Storia SCOPRIRE IL PASSATO, CAPIRE IL PRESENTE
n°105
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MENSILE – Austria, Belgio, Francia, Lussemburgo, Portogallo, Spagna � 8 - Germania � 11,50 - Svizzera CHF 10,80 - Svizzera Canton Ticino CHF 10,40 - Canada CAD 11,50 - USA $ 11,50
Waterloo
Duecento anni dopo, sulle tracce del tesoro di Napoleone
I segreti dell’Adriatico Pirati e imprese epiche fra le isole del “piccolo mare”
BRUT0, TAYLLERAND, CATERINA DI RUSSIA, MATA HARI...
TRADITORI DA GIUDA ALL’INFERNO DI DANTE FINO AI GIORNI NOSTRI, VITE E DESTINI DEI VOLTAGABBANA
LUGLIO 2015 � 4,90 in Italia
Sped. in A.P. - D.L. 353/03 art.1, comma 1, DCB Verona
LA REGINA DI CERA MADAME TUSSAUD, DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE ALLE STATUE “VIVE”
BELLE ÉPOQUE
VIAGGIO NELL’ETÀ PIÙ ELETTRIZZANTE D’EUROPA: LA FINE DELL’OTTOCENTO
LE MURA DI GERICO USI, COSTUMI E CONQUISTE DI UNA DELLE PRIME CITTÀ DEL MONDO
105 luglio 2015
focusstoria.it
Storia Il conte Ugolino in prigione con i figli. Tradì la patria e perciò Dante lo mise all’inferno.
T
Jacopo Loredan direttore
R UBRICHE 4 LA PAGINA DEI LETTORI 6 NOVITÀ & SCOPERTE 8 TRAPASSATI ALLA STORIA 9 AGENDA 10 MICROSTORIA 12 SCIENZA E SCIENZIATI 72 UNA FOTO UN FATTO 76 DOMANDE E RISPOSTE 78 PITTORACCONTI 81 IN ALTRE PAROLE 110 FLASHBACK
IN PIÙ... ARCHITETTURA 14 Padiglioni
perduti e riciclati
Che fine hanno fatto gli edifici realizzati per le passate Esposizioni universali?
18 LaARCHEOLOGIA più vecchia del mondo
Gli archeologi italiani svelano come si viveva a Gerico, la prima città.
OTTOCENTO 24 L’altra Waterloo
DEA/GETTY IMAGES
radire, ovvero, dal latino tradĕre, consegnare qualcosa o qualcuno ai nemici. In senso più ampio e figurato, mancare agli impegni presi, alla parola data. Su queste basi sembra facile dunque, come Dante nell’Inferno, identificare i traditori e punirli, magari come fece il Poeta: gettandoli nel gelo del Cocito a soffrire sotto le ali di Lucifero. Eppure, nella vita reale e soprattutto nella Storia, anche se resta esecrabile il tradimento non è così semplice da definire. Prendiamo Marco Giunio Bruto: certamente tradì la fiducia di Cesare, suo protettore, quasi un padre. Ma commise quel delitto per fedeltà verso la Repubblica, dunque per un ideale superiore, almeno agli occhi di un cittadino di Roma. Possiamo chiamarlo davvero “traditore”? Di converso, fu davvero un eroe il “nostro” Cesare Battisti che, deputato a Vienna, finì per combattere contro il suo Paese e impiccato a Trento come traditore? Noi pensiamo di sì, anzi ne siamo certi, ma andiamolo a dire agli storici mitteleuropei...
CI TROVI ANCHE SU:
I VOLTAGABBANA 32 A ogni epoca il suo traditore Da Caino in poi, ogni età ha la sua idea su chi è un traditore e chi no.
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Il voltafaccia di Josef Ebreo schierato contro i Romani, Giuseppe Flavio passò poi al nemico.
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Un politico per tutte le stagioni Il francese Talleyrand difendeva una sola causa: la propria.
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Una colpa da massima pena Le punizioni per i traditori sono sempre esemplari. Anche all’inferno.
54 In guerra dalla parte sbagliata
Cesare Battisti in Italia è un eroe dell’irredentismo. In Austria, un rinnegato.
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La zarina di cuori Caterina di Russia tradì più volte il marito, rubandogli anche il trono.
64 Anna Frank: tradita!
La ragazza simbolo della Shoah denunciata da un parente di chi l’ospitava.
In copertina: Bruto cesaricida, in un’elaborazione al computer. ILLUSTRAZIONE GRZEGORZ PĘDZIŃSKI
Due secoli dopo la battaglia che pose fine all’avventura di Bonaparte, sulle tracce del tesoro di Napoleone.
MEDITERRANEO 84 Adriatico segreto
Il “piccolo mare” è stato un confine ma anche un luogo di scambi e conflitti. Lo dimostra la Storia.
90 LaPERSONAGGI signora delle cere
Molti hanno visitato a Londra il suo Museo delle cere, ma pochi sanno che Madame Tussaud è esistita veramente.
STORIE D’ITALIA 96 Gli ultimi eccidi
Il 30 aprile 1945, a guerra finita, a Grugliasco si compie l’ultima strage nazifascista. E i partigiani rispondono.
GRANDI TEMI 100 Illusioni di
fine secolo
L’elettrizzante Belle Époque, fra entusiasmi e lati oscuri, alla vigilia della Grande guerra. 3
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Crow Dog, mio padre Facendo seguito all’articolo “Nelle pianure del Grande Spirito” (Focus Storia n° 104), vorrei ricordare la figura di Leonard Crow Dog (foto, al centro), in lingua lakota sioux Swnka Cangi, che ha avuto un ruolo fondamentale nella storia moderna dei nativi americani Lakota. “Uomo sacro” fin da giovane età della nazione lakota, ha vissuto lottando per i diritti della sua gente. Non solo dei Lakota, ma di tutte le etnie aborigene americane. Instancabile attivista dei diritti umani dei popoli nativi, è stato, nel 1973, uno dei leader spirituali che, assieme al capo Frank Fools Crow, hanno guidato la rivolta di Wounded Knee, luogo storico dell’ultimo massacro dei bianchi, il 29 dicembre 1890. Ha manifestato per 93 giorni a fianco della sua gente, nel 1973, pregando giornalmente, e portando la voce di protesta dei popoli amerindi in tutto il mondo. Durante la protesta, Leonard Crow Dog ha ridato forza e coraggio alla nostra nazione lakota, portando al mondo intero la notizia che gli “indiani americani”, non erano quelli dello stereotipo di “selvaggi scotennatori” della filmografia hollywoodiana. Leonard Crow Dog ha provato al mondo che i nativi americani erano ancora presenti sul 4
suolo ancestrale dei loro antenati, e continuavano a lottare contro i veri “cattivi”: i bianchi, che con la loro politica chiamata termination act, avevano preordinato il completo annullamento della cultura, della spiritualità e della storia dei veri “custodi della madre terra”. Il suo esempio ha ridato forza e speranza a intere generazioni. Tra l’altro, ha riportato in uso la cerimonia sacra della “danza del sole”, proibita dal 1890 e riammessa legalmente solo nel 1978 con l’Indian freedom religious act. Ancora oggi, nella riserva lakota Sicangu di Rosebud, è uno dei leader spirituali di questa antica e importante cerimonia. Nel 1994 ha affidato a me, suo figlio adottivo, un incarico particolare durante l’annuale danza del sole a Rosebud: quello di portare a livello europeo, italiano e all’Alto Commissariato dei Popoli Indigeni a Ginevra, all’Onu la parola dei nativi americani. Da quel tempo l’Italia ha instaurato relazioni internazionali con la Nazione lakota sioux per il ricono-
scimento di questo popolo quale nazione sovrana, promuovendo numerose iniziative culturali, scientifiche e umanitarie. Leonard Crow Dog ricorda sempre la frase storica di un altro leader lakota, Toro Seduto, che diceva “Quando finiscono i sogni, finiscono le speranze dell’uomo”. L’espressione lakota Mitakuye Oyasin, che significa “Siamo tutti fratelli”, è oggi vera più che mai, e non solo per i nativi americani. Alessandro Martire Oyatenakicijipi (“Colui che parla per la sua gente”, figlio adottivo di Capo Leonard Crow Dog Sr.)
Il delta del Veneto Ho letto l’articolo “L’oste che fece un ’48” di Pier Mario Fasanotti, su Focus Storia n° 103. Arrivato all’ultima riga sono rimasto sconcertato (il termine più buono che ho trovato). Nonostante il suo curriculum l’autore dovrebbe farsi un bel corso di geografia. “Cà Tiepolo (presso Goro)”, ma stiamo scherzando? Tanto per cominciare Cà Tiepolo è
Risolto l’enigma dello stemma del n° 103 “Spectatum admissi risum teneatis, amici” è il verso 5 dell’Ars poetica di Orazio (il fatto che manchi la “m” alla fine di risum può essere dovuto alla mancanza di spazio. Orazio parla dell’opera d’arte e della sua coerenza: “Se in un quadro è rappresentata una bella donna, che, però, nella parte inferiore termina a forma di un nero pesce, ammessi a vederla potreste trattenere le risa, o amici (spectatum admissi risum teneatis amici)?”. Sembra trattarsi di uno stemma nobiliare, dove, al posto
del cimiero, c’è la testa di un serpente (o di una piovra), che giustifica il motto del blasone: “Vigilo, noli me tangere” (“Sono ben sveglio, non mi toccare”). Quanto ad A.P.M., di solito, nelle abbreviature dei codici, significa “anni plus minus” (“anni più o meno”). Inoltre, esisteva una nobile famiglia abruzzese di nome Paccha; così, “Paccha f.f.a.” potrebbe stare per “Paccha fratres fecerunt ambo” (“I due fratelli Paccha fecero [costruire]). [...] Antonio Baldissera, Bologna
una delle 11 frazioni che formano il comune di Porto Tolle, che ha una estensione di 225 km2 con 10.131 abitanti (nel 2010). Cà Tiepolo è anche la frazione in cui si trova la sede municipale. Si trova in provincia di Rovigo, nel Veneto, regione in cui si trova tutto il Delta del Po. Goro, 3.833 abitanti su 33 km2, si trova in provincia di Ferrara e quindi in Emilia-Romagna, pae sello adagiato sulla riva destra dell’ultimo ramo del Delta, ad una distanza notevole da Cà Tiepolo. E come direbbe un noto politico che ci “azzecca”? È tanto difficile dire in provincia di Rovigo? O anche tutto il Delta del Po si deve considerare facente parte dell’Emilia-Romagna? Non è questione di campanilismo, ma solo di dire la verità (già tutti i giorni ci sentiamo dire in Tv che il Parco del Delta del Po è solo in Emilia-Romagna, senza avere una fettina di Delta, ignorando il Parco veneto). In ogni caso ritengo che la brutta fine di Ciceruacchio sia stata trattata troppo sbrigativamente.
Appello ai lettori: qualcuno sa di che cosa si tratta? Ho trovato questo strano ingranaggio all’interno di una cantina, in una casa abbastanza vecchia situata a Vaglie, in provincia di Caserta. Mi chiedevo a che cosa potesse servire. Sapreste aiutarmi? Fulvia Di Maio
Consiglio i lettori di leggere il libro di Claudio Modena Ciceruacchio, Angelo Brunetti, capopopolo di Roma (Mursia 2011). Ringraziamo il lettore per la precisazione. Tuttavia, precisiamo a nostra volta che l’autore dell’articolo ha correttamente citato Goro come punto di riferimento geografico soltanto in quanto si tratta di una località relativamente nota al grande pubblico tra quelle vicine. Goro si trova infatti a circa 20 km da Cà Tiepolo (mentre il capoluogo Rovigo è più lontano, a circa 55 km). Non era certo nostra intenzione sottrarre il Delta al Veneto. Se abbiamo dato questa impressione, ce ne scusiamo. I Bizantini stavano a guardare Vorrei rispondere ai quesiti posti nella lettera di Paolo Rutigliano (Focus Storia n° 102), che si chiedeva come mai i Bizantini non fossero intervenuti in Italia nel 476 e nel 568 d.C. Nel primo caso, l’imperatore isaurico d’Oriente Zenone era impegnato nella repressione della rivolta di Basilisco, che aveva usurpato il trono di Costantinopoli. Odoacre, generale a capo del contingente degli Eruli (una tribù barbarica) in Italia, seppe approfittare della situazione per uccidere il rivale Oreste e relegarne il figlio Romolo Augusto in una prigione dorata (il Castrum Lucullianum, presso Napoli). Non si sa con certezza quando lo sfortunato giovane sia morto. Zenone non intervenne anche perché Odoacre, ben consigliato, gli inviò le insegne imperiali accontentandosi del titolo di Rex e di Patricius Romanorum.
Quanto all’invasione longobarda, l’Impero d’Oriente era esausto a causa della c.d. Peste di Giustiniano e per la lunga guerra greco-gotica combattuta dal 535 al 553, che aveva devastato la Penisola italica e dissanguato le casse imperiali (con strascichi bellici fino al 563 contro sacche di resistenze gote e invasori franchi ed eruli). Inoltre l’esercito imperiale era messo a dura prova da guerre contro i Persiani e gli Avari (popolazione uraloaltaica di stirpe mongola). Gli studiosi non escludono, sulla base delle fonti antiche, che i Longobardi dapprima siano stati invitati in Italia a combattere come foederati – come del resto avevano fatto nelle fasi finali della guerra greco-gotica – con promesse di ricompense e terre in cui stanziarsi, e che in seguito, constatata la debolezza della dominazione bizantina e l’odio della popolazione latina verso di essa, abbiano deciso di espandersi militarmente nella Penisola dal 569-570 in poi.
Giovanni Antonio Nigro
Il fregio di Mussolini Ritengo doveroso farvi notare che, nel n° 101 di Focus Storia, in copertina, si evince un errore circa il fregio sulla bustina calzata da Mussolini (foto a destra); infatti pare essere l’aquila di maresciallo d’Italia con scudo sabaudo al centro e corona reale, il che è sicuramente impossibile visto che la mostrina posta sul bavero del pastrano riporta il gladio,
ornamento proprio del periodo della Repubblica Sociale, a sostituzione della stelletta. Roberto Capalbo
Ringraziamo il lettore. Tuttavia la foto, del 1945, è originale, e quindi corretta per l’epoca trattata in Focus Storia n° 101. Vogliamo Kant! Per l’ennesima volta vorrei fare i complimenti per la vostra rivista, ultimo baluardo di autenticità in un contesto culturale davvero in crisi. Sono trascorsi parecchi anni da quando leggo Focus Storia e non ho mai avuto la possibilità di leggere un trafiletto, un articolo, qualche riga sul grande, grandissimo, filosofo tedesco Immanuel Kant. Mi sembrerebbe davvero una grande idea trattare questa figura emblematica e di fondamentale rilevanza per la vita umana. Questo filosofo viene molto spesso ridimensionato rispetto al grande contributo che ha dato alla filosofia e in generale alla storia dell’uomo. Mi chiedevo dunque se fosse possibile concedere uno spazio sulla vostra rivista a questo gigante della Storia. Domenico Ciccone
A caccia del tesoro Nel 1992 sul Corriere della Sera apparve un articolo in cui si diceva che due archeologi (un italiano e un francese) avevano scoperto la vera Isola del Tesoro. L’isola sarebbe il luogo in cui il naufrago fiammingo Simon
Zacarias, dopo aver fatto naufragio nel ’600, avrebbe nascosto tonnellate di oro e argento senza riuscire in seguito a recuperarle. Ho letto che l’isola si trova nei Caraibi e politicamente appartiene all’Honduras (penso faccia parte delle Isole del Cigno); è abitata solo da formiche carnivore, iguane e gabbiani; è coperta da una foresta impenetrabile e protetta da una grande scogliera. Mi chiedevo se la vicenda avesse avuto un seguito. Qualcuno ha tentato di recuperare il tesoro? Valerio Pesce, Catania
L’episodio al quale fa riferimento è l’identificazione del relitto del galeone spagnolo San Roque, annunciato dall’archeosub triestino Claudio Bonifacio negli Anni ’90 presso le Isole del Cigno (Caraibi). Secondo fonti di stampa latinoamericana il relitto si troverebbe invece presso l’isola Serranilla, nell’arcipelago di San Andreas e Providencia. Qui, nel 2011 il cacciatore di tesori americano Burt Webber ha chiesto al governo dell’Honduras il permesso di recuperare il relitto. Ma già un altro archeosub, colombiano, ha “opzionato” il sito. Ne è nata una disputa legale, che ha bloccato le ricerche.
I NOSTRI ERRORI
Focus Storia Collection primavera 2015: la statua a pag. 87 non ritrae il Bruto cesaricida, bensì un suo antenato, di cui si conserva la statua ai Musei Capitolini, a Roma. 5
novità e scoperte
Non dire gatto... nemmeno in Egitto arebbero stati oltre 70 milioni gli animali imbalsamati dagli Egizi tra IX secolo a.C. e V d.C., soppressi per essere offerti in dono agli dèi o per accompagnare i padroni nel viaggio verso l’aldilà. Eppure, una recente indagine, effettuata tramite raggi X dagli esperti del Centre for Biomedical Egyptology di Manchester e del Manchester Museum (Regno Unito), ha rivelato che un terzo delle 800 mummie di animali dei musei britannici, sotto le bende, non racchiude resti organici, bensì materiali quali fango, gusci d’uovo, piume e canne.
Meglio di niente. Come spiegano Lidija McKnight, egittologa all’Università di Manchester, e Campbell Price, curatore della sezione egizia del Manchester Museum, la richiesta di mummie animali era elevatissima e, per fronteggiare la domanda, in assenza di “materia prima” gli imbalsamatori adoperavano tutto ciò che era connesso agli animali o entrato in contatto con essi. L’argomento ha entusiasmato molto gli studiosi, tanto che a ottobre sarà inaugurata proprio a Manchester una mostra dedicata (s. z.) a questa scoperta.
GRANGER/ALINARI
S
Sorpresa...
Un relitto sui fondali del Madagascar potrebbe essere quello della nave di uno dei pirati più celebri del Seicento.
Alcune mummie egizie di gatti: in molti casi sotto le bende non c’era il corpo dell’animale, bensì altri resti organici.
THE BRITISH MUSEUM/SCALA
È il tesoro
IN PILLOLE
1
Fiori per i morti
Rinvenuti in una grotta spagnola tracce di polline su alcuni resti umani: rivelano che già 16mila anni fa era comune decorare le tombe con omaggi floreali. 6
2
L’
isola del tesoro di Robert Louis Stevenson si ispira a lui. Così come Capitan Uncino e il Jack Sparrow dei Pirati dei Caraibi. Era un ufficiale della Marina britannica, ma accumulò un favoloso tesoro e finì impiccato come pira-
Estremi rimedi
Rinvenuta la tomba di un medico vissuto in Cina 700 anni fa. Curiosa la lapide: ricorda che una volta, per sfamare la madre malata, si tagliò un pezzo di carne dal proprio braccio.
3
ta. William Kidd (1645-1701) raccolse il più grande bottino pirata di sempre e si è a lungo favoleggiato su dove abbia nascosto oro, argento e gioielli. Ora una spedizione subacquea americana afferma di aver trovato, al largo del Madagascar, il relit-
Sex toy del Settecento
Un sex toy è stato trovato dagli archeologi durante uno scavo a Danzica (Polonia). Era nelle latrine di una scuola di scherma e risale alla seconda metà del XVIII secolo.
La lettera con la richiesta di “consulto”.
Il lingotto d’argento che potrebbe essere appartenuto al pirata Kidd (sopra, in un dipinto ottocentesco).
di Capitan Kidd? to della Adventure Galley – la nave di Capitan Kidd – con il suo carico di preziosi. La prova, secondo Barry Clifford che rivendica la scoperta, è un lingotto d’argento da 50 chili. Peripezie. In effetti è proprio battendo quei mari che Kidd conquistò le sue ricchez-
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ze. Dopo gli anni del servizio in America, era stato mandato in Madagascar con una licenza di corsa e lì diede l’arrembaggio anche a mercantili non nemici. Fatto sta che quando tornò in Inghilterra venne impiccato come pirata. E del bot-
Lavoratori egizi in malattia
Giorni di malattia pagati e medici sul luogo di lavoro: gli antichi Egizi avevano l’assistenza sanitaria. Lo si legge in un testo ritrovato risalente a circa 3.100-3.600 anni fa.
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tino che aveva accumulato, da allora, nessuna notizia. Ora l’Unesco, contestando la dichiarazione di Clifford, ha mandato degli esperti ad avviare verifiche. E il tesoro di Kidd resta per ora un mistero. • Aldo Bacci
Il bijoux più antico
Un braccialetto di pietra rinvenuto in Siberia è il più antico oggetto di questo genere: risale a 40 mila anni fa. Il gioiello di clorite era forse chiuso da una fascetta di cuoio.
La prima telemedicina
“C
ome posso curare la gotta?”, chiedeva una principessa russa. “Che cosa devo fare per le crisi epilettiche di un mio schiavo?”, interrogava un proprietario terriero del South Carolina, in America. Da un capo all’altro del mondo, tra il 1750 e il 1790, al dottore scozzese William Cullen arrivavano lettere di ogni tipo per consulti medici: ne nacque una fitta corrispondenza, con i consigli dell’esperto. La star internazionale della medicina si alzava ogni mattina alle 6:45 per rispondere a tutti. Dietro non trascurabile compenso: di solito 2 ghinee di allora (che corrispondono a circa 350 euro), ma anche con un occhio di riguardo verso certe persone: i poveri, i religiosi, le vedove e gli studenti. Tempi (quasi) moderni. I consigli tenevano conto dello stile di vita e della dieta del paziente. Cullen, docente dell’Edinburgh Medical School, ha lasciato un archivio con migliaia di queste lettere che restituiscono uno spaccato delle malattie e delle preoccupazioni del XVIII secolo. Ora cinquemila di queste lettere sono state digitalizzate e si possono consultare sul sito internet cullenproject.ac.uk. (a. b.) 7
novità e scoperte
SPL/CONTRASTO
Breaking news
U
n sito con le notizie di cento anni fa, quando l’Italia fece il suo ingresso nella Prima guerra mondiale (sotto, un episodio bellico di allora), pubblicate giorno per giorno come se fossero fresche di stampa. È l’iniziativa di www.notizie dalfronte.it, che racconta i fatti come se accadessero oggi. Giorno per giorno. Il sito, lanciato un anno fa e ora a pieno regime, oltre alle cronache di guerra propone approfondimenti. Con l’obiettivo di comprendere le radici del conflitto e capire come i nostri bisnonni vissero al fronte. (f.-x. b.)
Svolta recente Ricostruzioni di alcuni ominidi, con un Homo sapiens in primo piano: la pelle bianca è un’evoluzione tarda.
Perché siamo diventati bianchi? I primi europei avevano la pelle scura: poi, 8mila anni fa, è sbiadita in fretta.
D
a neri a bianchi in un (relativamente) breve lasso di tempo. Le caratteristiche genetiche degli europei sono cambiate appena 8.000 anni fa, dopo il mescolamento di tre popolazioni originarie. La teoria è stata presentata sulla rivista Science da un gruppo di genetisti guidato da David H. Reich della Harvard Medical School (Usa).
Scuri. Secondo gli studi sui resti preistorici, i primi abitanti dell’Europa Centro-meridionale, dalla Spagna all’Ungheria, avevano la pelle scura come i primi Sapiens arrivati dall’Africa 40mila anni fa. Infatti ancora 8.500 anni fa mancavano i geni SLC24A5 e SLC45A2 che sono all’origine della depigmentazione epidermica. Poi però in Europa si è creato un
melting pot di popolazioni: tra queste, i nord-euroasiatici e soprattutto gli agricoltori immigrati dal Medio Oriente avevano i geni responsabili della pelle bianca. Il mescolamento con queste popolazioni ha favorito la diffusione del colore chiaro. Con un vantaggio: secondo la paleoantropologa Nina Jablonski la pelle bianca assorbe meglio i raggi UV, massimizzando la sintesi della vitamina D, utile per assorbire calcio e fosforo. • Aldo Bacci
TRAPASSATI ALLA STORIA Personaggi sconosciuti che sono stati, in vita, protagonisti.
JOHN SHEPPARD
Progettista e designer John Sheppard, morto a 93 anni, era l’ultimo del gruppo che negli Anni ’50 disegnò la rivoluzionaria Mini Minor. Fu incaricato dalla fabbrica Morris di disegnare un’auto di grossa cilindrata. Incappò invece nella crisi di Suez e nel conseguente aumento del prezzo del carburante. Così si ripiegò su un’auto più economica: la Mini. Dal cielo in terra. Sheppard progettò anche parti di aerei, ma il suo nome resta legato alle soluzioni “miniaturizzate” della Mini. 8
JEAN NIDETCH
Imprenditrice
Jean Nidetch, fondatrice della Weight Watchers, è morta a 91 anni. Nel 1961 era una casalinga sovrappeso: 1,70 m per 95 kg, a dispetto di ogni dieta. Da una prima riunione con sei amiche per motivarsi a vicenda nacque un club con 40 soci: grazie a ciò, un anno dopo, era scesa a 63 kg. In affari. L’anno dopo si associò con l’uomo d’affari Al Lippert e fondò la più famosa azienda al mondo nel campo delle diete dimagranti, acquistata dalla Heinz nel 1978.
A cura di Giuliana Lomazzi
ALEXANDRE LAMFALUSSY
Economista
Riservato e modesto, Alexandre Lamfalussy, banchiere di origine ungherese morto a 86 anni, fu, tra il 1986 e il 1997, il “papà” dell’euro: accompagnò infatti tutte le fasi della nascita della moneta unica. Prestigio. Lamfalussy fu direttore generale della Banca dei regolamenti internazionali, membro della Commissione Delors, presidente fondatore dell’Istituto Monetario Europeo, antesignano della Banca Centrale. L’Europa adottò anche molte sue proposte sulla regolazione del mercato finanziario.
agenda A cura di Irene Merli
MOSTRA
ASTI
Alle origini del gusto Natura morta moderna, composta con oggetti antichi. Sotto, affresco con scena di banchetto, da Pompei. FOTOGRAFIA
MILANO
Italia Inside Out
Lo sguardo sul nostro Paese dei più grandi fotografi nazionali (Inside) e internazionali (Out).
Fino al 27/9. Palazzo della Ragione. Info: 02 43353535 www. palazzodellaragione fotografia.it
FILM
Le regole del caos
I
l cibo è uno dei principali fattori che definiscono una civiltà, oggi come nel passato. Ciò che si mangia, infatti, è spesso legato alla sfera sociale e religiosa e fa parte dell’identità culturale dei popoli. La mostra Alle origini del gusto. Il Cibo a Pompei e nell’Italia antica, in corso ad Asti, conduce il visitatore in un viaggio alle origini del comportamento alimentare del nostro Paese. Si parte dall’invito a un banchetto romano per poi seguire un itinerario a ritroso nel tempo, con approfondimenti sui più importanti prodotti mediterranei (grano, olio, vino) e sulle influenze dei popoli che passarono dall’Italia. Ma è
l’incontro fra archeologia e tecnologia a dare all’esposizione un carattere originale. Ambienti. Cucine, triclini, mercati vengono infatti “raccontati” con voci narranti, luci, suoni, odori, immagini
che fluttuano tra le opere. Si scoprono così, per esempio, le abitudini alimentari e le tecniche di coltivazione dei Romani. In mostra c’è anche la ricostruzione di un antico paesaggio agrario. •
Fino al 5 luglio. Asti, Palazzo Mazzetti. Info e prenotazioni: 199.15.11.21, www.palazzomazzetti.it
La storia della progettazione dei giardini di Versailles, attraverso il rapporto tra l’architetto Le Nôtre, il Re Sole e una giardiniera. Dal 4/6, nelle principali sale cinematografiche.
RIEVOCAZIONE
FERRARA
Non entri il papa!
Nel 1333 la città degli Este fu assediata da un esercito di fede papalina. L’evento viene ricostruito con più di 21 compagnie di rievocatori storici.
20-21/6. Giostra del Borgo www.giostradelborgo.it
SAGRA
BARI
Masserie sotto le stelle
Per il solstizio d’estate danze, canti, degustazioni, laboratori e percorsi naturalistici nelle più belle masserie pugliesi.
21 giugno. Info: 080-5347030 www.masseriesottolestelle.com 9
microstoria A cura di Aldo Carioli, Marta Erba, Giuliana Rotondi e Daniele Venturoli
PAROLE DIMENTICATE
M I C C A
ALINARI
Di etimologia incerta, la parola probabilmente è una derivazione del termine latino mica (“boccone, briciola”) e indicava, soprattutto in Toscana, un tipo di minestra.
LEDA E IL CIGNO Leda fu una delle tante fanciulle ingannate e possedute dal sessualmente esuberante Zeus. Il re degli dèi in questo mito tramandato dagli antichi Greci (e immortalato da tanti artisti, tra i quali anche Leonardo da Vinci, sopra, una copia del suo dipinto sul tema) si trasforma appunto in cigno per sorprendere la ragazza nel sonno. Leda è la nobile figlia del re di Etolia (una delle regioni affacciate sul Golfo di Corinto) e appartiene, secondo la mitologia, alla stirpe del dio dei venti, Eolo. Discendenze. Secondo quanto si racconta dal V sec. a.C., Zeus si trasformò in cigno per unirsi a Leda. Dopo l’unione con il dio Leda depose uno o due uova da cui nacquero i due gemelli semidèi Castore e Polluce (i due putti del dipinto). Altre versioni dicono invece che da Leda e Zeus nacquero anche Elena e Clitennestra. 10
SELVA/LEEMAGE/MONDADORI PORTFOLIO
IL MITO
LA VIGNETTA
IL PUPARO
Nel febbraio del 1938 i venti di guerra non soffiavano ancora troppo forti sull’Europa. Ma Adolf Hitler era già una minaccia, come denunciava il caricaturista Jean Routier (1880-1953) sulla copertina della rivista Le Cri de Paris (“Il grido di Parigi”). Manipolatore. L’illustrazione raffigura il dittatore tedesco nelle vesti di un marionettista, davanti a una versione per bambini del Teatro Guignol. Quest’ultimo era il teatro dove si rappresentavano spettacoli popolari dai toni truculenti. Il titolo della vignetta è Gli Stati indipendenti. E le nazioni messe alla berlina sono l’Italia e l’Austria. Con la mano destra, infatti, Hitler manovra Benito Mussolini, con la sinistra il cancelliere (primo ministro) austriaco
Kurt von Schuschnigg (1897-1977). Nel febbraio di quell’anno Hitler aveva chiesto a von Schuschnigg di accettare nel suo governo gli esponenti nazisti austriaci. Lui abbozzò, ma intanto l’Austria aveva perso l’appoggio di Mussolini e l’annessione del Paese al Terzo Reich, preparato da sommosse e violenze dei nazisti d’Austria, si rivelò una passeggiata. O meglio, un’invasione che non incontrò resistenza, compiuta il 12 marzo del 1938. A settembre il Patto di Monaco consegnerà parte della Cecoslovacchia a Hitler, con il placet di Francia e Inghilterra. Un anno dopo, la Germania nazista invadeva la Polonia, facendo precipitare il mondo nella Seconda guerra mondiale.
