventurò lungo la foce dell’Ogooué, una parte di Africa Occidentale ancora inesplorata. “Preparare un viaggio nel cuore dell’Africa non era cosa da poco”, racconta la figlia nelle memorie sul padre: “Bisognava provvedere all’alloggio, a una tenda e non aspettarsi di ricevere nessun tipo di risorsa dagli indigeni, salvo quelle che vengono pagate in merci. Si
LIVINGSTONE 1813-1873 MISSIONARIO E MEDICO SCOZZESE 64
1841
PRIMO VIAGGIO IN SUDAFRICA
è obbligati ad accettare il ruolo di commerciante ambulante di chincaglierie come ad esempio pezze di tessuto, collane, braccialetti, specchi e pentole che bisogna scambiare con gli animali e i vegetali del luogo, necessari alla sopravvivenza”. A Brazzà però tutto questo riuscì benissimo. Giocò a suo favore una “svendita” al Teatro delle Tuileries, da cui prese vestiti in velluto e seta con galloni d’oro, strass, cinture e diademi, che gli tornarono utili quando incontrò il re Renoké, i cui sudditi vivevano lungo il fiume. Gli indigeni rimasero sedotti dalla generosità con cui l’esploratore bianco regalava loro questi gingilli e in cambio gli offrirono piroghe per continuare il viaggio. Lui era convinto che seguendo il corso del fiume avrebbe raggiunto il cuore dell’Africa, l’El-
PRIMATO AFRICANO
SULLO ZAMBESI
DOVE NASCE IL NILO?
Nel 1855 raggiunge le cascate Vittoria ed è il primo europeo ad attraversare l’Africa.
Attrezzato in modo inadeguato, sullo Zambesi si salva grazie all’aiuto di un capo africano.
Nel 1866 cercando le sorgenti del Nilo va troppo a ovest e arriva al Congo.
parazione rese un sostanziale fallimento la sua successiva spedizione (1858-63), sempre sul fiume Zambesi: non inaugurò nessun nuovo commercio, non convertì nessun popolo, non fondò avamposti coloniali. Dove nasce il Nilo? Livingstone però non si scoraggiò: tre anni dopo tornò a cercare le sorgenti del Nilo. Nel farlo si spinse però troppo a ovest, finendo per
raggiungere il fiume Lualaba, che altro non è che la parte iniziale del fiume Congo ma che egli, erroneamente, considerò il Nilo. Qui si ammalò per tre anni. La stampa e il pubblico, desiderosi di avere sue notizie, si preoccuparono della sua sorte. Livingstone era famoso e un potenziale scoop: per questo il proprietario del New York Herald mandò il suo miglior cronista,
Henry Morton Stanley, a cercarlo (1869). Il giornalista attraversò la foresta con 157 servitori che portavano la sua tenda, con tanto di vasca da bagno e tappeto persiano. Due anni dopo, nella città di Ujiji, sulle sponde del lago Tanganica, ritrovò Livingstone (foto). L’episodio è ricordato per una frase celebre di Stanley: “Dr. Livingstone, I presume” (“Il dottor Livingstone, suppongo”).
Si tratta probabilmente di un’invenzione di Stanley, ma quelle parole divennero un simbolo della flemma vittoriana. Da quel momento Stanley si unì a Living stone, e per un anno continuarono insieme a esplorare la regione. Poi Stanley partì, mentre Livingstone non guarì mai dal mal d’Africa. E nemmeno dalla malaria, che nel 1873 lo uccise nell’attuale Zambia.
DEA/ALINARI
In viaggio con le piroghe Pietro di Brazzà su una piroga lungo il fiume Ogooué (Gabon), durante la sua prima spedizione, nel 1875. Successivamente navigò il Congo.
dorado degli esploratori del suo tempo, e la regione dei grandi laghi. Per questo annotava ogni tratto di strada nel suo taccuino, per fare poi rapporto alla Francia e alla società geografica che aveva finanziato la sua missione. Negli stessi anni un altro esploratore, assai meno filantropo, con un passato di giornalista e un presente da schiavista, si
preparava però a rubargli terreno: Henry Morton Stanley inviato dal re del Belgio Leopoldo II a colonizzare il Congo. Mal d’Africa. Proprio il Congo entrò nel mirino di Brazzà, nella sua seconda spedizione (1880). Gli indigeni lo riconobbero come un “bianco buono”, liberatore di schiavi. A differenza di Stanley, che aveva avuto un ruolo chiave nello sfruttamento
dei locali per conto di Leopoldo II del Belgio, Pietro li comprava incatenati per renderli liberi. La notizia fece il giro dei villaggi e il makoko, il capo del popolo téké, lo invitò nella sua capitale, Mbé: chiese protezione e, in cambio, garantì il protettorato francese sulla riva destra del fiume dove sarà poi fondata Brazzaville, di fronte alla belga Leopoldville (oggi Kinshasa).
DIARIO DI VIAGGIO IL FIUME SBAGLIATO
SOS DALLA FORESTA
IN COPPIA
Identifica come Nilo il fiume Lualaba, in realtà parte del bacino del Congo.
Si ammala: invia oltre 40 dispacci, ma soltanto uno arriva fino a Zanzibar.
Ritrovato da Stanley nel 1871, riprende i viaggi con lui, che però poi torna in Europa.
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LE PAGINE DEL DIARIO TENUTO SU CARTA DI FORTUNA DURANTE L’ULTIMO VIAGGIO (1873)
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1873
MUORE IN ZAMBIA
I SERVITORI CHE ACCOMPAGNARONO LIVINGSTONE NELLE SUE MISSIONI AFRICANE
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Esploratore illuminista
Brazzaville, caso raro,
Ritratto dell’esploratore con una mappa del Congo: è opera di un pittore del suo tempo. Alphonse Monchablon. Sotto, uno dei sestanti che usò durante la navigazione.
SCALA (2)
L’accordo aprì alla Francia le porte della regione, ma non mancò di suscitare invidie e gelosie in patria. Il ministro della Marina chiosò infatti sospettoso: “Il Signor di Brazzà non ha ricevuto alcun mandato ufficiale dal mio dipartimento” e “sebbene, per quanto mi concerne, la ratifica di detta occupazione, le cui conseguenze future si riveleranno significative, comporterebbe indubbi vantaggi per il nostro Paese, la questione resta aperta”. Passerà quasi un anno prima che il governo ratifichi il trattato (22 novembre 1882), di cui si riconobbe il carattere eccezionale. Esportare diritti? La popolarità dell’esploratore italo-francese intanto cresceva, in maniera inversamente proporzionale al
STANLEY 1841-1904 GIORNALISTA ED ESPLORATORE GALLESE 66
1869
IN AFRICA PER LA 1A VOLTA
IN CERCA DI LIVINGSTONE
AFRICA EST-OVEST
MERCANTI DI SCHIAVI
Partito dall’America, soldato nella guerra civile, ritrova Livingstone.
Nel 1874-77 (morto Livingstone) attraversa l’Africa da Zanzibar alle foci del Congo.
Nel viaggio ha a che fare con Tippo Tip, mercante di schiavi afro-arabo.
Bismarck e altri capi di Stato durante le trattative del Congresso di Berlino (1884-85).
tuito dal ruolo di governatore. Non gli rimase che ritirarsi ad Algeri. La rivincita. Non passarono molti anni però che in Francia iniziarono a circolare voci di abusi, stragi e orrori compiuti dai colonizzatori francesi in Congo. Il governo si trovò in difficoltà e per calmare l’opinione pubblica, si decise di richiamare l’eroe Pietro Savorgnan di Brazzà, per affidargli un’inchiesta sul campo. Lui accettò, sapendo che si trattava di un’arma a doppio taglio: avrebbe dovuto ridare dignità a un regime colonialista e corrotto. Sembra che durante un ballo tribale in suo onore uno stregone dei Téké gli indicò a gesti, danzando, che le prigioni dell’orrore erano al Nord. Pietro di Brazzà in pochi mesi scrisse una relazione al vetriolo, terminata la quale s’imbarcò per la Francia. Non giunse mai a Parigi: morì a Dakar il 14 settembre 1905, forse per una malattia tropicale o, come sospettarono alcuni, avvelenato. Finiva così l’epopea del colonialista buono che, come diremmo oggi, provò a esportare i valori della democrazia. A infrangere il suo sogno non furono però gli indigeni, ma i suoi compatrioti. • Giuliana Rotondi
RUE DES ARCHIVES / AGF
suo successo politico. Al suo ritorno a Parigi fu accolto come un eroe. I suoi concittadini vedevano in lui l’incarnazione dei valori fondativi di quella terza repubblica francese nata dalle ceneri dell’impero di Napoleone III. E quando, all’Hotel Continental della capitale, Brazzà si confrontò con Stanley in un convegno pubblico, oppose al piglio arrogante dell’esploratore al soldo del Belgio una nobiltà d’animo d’altri tempi. Parlando espressamente del sogno con cui aveva solcato i mari: civilizzare il continente africano. Non era questa però la ragione per cui i grandi della Terra muovevano i loro capitali. Come emerse chiaramente dal congresso di Berlino (v. riquadro a destra), i governanti vedevano in quei territori inesplorati soprattutto una riserva di materie prime. A cominciare dall’avorio, per arrivare al caucciù, di cui il Congo era ricchissimo. Fondamentale per ricavare la gomma, sempre più richiesta in Europa per portare avanti il processo di industrializzazione in corso. Risultato? Nel 1898 Brazzà, che nel frattempo si era impegnato anche a fondare, lungo le rive del fiume, centri urbani e cercare rotte navigabili, fu desti-
Il “brand” Brazzà Sapone con il ritratto dell’esploratore Pietro di Brazzà, messo in
commercio nel 1900. Gli vennero dedicati anche sigarette, francobolli, tabacchi e biscotti.
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conservò il suo nome dopo la decolonizzazione
La spartizione, a Berlino
A
metà Ottocento le grandi potenze europee iniziarono a interessarsi all’Africa Centro-occidentale. Inizialmente con pretesti scientifici e geografici, creando comitati di studi e conferenze sul tema. Spesso erano finanziati dagli Stati che più di altri avevano interesse a spingersi in quelle zone: nel caso del Congo, per esempio, uno dei più attivi fu Leopoldo II del Belgio. Anche Francia, Portogallo, Inghilterra e Germania, come molti altri Paesi, avevano però interesse a spartirsi la torta africana. Nel 1884 il prussiano Bismarck convocò quindi le grandi potenze a Berlino. Ordine del giorno: regolare le zone di influenza in Africa, il commercio europeo nelle aree dei fiumi Congo
e Niger e definire le regole per stabilire la sovranità delle potenze sulla costa. Genocidio. Il congresso si protrasse quasi tre mesi. Al termine fu sancita la nascita dello Stato Libero del Congo, voluta da Leopoldo II, e furono stabilite regole commerciali e umanitarie. Anche se di umanitario poi ci fu davvero ben poco: nei venti anni successivi infatti nel Congo belga morirono circa 10 milioni di persone, per lo sfruttamento nella raccolta del caucciù e per repressioni, epidemie o fame indotta dalla distruzione dei raccolti. Fu un genocidio a tutti gli effetti in cui perì quasi metà della popolazione indigena, stimata in circa 20-25 milioni di abitanti nel 1880.
DIARIO DI VIAGGIO AL SERVIZIO DEL RE
COLONIALISTA
IL RUWENZORI
In Congo per l’Associazione internazionale africana di Leopoldo II.
Fonda stazioni commerciali tra la costa e l’alto Congo, dalla base presso Kinshasa.
Nel 1889 è il primo europeo a esplorare la regione del Ruwenzori (Uganda).
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I PORTATORI RICHIESTI PER PARTIRE NELLA “MISSIONE LIVINGSTONE”
1.500
1889
L’ULTIMA SPEDIZIONE
I MEMBRI DELL’ULTIMA SPEDIZIONE DI STANLEY, QUELLA DEL 1889, CON L’ITALIANO GAETANO CASATI
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PRIMO PIANO
ALEXANDRA DAVID-NÉEL A PIEDI DALLA CINA AL TIBET (1924)
Appassionata di viaggi fin da piccola, studiosa di buddismo, Alexandra DavidNéel fu la PRIMA DONNA europea a Lhasa, città proibita agli occidentali, nel 1924. Ci arrivò a piedi, dalla Cina
MADAME VA IN
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TIBET
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ne ribelle è ospite della Società teosofica (un’organizzazione allora molto in voga e influenzata dalle dottrine orientali). Cresce sotto l’ala protettiva di un geografo, anarchico e amico del padre, Elisée Reclus. Gli elementi del suo futuro ci sono già tutti: Oriente e apertura sul mondo. Non solo. Alexandra impara il sanscrito e approfondisce il buddismo. Finché, finalmente, ha l’occasione di un viaggio vero. «A 21 anni riceve una piccola eredità dalla nonna. Non ci pensa due volte e parte in nave per Ceylon», racconta Sandra Petrignani, autrice di La scrittrice abita qui (Neri Pozza), che tratta anche la figura di Alexandra David-Néel. «Da lì passa in India con una traversata in cui crede di morire: una forte tempesta, topi, scarafaggi». Per vedere l’India (dove viaggerà a lungo), la ragazza è disposta a tutto. All’avventura. Quando i soldi finiscono, pur di non tornare alla vita di borghese europea sfodera una bella voce da soprano e inizia a girare il mondo come cantan-
Abito tradizionale Alexandra David-Néel in abiti tradizionali tibetani. Sullo sfondo, il Palazzo del Potala, a Lhasa, negli Anni ’20.
