Storia SCOPRIRE IL PASSATO, CAPIRE IL PRESENTE
MENSILE – Austria, Belgio, Francia, Lussemburgo, Portogallo, Spagna � 8 - Germania � 11,50 - Svizzera CHF 10,80 - Svizzera Canton Ticino CHF 10,40 - Canada CAD 11,50 - USA $ 11,50
n°109
DALLE SS A ROMMEL, PERSONE, VERITA E FALSI MITI
SIMBOLI
Le peripezie di un cantiere lungo sei secoli: il Duomo di Milano
In Britannia
NAZISMO
Oltre i valli di Adriano e Antonino ce n’era un terzo
DIETRO LE QUINTE DEL TERZO REICH
Marignano La Battaglia dei Giganti, 500 anni dopo
NOVEMBRE 2015 � 4,90 in Italia
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FELICE ORSINI
IL BOMBAROLO CHE TENTÒ DI UCCIDERE NAPOLEONE III: CHI C’ERA CON LUI?
ANTICHI RIMEDI
CENERE DI BECCO E ALTRI MODI CURIOSI PER FARSI PASSARE LA SBRONZA
SEDIE E DIVANI
L’EVOLUZIONE DELLA SEDIA, DALLA PREISTORIA AL DESIGN
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TUTTI I PROTAGONISTI DI MEDIOEVO E RINASCIMENTO
E’ nei tempestosi primi secoli dopo il Mille che fiorisce in Italia la lunga stagione culturale e artistica che, grazie all’alleanza tra arte e potere, ha reso immortali in tutto il mondo grandi menti ingegnose. Focus Storia Collection ne racconta tutti i protagonisti: Giotto, Dante, Leonardo, Machiavelli, Michelangelo, Raffaello e i loro signori: i Medici, i Borgia, gli Sforza i Della Rovere... Un nuovo imperdibile numero da collezione!
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109 novembre 2015
focusstoria.it
Storia Manifestazione nazista per le strade di Berlino nel 1933.
U
Jacopo Loredan direttore
RUBRICHE 4 LA PAGINA DEI LETTORI
6 NOVITÀ & SCOPERTE
8 TRAPASSATI ALLA STORIA
9 CURIOSARIO
10 MICROSTORIA 82 DOMANDE & RISPOSTE 84 PITTORACCONTI 86 SCIENZA E SCIENZIATI 87 AGENDA 114 FLASHBACK
IN PIÙ...
12 IlPERSONAGGIO veneziano che ci lasciò la pelle
Marcantonio Bragadin nel 1571 difese Cipro dagli ottomani. Sconfitto, fu scorticato vivo.
AKG/MONDADORI PORTFOLIO
n Paese, una nazione e un popolo plasmati dall’ideologia. Donne adoranti e fanatiche, bambini in camicia bruna, uomini con svastica al braccio e stivaloni neri. Raduni, sfilate nibelungiche. Ma anche, come si conviene nella tradizione tedesca, una macchina statale impeccabile (e ce ne voleva per farla funzionare, considerate le intromissioni del Partito), un’industria d’avanguardia e plotoni di scienziati tra i migliori del mondo. Ingrediente principe di questo cocktail velenoso, la visione depravata di Adolf Hitler che, tra proclami sulla superiorità ariana, crimini antisemiti e avventure belliche, nel giro di soli 12 anni avrebbe portato il dittatore al suicidio e gli alfieri della croce uncinata davanti ai giudici di Norimberga, non senza aver prima insanguinato il mondo. Com’è stato possibile tutto ciò? Che genere di follia ha travolto milioni di persone nella Germania tra le due guerre? Le risposte in questo viaggio tra i risvolti meno conosciuti della “normalità” nazista.
CI TROVI ANCHE SU:
NAZISMO SEGRETO
COSTUME 18 Dimmi come
ti siedi
Cinquemila anni di sedie e poltrone.
26
20 IlARCHEOLOGIA primo vallo
I custodi del Reich Le Allgemeine-Ss, la “spina dorsale” dello Stato nazista.
Gli affari sono affari
32
I colossi tedeschi e le grandi industrie straniere che sostennero il regime.
38 Hitler privato
Le immagini dagli album fotografici a colori, tra amici e gerarchi.
44
Avanti marsch! La Gioventù hitleriana allevò un’intera generazione nel culto del Führer.
50 8 falsi (e veri) miti nazisti
Se ne dicono tante sul nazismo. Ma qualche mistero c’è davvero.
52
La scienza in divisa Nel Terzo Reich molti scienziati si piegarono all’ideologia nazista.
56
L’inganno di Terezín Una fortezza del ’700 trasformata in lager. Che diventò un “ghetto ideale”.
62
Quelle brave ragazze Storie di ordinaria crudeltà dietro alla facciata del “nazismo in rosa”.
70
Rommel, la volpe in trappola Il grande generale costretto a suicidarsi quando entrò in dissidio con Hitler.
76
Il regime alla sbarra A Norimberga si giudicarono i responsabili della macchina della morte. In copertina: Adolf Hitler e un’adunata oceanica in Germania. AKG/MONDADORI PORTFOLIO. ELABORAZIONE P. GHISALBERTI
Le ultime scoperte su una terza frontiera romana in Britannia, il Gask Ridge, in Scozia.
ARCHITETTURA 88 Nella fabbrica
del Duomo
Una costruzione che a Milano durò 6 secoli.