IL NUMERO
CHI L’HA DETTO? A sdoganare questo motto fascista, nel Dopoguerra, fu il regista Sergio Corbucci, che lo usò come titolo di un film con Totò nel 1960. Prima infatti il motto (tratto da un discorso di Mussolini) compariva dipinto sui muri di case e palazzi d’Italia. Disposti a tutto. Nel film il modo di dire incarna la velleità tutta italiana del personaggio Antonio Guardalavecchia, ragioniere in carriera disposto a tutto per di ottenere una promozione.
111
Le automobili circolanti in Italia nel 1899. Nel 1905 erano 2.174 e nel 1915, un secolo fa, circa 25.000. Oggi sono quasi 37 milioni.
TOP TEN
I POPOLI IMMAGINARI
“Chi si ferma è perduto”
Sono di ferro, alti 10 centimetri e larghi 8. Pesano circa un etto e hanno dei fori quadrati lungo il lato diagonale. Uno dei bordi è spesso circa un centimetro. A che cosa servivano? Aspettiamo le vostre risposte, indicando anche la località, a: Focus Storia, via Battistotti Sassi, 11/a - 20133 Milano oppure a
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D.VITTIMBERGA
L’OGGETTO MISTERIOSO
È stato Carlo Pasini di Novara il lettore più veloce nell’indovinare l’oggetto misterioso del numero scorso. Si trattava di un compasso graduato da cappellaio. Inserito all’interno del cappello, in corrispondenza della base della cupola, permetteva di prendere le misure esatte.
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Cinocefali Presenti nelle mitologie indoeuropee: erano giganti col corpo di uomo e la testa di cane, ritenuti aggressivi e irrazionali.
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Blemmi Popolazione nomade del Sud dell’Egitto priva di testa. Si credeva avessero gli occhi e la bocca sul petto.
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Naga Antica razza di uomini-serpente della mitologia indù. Servi di Varuna, il dio vedico delle tempeste, abiterebbero gli Inferi.
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Brachistomi Avevano una bocca molto piccola, si nutrivano con una lunga cannuccia, ingoiando un chicco di grano alla volta.
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Arimaspi Secondo fonti antiche popolavano un territorio a nord-est della Grecia. Avevano un solo occhio in mezzo alla fronte.
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Pigmei In epoca greca si pensava abitassero in Africa o in India. Alti poche spanne, a 8 anni erano già vecchi.
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Astomi Rozzi, pelosi e senza bocca, si diceva vivessero nella foce del fiume Gange, vivendo dei profumi di fiori e delle mele.
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Panozi Vivevano nelle isole del Nord Europa. Avevano orecchie lunghe fino a terra che potevano essere usate come coperta.
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Sciapodi Dotati di una sola gamba e di un unico, enorme piede avrebbero abitato l’India o, in altre tradizioni, la Libia.
VOCABOLARIO: UNIVERSITÀ La prima università aprì a Bologna nel 1088 (a lato, il simbolo dell’ateneo). Il latino universitas, però, esisteva già. Indicava un’associazione di persone accomunate da una stessa attività o interesse, il cui scopo era tutelare i propri membri. In sostanza, universitas era in origine un sinonimo di corporazione. E infatti le prime università accoglievano chi era accomunato dall’interesse verso il sapere.
Antipodi Esseri mostruosi descritti da Plinio il Vecchio come muniti di piedi capovolti, con il tallone davanti e le dita dietro.
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scienza & scienziati
Lo scienziato che diede il nome ai dinosauri e li fece “rivivere”
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l sogno di ricostruire “in Lucertoloni carne e ossa” i mastodontiRichard Owen in ci dinosauri estinti ha affaposa con un teschio scinato gli scienziati e il grandi rettile, in una de pubblico già dall’800, molto fotografia dell’epoca. prima dello strepitoso successo Fu lui, nel 1841, a di Jurassic Park, il parco preiconiare il termine storico più famoso del mon“dinosauro”. do immaginato nel 1990 dallo scrittore Michael Crichton e portato sul grande schermo da Steven Spielberg nel 1993. L’anti-Darwin. A coniare nel 1841 il fortunato termine “dinosauro”, che significa “lucertola spaventosamente grande”, fu uno dei più stimati scienziati del tempo, lo zoologo e anatomista inglese Richard Owen (1804-1892). Spirito polemico, amante dei toni accesi, detestava Darwin e la sua teoria dell’evoluzione delle specie, tanto da predire (sbagliando) che le sue idee sarebbero state dimenticate nel giro di pochi anni. Sullo studio pionieristico dei dinosauri Owen costruì la sua fortunata carriera scientifica, che lo portò tra l’altro a dirigere il prestigioso Museo di Cena speciale. Proprio le storia naturale di Londra. prime ricostruzioni dei dinoA quel tempo si sapeva ben sauri ispirarono Owen per una poco su questi primordiali abi- sua iniziativa curiosa. La vigitatori della Terra, che secondo lia di Capodanno del 1853 lo alcuni erano scomparsi a cau- scienziato organizzò una cena sa del diluvio universale. Par- molto speciale per dare il bentendo da pochi venuto al nuoresti fossili i na- Per realizzare vo anno: invitò turalisti cercava- i primi modelli una ventina di no di ricostruire personalità dell’aspetto esterio- Owen collaborò la scienza vittoriana nella “panre di queste crea con un artista cia” di un giganture, che ritenevano mostruose, il loro modo tesco modello di iguanodonte ricoperto di squame. Lungo di vivere, le loro abitudini. 12
per primo il dente di iguanodonte dissotterrato dalla moglie Mary nel 1822 nel Sussex, allo stesso Owen. Dopo vari brindisi, il gruppo intonò una canzone in onore dell’iguanodonte: “Il gaio animale antico / non è morto. / C’è ancora vita in lui”. La cena fu un successo, anche se non era stata la prima nel suo genere. Già nel 1801 il pittore e collezionista americano Charles Willson Peale aveva invitato alcuni ospiti nello scheletro di un mastodonte ricostruito per il suo museo a Filadelfia. Da esposizione. L’iguanodonte di Owen faceva parte di una serie di sculture preistoriche realizzate da Hawkins per il parco che circondava il Crystal Palace di Londra, architettura in ferro e vetro dove nel 1851 si era tenuta la prima Esposizione universale. Il palazzo era stato spostato a Sydenham, a sud della città, dove rimase fino al 1936 quando fu distrutto da un incendio. Inaugurati il 10 giugno 1854 una decina di metri, il modello era stato realizzato in ferro alla presenza della regina Vite cemento dall’eclettico artista toria, i modelli a grandezza Benjamin Waterhouse Haw naturale di megalosauri, ileosauri e di altri kins, sotto la supervisione dello I suoi dinosauri, animali estinti, invece, sono anzoologo. a grandezza cora lì, tra gli alNella sala, alberi e i laghetti cune targhe ri- naturale, sono cordavano i nomi ancora a Londra del parco. Dopo questi primi tendei fondatori della paleontologia, dal reveren- tativi molti altri, tra scienza e do William Buckland al geolo- arte, avrebbero cercato di far go francese Georges Cuvier, dal rivivere questi antichi abitanpaleontologo dilettante Gide- ti del pianeta. • on Mantell, che aveva studiato Elena Canadelli
Storia viaggi
In collaborazione con
CAMBOGIA
Meraviglie khmer Da Angkor Wat ai templi remoti che pochi hanno visto
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ocus Storia propone a tutti i suoi lettori un altro viaggio eccezionale alla scoperta di una grande civiltà del passato, organizzato come sempre dal tour operator I Viaggi di Maurizio Levi. Questa volta la meta è la Cambogia, un Paese recentemente riemerso da decenni di guerra e isolamento. Nei 10 giorni del viaggio si toccheranno i luoghi-simbolo dell’antico impero khmer, fiorito tra il IX e il XV secolo, e siti archeologici di epoche precedenti, in gran parte ancora misteriosi. Templi nella giungla. Via terra, dalla vivace Phnom Penh, si arriverà a Battambang, la capitale dell’Ovest, attraverso la verde campagna cambogiana irrigata dai numerosi fiumi che
scorrono verso il lago Tonlé Sap, per proseguire in battello lungo il fiume Sangke, tra splendidi scenari, villaggi galleggianti, pagode, fino al lago Tonlé Sap, il più esteso lago del Sudest asiatico. Da qui si raggiungono i magici templi del complesso di Angkor, cuore dell’impero khmer, che desta ancora stupore nonostante i turisti. Ma l’emozione più forte sarà scoprire i remoti e poco conosciuti complessi khmer di Beng Mealea e Koh Ker, immersi nella foresta lussureggiante. Sulla via del ritorno, infine, percorrendo l’antica Via Reale, si incontrerà Sambor Prei Kuk, il più importante complesso archeologico pre-angkoriano del Paese. Un’occasione unica, da non perdere. •
◆ Partenza: 29 ottobre 2015 ◆ Durata: 10 giorni ◆ Prezzo: da € 2.150 (più spese accessorie) ◆ Ulteriori informazioni:
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THAILANDIA
LAOS
ANGKOR WAT KOH KER SIEM REAP BENG MEALEA BATTAMBANG TONLÉ SAP
CAMBOGIA SAMBOR PREI KUK PHNOM PENH
Un particolare del tempio di Angkor Wat (in alto).
VIETNAM
Prenotazioni entro il 31 luglio, 24 posti disponibili.
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EXPO
Padiglioni
Già si discute del destino dell’area Expo a Milano. Ma che cosa resta delle edizioni passate? Quasi sempre i padiglioni furono smantellati: al loro posto, aree fieristiche o grandi parchi. 14
SCALA (2)
ARCHITETTURA
perduti...
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1906 MILANO Il padiglione delle arti decorative: di Expo 1906 restano l’Acquario civico e l’area del Parco Sempione.
1970 OSAKA Gli avveniristici padiglioni dell’Expo giapponese furono tutti smontati: al loro posto, oggi, un immenso parco.
1911 TORINO Il tempio-padiglione della Thailandia e il simil-monastero della Serbia sulle rive del Po, nel Parco del Valentino.
1929 BARCELLONA
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I due finti campanili in stile San Marco nel grande viale, poi smontato, dell’Expo spagnola.
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L’esempio più celebre è la Torre Eiffel a Parigi. Ma ci sono anche altre eredità delle vecchie Esposizioni universali. Diventate monumenti simbolo o utilizzate per altri scopi urbanistici.
1929 BARCELLONA Il Palacio Nacional, ampliato e ristrutturato negli anni (anche dall’italiana Gae Aulenti), ospita mostre.
1967 MONTREAL
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L’Expo canadese ha lasciato a Montreal il complesso Habitat 67, dell’architetto Moshe Safdie.
1958 BRUXELLES L’Atomium, un atomo di ferro ingrandito 165 miliardi di volte, è oggi simbolo della capitale belga.
1893 CHICAGO
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L’edificio neoclassico ospitò l’Esposizione nel 1893 e nel 1933. Da allora è il Museo della Scienza e dell’Industria.
1896 BUDAPEST
CORBIS/CONTRASTO
Il Ponte della libertà in stile liberty fu distrutto durante il secondo conflitto mondiale e ricostruito dopo il 1945.
EDIZIONE MANCATA Il Palazzo della civiltà italiana, come l’Eur, fu realizzato per l’Esposizione del 1942, assegnata al nostro Paese ma impedita dalla guerra.
ARCHEOLOGIA
LA PIÙ VECCHIA DEL
DREAMSTIME
Nella Bibbia, la città di Gerico viene distrutta dagli Ebrei di Giosuè. Antica di 12mila anni, ha svelato i segreti dei suoi abitanti agli archeologi della missione italiana
MONDO
G
erico, che sorgeva non lontano dall’omonima cittadina della Cisgiordania, è per gli archeo logi un sito da record: è consi derata la più antica città della Storia, ma vanta anche (benché non tutti siano d’ac cordo) le prime mura urbane, i primi mat toni, le prime prove di un culto dei morti in una città, la prima statua di una divini tà e un ruolo determinante nella domesti cazione di piante e animali, fase di passag gio fra la civiltà nomade e quella stanziale. Dagli scavi sono emerse tracce di inse diamenti che risalgono fino a 12.500 an ni fa. E poi oggetti del Neolitico precera mico, dall’8500 al 7000 a.C. Durante l’Età del bronzo (oltre 3mila anni fa) Gerico era già un importante centro della regione di
Canaan (la Palestina di oggi) e raggiunse la sua maggiore estensione tra il 1700 e il 1550 a.C., quando era difesa da imponen ti terrapieni e intratteneva rapporti con l’E gitto dei faraoni. Ritorno al passato. Gerico è famosa per le sue mura sbriciolate dalla volontà divi na, secondo il racconto della Bibbia, (v. riquadro nelle pagine seguenti). Ma per gli archeologi la sua importanza è un’altra. Protetta da una cinta muraria quando an cora non esistevano la scrittura e neppu re la ceramica, Gerico aveva una comuni tà che iniziava a coltivare le piante e ad al levare il bestiame. Se oggi la maggior parte della popolazione della Terra abita in gran di città, si deve anche a un lungo proces so evolutivo iniziato lì.
BRIDGEMAN/MONDADORI PORTFOLIO
I resti dell’antica Gerico si trovano a Tell es-Sultan, la Collina del Sultano, vicino a una fonte identificata con la Sorgente di Eliseo (per gli arabi Sorgente del Sultano), citata dalla Bibbia. Il sito è noto agli archeologi fin dal 1868, quando il capitano inglese Charles Warren scavò alcune gallerie. Soltanto nel 1894, però, Frederick Jones Bliss condusse alcuni sondaggi alla base della collina (che è artificiale, e non naturale). Era convinto di avere individuato i resti delle mura della città fatte crollare da Giosuè. La presenza della Sorgente del Sultano (alias di Eliseo) alle pendici orientali della collina rese infatti certa l’identificazione del sito con la Gerico dell’Antico Testamento. I primi scavi archeologici moderni furono merito degli austriaci (1907-1909), seguiti dagli inglesi, negli Anni ’30 e negli Anni ’50 del Novecento. Si scoprì allora che gli uomini si insediarono qui quando si era ancora a pieno titolo nella preistoria. E qui fu eretta una delle prime “opere collettive” della storia dell’umanità: una torre costruita nel Neolitico preceramico, ovvero 8.500 anni prima di Cristo, i cui resti sono ancora oggi visibili. Capitale. Decine di secoli dopo la costruzione di quella torre, nel I millennio a.C., Gerico era sotto il controllo del re di
Maledetta A sinistra, la distruzione di Gerico da parte degli Ebrei narrata nella Bibbia. Sotto, la valle del Giordano dalla vetta del Monte Nebo (oggi in Giordania). La placca indica le distanze delle località principali e della Gerico attuale.
10000 A.C. 8000 A.C. Primi insediamenti a Gerico, sorta attorno a una grande sorgente, e sviluppo dell’agricoltura.
Costruzione della torre neolitica, prova dell’esistenza di una società complessa.
1500 A.C.
Ultima distruzione, forse da parte di una città vicina. Gerico fu poi rifondata nel IX secolo a.C.
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Gli abitanti di Gerico coltivavano orzo, grano agrumi, vite... Furono tra i primi agricoltori dell’umanità
Il leone (nome antico di Gerico) sul fondo di un gioielloscarabeo. 20
VOLTI RITROVATI Vaso in terracotta raffigurante un volto umano, da Gerico: risale al 1700 a.C. circa ed è conservato al Museo d’Israele di Gerusalemme.
LESSING/CONTRASTO
Moab, uno degli antichi regni del Vicino Oriente. Poi arrivarono gli Assiri e, nel 587 a.C., i Babilonesi di Nabucodonosor II, il sovrano che conquistò il Regno di Giuda. Seguirono molti altri popoli, Romani inclusi, fino alla conquista araba del 661 d.C. Insomma, Gerico non è soltanto la città più antica del mondo, ma anche una tra le più longeve, abitata fino a oggi (con piccoli spostamenti) per 12mila anni. Risorsa preziosa. «La città nacque su una sorgente di 4.000 metri cubi d’acqua», racconta Lorenzo Nigro, direttore della missione archeologica italo-palestinese della Sapienza a Gerico. «Aveva una fitta rete di canali e nella Bibbia è descritta come un paradiso. Non a caso l’episodio evangelico della tentazione descrive il diavolo che sul Monte delle tentazioni (Jebel Quruntul, che è proprio sopra a Gerico) dice a Gesù: “Vuoi tutto questo?”». La fortuna di Gerico fu la sua posizione: sorgeva in un’area favorita dalla natura. Intorno alla sorgente c’erano molti animali che si abbeveravano e uccelli migratori che vi sostavano. Le condizioni erano perfette per far crescere, prima spontaneamente e poi con l’aiuto dell’uomo, palme, orzo, grano, legumi, vite, olivi. Inoltre, la città era il miglior guado sul fiume Giordano tra le steppe orientali percorse da vie carovaniere e i terreni ospitali e fertili della Palestina, affacciati sul Mediterraneo. «Gerico controllava il commercio del sale del Mar Morto», continua Nigro, «una merce preziosissima all’epoca, essendo essenziale per conservare i cibi. Grazie a tutta l’acqua che aveva, la città poté sviluppare un modello agricolo intensivo ante litteram. Si ottenevano ben tre raccolti l’anno. E so-
❂ LE ALTRE “PRIME CITTÀ” ❂ MOHENJO-DARO Nella Valle d’Indo, in Pakistan, nel III millennio a.C. si sviluppò una grande città in mattoni, con un sistema idrico avanzato e persino fognature. Finì in modo misterioso, forse distrutta da popoli vicini. LAGASH Antica città-Stato della Mesopotamia (odierno Iraq), fu governata dalla prima dinastia dei Sumeri, nel 2500 a.C. Il sito, scoperto nel 1871, contiene i resti di uno dei più antichi templi costruiti dall’uomo.
MATTONI MILLENARI Ecco una ricostruzione ipotetica di Gerico come appariva circa 3.500 anni fa, poco prima della sua ultima distruzione. Ben fortificata, aveva case, palazzi, templi e giardini. CINTA MURARIA La doppia linea di fortificazioni era formata da mura spesse circa 3 m e alte 4 (nel 1700 a.C.). Le mura furono distrutte e ricostruite più volte.
A DUE PIANI Alcune case avevano due piani: quello superiore ospitava le stanze e quello inferiore i laboratori artigianali.
a Missione archeologica italo-palestinese a Tell es-Sultan sta scavando dal 1997 e ha ripreso le proprie attività nel sito dalla primavera del 2009 dopo uno stop dovuto al conflitto in Cisgiordania. Quella diretta da Lorenzo Nigro è l’unica missione attiva in quella difficile situazione geopolitica. Ma che cosa hanno scoperto finora i nostri archeologi? Mappature. A Gerico la missione ha potuto ricostruire l’impianto urbano che aveva la città fra il XVII e il XVI secolo a.C. Davanti alla sorgente si trovava il Palazzo Reale e sotto di esso le tombe dei signori della città.
PALAZZI Gli archeologi hanno trovato le tracce di un palazzo reale. Esistevano probabilmente anche edifici pubblici, magazzini e templi.
Nell’area meridionale della collina la missione italiana ha scavato poi un imponente sistema difensivo del II millennio a.C. (2000-1550 a.C.), quando Gerico era la capitale dei Cananei. Sono state portate alla luce tre fasi sovrapposte dello sviluppo urbano. Alla più antica apparteneva la possente torre con alzati in mattoni crudi che superano i due metri di altezza e con una scala interna. Questa torre difensiva fu distrutta da un violento incendio alla fine del XIX secolo a.C., forse durante l’attacco del farao ne Sesostri III, che organizzò una spedizione in Palestina.
Progetto Padis. Infine, gli italiani hanno catalogato tutti i siti archeologici dell’Oasi di Gerico ai fini della loro protezione, in collaborazione con l’Autorità nazionale palestinese, e reso disponibili tutti i contenuti sul sito web della missione della Sapienza (www.lasapienzato jericho.it/ padis). Questi luoghi di inestimabile valore storico-artistico, dai Palazzi di Erode alla residenza d’inverno del califfo Hisham, dalla Sinagoga di ’Ain Duq fino al monastero medioevale di San Giorgio, fanno tutti parte del progetto italiano di tutela, il Progetto PADIS.
La base della torre neolitica, che era alta 8 metri e aveva una scala interna.
LE CASE Costruite con mattoni di argilla e fango essiccati al sole, con mura spesse circa 50 cm e tetti di rami e argilla.
UNIFAMIGLIARI Le abitazioni avevano cortili di meno di 10 metri quadri, nei quali si cucinava (per evitare incendi).
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LE SCOPERTE DEGLI ITALIANI A GERICO
ORTI E CANALI Le canalizzazioni permettevano le coltivazioni, come dimostrano resti risalenti a oltre 9mila anni fa.
Il nome Gerico in arabo significa “profumo”. Forse un retaggio della sua fama lo a Gerico, oltre alle pecore diffuse in tutta la zona, c’erano mucche, che con il loro latte fornivano molte più calorie e facevano diminuire drasticamente la mortalità infantile». Tutte queste caratteristiche fecero del territorio della città un formidabile incubatore di civiltà. Pionieri. Le eredità degli antichi abitanti di Gerico sono impressionanti: le prime coltivazioni di olio, vite e legumi; i mattoni, all’inizio realizzati con fango e paglia e in seguito di argilla; abitazioni capaci di proteggere dal caldo e dal freddo; l’architettura modulare, ovvero il fatto di poter ampliare un edificio semplicemente aggiungendo una stanza (innovazione fino ad allora sconosciuta). E questo solo per restare nel campo della vita materiale. Perché con lo sviluppo di una società complessa cambiò anche la spiritualità. A Gerico gli archeologi hanno trovato la prova dell’adorazione degli antenati, prima forma di culto dopo quello preistorico della Dea Madre. Negli strati del Neolotico aceramico (“senza ceramica”, perché questa tecnica non era ancora stata inventata) si sono scoperti teschi di 9-10mila anni fa, molto particolari. «Venivano riempiti di gesso», spiega Nigro. «Poi si inserivano conchiglie marine all’interno degli occhi e così i crani diventavano oggetti di culto. Un comportamento simile indica una religione della famiglia o del clan». Altra grande invenzione degli abitanti di Gerico fu quella delle statue. «La più antica del mondo è stata scoperta qui negli Anni ’30 e rappresenta il primo dio adorato dagli abitanti, una divinità di cui non si conosce il nome», dice Nigro. «L’anno scorso ho ritrovato personalmente, abbandonate nei magazzini del Louvre di Parigi, le gambe di questa statua senza nome, che risale al 7000 a.C.». A palazzo. «Purtroppo gli abitanti di Gerico “scoprirono” però anche la guerra, che all’epoca era in fondo inutile, visto che lo spazio non mancava», prosegue l’archeologo. La guerra era forse il riflesso di una società gerarchica, come conferma una delle più recenti scoperte italiane a Tell es-Sultan: il Palazzo Reale, portato alla luce sulla collinetta che domina la sorgente. L’edificio fu costruito nel 1900 a.C. su terrazze digradanti con grandi muri in mattoni crudi. È quest’area a svelarci come si viveva a Gerico migliaia di anni fa. Alcuni ritrovamenti hanno stupito 22
persino gli studiosi. In uno degli ambienti del palazzo c’era un podio, probabilmente coperto, con un letto per dormire; nelle stanze adiacenti sono stati ritrovati un pugnale di rame, un’impronta di sigillo e un vaso a forma di testa di toro. Quasi 4mila anni fa, i nobili di Gerico dormivano in letti a baldacchino. A conferma della “modernità” del popolo di Gerico c’è un’altra scoperta, un po’ meno recente: la tomba di una giovane
principessa con, al suo interno, un gioiello a forma di scarabeo. Sopra è inciso un geroglifico che rappresenta un leone, un canale, un pesce e il nome della città in cananeo, ovvero Ruha, che significa “leone” o anche “profumo” (probabilmente quello dei tanti fiori della zona) o, in lingua araba più moderna, Ariha. Lo scarabeo era un attributo riservato al “governatore dei canali”, titolo molto importante in un’epoca in cui l’acqua era la
GERICO TRA BIBBIA E STORIA
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ella Bibbia, Gerico è la prima città incontrata e conquistata dal popolo di Israele quando, dopo l’esodo dall’Egitto, sta per arrivare nella Terra promessa sotto la guida di Giosuè. Per farne cadere le mura inespugnabili, però, ci volle l’intervento divino, assicurato da uno strano rituale, narrato nelle Scritture: “Sette sacerdoti porteranno sette
trombe di corno d’ariete davanti all’Arca; il settimo giorno poi girerete intorno alla città per sette volte e i sacerdoti suoneranno le trombe. Quando si suonerà il corno dell’ariete [...], allora le mura della città crolleranno” (Giosuè, 6: 4-5). Detto fatto: a rituale compiuto, le mura si sfaldarono, lasciando campo aperto al popolo di Israele, che rase al suo-
lo la città e ne sterminò gli abitanti. Non solo. Chi avesse osato ricostruirla sarebbe stato colpito dalla maledizione divina. Ispirazione. Ma quanto c’è di storico nel racconto biblico? Non molto. È vero che Gerico era il baluardo che a nord del Mar Morto sorvegliava l’accesso alla Palestina: un passaggio obbligato per il popolo ebraico in
di città con una rigogliosa vegetazione, favorita dalla presenza della sorgente
Tiberiade
Giordano
Laura Gobbo
GALILEA R M EDI TER RAN EO
Una sola civiltà. Proprio questi antichi scambi portano a un’ultima considerazione, più generale, su Gerico. «Gli scavi e tutti gli studi recenti dimostrano che tratti comuni si ritrovano dall’Europa all’Egitto, dalla Palestina giù fino al Sudan», conclude Nigro. «L’idea che ci si uccida fra popoli delle sponde del Mediterraneo contraddice un dato storico: abbiamo tutti un’origine culturale comune». •
MA
SAMARIA
Volontà divina
GERICO
L’episodio biblico narrato nel Libro di Giosuè in un’opera del pittore ottocentesco James Tissot. Dopo la processione sacra intorno alla città, con l’Arca dell’Alleanza, le mura di Gerico si sbriciolarono.
Betlemme
GIUDEA
ORTO
Gerusalemme
MAR M
principale risorsa. Evidentemente la giovane l’aveva ottenuto da qualcuno, o forse era governatrice essa stessa, pur essendo donna. Lo scarabeo (simbolo diffusissimo in Egitto) è anche un’ennesima prova dei contatti, ora burrascosi ora pacifici, di Gerico con il popolo dei faraoni. «Ancora oggi la popolazione di Gerico è in gran parte di colore perché si tratta di discendenti di schiavi portati lì dagli Egizi», aggiunge l’archeologo italiano.
Masada
SCALA (2)
Punto strategico
cammino verso la Terra promessa. Ma all’epoca in cui si dovrebbe collocare l’esodo biblico (intorno all’XI secolo a.C.), le famose mura non c’erano già più. «Lo storico biblico», puntualizza l’archeologo Lorenzo Nigro della Sapienza, «attribuì al suo popolo la distruzione delle mura, che invece non è opera degli Ebrei». L’ul-
tima rovinosa caduta avvenne infatti, stando agli scavi, molto prima della presunta data dell’Esodo. Giosuè, arrivando a Gerico, avrebbe trovato solo rovine. Quello biblico sarebbe dunque un racconto simbolico, ispirato dalla fama di Gerico “città delle mura”. «Le mura furono probabilmente distrutte da
una città antagonista vicina. Questa storia rimase nell’immaginario dei Cananei e quindi gli Ebrei se la sono attribuita. Bisogna considerare che il Libro di Giosuè è stato scritto nel VI secolo a.C., mentre la grande distruzione avvenne nel 2.300 a.C. circa. Lo scrittore biblico ne parla a posteriori».
Nella cartina, la posizione di Gerico, passaggio obbligato sulla via del Mar Morto: i suoi abitanti controllavano il commercio del sale del bacino.
CULTO DEI MORTI Uno dei crani con le conchiglie al posto degli occhi, prova del culto dei morti praticato a Gerico già 9-10mila anni fa. 23
OTTOCENTO
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L’ALTRA Il 18 giugno 1815, due secoli fa, Napoleone fu sconfitto a Waterloo. Ma che cosa accadde dopo la battaglia? La storia della cattura del tesoro dell’imperatore
Battuto su tutti i fronti Una tappa sulla via del ritorno a Parigi dopo la sconfitta a Waterloo (1815). Oltre alla battaglia, Napoleone aveva perso tutto il corteo di carrozze e il tesoro che vi aveva caricato. 24
WATERLOO
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arigi, sera dell’11 giugno 1815. Napoleone Bonaparte è nei suoi appartamenti con il fratello Giuseppe. La partenza per il Belgio è imminente: dopo il ritorno dall’esilio dell’Elba Napoleone è di nuovo imperatore dei francesi, ma l’Europa l’ha messo al bando come “nemico e perturbatore della pace del mondo”. È una dichiarazione di guerra. Terreno dello scontro finale: Waterloo. Rimangono da discutere gli ultimi particolari. Giuseppe consegna all’imperatore diamanti per un valore di 800mila franchi. Napoleone li fa riporre dal primo valletto Louis Joseph Marchand nel suo nécessaire, insieme alla collana di brillanti che la sorella Paolina gli aveva donato all’Isola d’Elba, alla vigilia del suo rientro in Francia. Il tutto viene sistemato nella sua carrozza, pronta per la partenza. E questi non sono gli unici valori che l’imperatore porta con sé. In carrozza. Dopo aver dormito qualche ora, alle 4 del mattino del 12 giugno, Napoleone raggiunge la sua armata, ma non a cavallo. Per le lunghe trasferte preferiva infatti le comodità della sua modernissima dormeuse che fungeva da studio, camera da letto, sala da pranzo e toilette (v. nelle pagine successive). Tutto nello spazio limitato dell’abitacolo. Fu proprio con questa carrozza che l’imperatore si mise in viaggio. Al suo seguito anche un landau decapottabile, veloce e leggero, utile nelle ricognizioni del campo di battaglia. Qualche giorno prima era partito, alla volta del Belgio, anche il furgone del tesoro. “Desidero che vi sia caricato un milione in oro [...]”, Napoleone si raccomandò con il barone Guillaume Joseph Peyrusse, tesoriere generale. “Metterete nel furgone 100 o 200mila franchi in argento per il servizio corrente [...]. Per quanto riguarda il milione in oro, non vi si potrà attingere se non in virtù di un mio decreto”. L’imperatore non poteva immaginare che il prezioso carico che lo seguiva doveva essere protetto non solo dal nemico, ma anche dai suoi stessi uomini.