MARY EVANS/ALINARI
P
arigi, 24 ottobre 1868. Alexandrine Borghmans ha appena partorito e quando scopre che si tratta di una bambina la sua delusione è cocente. Belga e cattolicissima, avrebbe voluto un figlio dal riluttante marito, il socialista Louis David, con la speranza di farne un prelato. Invece era nata una femmina, Alexandra. E che femmina. Indipendente, avventurosa, ribelle: definirà la sua longeva esistenza (100 anni) “un lungo desiderio di viaggio”. Anticonformista. Da subito Alexandra si rivela poco interessata a matrimonio, famiglia e convenzioni. Preferisce andare con il padre per musei. Da giovanissima comincia a studiare le religioni, il che non le impedisce di prendersi le sue libertà. A 15 anni, durante una vacanza a Ostenda, passa la Manica e resta a Londra finché ha soldi, a 16 si mette un finto anello nuziale e fugge in Italia, che percorre a piedi, a 18 si spinge in bicicletta fino in Spagna. Trasferitasi a Parigi per studiare, la giova-
NATIONAL GEOGRAPHIC CREATIVE
THE GRANGER COLLECTION/ALINARI
te lirica: Grecia, Italia, Nord Africa, Oriente. Diventa direttrice artistica del Teatro di Tunisi e si sposa con l’ingegnere ferroviario Philippe Néel, nello stesso anno in cui muore l’amato padre. Il matrimonio finiAffetti sce dopo qualche anno, nella realtà, ma orientali Philippe sosterrà sempre, economicamenLa vetta del te, la moglie viaggiatrice. Kangchenjunga, Richiamo d’Oriente. Per Alexandra arrinel Sikkim (India). va il più grande richiamo della vita. Nell’aA lato, la Davidgosto 1911 si imbarca di nuovo per l’ONéel in Nepal nel 1912. riente e tornerà 14 anni dopo. Ospite del-
L’altra metà dell’esplorazione
Per le donne, fino a metà Novecento, era difficile potersi dedicare a esplorazioni, geografia, antropologia. Anche solo per ottenere un visto da un confine all’altro, in Paesi lontani, era meglio dotarsi di un titolo scientifico, come racconta Freya Stark, una delle pioniere dell’esplorazione al femminile. Donne hanno sfidato pericoli e pregiudizi pur di viaggiare e scoprire. Ecco come hanno fatto alcune di loro.
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SIBYLLA MERIAN
LADY MONTAGU
JEANNE BARÉ
1647-1717 Tedesca, figlia di pittori, disegnava con estrema perizia bruchi e farfalle. Nel 1699 partì per il Suriname (Sud America) con la figlia per studiare gli insetti. Al ritorno pubblicò il trattato Metamorphosys, ma dovette farlo a sue spese.
1689-1762 Moglie dell’ambasciatore britannico a Costantinopoli, viaggiò per la Turchia. Nelle sue Turkish Embassy Letters, descrisse geografia, costumi familiari e sociali dell’islam. Ruolo della donna in quella società compreso.
1740-1807 Francese, si travestì da marinaio per fare il giro del mondo in nave con il naturalista Philibert Commerson, suo compagno, al seguito della spedizione di Antoine de Bougainville. Lo aiutò nella raccolta e nell’analisi dei campioni.
la Società teosofica di Adyar, vicino a Ma dras, stringe una salda amicizia con il Marajah del Sikkim, Sidkeong Tulku. A Pondicherry incontra il Dalai Lama in esilio (il Tibet era stato invaso dall’Impero cinese, una storia che si ripeterà poi con la Cina comunista, negli Anni ’50). Ma non si ferma lì. Alexandra si spinge nel Darjee ling, attraversando chilometri di giungla, tra serpenti e sanguisughe, mangiando ri so scondito, come si usa nei monasteri hi malayani. Proprio in un monastero tro va Aphur Yongden, figlio di un proprieta rio terriero e nipote di un lama. Il ragazzo aveva allora 14 anni e un’enorme voglia di viaggiare, Alexandra non se la cavava an cora bene col tibetano e aveva bisogno di un traduttore per gli antichi testi. Avevano bisogno l’uno dell’altra: insieme saranno a Calcutta, in Giappone, infine a Pechino. Lunga marcia. Nella capitale cinese Ale xandra mette a punto il viaggio della sua vita: una lunga marcia a piedi da Pechi no a Lhasa, città proibita agli occidentali. In Tibet si entrava solo sfruttando i lascia passare degli inglesi per i centri con i mer cati, costretti a seguire itinerari fissi e con trollati. Era quasi impossibile che a un eu ropeo fosse permesso di mettere piede nel la capitale. Per non destare sospetti i due si travestono, lei da mendicante e lui da mo naco, fingendosi madre e figlio e spaccian dosi per sciamani. Alexandra si scurisce il viso con la fuliggine per essere più credibi le. La strana coppia viaggia per 8 mesi so prattutto di notte, su strade di alta monta gna e sentieri impervi, con un’attrezzatu ra minima. «In quel periodo anche l’italiano Giusep pe Tucci, il più grande orientalista dell’e poca, era in viaggio nella stessa area», spiega Luisa Rossi, docente di Geografia
Per sembrare una pellegrina tibetana si annerì anche il viso. Ma fu smascherata perché scendeva ogni giorno a lavarsi al fiume all’Università di Parma e autrice del saggio L’altra mappa (Diabasis), dedicato a esplo ratrici e geografe pioniere. «Lui era partito con 20 cavalli, numerosi portatori, il cuoco, un capocarovana. Ale xandra, invece, racconta che lei e Yong den avevano dovuto rinunciare a una ten da confortevole e a uno spesso tappeto, persino ad abiti di ricambio: dovevano po ter trasportare viveri per almeno 2-3 setti mane. Così l’attrezzatura si era ridotta a una minuscola tenda con i picchetti di fer ro, un quadrato di tela grezza per riparar si dall’umidità del terreno, una corta scia bola (essenziale a ogni viaggiatore tibeta no per proteggersi dai briganti e tagliare la legna), carne secca, burro per il tè, una so la pentola, 2 ciotole e 2 cucchiai». Alexandra si trasforma in vera esplora trice, con un coraggio fuori dal comune. «Quando parte per il Tibet ha più di 50 an ni, un’età in cui le donne della sua epoca erano considerate finite», continua Sandra Petrignani. Niente e nessuno avrebbe po tuto fermare quella donna minuta dai ve stiti sporchi e trasandati, che aveva sop portato fame, sete, gelo, imprevisti e osta coli continui. Nel 1924, mischiandosi alla folla di pellegrini, realizza il suo sogno e diventa la prima occidentale a Lhasa.
Scoperta. Alexandra non aveva osato portare una macchina fotografica, ma sot to i suoi stracci nascondeva una borsa con un po’ di soldi per pagare un eventuale ri scatto, in caso di rapimento. I due resta no a Lhasa per due mesi, visitando la cit tà santa con l’imponente palazzo di Pota la e importanti città-monasteri dei dintorni, molti mai visti prima da occhi occidenta li. Nella capitale, però, non vedono il Da lai Lama. Né i suoi tesori di fede: l’esplora trice non voleva rischiare di rivelare la sua identità. Nonostante il viso scurito, gli sti vali in pelo di yak e il tradizionale cappel lo di pelliccia, sarà scoperta per la troppa igiene. Ogni mattina va al fiume a lavar si e qualcuno la denuncia al governatore. La David-Néel, in quei due mesi, aveva raggiunto luoghi del Tibet dove nessun eu ropeo era ancora arrivato. E al ritorno in Francia, nel 1925, ne scriverà con spirito scientifico. «Per questo la Società geografi ca di Parigi, la prima al mondo, le pubbli ca alcuni estratti sul Bollettino», dice Lui sa Rossi. «E le finanzierà parte di un ulti mo, lungo viaggio in Cina che compirà nel 1937, a 69 anni». Il conflitto sino-giappo nese la costringe a rifugiarsi nell’amato Ti bet e poi, nel 1944, a rientrare in Francia. Centenaria. L’ex bambina ribelle che nascendo aveva deluso la madre vivrà fi no a 100 anni e pubblicherà oltre 30 libri di viaggi e saggi sul buddismo. Verso la fi ne della sua vita, immobilizzata nella sua casa di Digne, in Provenza, tenta di orga nizzare un ultimo viaggio a Mosca e New York. Non partirà mai. Le sue ceneri furo no sparse nel Gange e sulla sua pietra me moriale, nel giardino di Digne, c’è scritto solo “esploratrice del Tibet”. Proprio come lei aveva voluto. • Irene Merli
IDA PFEIFFER
A. TINNÉ
GERTRUDE BELL
FREYA STARK
A. SCHWARZENBACH
1797-1858 Austriaca, iniziò i suoi viaggi con un pellegrinaggio in Terrasanta e poi non si fermò più. Esplorò il Medio Oriente, la Scandinavia e fece due volte il giro del mondo da sola, come scrisse, chiedendo passaggi sulle navi.
1835-1869 Olandese e ricchissima, accompagnata da madre e zia, Alexandrine organizzò una spedizione alla ricerca delle sorgenti del Nilo. Non le trovò, ma scoprì circa 200 specie vegetali e tracciò importanti mappe della zona.
1868-1926 Fu archeologa, viaggiatrice e spia per conto del governo britannico al Cairo (Egitto) e a Bassora (Iraq), dall’inizio della Grande guerra. Questa “Lawrence d’Arabia” al femminile percorse tutto il Medio Oriente e scattò 7mila foto.
1893-1993 Inglese, visse a Beirut (Libano) e a Baghdad (Iraq). Andò in zone dell’Iran inesplorate e fu tra i primi europei ad addentrarsi nella Penisola arabica, realizzandone accurate mappe. Anche lei morì centenaria.
1908-1942 Viaggiatrice e reporter svizzera, Anne Marie fu tra i primi occidentali a entrare in Afghanistan, durante un viaggio in automobile che la portò in India via terra. Era già stata in Siria e Iran, seguendo spedizioni archeologiche. 71
TIMONE
LA CORSA ALLO SPAZIO FU ANCHE UN CAPITOLO DELLA GUERRA FREDDA
ELICHE
ABITACOLO
METRI
GANCIO DI RIMORCHIO
10.916
BATISCAFO TRIESTE
PORTA D’INGRESSO
SPAZIO
JACQUES PICCARD
AUGUSTE PICCARD
JURIJ GAGARIN
SUL FONDO DELL’OCEANO
Il primo uomo nello spazio fu il russo Gagarin (1934-1968): il 12 aprile 1961 orbitò intorno alla Terra per 108 minuti, con la navicella Vostok 1. Prima, pare, altri sovietici perirono nel tentativo.
A progettarlo fu il padre Auguste (esploratore dell’alta atmosfera). A pilotarlo “toccando il fondo” nella Fossa delle Marianne (oceano Indiano), il 23 gennaio 1960, fu il figlio Jacques (insieme all’americano Don Walsh). Il batiscafo (costruito in Italia) si chiamava Trieste e l’impresa fu anche scientifica: i dati raccolti in questa e nelle successive missioni permisero di chiarire la morfologia degli oceani.
Dagli Anni ’50 Stati Uniti e Unione Sovietica si lanciarono in una sfida tecnologica e politica che portò l’uomo oltre i confini del pianeta. Dapprima con le macchine, quando il primo satellite artificiale, lo Sputnik 1, orbitò attorno alla Terra (4 ottobre 1957). Poi con l’uomo (v. a destra). Se l’Urss si aggiudicò il primato del volo spaziale, gli Usa centrarono l’obiettivo più ambito: il 20 luglio 1969, la missione Apollo 11 comandata da Neil Armstrong portò l’uomo sulla Luna.
DALLA TERRA ALLA LUNA
Sul Voyager 1 c’è un disco con informazioni sull’uomo e sulla Terra.
Terra
1960: PICCARD A –10.916 METRI NELLA FOSSA DELLE MARIANNE
ABISSI
OLTRE IL SISTEMA SOLARE Lanciata nel 1977, la sonda Voyager 1 ha lasciato il sistema solare ed è oggi nello spazio interstellare: è l’oggetto umano più distante dalla Terra.
RILEVAMENTI SCIENTIFICI E COMUNICAZIONI SARANNO IN PARTE ATTIVI FINO AL 2025
L’uomo non si ferma mai: nel Novecento si è spinto ai Poli, negli abissi e oltre i confini della
A cura di Aldo Carioli
1961
GLI ORIZZONTI SI ALLARGANO PRIMO PIANO INFOGRAFICA: VITTORIO SACCHI
1960
72
1953
1909
POLO SUD
IL DIBATTITO SU CHI FU IL PRIMO NELL’ARTICO RESTA APERTO
POLO NORD
ROALD AMUNDSEN
14 DICEMBRE: AMUNDSEN
1911
DALL’AMAZZONIA ALLA NUOVA GUINEA, FINO IN CIMA ALL’HIMALAYA
TERRE VERGINI
VERSO IL SESTO CONTINENTE
METRI
8.848
Tentarono di raggiungerlo già nell’Ottocento. Ma solo nel luglio del 1909 l’americano Robert Peary arrivò in quello che pensava fosse il Polo Nord. Frederick Cook, suo connazionale, sostenne di aver raggiunto l’obiettivo, l’anno prima. Fu Peary a spuntarla nella diatriba, anche se nel 1969 il britannico Wally Herbert dimostrò che aveva mancato di 96 km il nord geografico (90° Nord).