Assalto alla carrozza
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Napoleone sconfitto scende dalla sua carrozza in un quadro ottocentesco. L’intera colonna dell’imperatore fu depredata dai prussiani.
Prede facili. Ma facciamo un salto in avanti di sette giorni, fino a domenica 18 giugno, ore 21:00 circa. La battaglia è or mai finita e l’esercito francese allo sban do. Decine di migliaia tra morti e feriti, su ambedue i fronti, giacciono sul terreno re so fangoso dalle piogge del giorno prima. Il frastuono di cannoni, spari, grida ha la sciato spazio a lamenti e richieste di aiuto. Da poco l’imperatore si è allontanato dal campo di battaglia e l’esercito francese, in rotta, si sta disperdendo in un fuggi fuggi generale. I prussiani però non mollano e si lanciano all’inseguimento del ne mico in fuga, uccidendo e de rubando a man bassa. In questo scenario, la prima carrozza del seguito imperiale a cadere nelle loro mani fu quella su cui viaggiava il valletto Marchand, in tercettata a circa 14 km a sud del ter reno di battaglia. Lì si era formato un ingorgo, per un cannone che ostruiva il passaggio. In pochi istanti una massa di vetture si trovarono di traverso nel pan tano. Impossibile proseguire. “Il nemico,
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Ciotola del grande nécessaire di Napoleone che i prussiani trafugarono presso Waterloo.
Stop alle danze. Poi toccò al landau, in crociato dai prussiani 9 km più a sud. C’e ra una grande confusione: anche Napoleo ne intorno alle 22 si imbottigliò in quel punto. Secondo il racconto dei prussiani, l’imperatore salì sul suo landau, ma ve dendo arrivare i nemici, ne uscì sottraen dosi per un soffio alla cattura. Di sicuro c’è che la carrozza fu depredata e venne offerta poi, gravemente danneggiata, al feldmaresciallo prussiano Gebhard Lebe recht von Blücher, che la inviò al suo ca stello di Krieblowitz, vicino a Breslau (Po lonia). “Ho messo fine una volta per tutte alle danze di Napoleone”, scrisse alla moglie. “Il suo esercito è in rotta e tutta la sua artiglieria, bagagli, cassoni ed equipaggi, sono nelle mie mani. Due cavalli sono morti sotto di me. Presto sarà tutto finito per Bonaparte”. Nel 1975 un suo discendente donò il landau al museo del castello di Malmaison, che era stato resi denza di Napoleone e della moglie Giu seppina. Dopo tante traversie, era tornata nel garage di casa, a Parigi.
IL CAPPELLO che i nemici non riuscirono a rubare
i una cosa i fan di Napo leone si possono rallegra re: il glorioso cappello che l’imperatore indossava a Waterloo non cadde nelle mani del nemico. Acciaccato,
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anch’esso bloccato, saccheggiava le ultime vetture, la mia sarebbe presto diventata sua preda”, raccontò nelle sue memo rie lo stesso Marchand. “Aprii prontamente il nécessaire, mi impossessai dei 300mila franchi in banconote, che misi sul mio petto fermandoli con la mia uniforme e abbandonai il resto”. Nell’abitacolo rimasero 100mila franchi in oro.
sporco di sudore e fango, tor nò a Parigi con l’imperatore e fu portato dal suo cappelliere di fiducia Delaunay per es sere messo in forma. Ma con quello che accadde in seguito
nessuno si prese la briga di andarlo a ritirare. In dote. Il bicorno rimase di proprietà dei Delaunay per quasi un secolo. Poi una discendente sposò lo zio del
generale Jacques Duchesne, di Sens, in Francia, e portò il cappello in dote al marito che, alla morte, lo donò al museo della città, dove tutto ra è conservato.
ROYAL COLLECTION TRUST / © H. M. QUEEN ELIZABETH II 2015
Le vetture che portavano Napoleone in battaglia erano superaccessoriate: erano dotate di teiere, candelabri, profumi e set per l’igiene personale
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CARROZZE IMPERIALI COME GIOIELLI COME UNA CASA MOBILE Fu su una carrozza studiata per le lunghe distanze (sotto), che Napoleone lasciò Parigi alle 4 di mattina del 12 giugno, alla volta di Waterloo. Nell’abitacolo Napoleone aveva a disposizione ogni comfort: se era stanco, l’imperatore poteva dormire buttandosi, vestito e magari anche con gli stivali, su un materasso che dopo l’uso veniva riposto nella parte anteriore.
CARROZZA DI MANO IN MANO Il maggiore Von Keller vendette il suo bottino al principe reggente inglese, futuro Giorgio IV. Poi la dormeuse passò nelle mani del collezionista William Bullock, che la mise in mostra nel 1816. Rivenduta dopo 3 anni, sparì dalla circolazione per 25, fino a quando, nel 1842, Madame Tussaud la espose nel suo museo. Lì rimase fino al 1925, quando un incendio la distrusse.
Il landau di Napoleone, conservato al Castello di Malmaison, con lo stemma imperiale.
“Ma il popolo inglese mi crede dunque un animale selvaggio?”: così avrebbe commentato Napoleone dopo aver saputo che si ironizzava sull’abbondanza di profumi trovati nella sua carrozza superaccessoriata.
C’era posto anche per le pistole, che Napoleone voleva a portata di mano.
Napoleone poteva riposare su un comodo materasso ripiegabile. I finestrini erano dotati di tende in pelle e le portiere erano a prova di proiettile.
800.000 Le persone che ammirarono la dormeuse portata in mostra, dopo la sconfitta del 1815, a Londra, Bristol, Dublino e Edimburgo.
10.832 Tanto costò (in franchi) la carrozza: una cifra notevole per l’epoca. Fu realizzata in tempi record (appena 3 settimane).
Il nécessaire per la toilette giornaliera era in argento e cristallo, opera del mastro orafo Biennais.
Dopo l’incendio che la distrusse nel 1925, della carrozza rimase solo un piccolo frammento bruciacchiato, conservato oggi al castello di Malmaison, a Parigi.
G. ALBERTINI
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Il pitale veniva svuotato senza disturbare l’imperatore, grazie a un pannello esterno scorrevole.
DANIEL ARNAUDET/RMN/MUSÉE DE LA LÉGION D'HONNEUR
La “dormeuse” su cui Napoleone raggiunse Waterloo era un piccolo camper di lusso. Con tanto di letto e servizio per i pasti. Così bella da diventare un trofeo di guerra e, poi, un pezzo da museo.
Non mancava lo scrittoio portatile, dotato di inchiostro e carta.
Nell’abitacolo erano a disposizione cassetti e sportelli salvaspazio.
Anche le bottiglie, pare di malaga e rhum, avevano tappi in argento.
Abiti e indumenti di ricambio erano contrassegnati con le iniziali.
Un cronometro in argento era appeso sul lato interno, vicino al finestrino.
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Ultimo attacco
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Napoleone temeva un colpo di Stato al suo rientro: ecco perché aveva con sé un tesoro
L’INTERVISTA
dea/Getty Images
I prussiani attaccano la dormeuse imperiale, in una stampa. L’altra carrozza di Napoleone, il landau, finì nelle mani del generale Gebhard Leberecht von Blücher (sotto), che lo spedì alla moglie.
Anche la dormeuse subì la stessa sorte del landau: intorno alle 23 del 18 giugno fu intercettata dal maggiore Von Keller e dai suoi uomini del 15° reggimento fucilieri. Uno dei fedelissimi di Napoleone ebbe appena il tempo di portare con sé la cartella portadocumenti dell’imperatore, abbandonando il prezioso, ma pesante, nécessaire e chiudendo a chiave la carrozza. Quel mazzo di chiavi è ancora oggi conservato a Malmaison. Per Von Keller una serratura chiusa non era certo un problema: in un attimo con la sua sciabola scardinò la portiera e si servì abbondantemente. Anche lui inviò la dormeuse a sua moglie, a Düsseldorf. Appuntamento mancato. La ritirata era continuata a singhiozzo: ancora più a sud, a Charleroi, si formò un altro imbuto. Era tutto bloccato e il commissario che aveva la responsabilità del furgone del tesoro si rese conto del pericolo. Sperando di mettere al riparo il prezioso carico, decise di distribuirlo ai fedelissimi e ai soldati della scorta, per portarlo sulla riva opposta del
fiume, in un punto indicato. Cominciò così a consegnare le borse con i soldi: di ogni soldato si registravano il nome e la somma affidata. All’inizio tutto andò bene, poi si sentirono degli spari in lontananza. Fu il caos. “Avevamo appena cominciato a ritirare qualche centinaio di migliaia di franchi, quando un improvviso panico, forse premeditato da parte di qualche furfante, gettò improvvisamente il disordine tra gli addetti al servizio”, raccontò Hippolyte de Mauduit, granatiere della guardia imperiale. “Ognuno voleva la sua parte: si sfoderano le sciabole, si colpisce con le baionette e il sangue cola! Ben presto il cassone viene svaligiato e non vi rimangono intorno che morti e feriti”. Nessuno si presentò all’appuntamento: molti incapparono nei prussiani e furono derubati. Di quel furgone oggi ci rimane solo la serratura supertecnologica, dotata di ben 427 combinazioni. Inventario. Difficile fare un calcolo preciso del bottino prussiano. Proviamo a ricapitolare. Sappiamo che nella carrozza di Napoleone si trovavano il collier di bril-
WATERLOO FU DAVVERO CRUCIALE? Due secoli dopo la battaglia, lo abbiamo chiesto a chi ha la risposta.
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« ’ VITTORIO CRISCUOLO Docente di Storia moderna all’Università di Milano e autore di vari saggi su Napoleone. 28
ultima avventura di Napoleone non aveva alcuna possibilità di successo: la sua epoca era finita nel 1814, quando i popoli di tutta l’Europa, animati dal sentimento nazionale e dal-
la nuova spiritualità romantica, si erano sollevati contro il predominio francese e contro il suo autoritarismo. Gli specialisti di strategia hanno scritto fiumi di inchiostro per individuare le circostanze che avrebbero potuto – come si
dice – cambiare il corso della Storia. «Già fra i contemporanei, Waterloo divenne sinonimo di sconfitta definitiva. Tuttavia il giudizio storico ne ridimensiona la portata. Innanzitutto la potenza militare del-
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lanti di Paolina Bonaparte (valore: 300mila franchi) e i diamanti non montati di Giuseppe (altri 800mila). Secondo una fonte inglese, nella dormeuse erano nascosti 200mila napoleoni d’oro. Poi c’erano i 300mila franchi in banconote“salvati” dal valletto Marchand che dovette lasciare però i 100mila franchi in oro. Se aggiungiamo il milione in oro del furgone del tesoro, ne risulta una cifra da capogiro, difficilmente spiegabile come tesoretto per far fronte alle necessità dell’armata in battaglia. Perché Napoleone portò con sé una simile quantità di diamanti, oro e banconote? A spingerlo probabilmente fu la preoccupazione per il clima politico di Parigi. L’imperatore, prima di partire, aveva detto al tesoriere Peyrusse: “La capitale non è al riparo da un colpo di mano”. Nell’inventario del maltolto c’erano poi molti oggetti personali dell’imperatore, come il nécessaire per la toilette in vermeil (argento dorato) dell’orafo di corte Martin Guillaume Biennais, regalato da Maria Luisa a Napoleone, con più di cento
Perdita di valori Un ritratto di Paolina Bonaparte: c’era anche un suo prezioso collier nella carrozza del fratello Napoleone, assaltata dai prussiani.
elementi, tra cui un servizio da tè, caffè e cioccolata, con piatti, candelabri e posate. Ogni articolo aveva lo stemma imperiale inciso. C’era anche un portaliquori in mogano, che conteneva due bottiglie, una di rhum, l’altra di un buon vecchio malaga. Poi, uno scrittoio estraibile con calamaio,
penne, la cartella portafogli, il sigillo imperiale, mappe, telescopio, due pistole fabbricate a Versailles e un’altra a due canne. Tutte cariche. Piccoli segreti. E non era finita qui: sul lato interno era appeso un cronometro con una catena d’argento. E ancora: un elegante nécessaire per la pulizia dei denti, profumi (acqua di Colonia e lavanda). Tutti questi oggetti furono esposti a Londra nel gennaio del 1816, insieme alla carrozza e ai cavalli, in una mostra che ebbe un successo epocale. Tutta la stampa inglese ne diede notizia con grande risalto. Poco più di due mesi dopo uno di questi giornali arrivò a Sant’Elena, sulla scrivania dell’imperatore, di nuovo in esilio. Napoleone era furibondo. Il giornalista si soffermava infatti su alcuni oggetti trovati nella sua carrozza, come le bottiglie di liquore, sottolineando, con tipico humour anglosassone, che Napoleone non si faceva mancare proprio niente. Anche se, di fatto, alla fine gli mancò tutto. • Silvia Büchi
Beni personali Lo scrittoio e la teiera trafugati dalla carrozza di Napoleone: sono in mostra, con altri oggetti, fino a gennaio 2016 al Castello di Windsor (Inghilterra).
la Francia non fu annientata dalla sconfitta, e comunque anche le truppe della coalizione del resto dell’Europa uscirono molto provate. C’era per Napoleone la possibilità di negoziare un armistizio per radunare le proprie forze. E infatti non mancò chi, come il fratello Luciano, lo incitò a organizzare la resistenza. Ma
non c’erano più le condizioni politiche. «Napoleone, dopo la sconfitta, si precipitò a Parigi nella speranza di consolidare il proprio potere. Dopo la fuga dall’Elba aveva avuto il sostegno di soldati, contadini e lavoratori delle città, ma la borghesia e i notabili erano rimasti freddi di fronte a una nuo-
va avventura che rischiava di costare molto cara alla nazione. Ora la Francia gli voltava le spalle, e anche la Camera si mostrò ostile: l’abdicazione fu l’inevitabile presa d’atto delle mutate condizioni. «D’altra parte anche una vittoria francese non sarebbe stata decisiva: gli eserciti russo e austriaco, che non
avevano partecipato alla battaglia, erano già in marcia e inoltre la coalizione poteva contare sul sostegno economico e finanziario della Gran Bretagna, padrona assoluta dei mari. Ma anche per questo aspetto il giudizio storico deve andare al di là di una mera valutazione dei rapporti di forza sul piano militare». 29
presenta
LA STORIA DA LEGGERE
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TIRANNI LE VITE DEI DESPOTI PIÙ POTENTI E CRUDELI DI TUTTI I TEMPI. Cenare in mezzo ai nemici impalati mentre si contorcono dal dolore, oppure far frustare il mare per la sua disobbedienza. Proclamarsi tredicesimo apostolo della Chiesa o provocare la morte di milioni di connazionali. Da Vlad “l’Impalatore” al re dei re Serse, dal nero Bokassa al “rosso” Pol Pot, solo i veri tiranni possono mostrare la volontà di ferro, il vanaglorioso egoismo e lo spietato abuso di potere necessari per realizzare qualsiasi cosa bramino, a prescindere da quanto possa essere terrificante o scellerata. Clive Foss descrive la vita di cinquanta tra i più brutali despoti mai esistiti e, muovendosi tra avidità, corruzione, follia, vanità, sadismo e terrore, mostra in tutta la sua spietatezza ciò che è stata e che continua a essere la piaga della disumanità dell’uomo sull’uomo.
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TRADIMENTO
PRIMO PIANO
Il fattore
Fin dai tempi della Bibbia è l’infamia più grande. Eppure dietro ai voltafaccia più famosi non mancano casi controversi: perché il traditore può diventare un eroe.
L’IDENTIKIT DEL TRADITORE
GIUSEPPE FLAVIO AMICO DEI NEMICI
LE GIRAVOLTE DI TALLEYRAND
PER LORO, MASSIMA PENA
CESARE BATTISTI IL DISERTORE
LA ZARINA FEDIFRAGA
Prototipo cristiano Il bacio di Giuda a Gesù secondo Giotto (1267-1337), nella Cappella degli Scrovegni, a Padova.
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ANNA FRANK: TRADITA DAGLI OSPITI pag. 64
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SCALA
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PRIMO PIANO alinari
Odio fraterno Caino e Abele ritratti nel ’500 dal Tintoretto. Per la Bibbia, Caino è il primo traditore: assassinò il fratello dopo che Jahvè rifiutò i frutti del suo raccolto in sacrificio, accettando invece le bestie di Abele.
Bruto e Cassio furono demonizzati dalla propaganda ai tempi di Augusto. Ma molti storici li considerano tirannicidi. Fin dai tempi di Caino, non è facile giudicare chi tradisce
A ogni epoca il suo
TRADITORE I
“
l tradimento è una questione di date”, sentenziò Charles Maurice de Talleyrand-Périgord, uno degli uomini più scaltri e cinici della Francia rivoluzionaria, passato indenne dagli anni della monarchia assoluta a quelli della Restaurazione: sempre in sella. Armato solo di arguzia e spirito pragmatico (v. articolo a pag. xx). Non aveva torto. Più volte nel corso dei secoli, chi in un’epoca è stato giudicato traditore, con le generazioni successive è diventato un eroe. Fu così per gli oppositori ai totalitarismi del Novecento. O, riavvolgendo il film della Storia, per gli irredentisti come Cesare Battisti o i tirannicidi come Bruto e Cassio. Ciò significa dunque che, su un piano storico, non è possibile stabilire chi tradisce? La questione è spinosa e antica. Lo conferma il fatto che nei secoli si è provato più volte a stabilire per legge che cosa costituisse reato di tradimento o lesa maestà. E sempre, al di là del piano giuridico, si è posta la questione morale. Un aspetto sul quale anche la letteratura ha detto la sua. Sono nati così personaggi che hanno il nome di Jago (che trama alle spalle di Otello), Macbeth (assassino del legittimo re), Madame Bovary e Anna Karenina (fedifraghe). Per non 33
ALINARI
Parricida o liberatore? La morte di Giulio Cesare per mano di Bruto e Cassio in un dipinto del pittore tedesco Heinrich Füger. La propaganda imperiale di Augusto li demonizzò. Ma nel ’700 i congiurati divennero eroi repubblicani.
Una donna per due
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Elena e Paride in un dipinto settecentesco: moglie dell’acheo Menelao, Elena fu rapita dal principe troiano Paride, di cui ricambiò l’amore. Questo, per il mito, indusse gli Achei a dichiarare guerra a Troia.
In tutte le culture è considerato traditore chi viola il patto di fiducia che unisce i membri di una comunità: familiare, politica o religiosa che sia 34
parlare dell’amante seriale Don Giovanni o della greca Elena, il cui rapimento-tradimento d’amore scatenò addirittura la guerra di Troia. Giù dalla rupe! «Nell’antichità a fare scandalo erano il tradimento politico e quello morale. Tradire la polis era un gesto tanto frequente quanto vituperato: la città andava infatti difesa e chi si accordava col nemico era considerato moralmente responsabile», spiega Marcello Flores, storico dell’Università di Siena e autore di Traditori (il Mulino). «Altrettanto grave era ritenuto tradire l’amicizia o l’ospite, meno grave tradire la moglie. La quale però non poteva permettersi di tradire il marito». La pena più severa – la morte – era però riservata a chi tradiva la patria. «Nella cultura romana si gettavano i traditori giù dalla Rupe Tarpea. Un modo per espellere anche simbolicamente i traditori dall’Urbe». La cosa non deve stupire:
fin dall’antichità e in tutte le culture, il traditore è sempre stato visto come una minaccia, come colui che vìola il patto di fiducia che lega tra loro i membri di una comunità, che sia un clan, una famiglia, o un’entità politica o religiosa. Difendersi ed espellerlo era essenziale per mantenere l’integrità del gruppo. Ma se la pena capitale era consueta, non sempre ci si è trovati d’accordo sulla definizione di traditore. Infedeli. Nell’Alto Medioevo, per esempio, era grave tradire Dio o la Chiesa. Ma nel Basso Medioevo era forse peggio tradire il signore del feudo. «In un’epoca in cui la fides era un collante sociale forte, la figura del traditore apparve come antitetica e dunque complementare a quella dell’eroe e del cavaliere», spiega Flores. Rinnegare l’amico e signore era gravissimo, ma ciò non impedì che in età feudale accadesse spesso. Di lì a poco, con l’istituzionalizzarsi del cri-
Giuda Iscariota: un mito che nasce nel Medioevo
l nome di Giuda, molto usato nel Medioevo, in ebraico significa “lodato”: paradossale, per l’uomo divenuto simbolo dell’infamia. Peraltro su di lui i Vangeli sono parchi di notizie. Giovanni scrive che “era figlio di Simone” (Gv 6: 71) e che tra i Dodici svolgeva non troppo onestamente il suo ruolo di tesoriere (Gv 12: 6). Non aggiunge altro. Eppure la sua vicenda nel Medioevo ha avuto un successo travol-
gente ed è stata raffigurata centinaia di volte. Una delle rappresentazioni più famose probabilmente è quella fatta da Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova, all’inizio del ’300. Ma non è l’unica: è in buona compagnia con il Ciclo della passione di Lorenzetti ad Assisi o con il Bacio di Giuda di Cimabue e di Beato Angelico. E con tanti esempi di arte devozionale, come la statua lignea del ’700, qui sotto.
Monito. Il perché di questo proliferare di immagini è chiaro: il richiamo a Giuda aveva un valore simbolico enorme in un’epoca dominata dagli eretici. Ma non erano loro gli unici destinatari del messaggio morale legato a Giuda: il suo nome tornava per connotare i nemici della fede, gli infedeli: ottomani o saraceni, genericamente islamici. «Non è un caso se nel Canto XVIII dell’Inferno Dante descrive
Maometto squarciato e storpiato proprio come Giuda viene rappresentato negli Atti degli Apostoli», precisa Marcello Flores nel suo saggio sui traditori. Ed è proprio Dante, fiorentino, che insieme a Giotto e Lorenzetti inchioda Giuda nel ruolo del traditore per antonomasia. Nel cuore del Medioevo compone la Divina Commedia e infila Giuda nella bocca centrale di Lucifero, accanto a Bruto e Cassio.
Ut ut diamcommy Num verostrud etuer sequip endre dolutat, cor senim dunt doloreet wisim quis et dunt esto od exerosto dolobortindf
LESSING/CONTRASTO
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Professione spiona
SCALA
Margaretha Geertruida Zelle, detta Mata Hari (18761917). Celebre danzatrice, fu agente segreto doppiogiochista. Fu giustiziata per la sua attività di spionaggio a favore dei tedeschi durante la Prima guerra mondiale.
Storicamente sono sempre i vincitori a stabilire chi è da considerarsi traditore e chi no. Sono loro infatti a elaborare le leggi che regolamentano la questione
stianesimo, si invertirono i pesi: il reato di lesa maestà restava grave, ma ledere la maestà divina era intollerabile. «Non a caso dopo l’anno Mille in Italia il numero delle immagini di Giuda nell’arte crebbe esponenzialmente, passando dalle 37 immagini del XII secolo alle 65 del XIII con un imponente salto di 201 nel XIV secolo», aggiunge Flores. Lo scopo era chiaramente didattico: insegnare al popolo, in un’epoca in cui fiorivano apostasie ed eresie, che rinnegare l’ortodossia cristiana era una colpa mortale (Giuda infatti, nella tradizione, muore impiccato). Non senza varianti bislacche. Si diffuse infatti anche la convinzione che traditori si nasceva. Secondo questa interpretazione teologica, Giuda era venuto al mondo per compiere la volontà divina: era quindi traditore per natura (v. riquadro nelle pagine precedenti). Novità in vista. Non la pensava così, qualche secolo dopo, Niccolò Machiavelli, vissuto in anni di lotte di potere sanguinarie. Dedicandosi, più che alla religione, alla ragion politica, capì che non si viene al mondo fedifraghi. Lo si diventa per opportunità politica o per necessità
storica. Per cause insomma che nulla hanno a che vedere con la natura. Questa visione laica trovò conferma qualche secolo dopo, durante l’Illuminismo, quando una nuova scala di valori impose una revisione ulteriore dell’idea di traditore. Contrordine, fratelli: tradire Dio non solo si può, si deve. Quello che non si deve tradire è lo Stato. «Nel Settecento si fece effettivamente un tentativo di razionalizzare e circoscrivere il concetto di tradimento», spiega Flores. «Rimane il concetto di lesa maestà, codificata dal diritto romano, ma non è più applicata al sovrano e men che meno a Dio. Si applica piuttosto allo Stato. Si parla non a caso di “lesa nazione”. E i codici sanzionano questo reato con pene severe. La Costituzione americana arriva a sancirlo nell’articolo 3 della carta fondamentale, dove si dichiara traditore chi muove guerra all’America». Leggi scritte e leggi del cuore. Problema risolto? Niente affatto. Nonostante il tentativo di sbrogliare giuridicamente la matassa, le derive morali del tradimento tornarono a fare capolino e a dividere l’opinione pubblica. Come giudica-
Dalla parte del più forte
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Il maresciallo francese Philippe Pétain incontra Hitler mentre è a capo del governo collaborazionista di Vichy (1940-44). Dopo la guerra fu processato con l’accusa di tradimento e condannato a morte (pena poi commutata in carcere a vita).
re infatti figure controverse come il marchese de La Fayette, che pur plaudendo agli ideali rivoluzionari, americani e francesi, si dissociò dalle derive giacobine venendo per questo condannato come traditore? La questione, irrisolta, sarà dibattuta per tutto l’800 quando non si contano gli eroi del Risorgimento, da Silvio Pellico a Ciro Menotti, condannati per tradimento dal potere ma entrati nel mito fondatore della patria come tirannicidi o aspiranti tali. Nuove fedi. Ormai però non era più lo Stato il valore di riferimento, ma l’identità nazionale. E difenderla richiedeva traditori – o martiri – disposti a morire per questa idea. Non solo, in alcuni casi la difesa nazionale richiedeva spie alla stregua di Mata Hari, pronte a vendere segreti sfidando i regimi polizieschi che controllavano ogni loro movimento. O simili ai “cinque di Cambridge”, gli agenti segreti britannici che, a partire dagli Anni ’30, passarono informazioni sensibili dell’intelligence britannica all’Unione Sovietica, alla quale evidentemente riservavano una fedeltà superiore a quella per la propria patria.
«In qualche modo queste spie sono rappresentative del concetto di traditore novecentesco, in cui a fare da padrona era l’ideologia, più che la patria», precisa Flores. Non a caso sempre per ideologia, oltre che per opportunismo, tradirono i leader collaborazionisti della Seconda guerra mondiale: Philippe Pétain, che da eroe del primo conflitto diventò capo del governo filonazista di Vichy. O Vidkun Quisling, militare e politico che con un colpo di Stato spalancò le porte alle truppe di Hitler che occuparono la sua terra, la Norvegia. E oggi? Quali sono i nostri valori di riferimento? I casi di Scilipoti e Razzi, onorevoli che con disinvoltura sono passati da uno schieramento politico all’altro durante le ultime legislature, hanno fatto discutere. «Come capo di imputazione il tradimento è molto meno frequente che in passato. Siamo scivolati da un piano giuridico a uno che definirei politico e morale». Sarebbe come dire che oggi il pericolo non sembra essere più il reato di lesa maestà. Piuttosto quello di lesa dignità: politica, soprattutto.•
DAL ’900 SI TRADISCE L’IDEOLOGIA POLITICA
Giuliana Rotondi 37
PRIMO PIANO
La caduta di Gerusalemme
R. OLTEAN
Il saccheggio del Tempio di Gerusalemme, distrutto dai legionari di Tito nel 70 d.C., durante la Prima guerra giudaica (nella quale combatté Giuseppe Flavio).
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Il voltafaccia di
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JOSEF
a sua vita si decise nel 67 d.C., a Iotapata (nella Galilea Settentrionale, oggi Israele), in una cisterna buia e umida: fuori i legionari romani, dentro una quarantina di Ebrei ribelli. I primi, che avevano conquistato la fortezza dopo 47 giorni di assedio, avevano promesso di lasciarli vivere se si fossero arresi. I secondi erano pronti a uccidersi piuttosto che consegnarsi agli oppressori. Tutti tranne uno: Giuseppe figlio di Mattia, il comandante delle truppe ribelli in Galilea. “O muori di tua volontà, da comandante dei Giudei, o muori lo stesso, ma da traditore”, gli avevano intimato i compagni. Giuseppe allora si appellò alla Torah: il libro sacro condannava il
suicidio. Meglio quindi tirare a sorte e uccidersi l’un l’altro, due a due, fino a che non fossero tutti morti. Se lo volle Dio o se Giuseppe forzò la mano del destino non possiamo saperlo, ma alla fine il comandante rimase solo, fra i cadaveri dei compagni, con un ultimo uomo. Si accordò con lui e si consegnò al nemico: visse, ma da traditore del suo popolo. O almeno è così che venne etichettato a metà del secolo scorso. Cosa che invece non accadde nel I secolo, quando venne sì tacciato di tradimento, ma nei confronti dei Romani ai quali si era consegnato. «L’idea di Giuseppe traditore del giudaismo fu estranea agli ambienti in cui visse e operò. Si tratta di un’idea che rispecchia un tempo mol-
SCALA
Miniatura medioevale di Giuseppe Flavio (37-103 d.C.), autore della Guerra giudaica pubblicata prima in aramaico e poi anche in greco.
L’ebreo Giuseppe Flavio visse le guerre giudaiche in diretta. Ma dopo aver combattuto con il suo popolo passò con i Romani e tramandò il loro punto di vista DALLA PARTE DEL NEMICO
DREAMSTIME
La Giudea al tempo delle spedizioni di Pompeo era di fatto uno Stato vassallo dell’impero, governata da re di religione ebraica, legati a Roma
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Orgoglio nazionale. L’imperatore Nerone affidò al generale Vespasiano tre legioni, truppe ausiliarie e l’ordine di riconquistare le regioni in rivolta. E Giuseppe? Per quanto considerasse gli estremisti giudei dei criminali assassini che non rappresentavano il volere del popolo, si lasciò trascinare a Iotapata dall’orgoglio frustrato per la passata indipendenza nazionale. «La condotta di Giuseppe, come quella di quasi tutti gli uomini, non fu lineare. Nella Guerra giudaica si rappresentò come coraggioso combattente dei Romani, nell’Autobiografia scritta anni dopo disse invece che aveva finto di voler combattere, ma in realtà aveva ricevuto dai moderati il compito di consegnare le armi. Nessuno può dire quale sia la verità, ma certo quando si arrese al nemico lo fece per salvarsi la vita», afferma Troiani. “Si tradisce più spesso per debolezza che per deliberato disegno di tradire”, diceva, nel ’600, l’arguto scrittore francese La Rochefoucauld. Ma fra le due opzioni, Giuseppe ne inventò una terza: tradì gli Ebrei perché lo voleva il Signore. A lui si rivolALAMY
to posteriore, che non ha nulla a che fare con lui», precisa Lucio Troiani, docente di Storia e Antichità romane all’Università di Pavia. «In vita non fu accusato di tradimento della nazione, semmai il contrario: dovette difendersi dalle accuse di chi deplorava il suo passato di sovversivo che aveva osato sfidare la potenza romana». Ribelle per caso. In realtà Giuseppe di sovversivo aveva ben poco: figlio di una famiglia nobile e antica di rango sacerdotale, imparentato per parte di madre con la dinastia degli Asmonei (che aveva governato il Regno di Giudea fino alla conquista romana), era una specie di ragazzino prodigio. Dottore della Legge già a 14 anni, al servizio del Tempio aveva conquistato la considerazione del sinedrio, l’assemblea che emanava le norme giuridiche a Gerusalemme: per questo, all’inizio della Prima guerra giudaica (66 d.C.), neppure trentenne ricevette il comando delle operazioni difensive in Galilea. Le tensioni tra Romani ed Ebrei erano cominciate nel 63 a.C., quando il generale romano Pompeo aveva conquistato Gerusalemme e profanato il Tempio; erano cresciute poi proporzionalmente all’ingerenza romana sulla Giudea. I rapporti tra i contingenti romani e la popolazione si esacerbarono nel 66 d.C. e le fazioni degli estremisti antiromani, che volevano l’indipendenza, si ribellarono.
Il Tempio perduto Sopra, ricostruzione del Tempio di Gerusalemme distrutto da Tito – figlio dell’imperatore Vespasiano e futuro imperatore – nel 70 d.C. Sotto, bassorilievo di Vespasiano ritrovato in Spagna.
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POLIBIO
Eroe a Teutoburgo, ma ex legionario
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on sono traditori coloro “che liberamente decidono di accordarsi con re o dinasti o di cooperare con loro”. Così la pensava Polibio (foto, 200118 a.C.), politico greco, militare e, passato al nemico, cittadino romano e storico. Deportato. Dopo la vittoria del console Lucio Emilio Paolo sui Macedoni (168 a.C.), Polibio finì nella lista dei Greci da processare per
soltanto nell’8 d.C., quando fu trasferito in Pannonia (Germania del Nord). Dal 5 d.C. aveva invece servito nell’esercito romano di stanza in Germania, diventando luogotenente della cavalleria ausiliaria. Ma a Teutoburgo, dove nel 9 d.C. sterminò le legioni di Varo, non fu certo riconoscente nei confronti di Roma, che gli aveva concesso persino la cittadinanza. (a. c.)
l’ambiguità nei confronti dei Romani. Deportato nell’Urbe, sfruttò l’amicizia con Quinto Fabio Massimo Emiliano e Scipione Emiliano, figli adottivi del vincitore, e si salvò. Sedotto dalla potenza di Roma, si integrò così bene che, da ostaggio, diventò consigliere diplomatico e militare di Scipione e, dopo il 146 a.C., commissario alla riorganizzazione della Grecia. (m. l. l.)
ALAMY
rima di diventare l’eroe dei Germani contro i Romani, il condottiero della tribù dei Cherusci, Arminio (17 a.C.-19 d.C.), aveva servito nell’esercito dell’Urbe. Anche se pochi storici parlano nel suo caso di vero tradimento, di certo sposò la causa del suo popolo a scoppio ritardato. Luogotenente. La lotta per la libertà dei Germani, infatti, fu intrapresa da Arminio
Il Giuseppe Flavio dei Greci
LORENZACCIO
MARINA MALINCHE
Assassino o liberatore?
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e famiglie rinascimentali sono una miniera per gli appassionati di congiure. Un caso per tutti: Lorenzino de’ Medici (1514-1548), che si guadagnò il soprannome di Lorenzaccio per aver assassinato il cugino, duca Alessandro e signore di Firenze. Litigioso. Il tradimento colpì molto in quanto i due, oltre che parenti, erano stati com-
CORBIS
GETTY
DALLA PARTE DEL NEMICO
pagni di bagordi. Dopo l’assassinio (sopra, in un dipinto romantico), motivato da questioni politiche ed ereditarie, premeditato ed eseguito insieme a un sicario, Lorenzino fuggì da Firenze e si rifugiò nella nemica Venezia, dove morì. Ma nella sua patria non tutti lo biasimarono: come Bruto, fu considerato un tirannicida da molti. (a. c.)
La donna india di Cortés
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a Malinche: gli spagnoli chiamarono così Marina Malinche (1502-1529), indigena del Messico, nata a Coatzacoalcos, amante india, oltre che interprete, del conquistador spagnolo Hernán Cortés (sopra, la donna in una stampa dell’epoca). Bilingue. Doña Marina rivelò agli spagnoli usi e costumi del popolo azteco, svolgendo
di fatto un servizio di spionaggio e facilitando la conquista europea dello Yucatán popolato dai Maya. Marina, che era stata ceduta ai Maya come schiava, parlava sia il nahuatl (sua lingua madre) sia lo yucateco (la lingua dello Yucatán) e di fatto rese più facili le azioni militari dei conquistadores contro i precolombiani. (m. l.) 41
WHITTAKER CHAMBERS
La spia comunista, anticomunista
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ne chiave nel processo contro Alger Hiss, un diplomatico statunitense accusato di essere a sua volta un comunista e una spia. La testimonianza di Whittaker, ormai accanito anticomunista, si rivelò decisiva per dimostrare che Hiss aveva giurato il falso. Fino alla fine della sua vita l’ex spia Chambers sostenne le battaglie americane anticomuniste. (m. l.) GETTY
crittore e giornalista americano, Whittaker Chambers (1901-1961, nella foto) in gioventù aveva aderito al Partito comunista degli Stati Uniti, fondato nel 1919. Fedele alla causa dell’Unione Sovietica, divenne, negli Anni ’20 e ’30, una spia sovietica. Ma poi tradì la causa socialista e passò dall’altra parte. Testimone d’accusa. Nel 1948 Chambers fu il testimo-
ALAMY
DALLA PARTE DEL NEMICO
MIR JAFAR KHAN
Cambio di casacca in corsa
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l nababbo (governatore provinciale) del Bengala Mir Jafar (1691-1765) divenne tale soltanto dopo aver tradito la propria gente, i propri parenti e il proprio popolo nella Battaglia di Plassey (1757), combattuta durante la Guerra dei Sette anni tra inglesi e francesi. Qui operò un clamoroso voltafaccia proprio sul campo di battaglia, permettendo
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agli inglesi e alla Compagnia delle Indie di trionfare e aggiudicarsi di fatto il dominio dell’India. In cambio, si vide riconosciuto il prestigioso ruolo di governatore. Recidivo. La vocazione fedifraga di Mir Jafar si rivolse però anche contro gli inglesi: poco dopo infatti si mise a stringere accordi, a loro insaputa, con gli olandesi. (m. l.)
Giuseppe venne usato dai Romani a fini propagandistici. La sua missione era convincere i ribelli ad arrendersi se così, prima di consegnarsi al nemico: “Poiché hai deliberato che il popolo ebraico da te creato sia sottomesso [...] ti prendo a testimone che non parto di qui come un traditore, ma come tuo servo”. Anche se poi, più che Dio, servì i Romani. Adulatore. Giuseppe chiese di essere condotto di fronte a Vespasiano e con lui giocò la carta dell’adulazione mascherata da profezia: “Tu, o Vespasiano, sarai Cesare e imperatore; tu e tuo figlio. Fammi ora legare ancora più forte e custodiscimi per te stesso; perché tu, Cesare, non sei soltanto il mio padrone, ma il padrone anche della terra e del mare e di tutto il genere umano”. Funzionò: Vespasiano lo tenne nell’accampamento e due anni dopo spezzò le sue catene. Era il 69: le legioni della Siria e d’Egitto lo avevano appena acclamato imperatore. Il generale, in partenza per Roma, diede al figlio Tito l’ordine di chiudere i conti con Gerusalemme e a Giuseppe il proprio gentilizio (la parte del nome romano che indica l’appartenenza a una certa famiglia), Flavio. Alla fine dell’estate del 70, sotto le mura della città santa, Giuseppe Flavio cercò di convincere i connazionali ad arrendersi, per “risparmiare se stessi e il popolo, la patria e il Tempio”: quelli, in tutta risposta, lo colpirono in faccia con una pietra. Lui svenne e Tito passò all’azione: prese la città, trucidò la popolazione e bruciò il Tempio. Come scrisse Giuseppe di lì a qualche anno, “la città fu abbattuta dalla rivoluzione e poi i Romani abbatterono la rivoluzione”. In altre parole: gli Ebrei se la cercarono. Lui, invece, venne premiato: dopo aver ricevuto in dono un appezzamento di terra in Giudea, salpò con Tito per Roma, dove Vespasiano gli diede la cittadinanza e una rendita in denaro. Qui si riciclò come storico: non uno storico qualunque, ma, ironia della sorte, la principale fonte antica sulla storia ebraica e l’unico a descrivere nei dettagli la guerra in cui era saltato dall’altra parte del campo di battaglia. In questa impossibile prova di equilibrismo, incontrò però grossi problemi. «Giuseppe fu uno storico non privo di contraddizioni: accusò quelli che definisce “tiranni giudei” di avere portato la nazione alla catastrofe, ma nel corso della sua opera più volte accennò all’esasperazione che il dominio romano suscitò in Giudea, spingendola alla
LESSING/CONTRASTO
Traditore dell’ebraismo?
guerra. In seguito ritrattò ed espresse la sua ammirazione per la forza militare romana e la sua momentanea invincibilità», spiega Troiani. Nuove accuse. Se quella presa sotto le mura di Gerusalemme nel 70 era stata l’ultima pietra in faccia ricevuta dai connazionali traditi (cioè la classe dirigente giudaica da cui Giuseppe proveniva e che aveva deciso la guerra contro Roma), con il suo atteggiamento accomodante si attirò ora i sanpietrini degli Ebrei filoromani che poco tempo prima lo avevano visto combattere con i ribelli. «I suoi nemici, i conservatori che avevano abbracciato la cultura greca e che da generazioni avevano aderito a una politica di lealtà ai Romani, sapevano che per recargli il maggior danno possibile non potevano rinfacciargli il tradimento della causa giudaica: lo accusarono piuttosto di essere un rivoluzionario nemico di Roma», spiega l’esperto. Insomma: chi poteva rassicurarli che il tradimento di Giuseppe era stato sincero? Nessuno, se non il diretto interessato che, da vivo, nell’Urbe dell’80-90, si trovò a dover dimostrar loro la propria lealtà alla causa romana. Non sempre con successo. Nonostante gli sforzi, finì sotto accusa con altri Giudei e le calun-
nie nei suoi confronti diventarono così diffuse che, all’epoca dell’imperatore Domiziano (8196), gli studenti di retorica le usavano per esercitarsi. Soltanto dopo la morte, nel 103, lo storico conobbe una relativa pace. Traditore. Con la vittoria nella Terza e ultima guerra giudaica (132-135 d.C.), l’imperatore Adriano trasformò Gerusalemme nella colonia romana di Aelia Capitolina e ne cacciò gli Ebrei. I Giudei videro naufragare il sogno di uno Stato indipendente e per le generazioni successive l’età del giudaismo filoromano “contaminato” dalla cultura greca, che Giuseppe aveva abbracciato, diventò un tabù. Per loro lo storico non era né un traditore né un eroe: semplicemente non esisteva. Tra II e III secolo, i cristiani strapparono all’oblio le sue opere, mentre gli Ebrei ci misero quasi mille anni a riscoprire senza pregiudizi il loro connazionale. Ma non tutti lo perdonarono: a marchiarlo furono i lapidari giudizi dei nazionalisti del ’900, che nella loro lotta per la costituzione di uno Stato ebraico lo consegnarono alla Storia come “traditore della causa d’Israele”. • Maria Leonarda Leone
DREAMSTIME
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Le mura di Gamala (Golan) fortificate da Giuseppe Flavio, nel 66 comandante contro Roma. Sotto, la statua dello storico a Masada, roccaforte dell’ultima resistenza giudaica. In basso, la moneta romana che celebra la Judaea Capta (“prigioniera”).
LE AG
PRIMO PIANO
EM E/ MO ND AD OR IP OR TF OL IO
RI VO LU ZI ON AR IO
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Vive la République! Il marchese de La Fayette il 14 luglio 1790, primo anniversario della presa della Bastiglia. Sulla sinistra del dipinto (e sopra, nel riquadro) Talleyrand, allora ecclesiastico, ma già traditore della causa clericale: fu a favore della confisca dei beni della Chiesa.
Un
POLITICO per tutte le STAGIONI Repubblicano, bonapartista, monarchico. Negli anni più turbolenti della Francia, Talleyrand fu sempre dalla stessa parte: la propria TRADITORI DELLO STATO
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raditore o trasformista? Un Giuda o un politico scaltro che si muoveva per il bene della Francia? La risposta è aperta. Eppure Napoleone non ebbe dubbi quando gridò: “Voi siete una merda in calze di seta”. Correva l’anno 1807. L’imperatore di Francia aveva visto il suo ciambellano, Charles Maurice de Talleyrand-Périgord, parlare con il ministro della Polizia Fouché e aveva subodorato puzza di complotto. Non a torto: l’uomo che negli anni si era ritagliato un posto di primo piano al suo fianco, si stava preparando a saltare sul carro dei futuri vincitori. E non era certo la prima volta che cambiava casacca. Talleyrand, classe 1754, era riuscito a navigare infatti attraverso mezzo secolo di storia francese, stando sempre in sella. Aveva frequentato i salotti più esclusivi delle corti d’Europa, poi quelli della Rivoluzione e della Repubblica. Conquistata la fiducia di Napoleone negli anni dell’impero, divenne poi un personaggio chiave della Restaurazione. Come giudicare dunque questo gattopardo settecentesco? Equilibrista. «La sua intera vita è stata una corsa per il potere», spiega Roberto Martucci, docente di Storia delle istituzioni politiche all’Università del Salento. «Agì non senza cedimenti e bassezze. Sempre animato però da una convinzione: la Francia, per poter essere governata, aveva bisogno di un potere monocratico, gestito cioè da una sola persona. Anche per questo,
oltre che per ambizione, seguì Napoleone prima, Luigi XVIII e Luigi Filippo poi». Ma cominciamo dal “prima”. Pur senza voler scomodare la psicanalisi, va ricordato che Talleyrand ebbe un’infanzia al vetriolo: messo a balia in una casa alla periferia di Parigi, da bambino rimase storpio al piede destro. Escluso dalla carriera militare, dove avrebbe raggiunto i massimi gradi data la sua estrazione aristocratica, fu privato dai genitori del diritto a ereditare il patrimonio (che gli spettava essendo primogenito) e avviato alla carriera ecclesiastica. “Una diligenza venne a prelevarmi; non passai dalla casa dei miei prima di partire, e ripeto qui che sono forse l’unico uomo di natali distinti che non ha avuto una settimana della sua vita la delizia di trovarsi sotto il tetto paterno”, rievocò nelle sue Memorie ricordando la partenza per il seminario. «L’attendibilità di quel che Talleyrand racconta è assai discutibile», precisa però Martucci. «Qui come in altre pagine le sue parole vanno prese con le pinze perché non sempre sono storicamente fondate. Di certo si sa che era claudicante e che all’età di 16 anni entrò nel seminario di Saint-Sulpice, a Parigi». Nel fatidico 1789, l’anno della rivoluzione, diventò vescovo. Ma la vita da religioso non era la sua. Poco dopo fu sorpreso in casa della cortigiana Madame de Flahaut – nota per accogliere i visitatori in vasca da bagno – che gli avrebbe dato un figlio: Charles. La sua vocazione re45
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MATA HARI
La doppia vita della ballerina
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anzatrice e spia. Mata Hari, nata in Olanda nel 1876, arrivò a Parigi nel 1904, dove raggiunse presto una grande notorietà. Sposata e divorziata, visse una vita mondana, consolandosi con amanti facoltosi.
Con l’ inizio della guerra divenne spia dei tedeschi, nome in codice H21. Ma poi anche dei francesi. Arrestata (sopra, la foto segnaletica) dai francesi, fu condannata a morte e fucilata il 15 (g. r.) ottobre 1917.
Uno dei “cinque”
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azionalità: inglese. Professione: agente segreto. Philby (1912-1988) fu spia dell’Urss e doppiogiochista. Nel 1963 fuggì a Mosca dove visse fino alla morte, diventando istruttore del Kgb. Con lui collaborarono altri 4 agenti: insieme sono noti come i Cinque di Cambridge. Erano giovani di famiglie altolocate che avevano abbracciato la causa del comunismo all’università. La figura di Philby ha ispirato il protagonista del romanzo La talpa di John le Carré. (g. r.)
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KIM PHILBY
Con Bonaparte (ma anche no) Napoleone riceve l’ambasciatore austriaco: è il 28 ottobre 1808. Talleyrand da un anno non era più suo ministro degli Esteri, ma godeva ancora di stima.
TRADITORI DELLO STATO
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EFIALTE
L’uomo che tradì i 300
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u uno dei primi traditori della Storia. Efialte (VI-V secolo a.C.), pastore di Trachis (Peloponneso), durante le Guerre persiane avrebbe dovuto combattere con gli Spartani al fianco del re Leonida. Ma preferì
vendersi ai Persiani, in vista di una ricompensa (che non ebbe). Svelò al nemico un sentiero noto solo ai locali per intercettare gli Spartani alle Termopili. Così vennero poi massacrati i leggendari 300 guerrieri. (a. c.)
Gli vennero affibbiati diversi ligiosa si rivelò insomma inversamente proporzionale alla faccia tosta: tre settimane dopo la nomina a vescovo si ritrovò infatti deputato per il clero agli Stati generali (l’assemblea del popolo) e si schierò per la monarchia parlamentare e l’eguaglianza dei cittadini di fronte al fisco. Non solo. Quando gli Stati generali divennero Costituente rivoluzionaria, propose e fece approvare la confisca dei beni della Chiesa da parte dello Stato. «Quella decisione finanziò le guerre francesi per i vent’anni successivi», spiega Martucci. Repubblicano. Durante gli anni del terrore giacobino trascorse un periodo in “esilio dorato” a Londra (1792-1794) e negli Stati Uniti (179496). Passata la bufera tornò a Parigi, ottenendo da Paul de Barras, influente membro del Direttorio – e grazie alle raccomandazioni della letterata Madame de Staël di cui frequentava il sa-
BO NA PA RT IS TA soprannomi, tra cui il “diavolo zoppo” lotto e del suo amante Benjamin Constant – l’incarico di ministro degli Esteri. Era il 1797. L’anno dopo, in questa veste appoggiò la spedizione in Egitto di un astro nascente: il generale Bonaparte. Questa scelta gli costò un violento attacco da parte dei giornali, quasi tutti vicini al Direttorio. Le accuse furono tutte di bassa lega: gli rinfacciarono la relazione con Catherine Noël Worlée – alias Madame Grand, sua futura moglie – dipingendolo come “un libertino senza stimoli, sessualmente incapace, che deve ricorrere a tutte le risorse del vizio, secondo la scuola di Sade”. Talleyrand, ormai detto “piede corto”, dovette dimettersi. Ma i tempi stavano cambiando. Il Direttorio era sempre più corrotto e debole, mentre l’ex vescovo aveva puntato sul cavallo vincente.
Imperialista. Le sue fortune da quel momento andarono di pari passo con quelle di Napoleone. I due si erano incontrati nel dicembre 1797 e l’impressione reciproca fu ottima. “Il suo viso mi parve attraente a prima vista. Una ventina di vittorie si confanno assai bene con la giovinezza, con begli occhi, col pallore e un’aria di sfinimento”, raccontò Talleyrand nelle Memorie. A sua volta Napoleone fu colpito dalle doti che nel diplomatico infastidivano tanti: acume, signorilità, distacco. Il sodalizio durò poco più di sette anni, durante i quali il “diavolo zoppo” (soprannome di Talleyrand) fu nominato ministro degli Esteri, gran ciambellano e principe di Benevento. Ma dietro i successi del Bonaparte il principe intravide le prime ombre: l’idillio iniziò a incrinarsi negli
Fiuto politico Talleyrand (sopra, a inizio Ottocento) agevolò l’ascesa di Napoleone diventando suo ministro degli Esteri. Quando iniziò a crescere il malcontento verso l’imperatore stabilì però alleanze con le monarchie. 47
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BESSO
Il congiurato persiano
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l persiano Besso (IV secolo a.C.) combatté al fianco di Dario contro Alessandro Magno a Gaugamela (331 a.C.). Dopo la sconfitta persiana, accompagnò il suo re in fuga. Ma poi, con altri congiurati, si rivoltò contro Dario e lo depose, lasciandolo agonizzante. Da qui, autopro-
clamatosi re di Persia, tentò di resistere all’avanzata di Alessandro, inutilmente: per evitare la repressione i suoi stessi uomini lo consegnarono ad Alessandro. A questo punto fu torturato e, a seconda delle fonti, crocifisso (foto), squartato o decapitato. (m. l.)
ELEONORA PIMENTEL
La giacobina di Napoli
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er i patrioti del Risorgimento fu una paladina della libertà. Per i Borbone, una traditrice. Nota come poetessa, Eleonora de Fonseca Pimentel (17521799) fu in contatto con intellettuali partenopei e maturò le sue idee riformatrici. Quando l’onda lunga della Rivoluzione francese arrivò a Napoli, rinunciò al titolo nobiliare e fu incarcerata con l’accusa di giacobinismo (1798). Liberata dai rivoluzionari, fu una delle menti della Repubblica, occupandosi della linea politica e dei giornali. Con la restaurazione fu impiccata (senza mutande in segno di sfregio). (a. c.)
TRADITORI DELLO STATO Regista del Congresso Talleyrand capo della delegazione francese al Congresso di Vienna (9 giugno 1815). Al termine si decise di restaurare sul trono le dinastie spodestate da Napoleone.
Spesso vide più lontano di
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VIDKUN QUISLING
Il collaborazionista-modello
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el 1940 il militare e ministro norvegese Vidkun Quisling (sopra, con Hitler) attuò un colpo di Stato in Norvegia. Preso il potere revocò l’ordine di mobilitazione, impedendo all’esercito di opporsi all’avanzata delle
truppe hitleriane. Il re e il governo furono costretti all’esilio a Londra e nacque un governo fantoccio dei tedeschi, in nome dei quali Quisling guidò la repressione. Nel 1945 fu arrestato, processato e fucilato. (a. c.)
anni delle campagne militari in Europa (1804). Non solo perché Talleyrand, “animale da salotto”, si vide costretto a seguire l’imperatore da un fronte all’altro, ma anche perché la Francia era ormai prostrata dalla politica di conquiste. «Il malcontento montava e in molte province francesi serpeggiavano ribellioni», spiega Martucci. «Chi non si dava alla macchia, per evitare l’arruolamento arrivava a tagliarsi l’indice della mano destra (usato per sparare). In ogni caso, la vita per chi stava a casa era durissima. Mentre i soldati combattevano al fronte, la crisi economica dissanguava la Francia». Nuovo tradimento. Quanto avrebbe potuto reggere il Paese in quelle condizioni? Poco, secondo Talleyrand. «Circolava addirittura l’immagine di un Napoleone-orco che mangiava i bambini, ovvero i soldati, ridotti a carne da cannone», aggiunge lo storico. Il principe di Benevento cercò nuove alleanze, iniziando a stabilire contatti con lo zar Alessandro I di Russia. Immediatamente nelle corti europee circolò una
MO NA RC HI CO Giuliana Rotondi
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gresso di Vienna, il 9 giugno 1815. «Vi si stabiliva il “principio di legittimità”», spiega Martucci. «Ogni regno europeo doveva vedere restaurata sul trono la dinastia spodestata. Tutto ciò che era stato frutto di atti di forza napoleonici (ai quali il diplomatico aveva collaborato, ndr) fu cancellato con la firma dello stesso Talleyrand. Il quale, approfittando delle divisioni tra le potenze, riuscì a limitare le ritorsioni contro la Francia, influenzando l’assetto dell’Europa». Fu il penultimo colpo da maestro. L’ultimo lo compì nel 1830 (a 76 anni): sotto Luigi Filippo, accettò l’incarico di ambasciatore a Londra. Era il diplomatico più navigato del continente e riuscì a ottenere l’indipendenza del Belgio, che il Congresso di Vienna – contro il suo parere – aveva annesso all’Olanda. Il “camaleonte”, prima di morire (1838), lasciava così in eredità all’Europa la sua futura capitale: Bruxelles. •
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voce: Talleyrand era pronto a saltare il fosso. In effetti, nel 1807 lasciò il posto agli Esteri e due anni dopo il suo gioco apparve chiaro: si fece vedere confabulare in un salotto parigino con il ministro della Polizia Fouché, il secondo uomo più potente di Francia. La notizia, acquisendo le tinte di una cospirazione, giunse all’orecchio dell’imperatore, la cui ira fu incontenibile: “Ma quali sono i vostri progetti? Che cosa vi attendete, osate dirlo!”, gridò. E poiché Talleyrand non rispose lo redarguì come sappiamo: “Ah, lo so, voi siete una merda in calze di seta!”. Il principe perse anche il posto di ciambellano. Ma il “dopo Bonaparte” era solo questione di tempo. Giravolta. Alla caduta dell’impero (1814), il principe era ormai defilato, ma ancora abbastanza influente da essere eletto dal senato capo del governo provvisorio. E quando Luigi XVIII si reinsediò sul trono dopo la definita sconfitta di Napoleone a Waterloo, Talleyrand tornò ministro degli Esteri. In veste di capo della delegazione francese firmò l’atto conclusivo del Con-
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tanti politici suoi contemporanei
Restauratore Quando l’impero napoleonico cadde, Talleyrand (sopra, in un ritratto di quegli anni) si era già rifatto una verginità. Poté così recarsi al Congresso di Vienna come colui che faceva valere il “principio di legittimità”, secondo cui ogni regno doveva restaurare la dinastia legittima. 49
MASSIMA PENA N
on c’è peggiore colpa che tradire. Lo dimostrano le punizioni riservate ai traditori, che hanno origini remotissime. Al tradimento, reato considerato tra i più infamanti, sono state riservate in ogni epoca pene crudeli ed esemplari che servissero da monito a tutti. Il tradimento infatti può costare molto caro a uno Stato o a una comunità. Per questa ragione ogni civiltà ha riservato a chi lo commette le punizioni peggiori, prima fra tutte la morte, data nei modi più diversi (v. sotto). Già nell’antico Egitto esisteva il reato di “alleanza con il nemico” che costava la vita, così come ad Atene. Nella Grecia del V secolo a.C. chi non rispettava i valori della democrazia era invece punito con l’ostracismo, l’esilio decennale. Anche per gli adulteri le pene erano dure: nell’antica Grecia le donne che si macchiavano di questo reato venivano umiliate con la violenza anale praticata con ortaggi mentre i loro amanti rischiavano di essere uccisi. Difendere lo Stato. Neppure i Romani erano teneri con i voltagabbana: per piccoli tradimenti i condannati venivano solo torturati, ma per tutti gli altri c’era la morte. I traditori della res publica dovevano essere gettati vivi dalla Rupe Tarpea, oppure incorrevano nella decapitazione o nella pena dell’arbor infelix (v. sotto). Una
Le pene per i traditori sono sempre state esemplari, per scoraggiare gli emulatori
delle punizioni più frequenti nell’Urbe era però la fustigazione a morte, riservata ai figli venuti meno ai princìpi della civitas. Le vestali che tradivano la castità invece, chiuse in un antro, morivano di inedia. Condanne splatter. In epoca medioevale subentrarono forme nuove di tradimento (per esempio la rottura del contratto feudale tra vassallo e signore) e furono inasprite le pene per i delitti contro i sovrani. Una delle più temute era sicuramente lo squartamento, pratica che assumeva tinte horror nella versione inglese hanged, drawn and quartered (“impiccato, tira-
to e squartato”). Il colpevole, dopo esser stato trascinato da un cavallo, veniva sospeso per il collo, evirato ed eviscerato vivo. Prima che perdesse i sensi, veniva decapitato e il suo corpo era diviso in quattro parti. I sospettati di tradimento invece venivano appesi a testa in giù (pena che ispirò la carta dei tarocchi dell’appeso), issati e strattonati finché non confessavano. Le adultere nel XIV-XVII secolo furono prese di mira anche in Cina: venivano cavati loro gli occhi o gettate in pasto alle tigri assieme agli amanti. E persino le vittime di stupro meritavano questa condanna. Mentre i traditori (o giudicati tali dai tribunali speciali) della Francia rivoluzionaria, nel XVIII secolo, finivano ghigliottinati: una morte tutto sommato più rapida rispetto a quelle più antiche. Progressi. In tempi moderni la condanna a morte per i traditori è stata sostituita da pene alternative. Ma ancora oggi alcuni Paesi, come l’Arabia Saudita, prevedono per i traditori della religione e per le adultere atroci supplizi come la lapidazione. Nel codice penale italiano fino al 1981 esisteva il delitto d’onore, reato meno grave perché serviva a preservare l’onorabilità del marito. E dal 1994 non esiste più la pena di morte per tradimento dello Stato, neppure nel codice penale militare. • Matteo Liberti
LE PUNIZIONI PIÙ CRUDELI
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er i traditori le punizioni sono sempre state terribili, crudelmente fantasiose e particolarmente umilianti, in modo da essere esempi dimostrativi per tutti, colpevoli e potenziali traditori. In tempo di guerra uccisioni esemplari erano le esecuzioni previste per i soldati che fuggivano e disertavano: venivano fucilati alle spalle (come accadde ai traditori del fascismo) in segno di disprezzo.