DIRIGIBILE NORGE Il norvegese Amundsen lo sorvolò insieme a Umberto Nobile.
1926
POLO NORD
IN PARACADUTE I sovietici Volovich e Medvedev si fanno paracadutare al Polo.
1949
1908-1909
Toccato già da James Cook nel ’700, l’Antartide fu teatro di una sfida fra esploratori diventata epica, quella fra il norvegese Roald Amundsen e il britannico Robert Scott, che già nel 1902 era giunto a circa 800 km dal Polo Sud. Nel 1911 i due partirono insieme, ma Amundsen arrivò un mese prima di Scott. Scott e i suoi quattro compagni morirono sulla via del ritorno, poco lontano dalla salvezza.
UNA DISPUTA LUNGA UN SECOLO
ROBERT F. SCOTT
18 GENNAIO: ARRIVA SCOTT
1912
Nelle regioni inesplorate di Amazzonia (l’Orinoco fu mappato già dal naturalista tedesco Alexander von Humboldt nel 1800), Nuova Guinea e Africa Equatoriale si sono scoperte nuove specie e popoli. Dal ’700 l’uomo ha poi sfidato le vette, conquistando il Monte Bianco (1787). Tragica, per la morte di 4 scalatori, la gara per la prima ascensione del Cervino fra il valdostano JeanAntoine Carrel e l’inglese Edward Whymper, vinta da Whymper il 14 luglio 1865.
LA CONQUISTA DELL’EVEREST L’Everest, il tetto del mondo, fu conquistato dal neozelandese Edmund Hillary e dal nepalese Tenzin Norgay il 29 maggio 1953.
EVEREST
FORESTE EQUATORIALI E TETTI DEL MONDO
A PIEDI E IN SLITTA Il britannico Wally Herbert arriva con certezza ai 90° nord.
1969
POLO NORD
IN MONGOLFIERA L’impresa è del canadese Richard Weber (6 volte al Polo Nord).
1989
IN IMMERSIONE In precedenza (1952) ci era passato il sommergibile Nautilus.
1999
ROBERT PEARY L’americano (sostenuto dalla National Geographic Society) arrivò il 6 aprile del 1909.
FREDERICK COOK Sostenne (con poche prove) di aver raggiunto il Polo Nord nel 1908.
LA SFIDA TRA I GHIACCI FRA NORVEGIA E GRAN BRETAGNA
POLO SUD
PRIMI CONTATTI CON NUOVE POPOLAZIONI In Papua Nuova Guinea e Amazzonia si sono avuti contatti con gruppi umani che non avevano mai visto i bianchi ancora negli Anni ’70.
NUOVE SPECIE Nel solo bacino del Congo nel XX secolo si sono scoperte tre importanti specie sconosciute: l’okapi, il pavone del Congo e il bonobo (classificato nel 1929 ma osservato nel suo habitat solo negli Anni ’70).
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1911
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PRIMO PIANO
MICK LEAHY ESPLORA L’INTERNO DELLA NUOVA GUINEA (1933)
Incontro inatteso Un abitante della Papua Nuova Guinea con in mano la balestra, fotografato nel 1933 a Daru. Gli altopiani dell’entroterra furono esplorati proprio in quegli anni: fino ad allora si riteneva fossero disabitati. 76
Il PRIMO CONTATTO avvenne negli Anni ’30 del XX secolo. Per gli indigeni fu uno shock, per gli occidentali una delle ultime scoperte antropologiche
POPOLI RITROVATI L’esploratore australiano Michael Leahy (1901-79): fu lui a scoprire le genti sconosciute degli altopiani guineiani nel 1933.
N
ULLSTEIN BILD
“
on sono uomini di questo mondo. Non uccidiamo li. Sono nostri parenti che sono morti, sono diventati bianchi e sono tornati”. All’arrivo dei cercatori d’oro e dei militari colonialisti nelle Highlands, gli altopiani dell’entroterra della Papua Nuova Guinea, la prima reazione degli indigeni fu di sgomento: non riuscivano a classificare quegli estranei tra gli esseri viventi. Gli esploratori, a loro volta, rimasero a bocca aperta avventurandosi in territori che ritenevano disabitati e inospitali e che nascondevano invece valli fertili, popolate da innumerevoli tribù vissute per millenni nel più completo isolamento.
Un abisso culturale separava i due mondi e i protagonisti di quello che gli antropologi definirono l’ultimo fra i “primi contatti” su larga scala nella storia dell’umanità. Leggende e tragedie. Scoperta da navigatori portoghesi e spagnoli già nella prima metà del XVI secolo, la Nuova Guinea, seconda isola della Terra per estensione dopo la Groenlandia, fu abitata dagli europei solamente lungo le coste. “È un Paese davvero nuovo, di cui non si co nosce quasi nulla” annotava nel 1871 un missionario. “Un Paese di cannibali genui ni e di autentici selvaggi, dove si rischia a ogni istante la vita”. Sull’entroterra venivano pubblicati, ancora nella seconda me77
In seguito, altri contatti con popolazioni che non conoscevano l’uomo bianco tà dell’800, racconti di viaggio fantasiosi: in uno di essi si favoleggiava di piante e fiori di enormi proporzioni, scimmie gigantesche, montagne più alte dell’Everest; in un altro veniva descritta una città piena d’oro, abitata da aristocratici a cavallo. Di fatto però nessuno, non solo i religiosi o i colonizzatori, ma neppure gli esploratori e gli scienziati alla ricerca di rari esemplari di flora e fauna o dei pigmei, si era mai avventurato da quelle parti, a esclusione del tedesco Otto von Ehlers (v. riquadro a destra). Dall’altro mondo. Negli Anni ’20, dopo che la parte orientale della Nuova Giunea, in precedenza colonia tedesca, era stata affidata dalla Società delle Nazioni all’Australia, fu la ricerca dell’oro a solle-
citare nuove esplorazioni da parte di piccoli gruppi di minatori in cerca di fortuna. Uno di essi, Michael Leahy (1901-79), guidò una spedizione che, sfruttando una rete di corsi d’acqua fino ad allora sconosciuti, penetrò più decisamente nell’interno (1930). Raggiunti nel mese di giugno gli altopiani centrali, si trovò al cospetto di migliaia di fuochi di bivacco accesi in lontananza nella notte: quel mondo che si credeva disabitato apparve inaspettatamente popolato. Leahy e suoi uomini vegliarono armati e si prepararono al “primo contatto”. In armi, secondo la tradizione occidentale. Era una precauzione inutile, poiché lo shock (e il rischio) era tutto degli indigeni. “Non conoscevamo nulla al di là di noi e delle popolazioni a noi vicine.
ULLSTEIN BILD
Un villaggio degli altopiani, tra Madang e Goroka, in Papua Nuova Guinea. L’uso dell’aereo facilitò la scoperta.
Dan Leahy (fratello di Mick) incontra gli indigeni, che non avevano mai visto un uomo bianco prima di lui.
Conoscevamo solo questo lato della montagna e pensavamo di essere l’unico popolo vivente”, racconterà un testimone guineiano intervistato a distanza di molti anni. Chi potevano essere i nuovi arrivati dalla pelle chiara, se non creature divine, spiriti discesi dal cielo o fantasmi ritornati dall’Est, dove i locali pensavano ci fosse l’aldilà? La documentazione visiva prodotta da Leahy, che aveva con sé una macchina fotografica e una cinepresa, così come le testimonianze dei guineiani, non lasciano dubbi sul panico prodotto in loro da quelle nuove inquietanti presenze.“Ci dicevamo: non dobbiamo toccarli! Odoravano in modo così diverso. Pensavamo che la loro puzza ci avrebbe uccisi, così ci coprivamo i nasi con le foglie di una pianta speciale dall’odore particolarmente buono”. Avvicinamenti. Nella fase iniziale dei “primi contatti” il terrore di essere trascinati dagli “spiriti” nel regno dei morti allarmò i nativi. E aumentava ancor di più quando i bianchi offrivano loro manciate di conchiglie, monili e utensili da scambiare con del cibo, in particolare con i maiali
avvennero in Amazzonia
Ai demoni del cielo Edifici sacri a Tobadi. La tradizione locale diceva che oltre l’orizzonte (dunque da dove arrivarono poi i bianchi) ci fosse il reame dei demoni e degli antenati defunti.
Indigeni ascoltano meravigliati un grammofono. Alcuni credevano che lì ci fossero gli spiriti degli antenati.
to l’entroterra della Nuova Guinea – come lo stesso Leahy (1933) o come il magnate del petrolio Richard Archbold (1938) – paragonò alcune fra quelle vallate alle pianure irrigue del Belgio o dell’Olanda, confermando l’esistenza di una società agricola, sia pur primitiva. Si valutò che gli abitanti ammontassero complessivamente a varie centinaia di migliaia, secondo alcune stime
addirittura a un milione. Soltanto piccoli nuclei di nativi, immuni da contaminazioni con la civiltà moderna, sono sopravvissuti nell’entroterra della Nuova Guinea praticamente fino a ieri. Fra le testimonianze più recenti, le immagini del grande fotografo Sebastião Salgado per il progetto Genesis, dedicato al mondo delle origini. • Gianpaolo Fissore
L’esploratore che sognava il best seller
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coprire l’ultimo dei mondi sconosciuti per ricavarne un best seller: questo era l’obiettivo dell’avventuriero tedesco Otto Ehrenfried von Ehlers (1855-95) che, già protagonista di una scalata del Kilimangiaro e di viaggi in Cina e a Ceylon, finanziati con la vendita dei suoi libri, si propose nel 1895 di attraversare la parte orientale della Nuova Guinea. Sulla carta era un itinerario non troppo ambizioso (170 km per raggiungere, partendo dalla costa nord, quella meridionale). Il tedesco, però, sottovalutò quell’impresa. Dramma. La spedizione (con lui c’erano un ufficiale di polizia e una quarantina di portatori indigeni) incontrò una successione ininterrotta di valli e crinali, stentò a farsi strada nell’intrico della vegetazione, dovette combattere con piaghe provocate dalle sanguisughe, con la fame e la dissenteria. Dopo 40 giorni, con le riserve di cibo esaurite e praticamente perduto, von Ehlers e il poliziotto tentarono di tornare alla base con una zattera, abbandonando il tentativo. Furono uccisi dai portatori, sulla via del ritorno.
T. BARBOUR/NATIONAL GEOGRAPHIC CREATIVE
allevati dagli indigeni. Il terrore fu confermato nei casi in cui i nuovi arrivati si imposero con la forza delle armi, sparando e lasciando sul terreno morti e feriti. Gli episodi violenti furono comunque rari e circoscritti; un uomo bianco avrebbe potuto “recarsi ovunque armato solo di un bastone da passeggio”, annotò lo stesso Leahy, dopo aver constatato che gli era stato sufficiente fare schioccare la dentiera per imporre la sottomissione ad alcuni guerrieri. I nativi si convinsero che gli estranei appartenevano anche loro alla razza umana solo dopo attenta osservazione. Due elementi fugarono ogni dubbio: le feci recuperate nelle latrine dei campi dei minatori e dei militari e i resoconti delle donne che, dopo aver avuto rapporti sessuali con loro, riferirono che gli uomini bianchi avevano organi genitali e abitudini molto simili a quelle dei maschi del villaggio. Dall’alto. Nel corso degli Anni ’30 e nei decenni successivi, le spedizioni di studiosi, militari e cercatori d’oro ebbero il prezioso supporto delle ricognizioni aeree. Chi ispezionò per la prima volta dall’al-
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PRIMO PIANO
saperne di più
La mappa del tedesco Waldseemüller, che nel 1507 assegnò il nome all’America (nel tondo).
VIAGGI DI CARTA Alla scoperta di luoghi, e di popoli, mai visti prima: i libri che raccontano le spedizioni che fecero la Storia. Esploratori Felipe-Fernández Armesto (Bruno Mondadori) Dai cacciatoriraccoglitori alla civiltà globale, le spinte iniziali (la ricerca di nuove terre e nuove risorse ma anche gli scopi scientifici) e le conseguenze (a volte imprevedibili) dei viaggi di esplorazione.
Cristoforo Colombo. Ammiraglio del Mare Oceano Samuel E. Morison (Il Mulino) Un libro documentatissimo e avvincente su uno dei personaggi storici più dibattuti di sempre. I viaggi nel Nuovo Mondo vengono ricostruiti attraverso le testimonianze storiche, sfatando i tanti luoghi comuni e mettendo in luce aspetti controversi della personalità di Colombo.
Storia dei grandi esploratori Mirko Molteni (Odoya) Una panoramica che copre l’arco di tempo che va dall’antichità egizia (con i viaggi verso la Terra di Punt, in Africa Orientale) alla spedizione di Magellano (la prima a circumnavigare il globo, nel 1520). Passando per i viaggi fino all’Indo di Alessandro Magno, i misconosciuti esploratori romani e naturalmente i grandi navigatori portoghesi e Colombo.