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LAPIDAZIONE
ALBERO INFELICE
Già usata nell’antichità sia in Medio Oriente sia in Europa, oggi è diffusa in Paesi islamici come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi. I condannati vengono seppelliti fino al busto nel terreno poi vengono presi a sassate da una piccola folla, lentamente martoriati fino al decesso.
Parente della crocifissione, questo rituale di morte era destinato ai traditori che si erano macchiati di reati contro Roma, i quali finivano i loro giorni legati a un albero e fustigati allo sfinimento, prima di essere abbandonati a loro stessi: morivano dopo una lunga agonia.
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PRIMO PIANO
UNA COLPA DA...
A pezzi: un vero martirio Nel Medioevo una delle punizioni per i traditori era lo squartamento: trascinato da un cavallo, il colpevole veniva evirato ed eviscerato vivo. Nel dipinto del ’400, il martirio di sant’Ippolito.
IMPICCAGIONE
GHIGLIOTTINA
SQUARTAMENTO
Ha attraversato tutte le epoche. Utilizzata spesso proprio per punire i reati di tradimento, un tempo era riservata soprattutto alle donne. La pena ricalca d’altro canto quella che Ulisse, ritornato a Itaca, riservò alle ancelle che gli erano state infedeli durante la sua assenza.
Perfezionata nel 1792, quando fu dotata di lama diagonale in sostituzione della precedente lama ad ascia. Nella prima versione fu a lungo utilizzata nei Paesi anglosassoni mentre in quella rinnovata conobbe il suo periodo d’oro nella Francia rivoluzionaria e negli anni del Terrore.
Forse la peggiore delle pene medioevali, le cui tracce si trovano peraltro nella storia romana del VII secolo a.C. Il supplizio conobbe vasto utilizzo in Europa, con molte varianti. In Inghilterra, per esempio, il condannato, prima di essere squartato, veniva impiccato e sbudellato. 51
LE PENE INFERNALI DI DANTE PER I TRADITORI A cura di Federica Ceccherini
TOLOMEA
PIÙ GIÙ DI COSÌ... Dante immagina i traditori nel posto più basso dell’Inferno, al centro della Terra. Cioè, per le credenze dell’epoca, nella parte più infima dell’universo. Per l’Alighieri il tradimento è infatti il peccato più degradante di tutti. E questi immondi peccatori, di cui parla dal XXXII al XXXIV canto, sono puniti nel Cocito, un lago ghiacciato sul quale spira perennemente un vento insopportabilmente gelido.
Nipote, o forse figlio del leggendario Artù. Tentò di uccidere il re per impossessarsi del regno. Seppur colto di sorpresa, Artù riuscì a difendersi e a ucciderlo, trafiggendolo con la spada. Abate vallombrosano giustiziato in piazza nel 1258 con l’accusa di tradimento per aver segretamente favorito il rientro dei ghibellini a Firenze.
ella prima zona del IX cerchio (rappresentato dal lago Cocito), immersi nel ghiaccio fino alla testa e con il viso rivolto verso il basso, sono puniti i traditori dei parenti. La zona si chiama Caina, da quel Caino che per primo commise un omicidio in famiglia, uccidendo il fratello Abele.
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FRATE ALBERIGO
Frate gaudente della famiglia dei Manfredi. Litigò con alcuni parenti e poi fingendo di volersi riappacificare con loro li invitò a pranzo. Ma prima che servissero la frutta, li fece assassinare.
TESAURO DEI BECCHERIA
VANNI DE’ CANCELLIERI
Guelfo di parte bianca, forse uccise uno zio o addirittura il padre (per questo si troverebbe nella Caina). Ma l’unico omicidio certo a lui attribuito è quello di Detto de’ Cancellieri della sua consorteria.
CAINA
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MORDRET
TOLOMEA
CAINA ANTENORA GIUDECCA
BUOSO DA DUERA
Signore di Soncino e poi di Cremona. Venne incaricato nel 1265 da Manfredi, re di Sicilia, di raccogliere milizie contro i francesi. Ma, in cambio di denaro, lo tradì lasciando libero il passaggio ai francesi verso Benevento.
CAINA
COCITO
NAPOLEONE E ALESSANDRO DEGLI ALBERTI
ANTENORA
NELLE FAUCI DI LUCIFERO Lucifero è il traditore per eccellenza e nel Cocito è dannato e carnefice allo stesso tempo. Con le sue tre bocche maciulla Giuda (al centro), Bruto e Cassio, traditori dei benefattori: Gesù e Cesare.
L
a seconda zona è riservata ai traditori della patria. Antenore, figura mitologica di principe troiano che secondo la tradizione medioevale fu un traditore della patria. Nell’Iliade invece Omero lo considera un saggio che chiede la restituzione di Elena al marito, per porre fine alla guerra. SCALA
GIUDECCA
Erano due fratelli, figli di Alberto degli Alberti, che si uccisero tra loro per questioni di eredità, divisa in maniera iniqua dal padre.
BOCCA DEGLI ABATI
ANTENORA
INFERNO
Guelfo (cioè filopapale) fiorentino, tradì nella Battaglia di Montaperti (1260) contro i senesi ghibellini (filoimperiali). Per la leggenda si avvicinò al portastendardo, Jacopo de’ Pazzi e gli tranciò la mano che reggeva l’insegna creando confusione nei cavalieri fiorentini che si sbandarono e persero la battaglia.
Conte ghibellino che tradì la sua parte accordandosi con il guelfo Giovanni Visconti, per difendere i propri possedimenti. Rinchiuso poi da Ruggieri dei Baldini nella Torre della Muda con figli e nipoti morì con loro di fame. La leggenda del “conte cannibale” fu creata da Dante con la frase “Poscia, più che ‘l dolor poté ‘l digiuno” (XXXIII, v. 75) che si presta a diverse interpretazioni. RUGGIERI DEI BALDINI
BRANCA D’ORIA
CAMICIONE DE’ PAZZI
Arcivescovo di Pisa, si intromise fingendosi amico dell’uno o dell’altro nella diatriba tra il conte Ugolino e Nino Visconti. Sconfisse entrambi e divenne podestà di Pisa. Imprigionò Ugolino con l’inganno.
UN GELO INFERNALE Quando si dice “inferno” si pensa a un caldo terribile. Nella Commedia invece il posto peggiore dell’Inferno (IX cerchio), dove Dante punisce i traditori, è freddissimo. È un lago ghiacciato, il Cocito, talmente compatto che se ci cadesse dentro una montagna non scricchiolerebbe nemmeno. Sul quale spira un vento gelido dovuto allo sbattere di ali di Lucifero (il traditore di Dio). I dannati sono conficcati nel lago, così Dante inciampa nelle teste che affiorano (sotto).
Della famiglia dei Pazzi di Valdarno, uccise a tradimento un parente, Ubertino de’ Pazzi, per avere tutte per sé alcune fortezze che avevano in comune.
Genovese ghibellino invitò il suocero, Michele Zanche, a un banchetto e poi con l’aiuto di un nipote lo uccise a tradimento.
TEBALDELLO ZAMBRASI
Ghibellino, aprì le porte della sua città, Faenza, nel 1280 ai bolognesi della famiglia dei Geremei, guelfi, pare per vendicarsi di una burla fattagli dai ghibellini. SASSOLO MASCHERONI
GANO DI MAGANZA
Poco si sa di lui. Non ci sono documenti in grado di confermare gli omicidi (forse i figli, o lo zio, o i nipoti) che gli assegnano i commentatori antichi per giustificare la sua presenza qui. Personaggio del ciclo carolingio. Era il patrigno di Orlando, che tradì la patria accordandosi con i Saraceni e provocando la sconfitta dei Franchi a Roncisvalle.
GIANNI DE’ SOLDANIERI
TOLOMEA
N
ella terza zona del Cocito si trovano i traditori degli ospiti. Tolomeo, governatore di Gerico, uccise il suocero Simone Maccabeo e i suoi figli dopo averli invitati a un banchetto. Oppure Dante pensa a quel Tolomeo re d’Egitto che uccise Pompeo rifugiatosi presso di lui.
Fiorentino di parte ghibellina che, dopo la morte di re Manfredi e la sconfitta di Benevento (1266), passò ai guelfi, durante le sommosse popolari avvenute nel periodo della podestà dei frati Catalano e Loderingo.
GIUDECCA
Q
ui stanno i peggiori di tutti, i traditori dei benefattori (Giudecca da Giuda). Immersi interamente nel ghiaccio in varie posizioni (in su, in giù, sdraiati, piegati in due) traspaiono come pagliuzze sottovetro. I dannati sono pietrificati e muti e nessun nome viene indicato dal poeta. 53
INFOGRAFICA: VITTORIO SACCHI
UGOLINO DELLA GHERARDESCA
LEEMAGE/MONDADORI PORTFOLIO
Chi tradisce la fiducia di parenti, amici, compagni di partito e benefattori merita per l’Alighieri un “posto d’onore”. Nel punto più profondo e più freddo degli Inferi.
PRIMO PIANO SCALA
Alto tradimento L’esecuzione di Cesare Battisti da parte degli austroungarici nel 1916 a Fossa della Cervara di Trento, in un dipinto di Augusto Colombo (1902-1969). L’irredentista italiano chiese di essere fucilato, in quanto ufficiale, ma venne impiccato. 54
Cesare Battisti per noi è un eroe. Ma per gli austriaci era solo un rinnegato: un deputato austroungarico che nel 1915 si arruolò nell’esercito italiano TRADITORI O NO?
In guerra dalla parte
SBAGLIATA C
menti che alla fine lo “convertirono” al socialismo. Dopo gli studi a Torino, Graz e Firenze, dove si laureò in Lettere e Scienze sociali, rifiutando però la cattedra universitaria, preferì tornare a Trento. Qui aveva fondato alcuni giornali, fra cui Il Popolo, per il quale scriverà anche il giovane (e ancora socialista) Mussolini. Il salotto di casa Battisti accolse presto gli intellettuali irredentisti. Gli irredentisti italiani miravano ad annettere il Trentino all’Italia, sottraendolo al dominio austriaco. Già durante la Terza guerra d’indipendenza del 1866 Garibaldi e il suo esercito, schierati a difesa del lago di Garda penetrarono in Trentino, ma furono fermati a Bezzecca da re Vittorio Emanuele II, al quale il
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on quelli di Mazzini e Garibaldi, il nome di Cesare Battisti è uno dei più utilizzati in vie e piazze d’Italia. Segno che è un eroe a tutti gli effetti. A quasi un secolo di distanza dalla sua esecuzione capitale, avvenuta il 12 luglio 1916, quando aveva 41 anni, Battisti mantiene però i contorni del traditore nell’Austria che lo impiccò. Ma come divenne un martire (o un rinnegato, a seconda dei punti di vista)? La giovinezza. Nato a Trento nel 1875 da una famiglia benestante e cattolica, da ragazzo rimase colpito da alcuni episodi di sopraffazione del potere austroungarico nei confronti della popolazione italiana (e non solo), coltivando senti-
L’ultima battaglia Battisti a Vallarsa (Tn), mentre con altri alpini prepara l’occupazione del Monte Corno, sul massiccio del Pasubio. Durante questa azione, nel luglio 1916, fu catturato e poi giustiziato dagli austroungarici. 55
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Insultato e irriso Dopo la cattura, Battisti fu portato su un carretto per le vie di Trento mentre i militari lo insultavano. Per gli austriaci era un disertore.
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I giovani trentini erano costretti a frequentare l’università austriaca e Battisti, come consigliere comunale, si batté per aprire un ateneo italiano generale rispose con il famoso “Obbedisco”. L’Italia unita nacque così senza il Trentino. L’irredentismo trentino non si diede per vinto: nel 1872 fu fondata la Società Alpina, che dopo essere stata sciolta, si ripresentò con il nome di Società Alpinisti Tridentini. Che cosa c’entravano gli alpinisti? Lo scopo dell’associazione era contrastare il tentativo nazionalistico delle analoghe società alpine di lingua tedesca. Ben presto si passò alla politica vera e propria. Nel 1885 la società Pro Patria (fondata a Rovereto, sciolta dalla polizia e rinata col nome di Lega Nazionale) aprì scuole, asili e biblioteche italiane per contrastare la penetrazione pangermanica nelle zone a doppia identità linguistica. La richiesta di autonomia del territorio trentino divenne uno dei temi cardini dei deputa-
Al lavoro L’irredentista alla scrivania nella redazione del giornale da lui stesso fondato, Il Popolo, prima di diventare deputato al parlamento di Vienna. Sopra, Battisti mentre esce dal tribunale dopo la condanna a morte (1916). DE AGOSTINI/GETTY IMAGES
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ti trentini eletti alla Dieta di Innsbruck (il “parlamentino” regionale tirolese) e al Parlamento di Vienna. E Battisti? Da consigliere comunale di Trento aveva affrontato a testa bassa una serie di problemi, quali le tasse troppo elevate, la scarsa qualità delle farine importate, la pellagra indotta dalla cattiva alimentazione, che faceva strage nel Trentino dell’epoca, ma anche la lotta per la creazione di un’università italiana, che dopo il 1866, perduti i contatti con Padova, non esisteva più, con la gioventù trentina costretta – come aveva dovuto fare anche lui – a spostarsi a Graz (in Austria). In una delle manifestazioni studentesche a Innsbruck subì una violenta carica della polizia, ma anche della popolazione di lingua tedesca, inferocita contro gli studenti trentini. Disertore? Nel decennio precedente la Prima guerra mondiale, però, la questione dell’autonomia non venne più avanzata dai deputati trentini. Ma il fuoco covava sotto la cenere. E con la Grande guerra l’occasione tanto attesa da Battisti e dagli altri irredentisti sembrò riproporsi. Allo scoppio del conflitto Battisti scalpitava: voleva che l’Italia entrasse nel conflitto per risolvere con la forza la questione trentina e annettere a Roma il territorio sotto il dominio austroungarico. Fra l’ottobre del 1914 e il maggio del 1915 Battisti tenne ben 78 comizi in giro per l’Italia, arrivando fino in Sardegna per sostenere l’entrata in guerra. E quando ciò accade, il 24
BRUTO
CIRO MENOTTI
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Patrioti per noi, banditi per loro
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ome tutti i ribelli, i dissidenti politici e i combattenti del Risorgimento, prima dell’Unità d’Italia, erano “banditi” o “terroristi”. E così apparivano nei giornali e nei discorsi dei governanti dell’epoca. È il caso di personaggi come Ciro Menotti (17981831), affiliato alla Carboneria che animò i moti popolari di Modena del 1830-31 contro gli austriaci.
Pompeo. Ma poi si era riconciliato con il dittatore e questi lo aveva favorito. Tuttavia, nelle fonti antiche, l’etichetta di traditore si alterna a quella di salvatore della patria: lui e i congiurati, ribellandosi al progetto assolutista di Cesare, volevano difendere le tradizioni repubblicane. Dagli storici più fedeli agli antichi valori dell’Urbe, infatti, fu considerato un eroe. (a. c.)
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ella storiografia e nella letteratura Marco Giunio Bruto (85-42 a.C.) è il simbolo romano del tradimento. Ordì lui la congiura che portò all’assassinio di Giulio Cesare nel 44 a.C., suo padrino politico, al punto da essere definito “figlio” da Cesare morente (“Tu quoque Brute fili mi”). Valori antichi. Bruto si era già schierato contro Cesare, combattendo al fianco di
Fallì (sotto, l’arresto), ma entrò nel pantheon degli eroi rivoluzionari della patria italiana. Resistenti. Analogamente, gli ex borbonici che dopo il 1861 si ribellarono alle nuove autorità italiane furono classificati quali “briganti”. Stessa sorte per i partigiani del 1943-45 che furono considerati “banditi” dai nazifascisti. (a. c.)
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Bruto difensore della repubblica?
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VITTIME O TRADITORI?
I ROSENBERG
GUY FAWKES
Comunisti sulla lista nera
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ssere ebrei e comunisti nell’America degli Anni ’50 significava essere immediatamente sospettati di spionaggio. Successe a Julius Rosenberg (1918-1953) ed Ethel Greenglass (19151953), sposati e figli di immigrati ebrei a New York. In piena Guerra fredda i coniugi Rosenberg divennero il simbolo del maccartismo, la campagna anticomunista del
senatore Joseph McCarthy. Il processo. Accusati di essere spie sovietiche, dopo un processo che divise l’opinione pubblica finirono sulla sedia elettrica nel 1953. Anche se Julius pare avesse avuto effettivamente contatti con lo spionaggio sovietico, i due furono dipinti come martiri, vittime del maccartismo, e furono difesi da intellettuali di tutto il mondo. (a. c.)
L’ispiratore di Anonymous
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l suo volto stilizzato è finito sulle maschere simbolo del movimento Anonymous (foto). E la figura storica dell’inglese Guy Fawkes (15701606) si può considerare capostipite di tutti i ribelli o quelli considerati tali da chi difende lo status quo. Bombarolo. Fawkes era cattolico e nel 1605 progettò di assassinare il re d’Inghilterra, Giacomo I (protestante).
Era la cosiddetta “congiura delle polveri “ che prevedeva di far saltare in aria la Camera dei Lord, grazie a una galleria scavata sotto la Camera e riempita di polvere da sparo. L’esplosione doveva avvenire durante la cerimonia di avvio delle sedute da parte del re. La congiura fu scoperta e Fawkes giustiziato come traditore, mentre per i cattolici divenne un martire. (a. c.) 57
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Divenne deputato del parlamento viennese perché voleva combattere gli austriaci politicamente e dall’interno. Ma poi si arruolò nell’esercito italiano
Padri della patria Battisti e Guglielmo Oberdan in una cartolina del ’900. Il triestino irredentista Oberdan fu giustiziato dalle autorità austriache nel 1882, anche lui per alto tradimento.
maggio 1915, indossò la divisa italiana invece di quella austroungarica. Per Vienna, era diserzione: un deputato imperial-regio non poteva certo combattere con gli italiani. Battisti fu assegnato, con altri irredentisti, alla 50ª Compagnia del battaglione Edolo, del 5° Reggimento Alpini dislocato nella zona del Passo del Tonale. Il tenente Battisti, nel luglio del 1916, ricevette dai comandi italiani l’ordine di conquistare il monte Corno. Battisti conosceva a menadito quelle valli, che aveva percorso in lungo e in largo per compilare le guide alpinistiche del Trentino. Venne però sopraffatto dagli austriaci: molti suoi uomini caddero in battaglia, altri vennero fatti prigionieri, fra i quali il sottotenente Fabio Filzi (altro nome ricorrente nelle vie e piazze italiane) e lo stesso Battisti. Messo alla gogna. La mattina dell’11 luglio 1916 il “traditore” Battisti venne sottoposto a una vera e propria via crucis. Fu caricato su una carretta e condotto attraverso Trento dove, in una città semideserta, le milizie austriache lo coprirono di insulti, sputi, lanci di polvere e zolfo. Quando chiese da bere gli fu data dell’acqua sporca, mentre gli organi di stampa si affrettavano a definirlo “traditore”, “bancarottiere”, “truffatore”, “vigliacco” e naturalmente “disertore”. Il processo per direttissima, celebrato a velocità inaudita, non prevedeva alcuna forma di garanzia per l’imputato. A Battisti fu negata persino la semplice difesa d’ufficio. Durante la breve udienza-farsa Battisti si considerò quel che era: un soldato italiano catturato in un’azione di guerra, un patriota. L’accusa si accanì invece nel definirlo un traditore: “un deputato austriaco, passato a combattere fra le file del nemico”. “Posso essere fucilato?” La condanna a morte prevedeva l’impiccagione. Battisti chiese, inutilmente, la fucilazione, che gli spettava essendo ufficiale di un esercito regolare. L’esecuzione avvenne nella Fossa della Cervara di Trento, sul retro del Castello del Buonconsiglio.
Una figura che divide ancora
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quasi un secolo dalla sua esecuzione capitale, Cesare Battisti continua ad alimentare la polemica fra gli storici al di là e al di qua delle Alpi. Eroe (per gli italiani) o traditore (per gli austriaci)? Punti di vista. Gli storici austriaci non hanno mai fatto
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segreto di considerare Battisti un rinnegato. Tanto più che, in punta di diritto, il nostro patriota era a tutti gli effetti suddito e deputato austriaco. Nell’era di Internet il dibattito si è acceso anche sui social network e ha recentemente portato il consigliere del par-
tito autonomista trentino, Lorenzo Baratter, a definirlo “un disertore”. A lui Baratter contrappone, elogiandolo, Bruno Franceschini, considerato un “rinnegato” nella storiografia italiana: un ufficiale dell’esercito austriaco originario della Val di Non, comandante della
pattuglia che catturò Battisti sul Monte Corno. Quanto alla storiografia, ancora nel 1967 uscì un saggio di Claus Gatterer, dall’eloquente titolo Cesare Battisti: ritratto di un “alto” traditore (poi pubblicato anche dall’editore La Nuova Italia nel 1975).
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Doppia esecuzione L’esecuzione di Battisti nel 1916. Al primo tentativo di impiccagione la corda si spezzò e il boia dovette ripetere l’operazione una seconda volta.
Prima di essere impiccati Battisti e Filzi furono privati delle divise e rivestiti con abiti sporchi e stracciati; fu loro impedito di lavarsi e di radersi. Le autorità avevano addirittura cercato un costume da pagliaccio da circo per poi farlo indossare a Cesare Battisti, ma non riuscirono a procurarselo in tempo utile. Le cronache riportano che la corda si spezzò e che il carnefice dovette ripetere l’operazione, ma un testimone racconterà poi come fossero andate realmente le cose. Il boia, Josef Lang, arrivato da Vienna all’inizio del processo (la condanna era già stabilita), usò dapprima una corda sfilacciata, che dopo qualche istante cedette sotto il peso del condannato. A quel punto Lang usò la corda buona che aveva pronta nella valigia e questa volta, tutto “filò liscio”. Illegale. In punta di diritto, l’impiccagione di Cesare Battisti fu illegale per più motivi. In primo luogo, si trattava di un deputato coperto da immunità parlamentare. In secondo luogo, c’era la questione della corda rotta durante il primo tentativo. L’uso della corda sfilacciata fu forse un’iniziativa autonoma del boia? No. È più probabile che si trattasse di un’intenzionale doppia esecuzione, che tuttavia era illegale dal momento che, secondo la legge austroungarica, la con-
danna era da considerarsi già eseguita la prima volta, per quanto fosse avvenuta senza successo e non poteva essere ripetuta. Ma trattandosi di alto tradimento, con l’intento di dare una lezione agli irredentisti gli austroungarici fecero ripetere l’esecuzione, condannando Battisti a un doppio supplizio, in spregio alle loro stesse leggi. Eppure non era finita: il boia, i suoi aiutanti e i militari furono fotografati dai giornali mentre esibivano Battisti morto, come un trofeo. Inutile lezione. I corpi di Battisti e Filzi furono gettati in una fossa comune, ulteriore segno di disprezzo. La crudeltà della moribonda monarchia asburgica contro Battisti doveva servire a intimidire la folta classe degli intellettuali italiani che si consideravano irredenti e tutti quelli che si opponevano alle politiche repressive dell’impero asburgico, che aspirava a germanizzare il Trentino. Due anni dopo, il Trentino sarebbe passato all’Italia. Nel frattempo, alla vedova di Cesare Battisti la compagnia assicuratrice Ras aveva versato la somma di 10mila lire dell’epoca (circa 25mila euro di oggi), come prevedeva la clausola della polizza assicurativa sulla vita sottoscritta da Battisti prima di arruolarsi nell’esercito italiano. •
L’ultima infamia Lo scempio fatto dagli austriaci del cadavere di Battisti, esibito come trofeo, denunciato da un giornale italiano.
Pino Casamassima 59
PRIMO PIANO
La prussiana Caterina sposò l’erede al trono di Russia, Pietro. Scontenta della vita coniugale, si circondò di amanti e con uno di questi complottò contro il consorte, prendendone il posto sul trono TRADITORI PER PASSIONE
LA ZARINA 60
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Incoronata L’imperatrice Caterina la Grande, che regnò sulla Russia dal 1762 alla morte, avvenuta nel 1796. A destra, ricostruzione d’epoca dell’assassinio dell’imperatore Pietro III, spodestato dalla moglie Caterina e poi fatto uccidere.
E
ra un ubriacone, un violento e un fedifrago. Ma era anche il legittimo erede al trono di Russia. E finì male per colpa della moglie, che non era nemmeno russa. Pietro III era il nipote della zarina Elisabetta, figlia di Pietro il Grande, mentre la moglie era tedesca. Nata in Pomerania (oggi in Polonia) nel 1729 come Sofia di Anhalt-Zerbst, è passata alla Storia come Caterina II di Russia. Ma soltanto dopo che, con un colpo di mano, riuscì a spodestare il marito prendendone il posto sul trono. Caratteri difficili. Caterina era gunta in Russia quando era una ragazzina di 15 anni, comepromessa sposa di quel Pietro che ebbe la fortuna di essere nominato unico erede e successore di Elisabetta. Il matrimonio era stato combinato dalla zarina stessa, ma non funzionò mai.
Per anni, Caterina visse all’ombra di quel marito sfacciatamente viziato e vizioso, dalle brutte maniere, che la trattava male in privato e in pubblico, che amava donne deformi e sbandierava senza ritegno le sue relazioni extraconiugali. Ma quanto a infedeltà, anche Caterina era una campionessa. I coniugi avevano un solo figlio, Paolo, che del resto non era figlio di Pietro. “Che carnagione scura!”, dissero maliziosamente a corte non appena videro il bebè, consapevoli del fatto che la pelle dei genitori era bianca come il latte. Tutti sapevano infatti che Paolo era figlio del primo amante della principessa, il bruno ciambellano Sergej Saltykov. Per questo Pietro avrebbe voluto disconoscere il figlio, ripudiare la moglie e sposare la sua favorita, Elisabetta Vonvorc (sfregiata dal vaiolo).
DI CUORI
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Caterina, a soli 33 anni, si ritrovò alla testa di uno degli
Impero breve Pietro III (1728-1762), erede al trono di Russia, fu zar per soli 6 mesi. Si fece odiare per il suo pessimo carattere e per la sua politica ostile alla Chiesa ortodossa.
EVita di coppia. L’occasione si presentò nel 1762, quando Caterina era nuovamente incinta. E anche questa volta non del marito. La gravidanza era frutto della relazione con l’ufficiale di artiglieria Grigorij Orlov, suo amante e confidente. Quale migliore occasione per Pietro per ripudiare la moglie fedifraga e farla finalmente arrestare. Il futuro sovrano però aveva fatto i conti senza l’oste. La zarina in quegli anni era andata ben oltre l’infedeltà coniugale e aveva cospirato niente meno che per spodestarlo. Nei primi anni a corte, i più bui per Caterina, mentre il marito si dedicava a donne e alcol, lei aveva letto e studiato, passando la maggior parte della sua giornata sui libri di filosofi come Voltaire, Montesquieu, Diderot, apprendendo da loro le regole della buona amministrazione dello Stato che in seguito le sarebbero tornate utili, anche se ancora forse non lo sapeva. Soltanto dopo qualche tempo, infatti, aveva conosciuto Orlov, con il quale cominciò a pianificare di spodestare il marito alla morte di Elisabetta.
VITTORIO EMANUELE II
TRADITORI PER PASSIONE
Altro che galantuomo...
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utti lo conoscono come “re galantuomo” e padre della patria, ma il primo re d’Italia fu chiamato così anche in senso ironico. Vittorio Emanuele II (1820-1878), sposato a Maria Adelaide d’AsburgoToscana per ragion di Stato, ebbe infatti tante amanti da “seminare” figli un po’ ovunque. Seguendone le tracce si ricostruiscono i tradimenti del sovrano. La donna più importante, e più amata, fu Rosa Vercellana, la Bela Rosin (con lui nella foto), che il sovrano conobbe a Racconigi quando lei aveva 14 anni e lui 27: figlia del suo tamburmaggiore, Rosa gli fu vicina per più di 30 anni, senza mai fare scenate nonostante i tradimenti, e gli diede due figli, 62
Vittoria ed Emanuele. Più incline alla gelosia l’attrice Laura Bon. Da lei ebbe una figlia, Emanuela, ma a causa del suo temperamento l’attrice fu cacciata da Torino. Figli di re. Non importava che le amanti fossero contadine, aristocratiche o borghesi. Sembra che Vittorio Emanuele II abbia avuto una bimba dalla baronessa di Duplessis, un maschio da una maestrina di Frabosa (Cuneo) e due figli da Virginia Rho. Questi gli eredi illegittimi passati alla Storia. Ma il Savoia era un instancabile viveur, quindi la lista potrebbe essere più lunga. Quanto all’augusta consorte, a lei il re avrebbe preferito persino la sorella. (i. m.)
Caterina, oltre alla cultura, in quegli anni aveva saputo coltivare le giuste amicizie, quelle che contavano, ed era riuscita anche a ingraziarsi da una parte il popolo di San Pietroburgo e dall’altra il clero, osservando con puntualità i cerimoniali religiosi, soprattutto alla morte della zia Elisabetta, avvenuta nel gennaio del 1762. La popolarità di Pietro, invece, era in netta discesa avendo preannunciato piani di riforma che toccavano l’esercito e la chiesa ortodossa. Con i suoi modi brutali poi si era fatto molti nemici anche a corte. E fu odiato sempre di più nel periodo del suo breve regno (circa 6 mesi) durante il quale successe quello che lui non aveva calcolato. Amanti e cospiratori. La mente del complotto fu Caterina e Orlov, insieme ai suoi fratelli anch’essi ufficiali, ne fu il braccio armato. Orlov si era assicurato il sostegno delle truppe, giocando sull’insoddisfazione dei soldati nei confronti di Pietro e, con promesse e regalie, era riuscito a portare dalla sua parte anche i più restii. “In questa impresa tutto è stato concertato da lui”, scrisse in seguito Caterina. A qualche mese dal parto, avvenuto nella primavera del 1762, le voci di un possibile arresto di Caterina
ALBERT EINSTEIN
Il Nobel tombeur de femmes
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ochi oserebbero associare l’immagine scanzonata ma autorevole del fisico Albert Einstein (1879-1955) a quella di un fedifrago. Eppure la pubblicazione del suo archivio di lettere personali e le ricostruzioni dei biografi non lasciano spazio ai dubbi: il premio Nobel e padre della teoria della relatività tradì sistematicamente le sue compagne. Lettere galeotte. In una delle lettere il giovane Alfred scrisse, esprimendo una sua particolare visione del mondo: “La metà superiore progetta e pensa, mentre la metà inferiore determina il nostro destino”. La pratica coniugale del fisico sembra dimostrare che applicò questa massima.
Federica Ceccherini
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dersi. A quel punto Caterina con la sua scorta di ufficiali entrò nella cattedrale proclamandosi nuova imperatrice di Russia, con il nome di Caterina II e con la benedizione del metropolita di San Pietroburgo. Le campane suonarono a festa mentre il popolo salutava la sovrana che usciva dalla chiesa piena di incenso. Caterina si era presa quello che, secondo le leggi e il diritto di sangue, non le apparteneva. Eppure appariva come la salvatrice della nazione. Mission impossible. L’eco degli eventi di San Pietroburgo raggiunsero Pietro che non volle comunque recarsi nella capitale, cercando di gestire la difesa a distanza. Alle dieci di sera si rese conto che la sua astuta moglie lo aveva definitivamente spodestato e volle partire su una galera alla volta dell’isola fortificata di Kronstad. Non prima però di averla stivata di alcol e cibo. Anche il tentativo di mettersi in salvo tuttavia fallì e il 29 giugno Pietro si arrese agli ussari di Aleksej Orlov. Recluso nella residenza di Ropsa, morì il 17 luglio, ufficialmente in seguito a un litigio con una guardia. Subito si sospettò di Caterina e dei suoi fedeli servitori, gli Orlov. Nel frattempo Grigorij nominato conte e capo dell’esercito si godeva il suo momento di gloria. Ma non riuscì a garantirsi un posto eterno nel cuore della zarina, che dopo un decennio lo sostituì con Grigorij Potëmkin. •
Bugie e segreti Dall’alto, Grigorij Potëmkin (1739-1791), che la zarina sposò in gran segreto nel 1774, e Grigorij Orlov (17341783), amante e complice di Caterina nel complotto contro il marito Pietro III.
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si fecero sempre più insistenti. Il tempo era scaduto bisognava agire e in fretta. Così la mattina del 28 giugno 1762, di buon’ora, Orlov mandò il fratello Aleksej a prenderla nella sua residenza di Monte Plaisir. Lo zar Pietro III (non ancora incoronato ufficialmente) era a Peterhof e dopo una pigra mattinata che sembrava come tante altre ricevette una brutta notizia: Caterina era scomparsa. Si precipitò allora alla casa della moglie, la setacciò in lungo e largo, in preda a un’incontenibile ira. Cercò guardando dietro ogni arazzo e la chiamò in ogni stanza, ma di lei non vi era traccia. Entrata trionfale. Caterina infatti era partita molte ore prima ed era ormai quasi a San Pietroburgo, dove arrivò accompagnata dal reggimento Izmajlovskij (quello di Orlov). Ben presto altre guarnigioni si unirono alla processione, seguendo la carrozza della principessa per le strade della capitale, inneggiando alla Russia libera dall’odiato imperatore Pietro III. Le poche forze di polizia e dell’esercito rimaste fedeli all’imperatore non potevano più negare l’evidenza: i ribelli, diventati migliaia, erano troppi per poterli fermare. Ci sarebbe riuscita solo l’artiglieria, il cui comandante, il generale de Villebois, aveva però assicurato a Orlov che le armi pesanti avrebbero taciuto. Mentre Pietro era lontano, il governo, per gran parte formato da senatori a lui ostili, dovette arren-
FOTOTECA STORICA GILARDI
Stati più grandi, popolosi e arretrati del XVIII secolo
Einstein si sposò una prima volta nel 1903, con la serba Mileva Maric, anche lei scienziata. Come ha rivelato il libro Einstein in love, del divulgatore scientifico americano Dennis Overbye, Alfred scrisse ben 24 lettere alla sua amante (nonché cugina) di allora, Elsa. In esse descriveva Mileva, senza pietà, come “zoppa e brutta” e “bionda e bella” l’amata (con lui e la figlia Margot nella foto). Dopo il secondo matrimonio, però, continuò a tradire regolarmente anche la nuova moglie. E quando Elsa morì, scrisse, a proposito di quel lutto, di sentirsi “più a mio agio che in qualsiasi altro periodo della (a. c.) mia vita”. 63
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PRIMO PIANO
“Pronto. Sul retro del 263 di Prinsengracht ad Amsterdam si nascondono degli ebrei”. “Come lo sa?”. “Lo so”. “E lei chi è?”. “Nessuno”.
P Dopo oltre 70 anni l’inchiesta di due giornalisti olandesi rivela il nome di chi indicò ai nazisti il nascondiglio della ragazzina ebrea simbolo della Shoah PARENTI SERPENTI
ANNA FRANK
otrebbe essere stata questa la conversazione telefonica che il 4 agosto 1944 ha “condannato” Anna Frank, diventata simbolo della persecuzione antisemita. La soffiata arrivò all’ufficio di Julius Dettmann, ufficiale tedesco delle SS, che spedì immediatamente una squadra a perquisire la casa. Dietro a una libreria girevole, l’ingresso al nascondiglio in cui vivevano da due anni Otto Frank, la moglie Edith e le due figlie, Anna e Margot, tre membri della famiglia Val Pels e il dentista Fritz Pfeffer. Furono tutti arrestati e portati nel campo di transito di Westbord per poi essere trasferiti ad Auschwitz. All’internamento sopravvissero solo Otto Frank e il diario di Anna. Oggi quel “nessuno” potrebbe avere un nome. Secondo due giornalisti fiammin-
TRADITA! La sorella cattiva
Il 6 luglio 1942 la famiglia Frank entra in clandestinità. A loro si uniscono poi la famiglia Van Pels e il dentista Fritz Pfeffer. Per più di due anni vivono segregati in quello che Anna definì l’“alloggio segreto”. Ad aiutarli, alcuni dipendenti di Otto Frank. In questa foto di gruppo del 1935 ne compaiono due: Miep Gies (dietro, la prima a destra) e Bep Voskuijl (in primo piano). Sarebbe stata Nelly, sorella di quest’ultima, a fare la soffiata che denunciò la presenza di ebrei nella casa di Amsterdam.
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Quel sorriso rubato
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Un primo piano di Anna Frank nel 1941, prima che la sua famiglia scegliesse di nascondersi per sfuggire alle persecuzioni razziali: rimasero due anni in un alloggio segreto con l’ingresso dietro a una libreria girevole (nella pagina accanto, il padre Otto lo mostra nel dopoguerra).
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Uno dei giornalisti che ha denunciato, come traditrice di Anna Frank, Nelly Voskuijl è suo nipote
MAOMETTO II
Il sultano che eliminava i fratelli
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BRIDGEMAN/MONDADORI PORTFOLIO
in dall’antichità congiure e fratricidi sono stati all’ordine del giorno nelle corti di tutto il mondo. Il sultano ottomano Maometto II (sotto, 1432-1481) si distinse per avere emanato la “legge del fratricidio”, che legittimava l’eliminazione dei consanguinei (fratelli inclusi) con la scusa di prevenire le abituali guerre dinastiche. Strangolati. Da piccolo Maometto II fu allontanato dalla ca-
pitale Edirne per essere messo al riparo da possibili congiure di parenti: mossa voluta dal padre Murad II, che abdicò in suo favore nel 1444. Salito al trono, il giovane emanò la nuova legge capitale e prima vittima ne fu il fratellino Ahmed, ancora in fasce. Un secolo dopo, grazie alla stessa norma, il successore Maometto III (1566-1603) fece strangolare quasi una ventina di parenti. (m. l.)
SCALA
PARENTI SERPENTI
GALEAZZO CIANO veva sposato la figlia del duce, Edda Mussolini, e ne pagò il prezzo. Soprattutto dopo il 25 luglio 1943, quando Galeazzo Ciano (1903-1944) votò l’ordine del giorno che portò alla caduta del suocero. Da quel momento Mussolini, arrestato ma poi liberato dai tedeschi, lo mise in cima alla lista dei traditori. Alto tradimento. Dopo l’8 settembre Ciano fu “scaricato” dal nuovo governo Badoglio e con 66
la nascita della Repubblica sociale la sua situazione precipitò. Il genero del duce cercò protezione in Vaticano, poi fuggì in Germania. Ma erano i tedeschi a volerlo morto: il suo doppio tradimento (della famiglia e del partito) andava punito in modo esemplare. A Monaco di Baviera Ciano fu arrestato ed estradato in Italia. A Verona fu condannato per alto tradimento (foto) e fucilato l’11 gennaio 1944. (a. c.)
GE TT Y IM
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AGES
Il genero che voltò le spalle al duce
ghi, Jeroen de Bruyn e Joop Van Wijk, a tradi re fu infatti Nelly Voskuijl, una delle sorelle di quella Elizabeth (detta “Bep”, ma citata nel dia rio di Anna come Elli Vossen), dattilografa alle dipendenze di Otto, che collaborò ad alleviare ai Frank le difficoltà della vita clandestina. Dei suoi angeli custodi Anna scrisse: “Non potremo mai dimenticare che, se altri sono eroici in guerra e di fronte ai tedeschi, i nostri lo sono nel vigile affetto che mostrano per noi”. Secondo la tesi del libro (in olandese) recentemente pub blicato, Bep Voskuijl, Basta silenzio, Nelly co minciò di sua spontanea volontà a collaborare con la Gestapo dopo l’invasione tedesca. Fino a quella crudele delazione. Doppio tradimento. A dirla con Dante Alighie ri, Nelly è il prototipo della traditrice degli ospiti (nel suo caso, persone in fuga dalla furia nazi sta che nella sua famiglia avevano riposto la lo ro fiducia per avere salva la vita). Ma in que sta vicenda il tradimento è doppio. Uno de gli autori del libro, Joop van Wijk, è in fatti figlio di Bep e nipote di Nelly. E, più di 70 anni dopo, è andato a rimestare nei se greti di famiglia. Una sorta dunque – e qui chia miamo di nuovo in aiuto il Sommo poeta – di tradimento dei parenti. Davvero infatti la ven tunenne Nelly aveva tradito in nome di un’ideo
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logia? Nessuno dei protagonisti può rispondere: Nelly è morta nel 2001; Elizabeth nel maggio del 1983 all’età di 63 anni; Julius Dettmann, che aveva ricevuto la telefonata, si suicidò subito dopo la guerra. Nel febbraio del 1945, era morta la stessa Anna Frank, uccisa dalla tisi nel campo di Bergen-Belsen dove lei e la sorella erano state trasferite, dopo Auschwitz. Anna aveva 15 anni, Margot 19. A far finire Nelly sul banco degli imputati sono state le testimonianze di una terza sorella Voskuijl, Diny, e dell’ex fidanzato di Bep durante la guerra, Bertus Hulsman. Secondo i due, i litigi tra Nelly e Bep erano frequenti: la prima, che non aveva mai nascosto le sue simpatie per il nazismo, rinfacciava alla sorella di nascondere ebrei. A rinforzare la tesi, un particolare: la corrispondenza che si scambiarono Bep e Otto Frank nel dopoguerra fu distrutta alla morte di Bep, forse per nascondere le responsabilità della famiglia Voskuijl nell’arresto e nella deportazione di otto persone.
Nelly aveva anche un altro sassolino nella scarpa: era l’unica in famiglia a non aver ottenuto un posto fisso all’Opekta, l’azienda fondata da Otto Frank per la vendita di un composto per fare la marmellata in casa. Ci lavorava come capo magazziniere anche il padre Johannes: fu proprio lui a costruire la libreria che occultava l’ingresso dell’alloggio segreto. Nessuna via di fuga. I Frank erano arrivati ad Amsterdam dalla Germania nell’estate 1933: Otto aveva avuto la possibilità di avviare un’attività, imprenditore in fuga da una pesante crisi economica. Non solo: il 30 gennaio di quell’anno Adolf Hitler era diventato cancelliere del Reich e per gli ebrei si prospettavano tempi durissimi. In Olanda per la famiglia Frank fu l’inizio di una nuova vita. Che non durò a lungo: il 1° settembre 1939 la Germania occupò la Polonia facendo scoppiare la Seconda guerra mondiale. Nel maggio del ’40 toccò all’Olanda. “Venivano continuamente emanate leggi antisemitiche che limitavano gravemente la nostra li-
Quando eravamo felici Amsterdam, 16 luglio 1941. Anna a braccetto con il padre Otto, in occasione del matrimonio di Miep Gies, una delle benefattrici che protesse la famiglia nella clandestinità. Fu lei a trovare il diario di Anna nell’alloggio dopo l’arresto.
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GIORGIO PLANTAGENETO
Lotte fratricide sul trono inglese
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iorgio Plantageneto (14491478) fu uno dei protagonisti della Guerra delle due rose, lotta dinastica, con generoso spargimento di sangue parentale, che accompagnò la successione al trono di Edoardo III. Tragedie. Giorgio congiurò contro il fratello Edoardo IV, insediatosi sul trono inglese nel 1461. Questi lo fece però arrestare e rinchiudere nella Torre di Londra. Giorgio tentò una ricon-
ciliazione, ma fu giustiziato in segreto (secondo la leggenda, ripresa da Shakespeare, annegato in una vasca di vino, foto). Riccardo III (1452-1485), anch’egli fratello di Giorgio, scrisse un’altra pagina della saga dei traditori di parenti. Fece rinchiudere nella Torre di Londra e, si dice, uccidere i nipoti principini (Riccardo ed Edoardo, legittimo pretendente al trono), figli del defunto Edoardo IV. (m. l.)
PARENTI SERPENTI
PAVEL MOROZOV
Più fedele al partito che alla famiglia?
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ulla storicità del personaggio Pavel Morozov (1918-1932) è stato sollevato più di un dubbio. La vicenda è infatti nota soltanto da fonti della propaganda sovietica, che l’hanno tramandata come segue. Pavel era un giovane membro della gioventù comunista, un “pioniere”. Negli anni della campagna contro i piccoli proprietari terrieri, pericolosi controrivoluzionari secondo Stalin, Pavel denun68
ciò il padre e tutta la famiglia per aver sottratto il raccolto al partito. Famiglia allargata. Dopo quella denuncia, i genitori furono deportati e Pavel fu ucciso per vendetta dai nonni. Questa tragedia esemplare, esaltata da poesie e canzoni sovietiche, rispecchia il clima degli Anni ’30, nel quale tradire il partito era molto più grave e pericoloso che tradire i propri legami famigliari. (a. c.)
Fin dal 1947 si sono svolte diverse indagini ufficiali per scovare il traditore di Anna Frank. In nessuna sono emerse prove certe bertà”, scrisse Anna il 20 giugno 1942. “Gli ebrei devono portare la stella di David; gli ebrei devono consegnare le biciclette; gli ebrei non possono prendere il tram; gli ebrei non possono andare in auto, neanche di privati; gli ebrei possono fare la spesa solo tra le 15 e le 17; gli ebrei possono andare solo da parrucchieri ebrei; gli ebrei non possono uscire per strada dalle 20 alle 6 di mattina; gli ebrei non possono frequentare teatri, cinema e altri luoghi di divertimento”. Ed era solo l’inizio. Quando la figlia maggiore Margot fu convocata per essere arruolata in un campo di lavoro in Germania, la famiglia si rifugiò in un nascondiglio preparato da tempo. Da lì Anna osservò la vita passarle davanti “attraverso la fessura fra le tendine”: “Ieri ne ho visti due [ebrei] guardando fuori attraverso le cortine, e mi sembrava un miracolo; ebbi una sensazione strana, come se io avessi tradito quei poveretti e ora stessi spiando la loro disgrazia”, annotò il 13 dicembre 1942. Sotto inchiesta. Le indagini su chi fosse stato il traditore dei Frank scattarono fin dalla pubblicazione, nel 1947, del diario a cui Anna aveva iniziato ad affidare i suoi pensieri il 12 giugno 1942. L’indiziato principale era il magazziniere Willem van Maaren, di cui la stessa Anna scrisse: “Non ce ne importerebbe niente di quello che pensa il signor Van Maaren se non fosse una persona notoriamente poco affidabile e molto curiosa che non è facile prendere per il naso”. L’uomo fu indagato ufficialmente anche un’altra volta nel 1963, per le sue presunte responsabilità. Nessuna prova schiacciante, però. Tra i sospettati anche la donna delle pulizie in Prinsengracht 263, un conoscente dei Frank, Tonny Ahlers, noto per le sue simpatie per il nazionalsocialismo, e tale Marteen Kuiper, un uomo che aveva fatto delle soffiate sugli ebrei una professione ben pagata. Nel 2003 l’Istituto olandese per la documentazione di guerra ha riaperto il caso, svolto indagini. Ma ha concluso che “non è più possibile ricostruire lo svolgimento dei fatti”. Oggi si sono aggiunti nuovi particolari e quel “nessuno” potrebbe avere il nome di Nelly, “tradita” dal nipote investigatore. • Anita Rubini
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RIVISTA
aprile-giugno 2015
ANNO IX n°38
I VOLTAGABBANA Hanno tradito amici, famiglia, patria per i motivi più disparati. Ma chi erano e perché in tanti agirono così? Traditori Marcello Flores (il Mulino) Il libro ricostruisce la storia del tradimento “moderno”, che si afferma attorno alla metà del Settecento e si diffonde con le rivoluzioni americana e francese, quando si fece strada una nuova concezione, pragmatica, della politica. Da quegli anni fino alla Grande guerra, il libro offre un’affollata galleria di casi della storia mondiale. La grande Caterina Carolly Erickson (Oscar Mondadori) La biografia della controversa zarina delinea, con uno stile gradevole e leggero, la personalità e il ruolo storico avuto da Caterina di Russia. Come e perché tradì il marito, legittimo erede al trono, facendo in modo che al potere salisse il suo amante? E che conseguenze ebbe la sua scelta?
Cesare Battisti Stefano Biguzzi (Utet) La vita del patriota, giornalista e irredentista trentino che allo scoppio della Grande guerra combatté per la parte italiana. Catturato dai Welschtiroler Kaiserjäger, fu processato e impiccato per alto tradimento. Spiare e tradire Phillip Deery e Mario Del Pero (Feltrinelli) Alcuni tra i casi più celebri di spie della Guerra fredda. Il libro ne svela le motivazioni ideologiche e descrive le conseguenze delle azioni dei traditori, intrecciando le vicende individuali con la storia delle relazioni internazionali, dell’intelligence e con quella politico-culturale dei Paesi coinvolti. I supplizi capitali Eva Cantarella (Feltrinelli) L’autrice incrocia ogni tipo di fonte, dalla letteratura ai testi giuridici,
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PRIMO PIANO
saperne di più
La firma dell’armistizio fra governo Badoglio e Alleati, reso noto l’8 settembre del 1943: per i tedeschi, fu tradimento.
dalle pratiche religiose al semplice uso comune, riuscendo a delineare un quadro completo di quali fossero le motivazioni, le modalità e i limiti della pena di morte nella Grecia antica e a Roma. Autobiografia Giuseppe Flavio (Bur) La vita avventurosa e affascinante dello storico, politico e scrittore ebreo, divenuto poi cittadino romano, vissuto nel I secolo che ci tramandò con dovizia di particolari le guerre giudaicocristiane e la distruzione del tempio di Gerusalemme. Il tutto
narrato dal punto di vista di un ebreo che sceglie di passare dalla parte dei vincitori. Il tradimento Giulio Giorello (Longanesi) Il celebre filosofo ed epistemologo italiano compie una disanima sul tradimento dal punto di vista filosofico e letterario. Un saggio godibile, che spazia dai traditori che hanno fatto la Storia ai grandi miti del nostro immaginario. Nella letteratura, nei fumetti, nella Storia e non solo.
La Storia raccontata in queste pagine rivive anche in tv
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nche questo mese History HD, il canale di Sky interamente dedicato alla Storia, approfondisce il tema in primo piano su questo numero di Focus Storia. Lo fa con tre documentari che ci accompagnano nel mondo delle spie, quelle post-Guerra fredda e quelle della Seconda guerra mondiale. I NAZISTI DELLA CIA Durante la Guerra fredda, la Cia (nella foto, il simbolo dell’agenzia di spionaggio per l’estero degli Usa) reclutò ex
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nazisti e fascisti che avevano occupato cariche importanti nei regimi totalitari tedesco e italiano, come agenti per le loro operazioni. Scopriamo come l’agenzia “riciclò” gli antichi nemici (che a loro volta
tradirono le convinzioni politiche della loro gioventù). Giovedì 22 giugno, ore 22:00 ESSERE 007: CELLULE DORMIENTI Episodio della serie Essere 007. Il filmato fa parlare per la prima volta gli agenti dei servizi segreti britannici. Per scoprire come sono reclutate le spie di Sua Maestà, quali sono i compiti e che tecnologie usano per combattere i traditori dello Stato. Giovedì 23 luglio, ore 6:55 (replica sabato 25 luglio, ore 8:45)
ESSERE 007: LICENZA DI UCCIDERE? Tra i compiti degli agenti segreti c’è sempre stato quello di combattere i traditori. Questo documentario racconta che tecniche usano. E perché, per neutralizzarli, spesso arrivano a eliminarli fisicamente. Ma in alcuni casi le operazioni sotto copertura si sono anche trasformate in trappole mortali. Un documentario per saperne di più. Venerdì 24 luglio, ore 6:55 (replica sabato 25 luglio, ore 9:40)
I N O I Z O M E E L I V I WARS. RIV DELLE GRANDI . A I R O T S A L L E D BATTAGLIE
In questo numero tutte le battaglie combattute nel luogo più estremo e inospitale: il deserto. Dai persiani dispersi nel grande deserto egiziano fino alla missione “Desert Storm” in Iraq, passando per la lunga marcia di Alessandro Magno e la sconfitta di Rommel a El Alamein. In più: i reparti di eccellenza prussiani, reportage fotografici dal Vietnam, le uniformi del periodo napoleonico.
WARS. LA STORIA IN PRIMA LINEA Disponibile anche in versione digitale su:
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una foto un fatto
GEMINI 4 3 GIUGNO 1965
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Ventitré minuti di gloria Celebrato come eroe per la prima attività extraveicolare Usa nello spazio, Edward White morì poi nella missione Apollo 1.
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A passeggio oltre le nuvole L’astronauta Edward White compie la prima passeggiata spaziale statunitense, nell’ambito della missione Gemini 4. L’attività extraveicolare durò 23 minuti. Oltre due mesi prima White era stato preceduto dal sovietico Aleksej Leonov.
ancò per appena 11 settimane il record di primo uomo a “passeggiare” nello spazio. Il 18 marzo 1965, infatti, il cosmonauta sovietico Aleksej Leonov era uscito dalla capsula della missione Voschod 2, rimanendo sospeso per una ventina di minuti, in orbita a oltre 400 km al di sopra della Terra. L’impresa di Edward White, compiuta nell’ambito della missione della Nasa Gemini 4, fu comunque considerata un grande successo nella corsa allo spazio. Destino ingrato. L’impresa sovietica fu segnata da alcuni inconvenienti e Leonov rischiò di morire per un problema di pressurizzazione della tuta (si gonfiò fin quasi a impedirgli di rientrare nella capsula). White, fotografato dal comandante James McDivitt, riuscì invece
a completare la sua passeggiata di 23 minuti, avvenuta al di sopra del Pacifico, e la Gemini 4 rientrò come previsto: tuttavia, l’americano fu lo stesso sfortunato. Quando la Nasa avviò il programma Apollo (destinato a portare l’uomo sulla Luna), White fu selezionato, grazie alla sua esperienza, tra gli astronauti destinati al primo lancio con il nuovo vettore, il razzo Saturn. Il 27 gennaio 1967 White (allora 37enne) e altri due colleghi, Virgil Grissom e Roger Chaffee, entrarono nella capsula in cima al vettore, per un test in vista del lancio previsto per il 21 febbraio. Qualcosa andò storto: nella cabina (satura di ossigeno puro e quindi infiammabile) scoppiò un incendio e i tre morirono carbonizzati. • Aldo Carioli
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domande & risposte A cura di M. Erba, M. Lombardi e G. Fissore
Una scena del film I tre moschettieri (1948), di George Sidney.
Queste pagine sono aperte a soddisfare le curiosità dei lettori, purché i quesiti siano di interesse generale. Non si forniscono risposte private. Scrivete a Focus Storia, via Battistotti Sassi 11/a, 20133 Milano o all’e-mail
[email protected]
C’è mai stato un papa donna?
La leggendaria papessa Giovanna con il figlio in un’incisione di fine Quattrocento.
Domanda posta da Sofia Caruso.
on esiste alcun riscontro storico, ma è circolato per lungo tempo un mito medioevale al riguardo. Le leggenda in questione si riferisce alla cosiddetta papessa Giovanna, che avrebbe regnato sulla Chiesa di Roma sotto mentite spoglie, con il nome di Giovanni VIII, dall’853 all’855, anno in cui scoprirono tutti la sua identità femminile. Beccata. La scoperta del vero sesso della papessa avvenne durante una processione. Giovanna era incinta e un incidente a cavallo le avrebbe provocato un travaglio prematuro, nonché pubblico. La papessa venne così smascherata. E naturalmente linciata dalla folla, che ne trascinò il corpo per tutta Roma. In realtà la leggenda avrebbe avuto origine negli ambienti antiromani della Chiesa di Costantinopoli, allo sco-
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po di condannare la corruzione morale del papato. Secondo una delle versioni della storia, si sarebbe trattato di una ragazza inglese, probabilmente una nobildonna, che si travestì per poter accedere a un monastero di monaci, incapace di trattenere la propria sensualità.
Luterana. La figura della papessa Giovanna divenne molto popolare nel Cinquecento, quando i polemisti che sostenevano la Riforma protestante di Lutero lanciarono virulente campagne antiromane, per le quali quel personaggio leggendario di Giovanna sembrava creato apposta.
Qual è la resistenza che ha avuto più vittime?
Che cosa facevano i moschettieri del re? Domanda posta da Jacopo Lombardo.
Domanda posta da Alex Santoro.
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I
La liberazione di Belgrado nell’ottobre del 1944.
l prezzo più alto fu pagato dai combattenti delle forze guidate dal maresciallo Tito, che daranno vita alla Federazione iugoslava: oltre il milione e mezzo di vittime, alle quali vanno aggiunti i morti che
NAZIONI
VITTIME
Resistenza iugoslava Resistenza greca Resistenza francese Resistenza italiana
1,7 milioni 400.000 150.000 70.000
gli stessi titini fecero nelle foibe, in vendette e ritorsioni. Ma negli ultimi due-tre anni prima della fine della Seconda guerra mondiale i movimenti armati di liberazione furono molto attivi anche in Grecia, Francia e Italia. Le stime. Il conteggio delle vittime naturalmente non è facile. La Grecia, per esempio, subì un’occupazione (tedesca e italiana) particolarmente violenta, che fece 400mila vittime su una popolazio-
ne di circa 7 milioni di abitanti. La guerra partigiana meglio organizzata fu invece quella francese, guidata dall’esilio da Charles De Gaulle. Oltralpe, nei combattimenti e nelle azioni di guerriglia contro tedeschi e collaborazionisti di Vichy, morirono in 150mila. In Italia, infine, sulle cifre non sono tutti concordi. Le stime danno tra i 45 e i 70mila, a cui vanno aggiunti 20mila mutilati e circa 3mila soldati caduti al fianco degli Alleati.
moschetti (da cui il nome) la guardia personale istituita dal padre Enrico IV. Per farne parte bisognava: essere nobili o avere grandi meriti; essere noti per fierezza e fedeltà; avere una raccomandazione e sborsare qualcosa. Guerra e pace. Con la corta casacca blu dalle quattro cro-
ci, i moschettieri andavano in guerra a piedi o a cavallo, alloggiando vicino al re. Si lanciavano con gioioso impeto in battaglia utilizzando sia il moschetto sia la spada. In tempi di pace risiedevano invece in una propria residenza e, appaiati a cavallo, scortavano il re nelle sue uscite. Compiva-
no parate in alta uniforme; in un’occasione si cucirono perfino diamanti sulle maniche. Non pagavano tasse, perché versavano in battaglia “l’imposta di sangue”. Nei secoli questo reparto d’élite fu più volte riformato; con qualche interruzione, sopravvisse fino al 1815. •
SCALA
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renderli famosi per sempre ci pensò Alexandre Dumas padre con il romanzo I tre moschettieri (1884), il cui protagonista, D’Artagnan, esistette davvero. Fin dagli esordi questo glorioso corpo si guadagnò grande fama. Fu fondato nel 1622 da Luigi XIII, che dotò di
Che cos’era l’astrologia giudiziaria? Domanda posta da Claudia Grassi.
urante il Medioevo era l’astrologia dedicata a predire il futuro, considerata “poco seria”, eretica per la Chiesa cattolica, in contrapposizione all’astrologia “seria” o naturale, ovvero l’astrologia medica (l’influenza degli astri sulle malattie) e quella meteorologica. In pratica, si distingueva dalle altre
forme di predizione perché era riferita ai destini dei singoli, divinati in base alla lettura delle stelle o di altri segni. Concorrenza. Ma perché la Chiesa giudicò eretica soltanto questa tipologia di divinazione? Probabilmente a causa della sua origine, legata a tradizioni orientali
e pagane, ma soprattuttto perché gli astrologi “giudiziari” (che spesso venivano accusati di stregoneria) contraddicevano un principio teologico: il destino degli uomini è solo nelle mani di Dio. Pagina da un trattato di Michele Scoto, astrologo di Federico II di Svevia (XIII sec.).
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pittoracconti
A caccia nel gelo delle Fiandre Gli effetti, negativi e positivi, della Piccola era glaciale europea nella vita quotidiana dei cacciatori del Cinquecento.