L’avventura di Cristoforo Colombo Paolo E. Taviani (Il Mulino) Un classico, ovvero un testo di riferimento per gli studiosi del navigatore genovese. In parte datato, resta comunque tra le biografie più rigorose, anche perché scritta da una vera autorità degli studi colombiani. Le navigazioni lusitane nell’Atlantico e Cristoforo Colombo in Portogallo Gaetano Ferro (Mursia) Colombo ebbe un rapporto
particolare con il Portogallo, regno “sponsor” dei grandi navigatori molto più della Spagna. L’autore, un geografo italiano scomparso da alcuni anni, indaga il lato portoghese delle esplorazioni colombiane. La Terra è rotonda. Magellano, il viaggio delle meraviglie Jean-Michel Barrault (Raffaello Cortina) Le conseguenze geografiche, teoriche e astronomiche (e commerciali) della spedizione che portò gli uomini di Magellano, tra cui il vicentino Pigafetta, a circumnavigare il globo nel 1519-20. Esplorazioni e viaggi scientifici nel Settecento Marco Ciardi (Bur) James Cook, Alexander von Humboldt, La Pérouse e Bougainville, ma anche l’italiano Spallanzani e molti altri. I protagonisti dei “rivoluzionari” viaggi settecenteschi, quando si esplorava per la conoscenza, e non (solo) per la conquista.
Una vita per l’Africa Pietro Savorgnan di Brazzà (Libreria Ed. Fiorentina) Il catalogo, illustrato con rare foto dell’epoca, di una grande mostra dedicata all’esploratore italiano che sul fiume Congo, in un’epoca di colonialismo spietato, seppe distinguersi per umanità. Diari antartici R. Scott, E. Shackleton, E. Wilson (Nutrimenti) La tragica sfida di inizio Novecento per conquistare il Polo Sud nelle parole lasciate dai protagonisti nei loro diari. L’altra mappa. Esploratrici, viaggiatrici, geografe Luisa Rossi (Diabasis) Alexandra David-Néel e le altre eroine dell’esplorazione al femminile. Donne che hanno dovuto sfidare, oltre alle incognite di terre sconosciute, i pregiudizi del loro tempo. Fino al primo ingresso di una geografa nell’università, alle soglie del Novecento. 81
domande & risposte A cura di Marta Erba e Maria Lombardi
È esistita davvero la monaca di Monza?
Queste pagine sono aperte a soddisfare le curiosità dei lettori, purché i quesiti siano di interesse generale. Non si forniscono risposte private. Scrivete a Focus Storia, via Battistotti Sassi 11/a, 20133 Milano o all’e-mail
[email protected]
Perché si sfidarono Orazi e Curiazi? Domanda posta da Filippo Silvestri. a famosa leggenda è raccontata, tra gli altri, dallo storico latino Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.). Durante il regno di Tullo Ostilio, intorno al VII secolo a.C., Roma entrò in conflitto con la città laziale di Albalonga. Tuttavia, poiché entrambe le città erano popolate da una discendenza sacra (secondo la tradizione erano infatti state fondate da Romolo la prima, da Ascanio, il figlio di Enea, la seconda), ogni versamento di sangue era da considerarsi empio. Per questa ragione i sovrani delle due città concordarono di far combattere tra loro due gruppi di rappresentanti di ogni città: furono scelti gli Orazi per Roma (tre fratelli figli di Publio Orazio) e i tre gemelli Curiazi per Albalonga. Astuto. Iniziato il combattimento, due Orazi furono subito uccisi e due Curiazi lievemente feriti. L’Orazio rimasto prese quindi a
correre, mentre gli inseguitori (due dei quali rallentati dalle ferite) si distanziavano l’un l’altro. Il combattente romano riuscì così ad affrontarli e ucciderli uno dopo l’al-
tro. Ecco come, dice la leggenda, Roma sottomise Albalonga. Nella realtà, però, la guerra fra le due città fu cruenta e il re sconfitto, Mezio Fufezio, venne squartato. SCALA WWW.SCALARCHIVES.COM
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Il Giuramento degli Orazi, dipinto ottocentesco di Jacques Louis David.
Perché, essendo l’Italia uno Stato laico, nelle scuole viene esposto il crocifisso? Domanda posta da Emanuele Richiedei.
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ANSAFOTO
l crocifisso nelle aule scolastiche è un’antica tradizione dei Paesi a maggioranza cristiana (eccettuata la Francia, dove è proibito per
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legge dagli inizi del ’900) su cui nel 2011 si è espressa favorevolmente anche la Corte Europea, sottolineando che il crocifisso ha un significato identitario oltre che religioso. In Italia non ci sono leggi in proposito, bensì due regi decreti di epoca fascista (1924 e 1928) che prevedono il crocifisso nelle scuole elementari e medie (mentre non si esprimono riguardo a scuole materne, superiori e università). Sentenze. Negli anni ci sono stati vari tentativi di opporsi a questa normativa, richiamando il
principio di laicità dello Stato italiano. Tuttavia il Consiglio di Stato, l’organo supremo di consulenza amministrativa, si è pronunciato a favore del crocifisso nel 1988 (precisando che “rappresenta il simbolo della civiltà e della cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendente da specifica confessione religiosa”) e nel 2006 (ribadendo che il crocifisso “rappresenta un sistema di valori di libertà, eguaglianza, dignità umana e tolleranza religiosa e quindi anche della laicità dello Stato”).
Domanda posta da Mara de Angelis.
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elebre e tormentato personaggio dei Promessi Sposi, la monaca di Monza non è stata un’invenzione di Alessandro Manzoni. Lo scrittore, pur romanzando un po’ gli avvenimenti, si ispirò infatti a una vicenda realmente accaduta nel XVII secolo. La vera monaca di Monza, al secolo Marianna de Leyva y Marino (Milano, 15751650), era la figlia di un nobile spagnolo, che all’età di 13 anni fu costretta dalla famiglia a entrare in convento dove diventò suor Virginia. “La sventurata rispose”. A dare scandalo fu una sua relazione sentimentale conclusa nel sangue. Suor Virginia (che nei Promessi Sposi diventerà suor Gertrude) aveva infatti un amante, il conte Gian Paolo Osio (Egidio nel romanzo), dal quale ebbe anche due figli. Pur di tenere nascosta la relazione proibita con la religiosa, l’amante di suor Virginia uccise tre persone, ma venne scoperto. Fu quindi condannato a morte, riuscì a fuggire ma venne ucciso da un amico che lo aveva tradito. Non molto più fortunata fu la monaca di Monza: pur risultata estranea agli omicidi durante un processo canonico a suo carico, venne “murata viva” in una cella per 13 lunghissimi anni. •
THE GRANGER COLLECTION/ALINARI
SCALA
È vero che in India le vedove venivano bruciate?
Domanda posta da Simona Serra.
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Sventurata La monaca di Monza in un ritratto del pittore lombardo Giuseppe Molteni (1800-1867).
el Medioevo era diffuso un rito induista, il sati, che prevedeva proprio questo: alla morte del marito la vedova era invitata a bruciarsi viva sulla pira funeraria del marito per testimoniare la sua devozione (sopra, in un’illustrazione ottocentesca). Vi ricorrevano soprattutto le mogli di sacerdoti e militari (le caste più alte), considerate proprietà del marito: alla morte di quest’ultimo, il loro suicidio appariva (anche a loro stesse) una logica conseguenza. Vietato immolarsi. La pratica del sati fu proibita il 4 dicembre 1829 dal politico inglese William Bentinck, allora governatore dell’India, che condannò alla pena capitale chiunque istigasse o convincesse una vedova a questo rituale. Tuttavia, in alcune zone dell’India, il sati era talmente diffuso che si praticò per molti anni. Ancora oggi, anche se la maggior parte dell’opinione pubblica è contraria al rituale, si registrano episodi di donne che tentano il suicidio sulla pira funeraria dove è deposto il corpo del marito. 83
manuale per viaggiatori nel tempo A cura di Giorgio Albertini
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Come pilotare le prime macchine
volanti
Se all’improvviso veniste trasportati in un’epoca passata, per esempio nella Belle Époque francese, sapreste cavarvela? Sì, grazie a queste istruzioni per l’uso.
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ra tutte le “pazzie” della Belle Époque il volo era quella che meglio rappresentava ciò che il futuro stava preparando per l’umanità. Non stiamo parlando della contemplativa grazia di un pallone aerostatico, ma del volo rapido e “modernissimo” di un oggetto più pesante dell’aria, una macchina volante. Tra la fine dell’800 e la prima decade del ’900 la tecnologia sfidò i limiti imposti dal volo delle mongolfiere, legato all’uso di aria calda. Se si voleva volare liberi (relativamente) dai fattori atmosferici, serviva un apparecchio con un motore e dotato di ali, capace di sfruttare la spinta propulsiva dell’aria per sostenersi. Tempo di imprese. Molti si cimentarono nell’impresa. Ma furono i fratelli Wilbur e Orville Wright, il 17 dicembre 1903 nella Carolina del Nord, a librarsi per primi a bordo del loro Flyer per ben 36 metri (forse 40), spinti da un motore a scoppio da 12 CV che faceva girare due grosse eliche. Non rimasero sollevati più di 12 secondi e non superarono il metro d’altezza ma l’obiettivo era raggiunto. Negli anni successivi la frenesia per il volo dilagò. La forma dei velivoli non era ancora definita: i telai ricordavano a volte uno slittino, a volte un aquilone, una bicicletta alata, una girandola o una botte. Le ali potevano essere 2, 4, 6 o 12; un modello di multiplano era dotato di una serie di 5mila sottili ali! Che cosa c’è dunque di più esaltante per un viaggiatore nel tempo che assistere a una gara tra macchine volanti e magari, con un po’ di coraggio, di prendervi parte? • 84
IL MODELLO Il monoplano Blériot XI era anche un po’ italiano. Era dotato di un motore radiale Anzani 30 CV a tre cilindri (dal nome del suo costruttore, Alessandro, che realizzò il primo motore a tre cilindri).
1909: l’aeronautica esplode e si inaugurano i meeting sportivi di aviatori. Il primo, organizzato dall’Aéro-Club de France è la Grande Semaine d’Aviation de la Champagne, che si svolge dal 22 al 29 agosto di quell’anno, a nord di Reims. Ogni mezzo in grado di volare può partecipare alla competizione. Vi consigliamo il monoplano Blériot XI: su questo apparecchio si è (quasi) sicuri di partire, alzarsi in volo e atterrare. Anche se non sarà facile.
Primo passo: iscrivervi alla gara. Potete farlo fin dall’autunno dell’anno precedente e potete gareggiare per diverse categorie: velocità sulla grande distanza, velocità sulla breve distanza, giro completo della pista di volo, prove di velocità per apparecchi passeggeri, prove di precisione d’atterraggio, di altitudine e di resistenza. Non preoccupatevi se non avete mai volato prima: pochissimi dei partecipanti lo hanno fatto.
La gara si tiene nell’area di un ippodromo, con tribune a pagamento. La pista è un rettangolo lungo 10 km attorniato da 50 hangar per l’alloggio delle macchine volanti e degli staff. Qui ci sono anche gli stand dei produttori di champagne che sponsorizzano la manifestazione. Statene alla larga, solo a mente lucida potete puntare a un premio. In palio, tra le diverse categorie, ci sono 200mila franchi (circa un milione di euro di oggi).
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1 Motore radiale Anzani a tre cilindri da 30 CV.
7 Timone posteriore per il controllo della direzione a pedale.
2 Elica bipala in legno tipo Chauvier. 3 Strumentazione.
8 Coda per il controllo della profondità.
4 Cloche.
9 Carrello secondario.
5 Cesto di seduta.
10 Carrello principale.
6 Ali di profilo concavo-convesso.
11 Telaio in legno.
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Come abbigliarsi? Intanto, copritevi bene (anche se è fine estate): le carlinghe non esistono ancora. Va molto lo stile sportivo ma elegante: cuffia da pilota d’auto, foulard, giacca in pelle o tela a doppio petto, pantaloni da cavallerizzo e fasce mollettiere o calzettoni per la parte inferiore delle gambe. C’è chi preferisce gli stivali e, in testa, un cappello di lana o una coppola in tweed.
Anche le signore sentono la “febbre dell’aria”, un modo per affermare l’emancipazione femminile sempre più diffusa. Molte partecipano alla settimana aviatoria della Champagne, anche se il primo brevetto di pilota a una donna sarà assegnato ufficialmente solo qualche mese dopo, nel marzo del 1910, alla baronessa Raymonde de Laroche. L’abbigliamento femminile è dei più vari, con tute sportive, cuffie, stivali e occhialoni.
Avvicinatevi al vostro aeroplano. Il monoplano Blériot XI è uno dei modelli più avveniristici. Quando siete pronti, date un bel colpo all’elica per mettere in moto il motore. L’elica gira piano (1.400-1.500 giri al massimo), ma è una velocità sufficiente per decollare e volare. È consigliabile avere l’aereo puntato nella direzione giusta prima di rilasciare le ruote perché non c’è modo di sterzare con il carrello.
Prima di partire date una controllata ai componenti dell’apparecchio, tutti molto fragili. A bordo non avete strumentazione, solo il manometro della pressione dell’olio e l’indicatore della velocità dell’aria. La cloche sembra un piccolo volante, ma la ruota nella parte superiore non gira, serve solo ad aggrapparsi. Lasciate andare il motore al massimo regime, tirate la cloche verso di voi fino in fondo e alzatevi in volo.
Durante il volo, controllate l’aereo con movimenti della cloche molto lenti. Anche il timone, che azionerete con la barra poggiapiedi, necessita di delicatezza. Se si sbaglia manovra è impossibile recuperare quota. Forse vi sporcherete (questi aerei sono senza la coppa dell’olio), ma l’importante è portare a casa la pelle. Quando atterrate, calcolate un ampio margine: non avete freni, e il velivolo si arresterà soltanto molto lentamente. 85
carta canta La risposta “dispensa dal servizio” fu comunicata in termini burocratici il 31 dicembre dello stesso anno.
Nella lettera al rettore, Volterra ricorda le proprie “note” idee politiche (nel 1922 si oppose al governo Mussolini) espresse nell’”ambito parlamentare”.
Volterra viene “dispensato dal servizio” per “incompatibilità”.
Il matematico sottolinea che la sua condotta di senatore è “insindacabile” per lo Statuto del Regno (la Costituzione allora in vigore).
Logica conseguenza delle sue idee, l’impossibilità “in coscienza aderire all’invito” a giurare, in precedeza rivolto ai professori dal rettore.
METIS (2)
La ragione è esplicita: “per essersi rifiutato di prestare il giuramento prescritto”. Il rettore, Pietro de Francisci, era allora anche ministro di Grazia e Giustizia. Insegnerà fino al 1954.
Il matematico che disse no Vito Volterra fu uno dei 12 docenti universitari che nel 1931 non giurarono fedeltà al fascismo. Lo fece con questa lettera. 86
V
ito Volterra (18601940) è ricordato come uno dei due padri delle “equazioni di Lotka-Volterra”, un modello matematico utile nello studio degli ecosistemi. Nel 1931 fu uno dei 12 professori (su 1.500) che rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo e l’unico matematico. Incompatibile. Volterra dal 1900 insegnava fisica mate-
matica nella Regia Università di Roma. Nel 1905 era stato nominato senatore del regno (per i suoi meriti scientifici) e nel 1922 si era opposto al governo Mussolini. Quando, nel novembre del 1931, ricevette dal rettore l’invito ad adeguarsi alla legge che imponeva il giuramento, Volterra prese carta e penna e scrisse le poche righe riprodotte qui sopra
(conservate all’Accademia dei Lincei, di cui Volterra fu presidente, istituzione che nel 1934 lo scienziato dovette lasciare). La risposta non si fece attendere: Volterra fu sospeso dall’insegnamento.In quanto ebreo, nel 1938 fu poi colpito dalle leggi razziali. Continuò a lavorare, ma per l’Accademia pontificia delle scienze. •
Aldo Carioli
tecnovintage A cura di Eugenio Spagnuolo
1939
Visioni dal passato
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Da vicinissimo Un View Master con il dischetto di diapositive inserito. In alto, sul primo dischetto, si leggono le località visibili con lo strumento, tra cui il Monte Lafayette negli Stati Uniti.
D. VITTIMBERGA
culus Rift, l’avveniristico visore che permette di entrare nella realtà virtuale, ha un antenato: il View Master Model A, sistema di visione stereoscopica inventato da William Gruber e prodotto dalla Kodak tra il 1938 e il 1944. Allora come oggi, l’idea era quella di immergersi in un altro mondo, indossando un visore sugli occhi: all’epoca il massimo dell’evasione era un dischetto contenente alcune diapositive di luoghi esotici e lontani. Comunque fu un’innovazione: infatti il View Master fu venduto come souvenir della Grande esposizione universale del 1939 a New York e usato durante la Seconda guerra mondiale per insegnare ai soldati americani a distinguere gli aerei nemici grazie ai loro profili. Conviene comprarlo? Su Internet è possibile acquistare i dischetti del View Master con le diapositive. Il visore si vende su eBay a partire da 30 euro. Ma è bene sapere che, secondo alcuni siti specializzati, reca tracce d’amianto, anche se incapsulato nella plastica (dunque non pericoloso). •
Ti mostro una storia A sinistra, il View Master Model A prodotto alla fine degli Anni ’30, con la sua confezione di imballaggio. All’inizio le immagini supportate erano cartoline panoramiche di paesaggi o città, negli Anni ’50 tra i soggetti comparvero mini-film e fiabe.
E NELLO STESSO ANNO...
ITALIA Enzo Ferrari fonda a Modena la Auto Avio Costruzioni, specializzata in vetture sportive. Nel 1946 cambierà il nome in Ferrari Automobili.
VATICANO Eugenio Pacelli è eletto papa con il nome di Pio XII. Membro di una famosa famiglia nobile di Roma, resterà in carica fino al 1958.
TECNOLOGIA In un garage di Palo Alto, in California, viene fondata l’HP che diventerà una delle più importanti aziende tecnologiche del mondo.
GUERRA Il 22 maggio a Berlino Mussolini e Hitler firmano il Patto d’acciaio. Il 1° settembre i tedeschi invadono la Polonia: è la 2a guerra mondiale. 87
una foto un fatto
Una prima storica stretta di mano La firma degli accordi di Oslo tra Israele e palestinesi valse il Nobel ai leader delle due parti. Ma non chiuse il conflitto.
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l presidente degli Stati Uniti Bill Clinton unisce in un abbraccio due ex acerrimi nemici, il leader dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina Yasser Arafat (a destra) e l’allora primo ministro israeliano Yitzhak Rabin. Sono le 11:43 del 13 settembre 1993 e questa è la prima stretta di mano pubblica tra i due, appena usciti dalla Casa Bianca dove hanno messo le loro firme su uno storico accordo per risolvere il conflitto arabo-israeliano. I negoziati – conosciuti come “Accordi di Oslo” perché erano iniziati in gran segreto nella capitale norvegese nell’agosto precedente – prevedevano il reciproco riconoscimento tra Olp e Israele, la rinuncia all’uso della violenza per creare uno Stato palestinese e il ritiro da Gaza e da altri territori occupati dagli israeliani nel 1967.
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Nel 1994 i due leader furono insigniti (tra le polemiche) del Premio Nobel per la pace, assieme a Shimon Peres, allora ministro degli Esteri israeliano, proprio “per i loro sforzi di portare la pace in Medioriente”. Nonostante le apparenze e gli iniziali entusiasmi, gli accordi si dimostrarono però fragili e incompleti. Se questa è pace. In occasione delle trattative Clinton aveva dichiarato: «Sappiamo di avere davanti un percorso difficile. Ogni pace ha i suoi nemici». Quelli di Rabin erano dalla sua stessa parte: fu infatti assassinato da un estremista israeliano il 4 novembre 1995, dopo aver partecipato a Tel Aviv a un comizio proprio in difesa di quella stretta di mano, che era malvista da molti, e non solo dai più fanatici. • Anita Rubini
WASHINGTON 13 SETTEMBRE 1993
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Grandi attese Il palestinese Yasser Arafat (1929-2004) e l’israeliano Yitzhak Rabin (1922-1995) si stringono la mano sotto lo sguardo del presidente Usa Bill Clinton. Quei negoziati suscitarono speranze rivelatesi vane.
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I GRANDI TEMI
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NO GRAZIE
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GUERRE DI VANDEA
RIVOLUZIONE?
In nome del re (e di Dio) I vandeani in rotta nell’ottobre del 1793 in un quadro di fine Ottocento. In alto, il simbolo che veniva appuntato sulle divise dei combattenti della Vandea, sormontato dalla croce e dalla scritta che inneggia a Dio e al re.
Dalla Vandea nel 1792 partirono insurrezioni contro il nuovo governo rivoluzionario francese. Che piaceva poco perché toccava le tasse e la religione. Ne seguì un massacro che alcuni hanno chiamato genocidio.
INTANTO NEL MONDO FRANCIA
ALTRI PAESI
1789 5 maggio Riunione degli Stati Generali. 26 agosto Dichia razione dei dirit ti dell’uomo e del cittadino.
1789 7 gennaio Prime ele zioni presidenziali ne gli Usa.
CULTURA
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1790 12 luglio Costituzio ne Civile del Clero. 27 novembre Giura mento Costituzionale. 1791 Giugno Tentativo di fuga di re Luigi XVI.
1791 30 settembre Prima rappresentazione del Flauto magico di Wolfgang Ama deus Mozart.
1792 27 maggio Legge che esilia i sacer doti che rifiutano il giuramento. 22 agosto Primi moti della insurrezione in Vandea. 21 settembre Vie ne proclamata la Repubblica.
1792 1º marzo In Austria muore l’imperatore Leopoldo II. Gli succede il figlio Fran cesco II. 18 maggio Inizia la guerra russo-polacca.
1793 21 gennaio Esecu zione di Luigi XVI. 1° febbraio La Con venzione dichiara guerra all’Inghilterra. 24 febbraio La Con venzione ordina la le va di 300mila uomini. 11 marzo Inizio su vasta scala della in surrezione vandeana. 9 giugno Inizio della grande offensiva dei vandeani. 29 giugno Fallimen to dell’attacco van deano contro Nantes. 12 dicembre Disfat ta e distruzione, qua si totale, delle forze vandeane davanti a Le Mans. 23 dicembre Distru zione dei resti dell’ar mata vandeana a Savenay.
1793 2 gennaio Russia, Prussia e Austria si spartiscono la Polonia. 21 maggio Vittorio Amedeo III di Savoia istituisce la medaglia al Valor Militare, da conferire ai militari che hanno compiuto azione di segnalato valore in guerra.
1792 La Danimarca, prima nazione al mondo, vieta il commercio degli schiavi. Il dollaro diventa la valuta ufficiale degli Stati Uniti d’America. Vittorio Alfieri lascia Parigi inorridito per il degenerare della Ri voluzione che aveva ammirato. 1793 L’Accademia francese delle scien ze definisce il me tro come unità di mi sura della lunghezza. Muore il commedio grafo italiano Carlo Goldoni.
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er quanto difficile da credere, la rivoluzione che ha prodotto la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino (1789) si è macchiata anche di quello che alcuni storici hanno definito un crimine contro l’umanità: il “genocidio” della Vandea avvenuto negli anni del Terrore. La Rivoluzione francese aveva abbattuto la monarchia borbonica e stava affrontando gli eserciti delle potenze europee riunite nella Prima coalizione. Nel 1792 era stata proclamata la Repubblica, e l’esercito rivoluzionario aveva ottenuto la sua prima vittoria nella Battaglia di Valmy. Mentre a Parigi prendeva piede un governo sempre più radicale guidato dal partito giacobino, nel resto del Paese cresceva l’insofferenza soprattutto verso imposizioni come la leva obbligatoria, la persecuzione della religione cattolica e la crescente imposizione fiscale. La rivolta serpeggiava in Francia. In alcune zone, come Lione e Tolone, cominciarono le sollevazioni contro il governo centrale. Il più grande focolaio scoppiò in Vandea e nelle regioni limitrofe (Maine, Loira, Deux-Sévres e Loira Atlantica) sulla costa oceanica della Francia Nord-occidentale. Dal basso. La prima insurrezione iniziò nel marzo del 1793: la scintilla che la provocò fu la decisione della Convenzione (ovvero l’Assemblea legislativa e costituente) di reclutare a forza 300mila
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I GRANDI TEMI
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Quella in Vandea nacque come rivolta contadina, dopo che il governo toccò tasse, pascoli e terre
Scintilla
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arallela alla rivolta in Vandea fu quella dei contadini in Maine, Bretagna e Normandia, che presero il nome di Chouans dal soprannome del loro primo leader, Jean Cottereau, detto “il gufo” (dal francese arcaico chat-huant, “barbagianni”). Questi ribelli erano accomunati ai vandeani da un altro soprannome, quello di “bianchi”, dal colore politico che ostentavano sulle coccarde e non solo (sopra, “por92
tato” in vita dal leader vandeano, Henri de La Rochejaquelein, e sventolato su una bandiera). Resistenza. Gli Chouans collaborarono con i vandeani in molte occasioni, partecipando anche alla terribile sconfitta di Savenay. A differenza dei vandeani, gli Chouans non riuscirono mai a organizzarsi militarmente e condussero piuttosto azioni di guerriglia, che portarono avanti fino all’Ottocento.
RMN/ALINARI
Tra “gufi” e “bianchi”: gli Chouans
Il massacro di Machecoul (11 marzo 1793) dipinto nell’800. Il sindaco della città della Loira massacrò 500 vandeani. Da allora i ribelli si organizzarono militarmente.
soldati per tre anni. «La Guerra di Vandea si inquadra nel modello di una rivolta contadina, una ribellione partita dal basso nei confronti del potere rivoluzionario che stava sferrando una serie di attacchi contro la Chiesa e contro quanto la gente aveva di più caro», spiega Alberto Leoni, storico e autore di Storia militare del cristianesimo. «La Vandea era una regione particolare, un territorio poco toccato dallo sviluppo generale del regno», aggiunge Roberto Moro, storico delle dottrine politiche all’Università di Milano. «Le istituzioni non erano penetrate a fondo, il sistema di giustizia non era organizzato, l’omicidio veniva ancora giudicato per via arbitrale. La regione era governata da aristocratici piccoli e medi che non amavano la corte del re, restavano sui loro territori e interagivano con il loro popolo. I contadini erano legati ai loro nobili e ai loro preti». Insomma, un ambiente refrattario alle novità rivoluzionarie, e una miscela pronta a esplodere quando le imposizioni del governo centrale toccarono coscrizione, tasse, diritti di pascolo e nazionalizzazione di terre a vantaggio di pochi. Organizzati. Quando Parigi mise i vandeani di fronte alla scelta tra andare a combattere al fronte in nome di un governo che violava i loro valori, oppure prendere le armi sul proprio terreno per cercare di ripristinare il mondo cui erano affezionati, i vandeani non ebbero dubbi. «Si raccontò che il primo morto era stato un contadino», ricostruisce Leoni. «Le guardie rivoluzionarie volevano distruggere uno dei tanti crocifissi della zona, ma il vandeano si interpose con il suo forcone. “Arrenditi”, gridarono i soldati, “Rendetemi il mio Dio”, rispose l’uomo che si fece ammazzare sul posto. In francese il gioco di parole suona “rend-toi”, “rend-moi mon Dieu”».