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il pomeriggio inoltrato di un giorno d’inverno, intorno alla metà del Cinquecento: tre cacciatori tornano verso casa da una battuta, seguiti dalla muta di cani. Davanti a loro si apre un’ampia veduta: il panorama è una curiosa combinazione di pianura e montagne. Secondo gli storici dell’arte in questo dipinto Pieter Brueghel il Vecchio (1530 ca.-1569) ha unito il tipico paesaggio pianeggiante delle Fiandre agli aspri rilievi alpini, osservati durante il viaggio in Italia del 1552-54. La veduta abbraccia le case del villaggio, i campi coperti di neve e punteggiati dai boschi, uno specchio d’acqua ghiacciato sul quale gli abitanti del piccolo centro si divertono pattinando. È uno dei più celebri paesaggi innevati della storia dell’arte, uno dei primi in cui trova piena affermazione la bellezza dell’inverno, la stagione più dura in un mondo che alla terra e ai suoi ritmi doveva la propria sussistenza. Clima rigido. Lo spaccato di vita quotidiana, dipinto da Pieter Brueghel nel 1565 e oggi noto con il titolo Cacciatori nella neve, fu probabilmente realizzato per allietare lo sguardo di un mercante e banchiere di Anversa, Niclaes Jonghelinck, collezionista d’arte che commissionò al pittore fiammingo una serie di dipinti raffiguranti altrettanti momenti delle stagioni. Si tratta di scene in cui la natura e le attività umane sono intimamente connesse, rappresentate nello scorrere del tempo per “fotografare” i passaggi cruciali di una civiltà rurale che era ancora il fulcro dell’economia. Ma soprattutto è una testimonianza di una particolare fase climatica attraversata dall’Europa a partire dalla fine del Medioevo: la Piccola era glaciale, un ciclo di temperature medie inferiori a quelle dei secoli precedenti, terminato soltanto nel ’700. •
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Edoardo Monti
1 L’insegna traballante indica il nome della locanda, “Al Cervo”, in lingua fiamminga. Vi è dipinta la conversione di sant’Eustachio, generale romano del I secolo, protettore dei cacciatori e dei guardacaccia. Il santo, infatti, si convertì dopo l’incontro con un cervo, simbolo di Gesù, durante una battuta di caccia. 78
2 Di fronte alla locanda si allestiscono le braci, che serviranno probabilmente per l’eliminazione delle setole di un maiale. La macellazione dei suini si effettuava in inverno, quando venivano meno le risorse dei boschi con cui erano nutriti; inoltre, il freddo facilitava la conservazione della carne.
3 Tra i cani della muta si distinguono alcuni levrieri. Slanciati e molto veloci, questi cani sono stati impiegati fin dall’antichità per la caccia a vista (non seguono l’odore della preda). Il nome “levriero” deriva dal latino canis leporarius, “cane da lepri”.
4 La battuta di caccia non è stata fortunata, segno delle severe condizioni climatiche: solo una volpe è stata catturata dai cacciatori, infagottati in pesanti giacche di montone. L’inverno del 1564-65 fu eccezionalmente rigido, uno dei primi della Piccola era glaciale che iniziò a metà ’500 e durò fino al ’700.
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5 In lontananza si vede una casa dal cui comignolo esce una lingua di fuoco. Un uomo interviene salendo sul tetto. Questo genere di incendi era frequente a causa della scarsa pulizia della canna fumaria e dell’uso di legna di cattiva qualità.
6 Sul ghiaccio si riconoscono piccole slitte trainate da pattinatori, bambini che giocano con le trottole e ragazzi con mazze molto simili a quelle dell’odierno hockey. Il dipinto è uno dei primi documenti figurativi che attestano l’esistenza di un gioco sul ghiaccio che prevedeva l’uso di bastoni ricurvi.
7 Un gruppo di figure è chiaramente impegnato in un gioco che richiama il curling. Sembra trattarsi di una sorta di gioco delle bocce che si svolge sul ghiaccio, l’eisstockschiessen, ancora oggi molto praticato lungo l’arco alpino.
8 Adulti e bambini si divertono pattinando sullo specchio d’acqua ghiacciato. I pattini consistevano allora in semplici tavolette di legno montate su lame di metallo o di legno (queste, in genere, impiegate per i più piccoli). Il metallo aveva sostituito dal XIII secolo l’uso di ossa lunghe di animali. 79
In altre parole A cura di Giuliana Rotondi
I discorsi dei grandi spiegati in parole semplici
L’arringa-popoli
Giuseppe Garibaldi 2 luglio 1849, dal colonnato di piazza San Pietro a Roma Con un corpo di spedizione di circa 30.000 uomini, il generale francese Oudinot aveva marciato su Roma a sostegno del papa. L’assedio era durato un mese. Poi la Repubblica si arrese. Era nata 5 mesi prima sull’onda dei moti del 1848 che avevano scosso l’Europa.
I volontari che combattevano con lui non ricevevano compensi: non c’erano regole d’ingaggio e le armi erano carenti. Spesso convivevano con fame e stanchezza. Erano animati però da idealismo e patriottismo e dal carisma di Garibaldi, il primo dei volontari.
”
La fortuna che oggi ci tradì,
ci arriderà domani. Io esco da Roma, chi vuole continuare la guerra contro lo straniero, venga con me. Io non offro né paga, né quartieri, né provvigioni. Io offro fame, sete, marce forzate, battaglie e morte. Chi ha il nome d’Italia non sulle labbra soltanto ma nel cuore mi segua. Varcata la porta di Roma, un passo indietro sarà
”
un passo di morte. Rivendicava un’identità unitaria che affondava le sue radici nell’antichità romana. Tutti i moti europei del ’48 (la “Primavera dei popoli”), incluso quello di Garibaldi, miravano ad abbattere i governi della Restaurazione per sostituirli con governi liberali.
Lo seguiranno circa 4.700 uomini, per risalire verso Venezia e difendere la città lagunare occupata dagli austriaci. Non riusciranno a liberarla. Garibaldi finirà in esilio e poi in Sud America (1850). Si era formato però un primo, embrionale, “esercito di popolo” . 81
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Il “piccolo mare” è un confine invisibile fra Occidente e Oriente. Ma anche un
ADRIATICO SEGRETO BUCCARI
ZARA
SANSEGO
LISSA
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VENEZIA
RAGUSA
SPALATO
PELAGOSA
ADRIA SPINA
BARI
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corridoio di scambi e conflitti. Lo dimostra la Storia
PERASTO
Un lungo “golfo sdraiato”
LEPANTO
SCALA
DULCIGNO
Sopra, pescatori dell’Adriatico in partenza, in un dipinto dello svizzero Louis Robert (1794-1835). A lato, portolano veneziano dell’Adriatico, con il mare rappresentato come facevano i Romani: nelle bandierine, alcune delle località di cui si parla nell’articolo.
rende il nome da Adria, in Veneto, ma anche da Zara in Dalmazia. L’Adriatico in croato si chiama infatti Jadransko more (da Jader, il nome latino di Zara). Lo storico francese Fernand Braudel nella sua monumentale opera dedicata al Mediterraneo scrisse: “L’Adriatico è forse la regione marittima più coerente; da solo e per analogia pone tutti i problemi del Mediterraneo. Più lungo che largo, si presenta come una lunga strada nord-sud”. Tipi adriatici. Da nord a sud, sì, ma nella visione convenzionale della geografia. In realtà il mare Adriatico si sviluppa praticamente in diagonale, da nord-ovest a sud-est. E i Romani infatti lo rappresentavano “disteso”. Per loro, l’Adriatico non era nemmeno un vero mare, bensì un golfo (Sinus Atriaticus). Del resto, per secoli è stato un mare interno, una sorta di “nastro trasportatore” di merci, popolazioni e culture, capace di mettere in comunicazione il mondo germanico con quello mediterraneo, il crogiuolo balcanico e gli Stati regionali italiani, la Mitteleuropa e il Vicino Oriente, i cristiani e i musulmani. Ben prima che lo conquistassero le navi di Roma, il mare Adriatico era un luogo di convivenza nel quale le due sponde avevano contatti continui, anche se non sempre pacifici. Valutando statura e altri parametri biometrici dei resti rinvenuti nei siti archeologici, gli antropologi hanno infatti individuato una comune origine illirica in quello che hanno chiamato il “tipo umano adriatico”. È al Neolitico, quando le popolazioni dell’Illiria provenienti dal Centrosud della Dalmazia cominciarono a imporsi nelle acque adriatiche, che va fatto risalire l’inizio della storia del “mare intimo” (“copyright” dello scrittore bosniaco Predrag Mavejevic). Il rapporto con l’entroterra, sul versante italiano e su quello balcanico, ha poi aggiunto componenti etniche nuove. Italico. L’Adriatico divenne un confine (conteso) fra Est e Ovest soltanto in epoca relativamene tarda. I veneziani, il cui Stato territoriale comprendeva Veneto, Friuli e Istria, lo chiamavano senza troppi indugi Golfo di Venezia, vedendolo come una propaggine marittima della Serenissima. Persino Napoleone creò uno Stato adriatico. Ebbe vita breve (1816-1849), si chiamava Regno di Illiria e aveva per capitale Lubiana (oggi in Slovenia). • Piero Pasini 85
SPINA FRA ETRUSCHI E GRECI
DEA/ALINARI
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Vaso greco rinvenuto a Spina.
uando i Greci antichi parlavano di Adriatico facevano riferimento a una città per loro lontanissima. Sorgeva nell’arco superiore del mare, dove sfociavano i principali fiumi della Pianura padana, e si chiamava Spina. La città, ricordata da Erodoto (V secolo a.C.) e da Polibio (II secolo a.C.), ha avuto un ruolo importante nella storia più antica dell’Adriatico. Snodo. Era un centro ricco e un porto molto attivo. Si trovava nella zona di espansione etrusca ed era lo sbocco al mare di tutto il Nord Italia fino alle Alpi Graie. I resti archeologici che sono stati rinvenuti sono quindi una rara testimonianza della vita delle genti marittime ai tem-
La Battaglia di Lepanto in un dipinto conservato all’Escorial, in Spagna.
pi del predominio culturale etrusco. Si racconta che nel III secolo a.C. la città sia stata distrutta dai Galli, ma la sua decadenza è più probabilmente il risultato dell’arretramento del mare per effetto dei depositi fluviali in una zona dall’orografia instabile. Già il geografo Strabone (60 a.C.-24 d.C.) annotava che Spina un tempo “era sul mare, mentre ora è a circa novanta stadi nell’entroterra”. La scomparsa di Spina è quindi legata anche ai processi evolutivi del litorale padano. Basti pensare che la vicina città di Ravenna, oggi a 8 chilometri in linea d’aria dall’Adriatico, era in epoca preromana costruita su palafitte direttamente sul mare.
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Nell’Adriatico arrivava anche la Via dell’ambra, che nel Medioevo PIRATI Uno scontro fra navi ottomane e imbarcazioni saracene, in una stampa d’epoca.
SPALATO IL PALAZZO DI DIOCLEZIANO
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na delle testimonianze più significative della presenza romana sull’Adriatico è rappresentata dal palazzo dell’imperatore Diocleziano, nell’odierna Spalato, in Croazia. Diocleziano vi abitò fra il 305 e il 311 d.C. ritirandosi al centro di quell’impero che aveva radicalmente riformato con l’istituzione della tetrarchia (la divisione in Im-
pero d’Oriente e d’Occidente a loro volta suddivisi in due). Regale. Il palazzo era enorme. Le mura perimetrali disegnavano un rettangolo di 180 per 215 metri, erano alte 28 metri e spesse due. Quelle a sud erano bagnate direttamente dal mare, rendendo il palazzo un porto autosufficiente. Nel corso del tempo il palazzo, costruito
Ricostruzione del palazzo di Diocleziano, uno dei più grandi dell’antichità.
come un castrum romano, divenne il tessuto sul quale si sviluppò l’intero centro storico di Spalato che poté godere della protezione delle alte mura e di una grande quantità di materiale edile che venne impiegato per la costruzione delle case e delle chiese. Ancora oggi quel che fu il palazzo di Diocleziano è il cuore della vita cittadina.
LEPANTO LO “SCONTRO DI CIVILTÀ”
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no scontro di civiltà e di culture e una tappa bellica fondamentale per definire l’equilibrio politico europeo. Lo scontro fra la flotta ottomana e quella della Lega santa, al largo di Lepanto nel 1571, fu una delle più grandi battaglie navali e spartiacque simbolico: l’icona della Vergine che era a bordo dell’ammiraglia veneziana durante gli scontri è ancora oggi venerata nella chiesa di Santa Maria Formosa, a Venezia. Flotte. La battaglia si svolse nel Golfo di Corinto (tecnicamente
fuori Adriatico) e vide contrapporsi l’Impero ottomano e una lega di Stati europei, la Lega Santa, che vinse. Fin qui, la storia è nota. Ciò che non si racconta spesso è che fra i comandanti ottomani c’era Ulug Alì, un cristiano convertito all’islam. Nato nel 1508 in Calabria con il nome di Luca Galeni, era stato catturato sul mare da pirati arabi. Divenne uno di loro e per lunghi anni fu a sua volta pirata. Grazie ai suoi meriti divenne governatore di Algeri e ammiraglio, fino a morire a Lepanto.
IL TERRORE DELL’ADRIATICO
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passaggi continui di merci hanno fatto dell’Adriatico uno dei mari più infestati dai pirati. Al V e IV secolo a.C. risalgono le prime testimonianze di pirateria in Istria e Dalmazia. Prima ancora, gli Illirici razziarono i porti greci. Le città costiere furono di volta in volta alleate o in lotta tra loro e non esitarono a utilizzare
a loro volta i corsari per dirimere le controversie. E quando sull’Adriatico sorsero due delle più potenti repubbliche marinare, Venezia e Ragusa, il mare divenne fra i preferiti dalla pirateria mediterranea. Nobiltà piratesca. Narentani, Almissani, Uscocchi di Segna (Croazia) e Mori di Dulcigno
(Montenegro) sono i “grandi nomi” dei pirati che incrociavano nel “Golfo” della Serenissima. I più temuti erano i Saraceni. Il termine non indica con precisione una popolazione, anche se spesso nel Medioevo veniva utilizzato per individuare gli arabi o i musulmani in genere. Di certo i Saraceni avevano tecniche di
combattimento tipiche della pirateria e attaccavano i centri costieri con lo scopo principale di fare bottino e catturare schiavi da vendere al miglior acquirente. Occuparono Bari per 25 anni fra l’847 e l’871, costituendo in quel periodo un problema enorme, visto che controllavano l’ingresso all’Adriatico.
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collegava il Nord scandinavo dei Vichinghi al Mediterraneo greco-romano
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PERASTO LA FEDELISSIMA DI VENEZIA
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i con nu e nu con ti” furono le parole pronunciate dall’ultimo capitano della guardia di Perasto, il 23 agosto 1797. Quel ti si riferisce a Venezia. Perasto, nota come “la Fedelissima”, nel 1797 fu l’ultima città ad ammainare il vessillo veneziano. Dal Medioevo. Tanta fedeltà risaliva a un episodio medioevale che l’aveva elevata al rango di custode del gonfalone da guerra della Serenissima, titolo onorifico di grande prestigio. Nel 1368 Perasto aveva prestato aiuto spon-
BUCCARI LA BEFFA DI D’ANNUNZIO
La natura di confine dell’Adriatico
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LISSA e le altre ISOLE A MIGLIAIA
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i dice che nessuno sappia esattamente quante siano le isole dell’Adriatico. Più di 1.200 soltanto quelle croate. Molte sono completamente disabitate, altre invece sono state al centro della Storia, La Battaglia di Lissa (1866) durante la Terza guerra d’indipendenza.
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a notte del 10 febbraio 1918, negli ultimi mesi della Prima guerra mondiale, trenta impavidi, capitanati dal poeta Gabriele D’Annunzio, salparono dall’isola della Giudecca a Venezia pilotando i Mas della Regia marina italiana. Navigando a tutta velocità, nel buio più totale, alle prime ore dell’11 febbraio giunsero nel fondo della baia di Buccari nel Quarnaro, all’epoca porto austriaco. Tentarono di danneggiare alcune navi austriache e poi proseguirono l’azione con il lancio di messaggi fino a terra diretti alla popolazione italofona ancora sottomessa al dominio austroungarico. A Fiume. Il gesto passò alla storia come la Beffa di Buccari. Con la successiva impresa di Fiume, sempre guidata dal Vate, nel 191920, costituì uno degli ultimi momenti di eroismo ricollegabile a un tipo di volontarismo di matrice irredentista e risorgimentale, ma l’obiettivo immediato fu quello di evidenziare la totale scopertura austriaca. All’indomani della rotta di Caporetto, che l’anno prima aveva fiaccato gli animi già stremati degli italiani, l’effetto principale, non bellico, fu quello di risollevare il morale e l’orgoglio nazionale.
taneo alla flotta veneziana in difficoltà e dal quel momento i 12 gonfalonieri del doge, che avevano il compito di proteggere il vessillo del Leone sulla nave ammiraglia, furono esclusivamente perastini. Ma il sodalizio fra Venezia e la Dalmazia (che fu alla base delle rivendicazioni che il regime fascista farà poi sulla regione croata) non si ferma qui. Sempre nel 1797 furono proprio i soldati dalmati di stanza a Venezia gli unici a tentare di opporre resistenza alle armate napoleoniche im-
Gabriele D’Annunzio in divisa, negli Anni ’30. In alto, scontri fra italiani e austriaci a Pelagosa (Croazia) durante la Prima guerra mondiale.
altre ancora lo sono state e poi sono state dimenticate e alcune infine sono testimonianze di un passato preistorico. Per esempio Susak, o Sansego, fra le isole croate è l’unica ad avere coste sab-
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pegnate nella prima campagna d’Italia (1796-97). Ricordati. I veneziani ancora oggi li ricordano nel nome dato alla Riva degli Schiavoni (così si chiamano i dalmati nei dialetti veneti e giuliani) dalla quale partirono le navi con gli ultimi resistenti. E la Dalmazia fu anche la patria di Nicolò Tommaseo, patriota e letterato italiano di Sebenico, definito dagli storici “romantico mediterraneo”. Tommaseo esprime bene l’anima dalmata, italiana e slava al tempo stesso, con le sue contraddizioni. In una parola: adriatica.
L’isola della Madonna della Roccia a Perasto (Montenegro) in una cartolina di inizio Novecento.
si ripropose negli Anni ’90, con l’esodo epico degli Albanesi verso l’Italia pendenza italiana. Si potrebbe dire che qui gli italiani furono sconfitti... dai veneti. Infatti gli equipaggi austriaci erano composti da veneziani, istriani e dalmati, tanto che l’ammiraglio Von Teghettoff impartiva gli ordini in dialetto veneto. Mitologica. La storia più affascinante però è quella di Pelagosa, da pélagos, “mare” in greco. L’isola si trova infatti
al centro dell’Adriatico, a metà strada tra le penisole italiana e balcanica. Si racconta che vi morì Diomede, l’eroe mitologico della guerra di Troia, anche se alcune fonti lo dicono sepolto nelle vicine Tremiti. Le isole di Pelagosa Grande e Piccola appartennero alla Serenissima a partire dal XIII secolo. La repubblica però non le colonizzò mai del tutto. L’isola fu poi par-
te del Regno delle Due Sicilie e divenne italiana nel 1866, ma, sebbene importantissima dal punto di vista strategico, fu “dimenticata” dagli italiani e quindi nel 1873 presa senza problemi dagli austriaci, che qui costruirono il più grande faro dell’Adriatico. Tornata all’Italia fra la Prima guerra mondiale e il 1945, oggi è croata, ma rimane né di qua né di là del mare.
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biose. Un mistero geologico, un fenomeno che ha fatto ipotizzare che l’isola in realtà possa essere ciò che resta di un deposito di detriti fluviali avvenuto durante una delle glaciazioni. Insomma che le foci del Po, una volta, fossero in Croazia. Risorgimentale. Più nota è Lissa, o Vis. Nel 1866 al largo delle sue coste si combatté un episodio della Terza guerra d’indi-
PERSONAGGI
Tussaud Madame
LA SIGNORA DELLE CERE
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ome accade spesso alle donne, anche Madame Tussaud è stata trascurata dalla Storia. Tanto che, fra le centinaia di persone che ogni giorno si mettono in coda per entrare nei musei delle cere a lei intitolati, molti pensano si tratti di un personaggio immaginario. Invece, non solo Marie Tussaud è veramente esistita, ma quando morì, all’età di 89 anni nella sua casa di Baker Street a Londra, era una delle donne più ricche del suo tempo. Il suo museo ebbe infatti un enorme successo e possiede oggi succursali nelle grandi città di mezzo mondo, da Sydney a Washington, da Amsterdam a Hong Kong. Ma a rendere davvero interessante la vita di Marie Grosholtz (Tussaud è il nome che prese dal marito) sono il periodo e il luogo in cui visse durante la prima metà della sua lunga esistenza: la Francia della Rivoluzione del 1789 e il periodo del Terrore. L’incontro con la cera. La fonte principale delle notizie su di lei è un libro di memorie, Madame Tussaud Memoirs and Reminiscences of France, Forming an Abridged History of the French Revolution. Pubblicato quan90
Per chi “mancava” le mostre Un catalogo con le immagini dei principali modelli in cera della collezione, come Luigi XVI, Maria Antonietta, il Duca di Wellington.
do Madame Tussaud aveva 71 anni, fu scritto da un amico di famiglia, Francis Hervé, come se lei glielo avesse dettato. Nel libro Marie racconta di appartenere a un’antica e nota famiglia. In realtà sappiamo che le sue origini furono modeste e che la sua vita fu dura fin dall’inizio. Nacque a Strasburgo, in Francia, nel 1761 e non conobbe mai il padre, un soldato tedesco il cui viso era stato orribilmente mutilato durante la guerra e che morì due mesi prima della sua nascita. La giovane vedova, Anne Marie, divenne allora la governante di un medico, Philipp Curtius, particolarmente abile nel modellare la cera. Allora era normale ricorrere a parti del corpo umano riprodotte dal vero con la cera per lo studio dell’anatomia. Ma Curtius aveva fatto di più: in casa teneva un piccolo museo con le sue opere, con teste e busti. La collezione attirò l’attenzione di un principe, che lo invitò a trasferirsi a Parigi sotto la sua protezione. Così, nel 1765 Curtius si insediò in Rue Saint-Honoré, una delle zone più prestigiose della città, e poco dopo Marie e la madre lo seguirono.
Ritratto da giovane Marie Tussaud (1761-1850) in cera, capelli e abiti, com’era a fine Settecento. L’abile signora nel 1835 aprì un’esposizione permanente nella sua casa di Baker Street, a Londra, che andò a fuoco nel 1925. Nel 1928 il museo fu riaperto in Marylebone Road, dove è ancora.
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Molti hanno visitato il suo museo a Londra. Ma chi era? Vissuta nella Francia rivoluzionaria, Marie Tussaud imparò tutto da un medico. E fondò un impero sulla sua arte di scolpire statue di cera
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Vivida somiglianza A sinistra, l’esecuzione di Luigi XVI, in una stampa del XIX secolo. Sopra, modelli in cera delle teste mozzate del re e di Maria Antonietta, realizzati dalla Tussaud.
Tussaud Madame
Durante la Rivoluzione francese riprodusse i volti dei condannati alla ghigliottina. Il boia le regalò la sua lama
Statue “vive”. Nella Parigi vivace e mondana degli ultimi anni dell’Ancien régime le collezioni di cera non erano sconosciute. Ma in genere le sculture rappresentavano scene allegoriche o di fantasia, o riproducevano storie della letteratura classica. Le opere di Curtius ritraevano invece nobili, scienziati, filosofi: i personaggi famosi del tempo. La verosimiglianza delle sue riproduzioni era dovuta alla bravura del medico alsaziano nel riprodurre l’incarnato e al fatto che impiegava denti e capelli autentici. Non solo. Le sue figure di cera erano spesso vestite con abiti veri, che erano appartenuti ai personaggi stessi.
La prima mostra di Curtius a Parigi si inaugurò nel 1770 e attirò molti visitatori. Una delle opere raffigurava Madame Du Barry, la favorita di Luigi XV: una bella ragazza bionda addormentata che ancora oggi può essere ammirata al Museo delle cere di Londra. Nel 1776 la mostra fu spostata al Palais-Royal e sei anni dopo, dato il successo dell’iniziativa, Curtius aprì una nuova esposizione in Boulevard du Temple, uno dei luoghi più alla moda di Parigi. Marie cominciò ben presto a fargli da assistente e sotto la sua guida conobbe molti degli intellettuali e degli aristocratici del tempo, che erano amici dell’artista. Nel
1778 Marie creò così la sua prima statua, quella del filosofo illuminista Jean-Jacques Rousseau, e successivamente anche quelle di Voltaire e di Benjamin Franklin. Mitomane? La sua bravura con la cera fece sì che a circa vent’anni, nel 1780, Marie venisse addirittura ammessa a corte, a Versailles, dove insegnò arte alla principessa Elisabetta, la sorella più piccola di Luigi XVI, allora sedicenne. Nelle sue memorie Marie racconta di aver vissuto a corte per otto anni, in grande intimità con Elisabetta, una ragazza mite e profondamente religiosa, destinata a morire sul patibolo a trent’anni. Marie
L’ARTE DI MODELLARE LA CERA: DALL’ANTICO EGITTO A OGGI
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conomica, malleabile, facile da colorare e da lavorare, adatta all’applicazione di prodotti organici come unghie e capelli, la cera è un materiale perfetto per dare l’illusione della realtà. Per questo ebbe grande importanza dall’anti-
chità fino all’Ottocento. Si sa per esempio che veniva già utilizzata nell’antico Egitto per modellare figurine dal carattere magico-religioso, alcune delle quali possono ancora essere osservate nei musei più importanti. Anche pres-
so le famiglie patrizie romane la cera veniva utilizzata per i ritratti degli antenati, disposti ordinatamente nell’atrio delle case, dentro piccole nicchie nelle pareti, dove componevano l’albero genealogico della famiglia.
Creazione e manutenzione A sinistra, “pulizia” delle teste di Kennedy e Krusciov al museo Madame Tussaud di Londra, nel 1961. A destra, la scelta degli occhi per la statua di Pete Murray, popstar degli Anni ’60.
Ex voto. A partire dal Medioevo, poi, la cera si impiegò per realizzare statuette votive: gli ex voto, offerti a un santo per ringraziarlo per un beneficio ricevuto, o come dono per ottenere una grazia. Spesso erano modelli di parti
del corpo malate, per le quali si chiedeva la guarigione. Il santuario di Santa Maria delle Grazie a Curtatone, presso Mantova, è decorato da molti ex voto anatomici di questo tipo. L’arte della ceroplastica (questo il nome corretGETTY IMAGES
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Incorruttibile La testa di Robespierre, forse modellata subito dopo la sua esecuzione (a sinistra), nel 1794.
spinta dall’Assemblea Nazionale, di essere stata costretta a raccogliere nel grembiule insanguinato le teste appena tagliate dei personaggi di cui doveva realizzare le statue. In effetti le maschere mortuarie in cera di Luigi XVI, Robespierre, Maria Antonietta realizzate da Marie sono così somiglianti ai personaggi decapitati da far pen-
sare che davvero avesse avuto sotto mano gli originali. Sembra però che fosse Curtius a ottenere le teste dei giustiziati famosi, che gli sarebbero state fornite sotto banco dal boia Sanson, dietro compenso. Dal gossip alla Storia. Tra gli altri, Marie realizzò il modello della testa di Marat, dopo il suo assassinio nella vasca da ba-
Bernard Tussaud, nipote di Marie, mostra le teste di Hailé Selassié e di Mussolini, nel 1935.
Ma lo studio dei cadaveri, essenziale per gli anatomisti, era complicato dal fatto che non si disponeva delle tecniche necessarie per la conservazione dei corpi. La cera permetteva invece di realizzare collezioni anatomiche a grandezza naturale e quasi del tutto rispondenti alla realtà, che nel 1700 diventarono un valido strumento per gli studenti. I preparati anatomici in cera colorata si diffusero in tutta l’Europa. Tra le collezioni più impressionanti, quella del Museo della Specola, a Firenze.
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to) toccò il culmine nel 1500 quando la cera venne considerata un materiale artistico di grande importanza. Soprattutto a Firenze i nobili vi ricorrevano per farsi costruire statue a grandezza naturale come voti per la chiesa della Ss. Annunziata. In medicina. Al termine del Rinascimento le sculture in cera ebbero un notevole impulso anche a causa dell’interesse degli artisti e dei medici per lo studio del corpo umano. Nel ’600 nelle università d’Europa si cominciò a investigare il corpo umano alla ricerca delle possibili cause delle malattie.
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dormiva nella camera vicina a quella della principessina, cenava spesso insieme a lei, partecipava alle conversazioni che lei aveva con il re. Tutto vero? Questa immagine di Marie “nobildonna” molto vicina alla famiglia reale non sembra del tutto attendibile. Marie affermò, per esempio, di essere stata amica intima anche di Madame Campane, prima cameriera di Maria Antonietta, molto vicina alla sovrana, che però non la nomina mai nelle proprie memorie. Inoltre, dai documenti Marie non risulta presente nello staff fisso di Versailles. Oggi gli storici ritengono non tanto che Madame Tussaud abbia mentito sulla sua presenza a corte, ma piuttosto che avesse avuto un ruolo secondario, limitandosi a dare un certo numero di lezioni e per un periodo relativamente breve. Amici pericolosi. Se questo aspetto della vita di Marie resta misterioso, sappiamo invece per certo che Marie ebbe un rapporto molto stretto con la ghigliottina durante il periodo della Rivoluzione e del Terrore. Fu costretta dai rivoluzionari a modellare in cera le teste delle vittime più illustri, molte delle quali erano state amiche di Curtius e spesso presenti alle loro cene. Sempre nelle sue memorie, Madame Tussaud racconta di essere stata obbligata a modellare la testa recisa della giovane e bellissima principessa di Lamballe, linciata dalla folla. E,
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Tussaud Madame
Girò Scozia, Inghilterra e Irlanda per 30 anni con la sua collezione fatta di personaggi storici e contemporanei collezione di cere) verso la Gran Bretagna. Era lì che avrebbe fatto fortuna. Per un trentennio quella che ormai era ufficialmente Madame Tussaud portò in tour per la Scozia, l’Irlanda e l’Inghilterra la sua mostra, che divenne la più grande attrazione del Paese quando Marie aprì il museo delle cere a Londra, nel 1835. Il Duca di Wellington era un assiduo frequentatore dell’istituzione, situata all’angolo fra Baker Street e Portman Square. Probabilmente gli piaceva ammirare la sua statua vicino a quella di Napoleone e a quella della regina Vittoria. Del periodo rivoluzionario che le aveva dato la fama restava una macabra reliquia storica. Accanto alle opere in cera si pote-
va ammirare (e si ammira ancora), la lama della ghigliottina che il boia Sanson aveva regalato a Marie. Inoltre dal 1846 una stanza dedicata agli omicidi celebri divenne (ed è ancora) la camera degli orrori. Altre cere vennero aggiunte man mano alla collezione, come quelle dell’ammiraglio Nelson e dello scrittore sir Walter Scott. Ma molte delle 400 statue vennero distrutte prima da un incendio e poi dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, nel 1941. Degli originali di Marie restano la statua di Robespierre e quella della stessa Madame Tussaud. Fu realizzata nel 1842, a più di 80 anni e ancora oggi accoglie i visitatori all’ingresso del museo. • Laura Fezzi
Benvenuti! Madame Tussaud, ancora in cera, ma ultraottantenne: realizzò lei stessa la statua, oggi all’ingresso del museo londinese.