Responsabili dello sterminio Jean-Baptiste Carrier e Louis Marie Turreau (a destra): secondo gli storici, contro i vandeani usarono metodi da genocidio.
All’origine si trattò di insurrezioni spontanee, non collegate. «Il clero, nonostante quanto affermava la propaganda rivoluzionaria, non ebbe parte attiva in una sollevazione che fu condotta da laici, contadini e nobili». Ma quella a cui i vandeani diedero inizio non sarebbe stata una guerra come tutte le altre. Fin dal principio fu contraddistinta da una particolare ferocia. L’11 marzo 1793 il sindaco di Machecoul decise di reagire con l’esecuzione sommaria di 500 rivoltosi. Fu la spinta che serviva ai vandeani per decidere di organizzarsi, e di darsi un capo. Leader e generali vennero scelti secondo le capacità e l’affidabilità: c’erano nobili, guardacaccia, vetturini. Fu uno di loro, Henri de La Rochejaquelein, a coniare il motto, poi spesso riutilizzato, “Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se muoio vendicatemi”. Botta e risposta. Come prima operazione i vandeani si vendicarono di Machecoul e uccisero tutti i repubblicani locali. In pochi giorni l’esercito controrivoluzionario raggiunse le decine di migliaia di uomini e collezionò una serie di vittorie sulla Guardia Nazionale. In breve tempo i vandeani assunsero il controllo
1794 17 gennaio Creazione, da parte del generale Turreau, delle “colonne infernali” destinate a distruggere la Vandea. 27-28 luglio Caduta di Robespierre, fine del Terrore. 2 dicembre Amnistia generale promessa dalla Convenzione ai vandeani e agli Chouans che depositeranno le armi entro un mese.
1794 28 aprile Dopo il mancato accoglimento delle richieste degli Stamenti da parte dei Savoia, insurrezione di Cagliari e cacciata dalla città dei funzionari sabaudi. 18 ottobre Impiccagione a Napoli dei patrioti Emanuele De Deo, Vincenzo Galiani e Vincenzo Vitaliano.
1795 17 febbraio Firma degli accordi di La Jaunaye che concedono l’amnistia ai vandeani, il riconoscimento della libertà di culto e il diritto di conservare le proprie armi nella Guardia Territoriale. 25 giugno Ripresa delle ostilità: scoppia la seconda guerra di Vandea. 1796 22 giugno Fine della guerra civile nei dipartimenti dell’Ovest.
1796-97 Campagna d’Italia vinta brillantemente da Napoleone.
1794 Muore Cesare Beccaria, autore del trattato Dei delitti e delle pene. 10 luglio Il chimico inglese John Dalton descrive la malattia che prenderà il nome di daltonismo.
1795 Viene inventata la matita. Viene inventata la pressa idraulica.
1796 30 novembre Il Granducato di Toscana abolisce la pena di morte.
1796 Viene inventata la litografia.
1797 12 maggio A Venezia il Maggior Consiglio e l’ultimo doge Ludovico Manin abdicano, ponendo fine alla Serenissima Repubblica.
1797 22 ottobre A Parigi André-Jacques Garnerin esegue il primo lancio con un paracadute.
14 maggio Edward Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo.
1799 26 ottobre-17 dicembre Terza guerra di Vandea che si conclude con un armistizio.
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INTANTO NEL MONDO
1813-1815 Da marzo a giugno Quarta guerra di Vandea contro Napoleone a sostegno di Luigi XVIII.
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I GRANDI TEMI
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RTFOLIO
mese che a Parigi la Convenzione aveva perso la pazienza. Dopo la legge che prevedeva di dare fuoco a tutti i boschi della Vandea e di requisire ogni bene, arrivò l’ordine di eliminare tutti gli abitanti dei territori insorti, inclusi donne e bambini. Le istruzioni vennero prese alla lettera. Rasi al suolo. Alcuni storici ne hanno fatto il prototipo dei genocidi del XX secolo. A Nantes, poiché 200 fucilazioni al giorno non erano sufficienti, il commissario Jean-Baptiste Carrier inventò il metodo delle noyades (gli “annegamenti”): i condannati venivano legati e caricati su barconi che di notte erano fatti affondare nella Loira. In questo modo furono uccise in poche settimane non meno di 2.800 persone, forse 8mila in totale. Dal canto suo il generale Louis Marie Turreau inventò le “colonne infernali”, approvate dalla Convenzione (17 gennaio 1794). Il loro compito era radere al suolo la Vandea: “Tutti i briganti che saranno trovati armi alla mano, o rei di averle prese, saranno passati a filo di baionetta. Si agirà allo stesso modo con le donne, le ragazze e i bambini. Neppure le persone semplicemente sospette devono essere risparmiate. Tutti i villaggi, i borghi, le macchie e tutto quanto può essere bruciato sarà dato alle fiamme”. Gli orrori non ebbero freni: le persone vennero riunite in chiese e ospedali cui si appiccava il rogo. «Secondo alcune fonti, la pelle delle vittime venne usata per conciare calzoni oppure adeguata-
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di gran parte della regione. Il 4 aprile a Chemillé fu costituito l’Esercito cattolico e reale, che continuò a conquistare terreno fino a giugno. Solo a settembre i vandeani si trovarono ad affrontare un esercito regolare, mandato da Parigi agli ordini del generale Kléber. Ma l’Esercito cattolico vinse anche la sua prima battaglia in campo aperto. «Furono favoriti dalla loro compattezza, ma soprattutto dall’incompetenza dei generali rivoluzionari», spiega Leoni. «Quando Parigi si decise a mandare dei professionisti la situazione sul campo cambiò». A Fougères (Bretagna) i repubblicani sterminarono chiunque trovarono nell’ospedale e annunciarono che avrebbero incendiato qualunque città fosse caduta in mano ai vandeani. A dicembre a Blois, presso Le Mans, il generale François Joseph Westermann sconfisse un grande esercito controrivoluzionario uccidendo tutti i vandeani presenti, compresi i feriti, le donne e i bambini. Di lì a pochi giorni si ripeté ottenendo la vittoria decisiva a Savenay. E così scrisse nel rapporto al Comitato di salute pubblica: “Cittadini repubblicani, non c’è più nessuna Vandea! È morta sotto la nostra sciabola libera, con le sue donne e i suoi bambini. L’abbiamo appena sepolta nelle paludi e nei boschi di Savenay. Secondo gli ordini che mi avete dato, ho schiacciato i bambini sotto gli zoccoli dei cavalli e massacrato le donne, così che, almeno quelle, non partoriranno più briganti. Non ho un solo prigioniero da rimproverarmi. Li ho sterminati tutti, le strade sono seminate di cadaveri”. E non finì qua. Dopo la vittoria, nei primi mesi del 1794, si scatenò il “populicidio” della Vandea. Era già qualche
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GUERRE DI VANDEA
Per gli storici, se la rivolta vandeana si fosse estesa maggiormente avrebbe
Viva la religione Una bandiera degli insorti di Vandea realizzata dopo la condanna a morte di Luigi XVI. Recita: “Viva la religione cattolica, viva Luigi XVII”.
mente trattata per le selle», racconta Leoni. I cadaveri furono usati per produrre sapone. Donne incinte vennero schiacciate sotto i torchi. Si arrivò a progettare di sterminare i vandeani con il gas, cosa che non si verificò solo perché tecnicamente non fu possibile». A conti fatti. Quanti furono i morti in Vandea e nelle regioni circostanti? Difficile dirlo con certezza. Non meno di 120mila, probabilmente 250mila (il 30 per cento della popolazione), 600mila secondo lo storico Pierre Chaunu. Si è calcolato che il 18 per cento degli abitati fu distrutto, 800 chiese bruciate. Qualcuno ha contato 21 battaglie campali, 200 prese e riprese di villaggi e di città e 700 scontri locali. La regione venne devastata. Le colonne infernali terminarono tra l’aprile e il maggio 1794, e la successiva occupazione militare fu via via più blanda, nonostante gli scontri continuassero fino all’armistizio del febbraio 1795: il governo di Parigi concesse formalmente il riconoscimento della libertà di culto ai cattolici, l’amnistia e un’indennità di risarcimento. Ma i patti sottoscritti non furono rispettati e questo condusse alla seconda guerra di Vandea, di fatto un tutt’uno con la prima, conclusasi con il fallimento dell’insurrezione nel marzo 1796. Soltanto sotto Napoleone (che pure dovette affrontare altre due rivolte) avvenne una pacificazione effettiva con la regione, che ebbe il suo culmine nel Concordato fra lo Stato e la Chiesa. «L’accanimento contro la Vandea si spiega con il fatto che la rivolta mise davvero alle corde il potere centrale», afferma Roberto Moro. «Se ci fossero state due o tre Vandee, la Rivoluzione francese sarebbe fallita». • Aldo Bacci
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SCALA
fatto fallire la Rivoluzione francese
Preparativi Donna appunta al marito le insegne degli insorti, in un quadro dell’800. In alto, bottone con la scritta “Vivere liberi o morire”. Sotto, lo sbarco di Quiberon, episodio della seconda guerra di Vandea.
Le leggi contro la Chiesa
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ià nel novembre 1789 la Costituente nazionalizzò i beni ecclesiastici. Nella Costituzione civile del clero (12 luglio 1790) i religiosi non erano più ordinati dalla Chiesa ma eletti dalle assemblee dipartimentali e dovevano giurare fedeltà allo Stato e non al papa. Solo una piccola minoranza del clero però acconsentì: tutti gli altri religiosi vennero soprannominati “refrattari” e furono perseguitati. Compatti. In Vandea, su 800 parrocchie furono 768 i parroci che rifiutarono di giurare. Per applicare la Costituzione civile del clero fu spesso usata la Guardia Nazionale, e proprio in Van-
dea nel gennaio 1791 ci furono i primi scontri con la popolazione e i primi morti. Successivamente l’Assemblea emanò ulteriori decreti contro i preti rimasti fedeli a Roma, proibendo l’esercizio religioso e prevedendo la deportazione. Nei massacri del settembre 1792 a Parigi furono uccisi anche 3 vescovi, 127 preti diocesani e 55 religiosi. L’anno dopo il calendario rivoluzionario aboliva le domeniche e le festività religiose. E mentre i più radicali provarono a imporre l’ateismo di Stato, Robespierre si limitò a promuovere il culto dell’essere Supremo e poi della Dea Ragione. 95
PER GENTILE CONCESSIONE DELLA VENERANDA FABBRICA DEL DUOMO DI MILANO
RELIGIONE
UMILIATI arrabbiati
Nato nel XII secolo, l’incorruttibile ordine degli Umiliati anticipò la Riforma. Ma poi incappò in san Carlo Borromeo
Attentato! L’agguato di Girolamo Donato, detto il Farina, a san Carlo Borromeo, il 26 ottobre 1569. L’arcivescovo si salvò, ma l’ordine degli Umiliati (di cui Farina era membro) fu soppresso. Il dipinto, di Giovanni Battista della Rovere (1561-1627), è nel Duomo di Milano.
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circa “mezz’ora di notte” (le 22), un monaco vestito da gentiluomo si introduce nella cappella dell’Arcivescovado di Milano, dove Carlo Borromeo (1538-1584) è inginocchiato in preghiera con le sue guardie armate. È il 26 ottobre 1569. L’attentatore, in nero con cappello piumato, estrae dal mantello un archibugio e fa fuoco. Si chiama Girolamo Donato, detto il Farina, ed è un prevosto dell’antichissimo ordine religioso degli Umiliati. L’arcivescovo rimane però illeso: “miracolosamente”, diranno le pratiche per la canonizzazione nel 1610, perché il pallettone (poi trovato conficcato nel muro) sarebbe rimbalzato sulla schiena di colui che è oggi uno dei santi più popolari della Chiesa cattolica. Il lato oscuro. Per il Farina e altri Umiliati, invece, Carlo Borromeo tanto santo non era. Ritenevano che fosse lui, controriformatore di ferro, il responsabile della liquidazione del loro ordine secolare e dei loro beni. Solo la sua eliminazione avrebbe potuto cambiare la scena. Ma poiché l’attentato fallì, per mano di Dio o per la mano inesperta del monaco, il Farina (preposto di Porta Comasina, a nord di Milano) e altri tre preposti-congiurati, Gerolamo Legnano, Lorenzo Campagna e Clemente Mirisio vennero catturati e giustiziati qualche mese dopo, a pochi passi dall’Arcivescovado, in piazza Santo Stefano, davanti a una chiesa che ancora esiste. Se da un lato l’attentato fallito fu usato come prova di santità, dall’altro segnò la damnatio memoriae per quello che era stato uno degli ordini religiosi più amati, nato quattro secoli prima all’insegna del recupero della vita cristiana delle origini, ben prima che nascesse san Francesco. Lanaioli. Il movimento degli Umiliati era sorto intorno alla metà del XII secolo fra i lavoratori della lana, che ai tempi partecipavano a un processo produttivo specializzato che anticipava la catena di montaggio: cardatori, filatori, tessitori, tintori lavoravano infatti in successione. “Si formò così un proletariato sfruttato e oppresso”, riassumerà nell’Ottocento in un saggio Giovanni Verga. “I lanaioli vengono a trovarsi in condizioni d’inferiorità rispetto a tutti gli altri mestieri [...]. Questo proletariato, cui è contesa qualsiasi forma di associazione, si accorge che l’associazione religiosa è l’unico mezzo per sfuggire ai divieti e alle costrizioni dell’industrialismo. Sorge così l’ordine degli Umiliati: fede e lavoro la loro divisa”. 97
Gli Umiliati subirono una prima scomunica nel 1184, da papa Lucio III. Ma poi Vestivano solo di un panno grigio di lana, per distinguersi dai ricchi abiti, simbolo di spreco, di buona parte della Chiesa. All’inizio si organizzarono in case private, poi aprirono la Casa comune di Brera (dove oggi sono ospitate la Biblioteca Braidense e la Pinacoteca). “In una casa presso la Braida (Brera)”, continuava Verga, “essi radunano fresche energie di giovani di entrambi i sessi e vi concentrano tutte le operazioni inerenti l’arte; i loro panni sono ritenuti i migliori”. In breve tempo diventarono 150 le case di preghiera e di lavoro degli Umiliati in Lombardia. E se ne aprirono altre a Firenze e Verona. Non ammettevano menzogne e si rifiutavano di testimoniare nei tribunali, istituzioni che giudicavano contrarie ai dettami evangeli-
ci del perdono, soprattutto quando c’erano di mezzo la tortura e la pena di morte. Non esiste agli atti un solo verbale d’Inquisizione che contenga la testimonianza accusatoria di un Umiliato, mentre abbondano quelle di altri ordini. Scomunicati, anzi no. Il cronachista Anonimo di Laon racconta, all’inizio del XIII secolo, che nelle città di Lombardia nel 1179 c’erano alcuni cittadini “i quali, continuando a rimanere nelle case con le loro famiglie, avevano scelto un modo particolare di vivere religiosamente, si astenevano da menzogne, giuramenti, liti, contenti di una veste semplice”. Questi a un certo punto si recarono da papa Alessandro III per essere approvati come ordine religioso. Il pontefice concesse “che ogni loro cosa fos-
se fatta secondo umiltà e onestà”, ma vietò loro di tenere riunioni di culto e di predicare in pubblico. “Non rispettando il mandato apostolico”, narra il cronista, “divenuti disobbedienti, costoro si fecero per questo scomunicare”. Un altro cronachista del Duecento, Umberto di Romans, aggiunge: “Vivono del proprio lavoro secondo la forma della Chiesa primitiva. Infatti, non hanno possessi, se non pochi in rari casi; ma vivono con rigorosa coerenza del lavoro che uomini e donne esercitano personalmente soprattutto nella produzione dei panni, e distribuiscono elemosine e accolgono in modo devoto i religiosi poveri”. Intorno al 1200 la scomunica fu ritirata e la Chiesa riconobbe l’ordine dividendolo in tre rami. Il pri-
L’attività di lanaioli degli Umiliati, nella Storia dell’ordine degli Umiliati (XVI secolo), manoscritto oggi alla Biblioteca Ambrosiana di Milano.
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Specializzati nel tessile
la condanna fu ritirata e l’ordine fu riconosciuto ufficialmente nel 1201 mo formato da clerici veri e propri; il secondo da comunità miste di maschi e femmine laici; il terzo da laici sposati che aiutavano negli ospedali. Canali e mulini. Gli Umiliati sono oggi studiati anche perché rivoluzionarono l’agricoltura medioevale, in crisi dopo le invasioni barbariche. Furono loro a inventare le marcite, il sistema di canali e di pendenze regolate che utilizzava l’acqua sorgiva senza farla congelare d’inverno e consen-
Centro di culto
MASSIMO RIPANI/SIME
L’Abbazia di Viboldone, presso Milano. Sopra, il Giudizio universale al suo interno, con Satana che divora un dannato con la tiara papale.
tiva 8-10 raccolti annui invece di 2 o 3. Insomma, assieme ai Cistercensi diedero alla campagna lombarda l’aspetto che ebbe fino all’epoca dei nostri bisnonni. «Deviarono per esempio il canale Vettabia realizzato dai Romani», spiega Francesco Lacchini, vicepresidente dell’Associazione amici dell’Abbazia di Viboldone, a San Giuliano Milanese, fondata nel 1179 e ultimata nel 1349. «Con tutti i raccolti che si potevano fare grazie alle marcite, si produceva foraggio per tutta la città, cioè la “benzina” di allora per gli animali da tiro. Decine di mulini in azione dall’abbazia fino a Milano fornivano energia per la lavorazione del ferro. E dal Vettabia le merci potevano raggiungere il Po, attraverso il Lambro, per giungere fino a Chioggia e all’Adriatico».
I “protestanti” della Lombardia
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arcidiocesi di Milano nel Cinquecento comprendeva anche le provincie di Lodi, Piacenza, Como e la Svizzera fino ai Grigioni. «Era una vasta area di confine con l’Europa protestante», spiega lo storico Paolo Portone, del Centro insubrico di ricerche etnostoriche. «Registrava la presenza di movimenti cristiani come i Valdesi o sincretici con la tradizione popolare pagana, tutti considerati eretici dal Concilio di Trento (1545-1563). In quel momento storico s’inserisce la figura di san Carlo Borromeo. Fu un arcivescovo di singolare durezza, ma in sintonia con i tempi e in simmetria con i protestanti d’Oltralpe, che non andavano per il sottile». Vicepapa. Oltre che arcivescovo, Carlo Borromeo era legatus a latere, in pratica un vicepapa. Si mise quindi al lavoro per ristabilire l’ordine in base alle istruzioni tridentine. Decise (cosa rara in tempi in cui tutto si decideva negli intrighi romani) di risiedere nella propria
diocesi. Avviò varie campagne di moralizzazione contro la corruzione del clero, i mestieri di strada, la vanità femminile e persino contro il gioco della palla fra i giovani. «Creò una congregazione di stretta osservanza vescovile, gli Oblati di sant’Ambrogio, e la “famiglia armata”, un corpo di guardie scelte fra parenti e fedelissimi. Ma soprattutto tolse autonomia ai monasteri, centralizzando amministrazioni, fondi e rendite. Infine promosse un’indagine sulla superstizione, in cui confermò l’esistenza della “strega diabolica” e dichiarò guerra a maghi e guaritori di ogni genere», conclude Portone. Prima dell’attentato del Farina, in testa a migliaia di brianzoli Carlo attaccò i Canonici della Scala, in odore di eresia e asserragliati nella loro chiesa di Santa Maria (dove oggi sorge il Teatro alla Scala). I Canonici risposero con spade e archibugi, mettendo in fuga gli assalitori. Ma poi anche questo ordine subì la sorte degli Umiliati.
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La pecora, simbolo dei lanai, all’Abbazia di Mirasole, che conserva la struttura originaria.
CARLO BORROMEO il repressore...
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ella sua caccia alle streghe e alle superstizioni, Carlo Borromeo entrò in conflitto prima con il governatore spagnolo (Milano fu spagnola dal 1536-1706), poi con la Santa Inquisizione romana. Il caso esemplare è quello delle cinque donne di Lecco (emerso dagli archivi diocesani) sottratte da Borromeo e le sue guardie, “i famigli”, al Sant’Uffizio cittadino di Santa Maria delle Grazie, per processarle all’Arcivescovado. «Da parte della Santa Sede», spiega lo storico Paolo Portone, «si ebbe l’opposizione del cardinale Scipio Rebiba, che voleva un cambiamento della logica dei processi alle streghe. Rebiba pretese da Carlo Borromeo l’esibizione del corpus delicti, in pratica non poteva più essere sufficiente una confessione (di solito estorta con la tortura), ma bisognava provare in modo oggettivo la presenza del demonio nelle donne. Cosa difficile, se non impossibile da dimostrare». Roghi e streghe. Intervenne allora papa Pio V, che diede torto a Carlo e fece liberare le donne. Grazie a questo intervento furono salvate le “streghe di Triora” (Imperia) che la Repubblica di Genova voleva bruciare. «Da quel momento la Chiesa procederà con la tecnica “curativa” dell’esorcismo, preferita ai roghi», dice Portone. Convinto che, se i protestanti erano duri con le streghe, i cattolici dovevano fare altrettanto a conferma della loro serietà, Carlo Borromeo non mollò e istruì altri processi. A Rovedo (Canton Grigioni) uno di questi finì con 11 condanne nel 1583: assieme alle streghe salì sul rogo anche un prevosto.
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Curiosamente, il motto dei Borromeo era Humilitas. Controcorrente. Per capire invece come la pensassero gli Umiliati, basta osservare alcuni dei dipinti di scuola fiorentina che impreziosiscono l’Abbazia di Viboldone. Vi è ritratta Maria che riceve l’annunciazione dall’angelo mentre sta leggendo un libro (la Bibbia o un testo filosofico, allora vietati alle donne), a riprova che gli Umiliati favorivano l’istruzione femminile. Nel Giudizio universale attribuito a Giusto de’ Menabuoi, fra i dannati, avidi e usurai, divorati da Satana ne spicca uno con la tiara papale. E un vescovo è colto in flagranza di peccato di simonia (la compravendita delle cariche eccelsiastiche in seguito denunciata da Lutero), mentre cede il proprio copricapo a un affarista. Eredità. Alle porte di Milano c’è un altro tesoro architettonico degli Umiliati, l’Abbazia di Mirasole (presso Opera). Passata più volte di mano, da qualche mese ospita i Premostratensi, che seguo-
no la regola agostiniana. «Mi ha colpito molto questo ritorno degli Umiliati al cristianesimo delle origini, questa vita in comune di fratelli e sorelle, l’umiltà caratterizzata dal lavoro, dalla preghiera e dall’aiuto ai poveri, ma anche dalla competenza professionale», riflette il priore Dominique Marie. «Qui si visse una grande esperienza religiosa». Sintesi di quell’esperienza è lo stemma degli Umiliati, che troneggia su una parete della chiesa: un agnello, simbolo della lana che lavoravano, ma anche dell’Agnello di Dio (Gesù). Proprio a Mirasole, come si legge negli atti del processo, il Farina dormì prima di attentare alla vita di san Carlo. “Terzo polo” dell’eredità degli Umiliati è oggi la Cascina Monluè, a Milano, di cui restano gran parte della corte originale, la chiesa di San Lorenzo del 1267 e una sala capitolare recentemente restaurata. Qui gli Umiliati tennero nel 1299 il loro capitolo
All’ospedale
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L’Ospedale Maggiore di Milano (oggi sede dell’Università Statale) a fine Cinquecento. Molti possedimenti degli Umiliati furono in seguito assegnati a questa istituzione.
CARLO BORROMEO ...e il santo
LUISA RICCIARINI/LEEMAGE
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Cioè “umiltà”. Eppure Carlo soppresse gli Umiliati generale. Era l’epoca in cui vari Comuni e Signorie (Milano in primis, ma anche Siena) chiesero agli Umiliati, giudicati incorruttibili, collaborazione nella gestione del tesoro cittadino, delle tasse, dei catasti. I contrasti con Carlo. Come fu allora che il destino degli Umiliati entrò in rotta di collisione proprio con Milano e con il suo cardinale, Carlo Borromeo, fustigatore della corruzione? Intanto, dopo il 1350 nell’ordine confluirono soggetti della élite milanese che perseguivano interessi propri. Lo spirito “riformista” dell’ordine, poi, entrò in conflitto con la Controriforma decretata dal Concilio di Trento (1563). Carlo, nipote di papa Pio IV, ebbe l’incarico di portare avanti la politica controriformista in un’arcidiocesi considerata covo di eretici e pericolosamente vicina ai Paesi protestanti (v. riquadro nelle pagine precedenti). Infine, i Borromeo avevano vasti interessi agrari e terrieri, come
gli Umiliati. Lo stesso Carlo poteva contare su 52mila zecchini annui (secondo il suo biografo del tempo, Carlo Bascapè, più di 90mila) quasi tutti provenienti da rendite fondiarie. L’arcivescovo disse di voler riformare, fra gli altri, anche l’ordine del Farina. Nel 1565 lo zio papa investì Carlo del titolo di Protettore degli Umiliati e per prima cosa lui li sfrattò dalla casa madre di Brera. Nel 1567 il futuro santo proibì ai massari e ai coloni di pagare affitti agli Umiliati, che ordinò invece di girare all’arcidiocesi di Milano di cui era a capo. Quando, dopo l’attenato del Farina, l’Ordine fu soppresso, tutte le proprietà degli Umiliati furono requisite e ridistribuite ad altri ordini, più fedeli. Ironia della sorte (o della logica dei fatti): i berretti di lana, assieme ai mantelli, ricomparvero nei mercati con il nuovo nome di “borromee”. •
ovendo sostituire un clero corrotto e perciò utile alla propaganda protestante, Carlo istituì i seminari, dove si diventava preti e prelati non per semplice opportunismo o acquistando cariche, ma per vocazione e dopo anni di studio. Coltissimo. La cultura fu il chiodo fisso di Carlo Borromeo, che possedeva una grande biblioteca privata. Fondò il Collegio Borromeo di Pavia e molti altri collegi minori decentrati che i meritevoli, anche se poveri, potevano frequentare gratuitamente. Ancora oggi istituti scolastici del Nord Italia sono dedicati a lui, così come ordini femminili e diverse località che corrispondono ai possedimenti della sua famiglia, come Peschiera Borromeo (Milano). Duro con la corruzione del clero (“La stalla di Augia degli abusi si può pulire solo con una scopa di ferro”, scriveva riferendosi a una delle fatiche di Ercole), si impegnò in opere assistenziali nella carestia del 1570 e soprattutto nella durissima peste del 1576-77 (sopra, in un dipinto ottocentesco di Giuseppe Mancinelli). Famoso l’episodio in cui guidò una processione a piedi nudi con la reliquia del Sacro chiodo della Croce. La peste si placò e ciò fu interpretato come l’ennesimo miracolo del santo. Morigerato. Affollate processioni guidate da lui stesso, visite pastorali e pellegrinaggi presero il posto dei balli pubblici e del carnevale, che proibì. Si prodigò in 10 sinodi per realizzare la linea dettata dal Concilio di Trento. Cardinale a soli 22 anni, morì piuttosto giovane, a 46 anni. Subito si moltiplicarono le sue “vite”: 7 le principali biografie e agiografie, tradotte in otto lingue. Che ne fecero un campione della rettitudine.