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gno per mano di Charlotte Corday, e della stessa Corday dopo la sua esecuzione capitale. Marie affermerà che l’Assemblea Nazionale le ordinò di abbozzare la scena dell’assassinio per il pittore ufficiale Jacques-Louis David. Nel frattempo, infatti, il lavoro di Marie e Curtius aveva preso un nuovo corso. Da innocente svago per tutte le classi, attraverso il quale ammirare la vita dei nobili e seguire i cambiamenti di pettinatura e di abbigliamento della regina, a partire dal 1789 divenne una sorta di “telegiornale” per informarsi sull’attualità. Ancora oggi, molte delle immagini che associamo ai drammatici fatti della Rivoluzione francese derivano dalle ricostruzioni plastiche che ne fecero Curtius e Marie. Nuova vita. Curtius morì nel 1794 lasciando a Marie la sua preziosa collezione di cere a grandezza naturale. L’anno successivo lei si sposò con un francese, François Tussaud, dal quale ebbe due figli. Il matrimonio però naufragò miseramente e Marie non vide più il marito dopo il 1802, quando partì con i bambini (e con la
Pulendo Enrico Nel Museo di Madame Tussaud, a Londra, nel 1931. La statua di Enrico VIII viene ripulita con un aspirapolvere da un’addetta. 94
STORIE D’ITALIA GRUGLIASCO E COLLEGNO (TORINO)
Grugliasco (Torino), 30 aprile 1945: due giorni dopo la resa, i tedeschi commettono un’ultima terribile strage. E i partigiani rispondono
GLI ULTIMI I
ECCIDI
di sangue lasciata dagli eccidi compiuti a partire dall’8 settembre 1943 dai tedeschi e dai loro alleati fascisti, spesso contro la popolazione civile. A quella tragedia vanno però aggiunti altri morti, 29 militi dell’esercito di Salò, non coinvolti nella strage, eppure oggetto di un’immediata controrappresaglia. Martiri. Dopo la liberazione di Torino, avvenuta il 28 aprile, gli alti comandi della Resistenza negarono ai nazifascisti il permesso di attraversare la città, concedendo
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A. MOLINO
RES/ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI GRUGLIASCO (6)
l 30 aprile 1945 a Grugliasco, paese alle porte di Torino, si consumò una delle ultime stragi naziste in Italia: 67 le vittime tra operai, manovali, apprendisti, ma anche alcuni studenti e commercianti. Il più giovane aveva solo 14 anni, più della metà ne aveva meno di venti. Pur essendo la guerra giunta al termine – la resa firmata dai comandi tedeschi il 28 aprile, a Caserta sarebbe diventata operativa il 2 maggio – la strage avvenne nel segno della continuità: una scia
La guerra (non) è finita Nel disegno la strage di Grugliasco del 30 aprile 1945 e (in alto) la successiva rappresaglia partigiana. A sinistra, alcuni dei partigiani uccisi dai tedeschi.
Grande eco mediatica I funerali dei “martiri di Grugliasco”. Sotto, la strage nella prima pagina di un giornale.
Molte vittime della strage erano sappisti: membri delle Squadre di azione patriottica (Sap). I loro compagni agirono a Collegno alle truppe in ritirata un corridoio a sudovest. In questo modo, aggirando il capoluogo, avrebbero potuto raggiungere l’autostrada Torino-Milano e da lì puntare al valico del Brennero. L’obiettivo era evitare ulteriori spargimenti di sangue, ma nei fatti lungo il percorso delle colonne tedesche la tensione rimase altissima. Da una parte c’era un esercito sconfitto, ma ancora pronto a reagire, dall’altra presidiavano il territorio piccole formazioni scarsamente coordinate tra di loro e non sempre consapevoli dei reali rapporti di forza. Si aggiunga il fatto che i giovani e giovanissimi confluiti negli ultimi giorni di guerra nelle Sap (Squadre di azione patriottica) erano tanto entusiasti quanto inesperti: in molti ca98
si non avevano mai maneggiato un’arma. Domenica di pace apparente. A Grugliasco, come in altri paesi vicini, dopo l’intenso traffico di truppe e mezzi corazzati tedeschi dei giorni precedenti, il mattino del 29 sembrava che tutto fosse finito. Era una domenica e sui balconi spuntavano le prime bandiere tricolori. I membri del Comitato di liberazione nazionale si radunarono nel municipio. Le Squadre di azione patriottica (sappisti), con i loro prigionieri, una cinquantina di soldati repubblichini catturati tra gli sbandati in coda alle colonne della Wehrmacht e alcuni ufficiali tedeschi, si insediarono invece nei locali dell’ex Gioventù italiana del littorio, nella vicina Collegno. Insieme a un gruppo di
partigiani della divisione Matteotti scesi a valle, erano di fatto l’unico presidio armato presente nella zona. Arrivano i tedeschi. L’arrivo, verso sera, di una nuova colonna motorizzata sorprese un po’ tutti. Si trattava della 34ª Infanterie-Panzer Division: circa 10.000 uomini che, in ritirata dalla Liguria, avevano già lasciato dietro di loro un certo numero
di morti. A Grugliasco, anche in seguito ad un avventato attacco da parte di un piccolo gruppo di partigiani e sappisti, il transito della 34ª si trasformò in un incubo. Sentendosi minacciati i tedeschi presero a sparare nel mucchio, saccheggiarono abitazioni private, uccisero per strada alcuni civili e partigiani e catturarono diversi ostaggi. Rifiutando di identifcare i prigionieri come “banditi”, il segretario comunale firmò la propria condanna a morte. All’alba di lunedì 30 aprile si arrivò all’atto finale. I tedeschi assaltarono l’ex sede della Gioventù italiana del littorio. I sappisti che vi si erano asserragliati si arresero liberando i prigionieri, ma il ritrovamento dei cadaveri di due ufficiali tedeschi segnò la loro sorte: in 35 furono trasferiti a Grugliasco e fucilati alle porte del paese, insieme a ostaggi precedentemente catturati. Sono i “martiri”, che da allora appartengono alla memoria ufficiale delle due comunità. A essi sono intitolate vie e strade, una piazza e una scuola. C ontro- rappresaglia. Il 1° maggio, quando la colonna tedesca era ormai lontana, un drappello di sappisti prelevò da una fabbrica della zona, dove erano tenuti prigionieri, un gruppo di militi repubblichini: furono fatti sfilare tra due ali di folla inferocita e poi portati nella vicina Collegno. La fucilazione avvenne nello spiazzo interno dell’ex Gioventù italiana del littorio, lo stesso posto da cui il giorno prima
Il parroco e il partigiano A destra, don Caustico, il parroco trucidato dai tedeschi dopo essersi offerto per trattare il rilascio dei prigionieri. A lato, la Volante Rossa di Giulio Paggio.
era partita la rappresaglia nazista. Questa volta a cadere furono i soldati della divisione Littorio, catturati pochi giorni prima. Avevano abbandonato una colonna in ritirata per darsi alla fuga. «Erano addetti ai carri officina e per scappare», racconta un testimone, «si erano messi la tuta blu da lavoro». Individuati, erano stati fatti prigionieri senza opporre resistenza. In molti accorsero per assistere all’esecuzione e qualcuno partecipò direttamente. Metà delle vittime aveva poco più di vent’anni, altri erano sulla trentina quasi tutti erano originari del mantovano. Seppelliti frettolosamente, di quei morti per anni è sparito il ricordo. Per riapparire solo di recente, grazie a una documentata ricerca dello storico Bruno Maida, pubblicata da Franco Angeli con il titolo Prigionieri della memoria. • Gianpaolo Fissore
Il comandante della Matteotti, Gino Cattaneo, rende omaggio alle salme delle vittime dell’eccidio.
La Volante Rossa: i partigiani irriducibili
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a storia della Volante Rossa è il simbolo di un crudele Dopoguerra, caratterizzato dagli strascichi di un conflitto che fu anche guerra civile e dalla determinazione insurrezionale di ex partigiani comunisti che rifiutarono di consegnare le armi non rassegnandosi alla svolta democratica del partito. Questa formazione paramilitare, ma non clandestina, nacque nell’estate del ’45 nella Casa del popolo di Lambrate (Milano) su iniziativa del diciottenne Giulio Paggio, il “Tenente Alvaro”, ex combattente nella 118ª Brigata Garibaldi. A lui si unirono una sessantina di ex partigiani, giovanissimi. L’obiettivo era vendicarsi di assassini e torturatori scampati alla resa dei conti di aprile, impedire la rinascita del fascismo, sostenere le lotte operaie anche con azioni violente. La Lombardia divenne così teatro di
attentati, attacchi a sedi neofasciste, rappresaglie, ferimenti e omicidi. Eversivi. Più che tollerati da una parte del Partito comunista italiano, che tentò di controllarne la carica eversiva, i “giustizieri milanesi” furono spesso presenti in manifestazioni pubbliche, con divise, giubbotti di pelle, distintivi, inni e bandiere. Il 16 luglio 1948, dopo l’attentato a Togliatti, con l’Italia sull’orlo di una guerra civile, avrebbero dato l’assalto alla più importante caserma dei carabinieri di Milano se non fossero stati fermati dalla locale federazione comunista. Nel febbraio 1949, dopo due omicidi, l’organizzazione fu smantellata e molti membri arrestati. Paggio, con due esponenti del gruppo, riparò in Cecoslovacchia. Condannato all’ergastolo in contumacia, non rientrò in Italia neppure dopo la grazia concessagli nel ’78 da Pertini. 99
I GRANDI TEMI
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LA BELLE ÉPOQUE Splendori e lati oscuri della Belle Époque: un’epoca sfavillante, di invenzioni, arte e progresso. Ma che si concluse con la Grande guerra
ILLUSIONI DI
FINE SECOLO 100
INTANTO NEL MONDO
1878 Thomas Edison ( a sinistra) costruisce una lampadina a incandescenza: nasce l’illuminazione elettrica.
1880 Scoppia in Sudafrica la Prima guerra boera fra coloni inglesi e olandesi, vinta dai secondi. Ne seguirà una seconda nel 1899-1902, vinta dai britannici. 1882 Il 20 maggio, a Vienna, l’Impero austroungarico, la Germania e il Regno d’Italia siglano un patto militare difensivo: la Triplice alleanza.
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i poteva arrivare fin sulla Luna, grazie al cinematografo, o a Costantinopoli viaggiando sui binari del mitico Orient Express. Ma anche rimanere piacevolmente seduti in un caffè, baffi arricciati e giornale, sotto l’occhio vigile della Tour Eiffel. Quasi tutti i nostri miti romantici, le scoperte a noi più vicine, i più noti personaggi dell’arte, del teatro e della letteratura, sono nati tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, durante la Belle Époque. Ma le piume di struzzo, lo champagne e le serate al Moulin Rouge furono solo la parte più effimera, e più rimpianta, di quest’epoca anticipata da una lunga depressione, attraversata dall’Europa all’America dagli emigranti, dallo scontento della classe operaia e dal nazionalismo più intransigente. Nostalgia. «Quando si parla di “Belle Époque”, si pensa a un’età di ottimismo e progresso che a chi la viveva pareva senza limiti», dice Roberto Bianchi, docente di Storia sociale dell’età contemporanea all’Università di Firenze. «Questa definizione però non racchiude il senso di un’epoca, esprime solo il punto di vista della società che la dominò: una società guidata da ma-
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Feste sfrenate In questo dipinto di José García y Ramos (1852-1912) un uomo in frac e una dama elegantissima lasciano una festa, tra sfaccendati e vetturini. I balli della Belle Époque sono uno dei simboli di un tempo che viene ricordato come spensierato e ottimista.
1886 Il generale Georges Boulanger (sopra) potrebbe tentare il colpo di Stato, ma si accontenta di una candidatura a deputato. 1889 Si costituisce a Parigi la Seconda Internazionale socialista diretta da Engels. 1892 Svelato sulle pagine del quotidiano La libre parole lo scandalo di Panama (a destra), che coinvolge i finanziatori francesi. 1894 Scoppia il caso di Alfred Dreyfus, ufficiale di origine ebraica. Viene ingiustamente accusato di spionaggio.
SOCIETÀ E CULTURA
1881 Entra in funzione la prima centrale idroelettrica, sulle cascate del Niagara.
1883 Si inaugura l’Orient Express, il treno di lusso che collega Parigi a Vienna e Costantinopoli (l’attuale Istanbul). 1885 L’inventore tedesco Gottlieb Daimler costruisce il suo primo motore a scoppio da applicare alle automobili.
1889 Gustave Eiffel termina la costruzione dell’omonima torre in ferro battuto, simbolo di Parigi, costrui ta per l’Esposizione universale.
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1871 Si conclude la Guerra franco-prussiana. Con il Trattato di Francofrote la Francia sconfitta a Sedan perde l’Alsazia e la Lorena.
ALTRI PAESI
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FRANCIA
1895 Il fisico tedesco Wilhelm Konrad Roentgen scopre i raggi X. 101
La seconda rivoluzione industriale e un periodo di pace diedero un forte impulso a scienza e cultura. Sostenuto dalla borghesia, ormai affermata schi bianchi appartenenti all’aristocrazia e alla ricca borghesia industriale e finanziaria delle grandi capitali d’Europa». E non è un caso se fu definita “bella” solo a posteriori, da chi rimpiangeva e idealizzava i bei tempi andati, durante e dopo la Grande guerra. “Quella della Belle Époque fu una società che visse inconsapevolmente su un campo minato”, notava lo scrittore francese Paul Morand in pieno Novecento. Ma quella società su quel campo non solo ci visse: ci ballò frenetica, tra gli anni Novanta dell’Ottocento e l’inizio della Prima guerra mondiale, al ritmo del can-can, infervorata dall’ottimismo per il futuro e dai successi dell’industria. «Certamente la cosiddetta “seconda rivoluzione industriale”, la crescita economica legata all’ulteriore fase di sviluppo capiGETTY IMAGES (2)
LA BELLE ÉPOQUE
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I GRANDI TEMI
La firma della resa francese a Sedan, il 1° settembre 1870: pose fine alla Guerra franco-prussiana.
talistico dell’Europa, che si era avviata dopo la crisi agraria degli anni Ottanta del XIX secolo, ebbe un peso determinante nello sviluppo della Belle Époque. E inaugurò in Europa una “nuova epoca” nella quale la scienza e l’istruzione, il progresso e la pace investirono il vecchio continente, alimentando un’intensa crescita culturale», nota Roberto Parrella, docente di Storia contemporanea all’Università di Salerno. Vita da ricchi. La borghesia capitalista nata in quegli anni fu la grande protagonista dello sviluppo. Un esempio nostrano, valido per tutti: la famiglia Florio, proprietaria in Sicilia di un impero economico diviso tra alberghi e tonnare, barche e compagnie di navigazione, solfatare e industrie di marsala. Grazie al fascino di Donna Franca, la moglie dell’ultimo rampollo della dinastia, organizzatrice di grandi eventi ante litteram, Palermo diventò, tra XIX e XX secolo, un punto di incontro per le élite internazionali e le corti reali. Frequentata, tra gli altri, dallo scrittore dublinese Oscar Wilde, da Vittorio Emanuele III e dal Kaiser Guglielmo II. A Palermo come a Parigi, Vienna e Londra, gli aristocratici e i ricchi industriali si alzavano tardi la mattina, dopo lunghe nottate trascorse tra cene e salotti esclusivi, nei teatri o all’opera. A piedi o accompagnati da un autista sulle prime automobili in circolazione, passeggiavano lungo i viali alberati o nei giardini: lui con il cilindro lucido in testa, i guanti e il bastone, lei stretta in un busto di ferro e stecche di balena, impettita nel lungo abito con poco strascico, la pelle diafana protetta da un ampio cappel-
INTANTO NEL MONDO
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1896 I fratelli Lumière proiettano col loro cinematografo L’arrivo del treno alla stazione di La Ciotat: il pubblico resta sconvolto.
1900 Il 14 aprile si apre la grande Esposizione universale di Parigi, la prima del nuovo secolo: 40 milioni i biglietti venduti, 76mila gli espositori da tutto il mondo.
1900 Il 29 luglio l’anarchico Gaetano Bresci uccide a Monza il re d’Italia Umberto I. Il colpevole viene processato per regicidio e condannato all’ergastolo: si suicida il 22 maggio dell’anno successivo, impiccandosi alle sbarre della finestra della sua cella. 1901 Ondata di scioperi in Italia: 1.400 solo in questo anno. 1905 A Pietroburgo, il 22 gennaio, una manifestazione pacifica viene repressa con violenza (“domenica di sangue”). Scoppia la prima rivoluzione russa.
Sopra, un ballo serale nel 1880 alla luce del gas a Parigi. A lato, la Tour Eiffel e il Globo Celeste, inaugurati nel 1889, sulla copertina di un giornale francese. Sotto, manifesto di uno dei primi film dei fratelli Lumière (1895).
1911 La Francia occupa Fez, in Marocco.
1908 Il 28 dicembre Messina e Reggio Calabria vengono rase al suolo da una violenta scossa di terremoto di 37 secondi, seguita da uno tsunami. Muoiono tra 90mila e 120mila persone.
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Nella Ville lumière
1914 Il 28 giugno Gavrilo Princip assassina a Sarajevo Francesco Ferdinando d’Asburgo. È il casus belli della Prima guerra mondiale.
1898 Sigmund Freud pubblica L’interpretazione dei sogni, trattato fondamentale della psicanalisi.
. 1903 Negli Stati Uniti i fratelli Wright riescono a far volare per la prima volta un rudimentale aereo, per 12 secondi.
1909 Guglielmo Marconi, inventore del telegrafo senza fili, dalla cui evoluzione nascerà poi la radio, riceve il Nobel per la fisica. 1911 Il 21 luglio l’italiano Vincenzo Peruggia entra al Louvre (Parigi) e ruba la Gioconda. Il furto del quadro crea grande sconcerto. 1912 Nella notte tra il 14 e il 15 aprile, durante il viaggio inaugurale, affonda il Titanic, il più grande e lussuoso transatlantico mai costruito. 103
I GRANDI TEMI
LA BELLE ÉPOQUE Contrasti e diseguaglianze ALAMY
All’alba, di Charles Hermans (1875), mette a confronto due classi sociali: ricchi ubriachi che escono da un locale nel momento in cui gli operai vanno a lavorare.
Si moltiplicarono i music-hall, i teatri erano sempre pieni, le ballerine si sfidavano a colpi di gioielli. E nascevano il telefono, il telegrafo, l’aereo...
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liardari, con un conto aperto per lei da Cartier da un barone tedesco, nulla poté contro la “collega” Liane de Pougy, star delle Folies Bergère, che superò la sua meravigliosa collana di brillanti presentandosi a teatro vestita semplicemente di bianco, senza ornamenti, ma accompagnata da una cameriera coperta di diamanti. Divertirsi con poco. Anche le folle urbane avevano molta scelta in fatto di divertimento: il circo, il cabaret, le case di piacere erano accessibili a quasi tutte le tasche. E poi c’era l’ultima magia di fine secolo: il cinematografo. I suoi inventori, i ULLSTEIN BILD/ARCHIVI ALINARI
lo. Sono loro che frequentano gli alberghi della catena di lusso che l’imprenditore svizzero César Ritz sta costruendo in diverse capitali europee, che fanno le vacanze a Cannes, che a Montecarlo giocano al casinò, a Vienna ballano il valzer e cenano da Sacher e a Parigi invece preferiscono Maxim’s. In Francia si autodefiniscono le monde, l’alta società, ma non disdegnano di mescolarsi al demi-monde, fra gente di teatro, poeti, romanzieri e artisti. Soprattutto la sera, quando l’atmosfera si fa più calda, le scollature si allargano, abiti e acconciature chiedono solo di essere guardati. Champagne per tutti! Sotto le gonne si gonfiano vaporose nuvole di mussola rosa o azzurra, ricami e nastrini di raso: le mostrano ogni notte le ballerine di can-can, che dal palco del Moulin Rouge (inaugurato nel quartiere di Pigalle nel 1889) sgambettano veloci al ritmo rapidissimo del ballo simbolo della Bella Époque parigina. Nei teatri, sempre pieni, si rappresenta di tutto: dalle commedie del drammaturgo francese Georges Fey deau, alle tragedie del nostro Gabriele D’Annunzio. A calcare quelle scene furono nomi leggendari: la stupenda soprano Lina Cavalieri, leggiadre ballerine come Isadora Duncan e Anna Pavlova, attrici ammiratissime come Eleonora Duse e Sarah Bernhardt. Nei café-chantant, che a Londra si chiamano music-hall, si esibiscono invece danzatrici seducenti, cortigiane d’alto bordo che quando si trovano dall’altra parte del palco, accanto ai loro ricchissimi amanti o mariti, si sfidano a colpi di gioielli. La Belle Otéro, cortigiana di re, principi e mi-
Vienna, altra “capitale” della Belle Époque, a fine ’800.
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A ritmo di can-can
fratelli Louis e Auguste Lumière, lo presentarono a un pubblico di 36 paganti tre giorni dopo il giorno di Natale del 1895, in una sala del Grand Café di Parigi: proiettarono dieci film brevissimi, muti e in bianco e nero. Il successo fu immenso. E non fu l’unico dell’epoca. Dopo trent’anni di pace, non potendosi più sfidare sui campi di battaglia, le nazioni sfogano il loro nazionalismo e l’ostilità reciproca gareggiando in tecnologia, scienza e sport. “Le forze della natura furono domate e disciplinate; il vapore e l’elettricità diventarono servi docili; la macchina divenne regina del mondo [...] la scienza moltiplica i suoi servigi e trionfa dell’ignoranza e della miseria”, declamava orgoglioso l’allora ministro francese del commercio e dell’industria, Alexandre Millerand, il 14 aprile 1900, nel discorso d’inaugurazione della Esposizione universale. Parigi, che era riuscita a scippare a Berlino l’Expo di inizio secolo, durante i sette mesi dell’enorme fiera si mise in mostra: 40 milioni di visitatori si assieparono sui tapis roulants, i primi marciapiedi mobili della Storia, antenati delle nostre scale mobili, provarono la comodità della Métro appena inaugurata e dei tram elettrici. Mentre lo scenografico palazzo dell’elettricità, illuminato da 5mila lampadine multicolori che si moltiplicavano nel riflesso della Senna, rese omaggio alla protagonista indiscussa della fine dell’Ottocento: l’elettricità. Progressi epocali. Ma i frutti dell’enorme energia creativa degli inventori di inizio Novecento furono moltissimi: non solo il telefono e il telegrafo, ma anche la scoperta di alcuni batteri e dei primi farmaci da laboratorio, gli studi sulla radioattività della chimica polacca Marie Curie, la teoria della relatività di Einstein, la psicanalisi di Freud. Mens sana in corpore sano, dicevano gli antichi Romani. E, caso o no, fu proprio in questo pe-
Sopra, clienti alla moda nella sala lettura dei grandi magazzini Au Bon Marché, di Parigi nel 1900. A lato, cartolina con le ballerine del Moulin Rouge. Sotto, un uomo d’affari sale su una delle prime automobili “economiche”: la Ford modello T (1908).
Scandali che hanno fatto... époque
re enormi scandali po litici e finanziari infiammarono le cronache della Belle Époque: l’opera di costru zione del canale di Panama, la con danna per spio naggio dell’inno cente Dreyfus e la chiusura della Banca Romana. A caccia di soldi. Alla ricerca di fondi per costrui re il canale sull’i stmo di Panama (costosissimo), l’imprenditore francese Ferdi nand de Lesseps alla fine del 1880 lanciò sul mercato 800mila azioni della Compagnia universale del canale interocea nico di Panama. A mano a mano che i costi lievita vano, usò buona parte dei soldi per corrompere alcuni parlamen tari e ottenere un prestito pubblico: non si salvò nep pure con quello. Liquidata il 4 febbraio 1889, la Compagnia pro vocò la rovina di 85mila azionisti. Il fatto che tra gli
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implicati nel crac ci fossero anche due ebrei alimen tò il crescente antisemitismo, che tra il 1894 e il 1906 divise la Francia nell’Affai re Dreyfus: l’uffi ciale di artiglieria alsaziano Alfred Dreyfus, di origi ne ebraica, venne accusato e con dannato per spio naggio a favore dell’Impero tede sco. Scontò due anni nella colonia penale dell’Isola del Diavolo, prima che venissero incriminati i veri colpevoli: alcuni membri dello sta to maggiore. Già corrotti. L’Ita lia aveva vissuto il proprio scandalo nel 1893: al cen tro dell’inchiesta la Banca Romana, che aveva immes so sul mercato banconote false per diversi milioni di lire, per coprire un ammanco. Furono accusati di collusione anche il ministro Francesco Crispi e il presidente del Consiglio Gio vanni Giolitti, poi prosciolti.
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I GRANDI TEMI
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la meta più gettonata, seguiti da Canada, America Latina, Africa Meridionale e Australia. Nuovi mercati. Le industrie e i Paesi più ricchi, invece, di fronte al calo dei prezzi e delle vendite durante la depressione del 1873-1895, cercarono nuovi mercati e materie prime fondando colonie nei Paesi più poveri: Inghilterra, Francia e perfino Italia si volsero verso l’Africa e l’Asia. E invece di dire grazie, si presentarono agli occhi del mondo, secondo un’idea tutta europea del primato dell’uomo bianco, come coloro che lasciavano il proprio Paese per civilizzare le “razze non bianche”, considerate inferiori.
Protagonisti A sinistra, manifesto del pittore Toulouse-Lautrec (1893). Negli ovali, Liane de Pougy e il presidente francese Poincaré.
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Tra le eredità della Belle Époque ci sono lo stile Liberty e il cinema. Ma anche le Olimpiadi, riscoperte allora riodo che rifiorì la tradizione delle Olimpiadi: la prima moderna si tenne nel 1896 ad Atene, a 1.500 anni dall’ultima dell’antichità. Nel 1903, si alzò da terra il primo velivolo a motore dei fratelli americani Wilbur e Orville Wright, nonostante fosse più pesante dell’aria. Ma siamo ben lontani dai voli di linea: per molti persino le prime auto col motore a scoppio rimasero un sogno fino al 1908, quando l’industriale americano Henry Ford produsse un modello economico, “modesta come l’asino, utile come le scarpe”, dal prezzo molto più abbordabile. Rimpianti. “Eravamo felici e non lo sapevamo”, dissero sospirando molti, dopo la fine della Belle Époque. Ma il punto è che non tutti erano stati così felici in quel periodo. La diminuzione delle ore di lavoro, l’aumento degli stipendi e il diritto di sciopero degli operai furono conquiste che costarono parecchie vite e anni di lotta dei socialisti nei maggiori Stati europei. Moltissimi contadini, colpiti dalla crisi, furono costretti a emigrare (vedi riquadro in questa pagina), e non potevano certo parlare di “belle époque” i popoli vittime del colonialismo dei grandi imperi di fine Ottocento, i polacchi e gli slavi dell’Impero au-
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Emigrazione e colonialismo
on solo piume e paillettes: gli anni della Belle Époque furono caratterizzati anche da una fortissima emigrazione e da una ripresa del colonialismo, facce meno evidenti dell’industrializzazione. Sconvolti dalla concorrenza della moderna agricoltura americana, tra il 1870 e il 1915 milioni di europei abbandonarono le campagne: circa 15 milioni (9 milioni dei quali del Meridione) furono gli italiani, 5 milioni i russi, 4 milioni gli austroungarici. In cerca di un lavoro, di fortuna, di migliori condizioni di vita si volsero verso i Paesi in cui c’era più bisogno di manod’opera: gli Stati Uniti, che ne accolsero più di 15 milioni, furono
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LA BELLE ÉPOQUE
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striaco che sognavano la libertà, i minatori del Lancashire o i tessitori di seta di Lione. La patina dorata della Belle Époque, che aveva mostrato le prime incrinature, si sgretolò con lo scoppio della Prima guerra mondiale. «La Grande guerra fu il prodotto più grandioso della Belle Époque, del suo esasperato nazionalismo e della forte competizione imperialistica. E ne segnò la fine: quest’epoca fu la grande occasione mancata di una civiltà che, con il conflitto, dimostrò tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni interne», sostiene Bianchi. «Nel 1919, chi guardava indietro sapeva che quella pagina di Storia era stata girata per sempre. Tornare all’ordine precedente, come ci si era illusi di fare con il Congresso di Vienna, non era più possibile. Anche perché era stato proprio quell’ordine a causare la guerra». La stessa guerra che distrusse l’Europa della Belle Époque. Progredita sì, ma non abbastanza. •
Maria Leonarda Leone
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IN EDICOLA dal 16 luglio con tante altre storie e personaggi
neI prossimI numerI
GETTY IMAGES (3)
CONQUISTADORES
CONTRASTO
NOVECENTO
Ritorno nei Balcani
Il viaggio più avventuroso
Vent’anni dopo Srebrenica, la ricostruzione di come nella ex Iugoslavia scoppiò il più grave conflitto europeo dopo la Seconda guerra mondiale.
Il conquistador Álvar Núñez “Cabeza de Vaca” nel 1530 circa fu il primo ad attraversare il Nord America, dalla Florida al Pacifico.
MEDIOEVO
VITA QUOTIDIANA
Canossa da riscrivere
La carica delle hostess
L’umiliazione dell’imperatore Enrico IV davanti a papa Gregorio VII fu davvero tale? Secondo alcuni storici, no.
Oggi prendere l’aereo per andare in vacanza è normale. Non sempre è stato così: record, curiosità, personaggi della storia dell’aviazione civile.
flashback
Anche gli agenti segreti vanno a scuola. Nel 1968, all’Arboretum, un parco di Washington, si sta simulando l’attacco a un corteo presidenziale. Un addetto alla sicurezza si sta esercitando a sparare a un bersaglio mentre si trova sul predellino di un’automobile, sotto gli occhi del suo istrutTHE LIFE PREMIUM COLLECTION/GETTY IMAGES (2)
tore. La memoria degli attentati al presidente Kennedy e a suo fratello Bob era ancora fresca.
Altri due agenti dello stesso programma di addestramento, pistola alla mano: un istruttore alle loro spalle li controlla. Sembra la scena di un film, invece si tratta di un vero training che si svolgeva all’interno dello United States National Arboretum, un importante giardino botanico a Washington, fondato nel 1927 ed esteso su 180 ettari.
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