Franco Capone 101
I GETTY IMAGES (2)
Nel fotomontaggio, un bombardiere tedesco incontra un velivolo inglese. Così accadde il 15 agosto 1940 alla Luftwaffe che tentava di attaccare l’Inghilterra di sorpresa.
Una delle prime stazioni radar inglesi (oggi hanno un aspetto completamente diverso).
l 15 agosto 1940 il cielo era coperto, sul mare del Nord. Il sottotenente Rudolf Kranz, alla guida del suo bombardiere Heinkel He 111, guardava fiducioso verso l’Inghilterra Settentrionale che si stava avvicinando. Accanto a lui volavano 63 bombardieri Heinkel He 111 scortati da 25 caccia pesanti Messerschmitt Bf 110; più in là, da qualche parte tra le nuvole, volava una cinquantina di Stuka. Imprevisto. La Luftflotte 5, la divisione aerea nazista schierata in Scandinavia, era partita alle 10 dalle sue basi in Norvegia e Danimarca per attaccare di sorpresa le basi nel Nord dell’isola. Doveva essere un colpo mortale in quella che il premier inglese Winston Churchill aveva ribattezzato Battaglia d’Inghilterra. Ma una brutta sorpresa aspettava Kranz e i suoi: quando, verso mezzogiorno, avvistarono le coste inglesi trovarono ad accoglierli una squadriglia di Hurricane e una di Spitfire. Invece di una “passeggiata” contro un nemico disorientato, gli aviatori tedeschi si trovarono a combattere per la sopravvivenza. Molti tedeschi si liberarono delle bombe e tornarono in sicurezza verso il mare aperto; quelli che proseguirono persero 23 aerei su 138. Lo choc fu tale che la Luftflotte 5 non avrebbe tentato per tutta la Battaglia d’Inghilterra un’altra mossa simile. Ma come
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Ma guarda chi c’è
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Gli inglesi investirono subito nei radar: all’inizio del conflitto erano già state installate 20 stazioni era potuto accadere? Il merito (o la colpa) di quella batosta andava a un’invenzione che, insieme alla macchina di Alan Turing per decrittare i messaggi in codice tedeschi del progetto Enigma, aiutò gli Alleati a vincere la guerra: il radar. Lavori in corso. La storia del radar è la dimostrazione estrema di quanto credere nell’innovazione possa fare la differenza. Negli anni Trenta un po’ tutti i Paesi avanzati (oltre all’Inghilterra, anche la Germania, gli Stati Uniti e persino l’Italia) conducevano esperimenti sulla possibilità di impiegare le onde radio ad alta frequenza per individuare bersagli aerei o navali a grande distanza. L’idea non era nuovissima: un uso simile era stato immaginato dall’italiano Guglielmo Marconi nel 1922. Tutto si basava sul fenomeno della cosiddetta dispersione della radiazione elettromagnetica: in altre parole, l’impulso radio torna indietro quando la radiazione colpisce un oggetto di dimensioni maggiori della sua lunghezza d’onda (v. schema a destra). Si trattava dunque di costruire trasmettitori potenti e in grado di utilizzare lunghezze Era l’embrione delle future basi radar, d’onda diverse. una “startup bellica”, in un certo senso. Verso la metà degli anni Trenta lo scienProgressi. La sfida consisteva nel troziato inglese Robert Watson-Watt stava la- vare lunghezze d’onda in grado di intervorando proprio a questo. Dall’altra par- cettare aerei di diverse dimensioni. In pote della Manica, lo stesso stavano facendo chi mesi fu possibile individuare un aei suoi colleghi tedeschi e italiani. reo a 58 miglia di distanza, anche Ma a differenza di questi ulse non si poteva capire in che timi Watson-Watt incontrò direzione volasse. interlocutori politici che Nel 1936 si arrivò alla seppero valorizzare i suoi lunghezza d’onda di 12 sforzi, puntando decisametri: si trattava ancoGUGLIELMO MARCONI immagina come impiegare mente sull’innovazione. ra di uno strumento poonde radio ad alta Il 14 gennaio 1935 co efficace (oggi si usano frequenza per individuare Watson-Watt fu convocato lunghezze d’onda dell’oroggetti a distanza. dal direttore del Dipartimendine di pochi centimetri), ma to ricerche scientifiche del misi cominciò a costruire la prima nistero dell’Aeronautica inglese. Le idee stazione radar operativa a Bawsdey Madello scienziato furono prese così sul se- nor, circa 100 km a nord-est di Londra. rio che nel giro di poche settimane venne Ne seguirono molte altre, per merito somesso in piedi un Comitato per la sorve- prattutto del maresciallo dell’aria Hugh glianza scientifica della difesa aerea, con Dowding (1882-1970), dal 1936 capo del base sull’isola di Orford Ness, nel Suffolk. Fighter Command.
1922
104
1
3
Dowding aveva avuto l’intuizione giusta: creare una catena di stazioni radar attorno all’Inghilterra (la Chain Home) per poter dirigere i caccia sul bersaglio. In totale 20 stazioni, per una spesa di 1 milione e 300mila sterline dell’epoca. Una fortuna, ma furono soldi ben investiti. All’inglese. I radar avevano all’epoca un aspetto completamente diverso da quelli di oggi. Una stazione era composta di 4 torri metalliche alte circa 120 metri che emettevano impulsi radio ad alte frequenze; gli impulsi restituiti dal “bersaglio” venivano invece captati da antenne alte circa 80 metri. Gli operatori radar, come ricorda Jean Semple, una delle prime ausiliarie della Raf impiegate in questo compito, non scrutavano il classico schermo rotondo cui siamo stati abituati dai vecchi film: guardavano soltanto un oscilloscopio che registrava l’andamento del segnale radio (come nello schema a destra). Per indivi-
2
UN SISTEMA COMPLICATISSIMO I radar inglesi negli Anni ’40 erano molto più complessi di quelli odierni: per l’intera operazione di rilevamento erano coinvolte fino a 200 persone.
1 Quattro torri emettevano
impulsi radio ad alta frequenza. Gli impulsi riflessi erano captati dalle antenne di ricezione.
2 Le operatrici verificavano GETTY IMAGES
l’andamento del segnale registrato dall’oscilloscopio e calcolavano la distanza esatta del velivolo.
4
3 Le ausiliarie spostavano, con
lunghe aste, i segnaposto sopra una grande mappa, per consentire agli ufficiali di predisporre le contromosse migliori.
4 Ricevuti gli ordini, i piloti si precipitavano sui loro velivoli per poter cogliere di sorpresa quelli nemici.
duare la direzione del segnale era necessario usare un radiogoniometro. E per stabilire la posizione esatta del bersaglio erano necessari i dati di due o più stazioni. Stazione segreta. Tutti i calcoli finali venivano fatti in un unico luogo, la centrale di Bentley Priory, una grande residenza settecentesca fuori Londra. Il prin-
COME FUNZIONAVA
L’intervallo fra il picco di emissione e quello del segnale riflesso indicava la distanza (in miglia). TRASMISSIONE DELL’IMPULSO Nel tempo zero l’antenna (a destra, una versione più recente) emette l’impulso.
20
40
IMPULSO RIFLESSO In questo caso il bip di ritorno indica che l’obiettivo dista 60 miglia.
60
80
100miglia
I pionieri
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Da sinistra, Guglielmo Marconi e Robert Watson-Watt, gli scienziati che studiarono come applicare il radar; il maresciallo dell’aria Hugh Dowding, che fece attrezzare con i radar le coste inglesi.
Paradossalmente, i nazisti nel 1939 conoscevano la tecnologia radar molto meglio degli inglesi. Ma i piloti non accettarono di essere guidati da terra
SIERRA
cipio teorico era semplice: due stazioni radar e l’aereo nemico erano i tre vertici di un triangolo; dato che la distanza tra i radar era nota, conoscendo in un dato momento la distanza dell’aereo da entrambi i radar, si poteva calcolare la direzione dell’aereo. Facile a dirsi, molto meno a farsi. Coordinamento. Non appena l’aereo nemico veniva rilevato, le due stazioni che avevano ricevuto i segnali “di risposta” trasmettevano i loro dati alla centrale; una volta identificata la posizione esatta, uno stuolo di ausiliarie provvedeva a spostare, usando lunghe aste, gli appositi
segnaposto su una enorme mappa dell’Inghilterra, per consentire agli ufficiali, che assistevano alle operazioni da una balconata, di predisporre le contromosse di difesa aerea. Il sistema era elefantiaco (per “guidare” un solo velivolo lavoravano 200 persone), eppure funzionava. C’era però ancora un “baco” in quel progetto sperimentale. Non esisteva la possibilità di distinguere gli echi degli aerei nemici da quelli amici. Soltanto nel marzo 1939 gli scienziati inglesi trovarono il modo di ottenere un bip diverso quando i segnali radar colpivano un aereo amico, e da allora la difesa aerea britannica fu pronta ad affrontare la guerra. Alla tedesca. Per quanto paradossale possa sembrare, i tedeschi nel 1939 erano messi meglio degli inglesi. La Telefunken aveva messo a punto un radar mobile funzionante sulla lunghezza d’onda di un metro e mezzo, dotato di una antenna rotante di forma quadrata (soprannominata dai soldati “materasso”). Poteva avvistare bersagli fino a 80 chilometri. Uno di questi radar, in servizio sull’isola di Wangerooge (al confine con l’Olanda), il 20 dicembre 1939 avvistò una formazione di bombardieri inglesi e riuscì a guidare un gruppo di caccia BF 109 contro
di essi. Nonostante quel brillante successo, gli alti comandi tedeschi continuarono a non credere alle potenzialità di quella invenzione. Nell’estate del 1940, quando il tecnico delle intercettazioni tedesco Rolph Peters intuì per primo che le basi radar inglesi guidassero i piloti e suggerì di fare lo stesso, si sentì rispondere da un ufficiale dell’aviazione: “Noi siamo piloti di caccia! Non ci lasciamo guidare da qualcuno a terra!”. Un’arroganza che i tedeschi pagarono cara. Il 12 agosto, la vigilia dell’Adlertag (il “giorno dell’aquila” che secondo Goering avrebbe segnato l’inizio della sconfitta inglese), la Luftwaffe cercò di distruggere le torri radar britanniche. Due squadriglie di cacciabombardieri attaccarono le installazioni, ma gli inglesi ripristinarono rapidamente l’emissione delle onde radar. I nazisti si convinsero che gli attacchi contro queste postazioni fossero uno spreco di bombe e decisero di privilegiare altri obiettivi. Fu uno degli errori più gravi degli uomini di Hitler. E lasciò agli angloamericani il primato di un’innovazione che, nel Dopoguerra, renderà più sicuri i cieli e che ancora oggi ci fa stare più tranquilli quando prendiamo un aereo.• Achille Prudenzi
Come si lavorava in una base radar?
C Il lavoro per te! Un poster dell’epoca invita le donne ad arruolarsi come ausiliarie della Waaf, le forze ausiliarie femminili della Raf. 106
ome ricorda Hilda Pearson, ausiliaria specializzata della Raf, la squadra al lavoro (prevalentemente femminile) nella struttura era composta di tre operatori, due meccanici e un officiale di guardia.
Gioco di squadra. Una operatrice, seduta davanti allo schermo e dotata di cuffia e microfono, riferiva quello che vedeva utilizzando uno schema particolare di parole-chiave; una seconda la assisteva al suo
fianco. La terza era pronta a subentrare in caso di necessità. I tecnici lavoravano senza soste per tenere le apparecchiature pulite. L’officiale comunicava direttamente alla sala controllo, via telefono, i dati rilevati.
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Nella Roma di Ciceruacchio
Fino a qualche anno fa ogni famiglia aveva uno “scemo di guerra”: erano i soldati traumatizzati dalla vita al fronte, dalla Prima guerra mondiale in poi.
Nel 1849 un oste di Roma, Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio, arringò il popolo della Seconda repubblica romana.
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NAZIONI
Micropaesi
I “barbari” d’Italia
Tutti conoscono i piccoli Paesi come Monaco o San Marino. Ma ce ne sono altri, ancora più piccoli e dalle origini curiose.
A tu per tu con il popolo “dalle lunghe barbe”: si insediò in Italia nel VI secolo, fondò un regno che mise in difficoltà i Bizantini e lasciò una grande eredità.
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flashback
3 agosto 1954, in Gran Bretagna, nell’aria si alzava uno strano aeromobile. Era il Rolls-Royce Thrust Measuring Rig, che sarebbe servito come modello allo sviluppo dei Lem della Nasa, i moduli di allunaggio (e che, se non fosse per la presenza del pilota, potrebbe sembrare un drone). Si trattava di un pionieristico velivolo in grado di compiere decollo e atterraggio verticali. Chi volesse osservare più da vicino la prima di queste macchine volanti, ribattezzate con il soprannome di Flying Bedstead (“Rete da letto volante”), la trova esposta al Science Museum di Londra. 110
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