QUOTIDIANA 94 VITA La sbronza
si curava così
Dall’occhio di pecora alla cenere di becco di rondine, i rimedi del passato.
D’ITALIA 96 IlSTORIE bombarolo
Nel 1858 il romagnolo Felice Orsini tenta di uccidere Napoleone III a Parigi.
102 IlANTICHITÀ gineceo greco Come vivevano le donne nell’ “harem” delle case elleniche.
TEMI 104 II nGRANDI guerra
per l’Italia
5 secoli fa la Battaglia dei giganti, un sanguinoso conflitto per spartirsi il nostro Paese. 3
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Lucilla e il gladiatore
I misteri dietro a un’antica pubblicazione
In merito all’articolo “Il tradimento di Lucilla” (Focus Storia n° 107) vorrei precisare che nel II secolo d.C., epoca della morte di Lucio Vero, l’Illirico comprendeva, oltre all’odierna Albania settentrionale, anche la Slovenia meridionale, la Croazia, la Bosnia, il Montenegro e la Serbia occidentale. Mi ha stupito inoltre non trovare un riferimento al film Il Gladiatore di Ridley Scott (2000), in cui ampio spazio è dedicato proprio alla congiura di Lucilla.
Scrivo per saperne di più sull’autore di una prima stampa del 1705, di cui sono venuto in possesso da qualche tempo, intitolata Disquisitiones biblicæ in universum pentateucum. Il fatto che mi ha spinto ad approfondire la storia dietro questo libro è sapere che lo scrittore, Claude Frassen, fu consigliere del Re Sole. Un secondo fatto sul quale sto cercando di far luce riguarda il timbro della biblioteca, presente su fronte e retro del libro, dalla quale forse il volume potrebbe esser stato rubato o perso col passare dei decenni. Vi si legge chiaramente “biblioteca Quiriniana” e non Queriniana, la famosa biblioteca di Brescia. Mi auguro davvero che qualcuno possa aiutarmi.
Giovanni Antonio Nigro
Jon Alia Anagnosti, Milano
calità sopra indicate si sono parlati e ancora in piccola parte si parlano dialetti di tipo bavaro-austriaco (cosa già accertata nel XIX secolo). Questo perché i supposti Cimbri altro non sono che i discendenti di popolazioni che con migrazioni medioevali si sono spostate nelle Prealpi trentine e venete partendo dalle originarie sedi bavaresi. E allora, perché continuare a divulgare la storiella dei relitti cimbrici?
ALINARI
Dino Marchetti
Statua di Lucilla del II secolo d.C.
I soliti Cimbri? Su Focus Storia Collection “Estate 2015”(a pagina 87) ho letto dell’origine degli abitanti di Luserna, di Roana, dei Sette Comuni del Vicentino e dei Tredici Comuni del Veronese, dove, fino a non molto tempo fa, si sarebbe conservata la loro parlata cimbrica. Dei Cimbri non si è saputo più niente dopo la definitiva sconfitta a opera dei Romani, però è certo che nelle lo4
Nel riquadro in questione si fa riferimento alle fonti antiche, come Plutarco, che riportano appunto la presenza dei Cimbri in quell’area. Non vi si affronta il tema dell’ascendenza etnico-linguistica; se il testo si presta a questa ambiguità ce ne scusiamo.
realizzato al cospetto del lenzuolo originale conservato a Torino e con esso fatto combaciare. Come una copia del sudario sia arrivata da Torino al paese del Molise dove è tuttora conservata è stato a lungo un mistero, su cui ha contribuito a fare luce una ricerca di un appassionato di storia locale, Nino Iammarino, citata nel libro di Mario Tanno Ripalimosani e le sue chiese. Nel 1898, in occasione dell’ostensione del Sacro lenzuolo a Torino per le nozze del Principe Vittorio Emanuele di Savoia con la futura Regina Elena, l’arciprete di Ripalimosani Nicola Minadeo, si rivolse a Monsignor Giovanni Lanza, Cappellano maggiore dei Savoia per avere notizie della copia conservata a Ripalimosani. Dalle indagini condotte da Monsignor
Lanza emerse che quella di Ripalimosani è la terza copia in ordine cronologico, prodotta a grandezza naturale. Venne commissionata nel 1594 dal duca Carlo Emanuele I di Savoia per donarla al re di Spagna Filippo II: il pittore, su ordine del duca, eseguì il lavoro in ginocchio e a capo scoperto in quanto al cospetto della Sindone originale. La copia fu affidata all’arcivescovo di Bari, Monsignor Giulio Cesare Riccardo, nunzio apostolico di papa Clemente VIII, che la consegnò al re di Spagna; quest’ultimo prima della morte, per amicizia donò il dipinto a Monsignor Riccardo. L’opera, per successione, giunse a Girolamo Riccardo, marchese di Ripalimosani, che la conservò gelosamente in una cassetta e, alla soppressione della feudalità,
La Sindone molisana In relazione al riquadro “Non solo a Torino: le altre sindoni” dell’articolo “Il sudario della discordia” (Focus Storia n° 107) vi segnalo un’ulteriore copia della Sacra Sindone: è quella conservata presso la Chiesa parrocchiale di Ripalimosani (Cb). Non si tratta però di una icona “acheropita” come quelle citate nell’articolo, ma di un dipinto
La copia della Sacra Sindone conservata a Ripalimosani (Cb). Fu commissionata nel 1594 e donata a Filippo II di Spagna.
Michele Moffa, Ripalimosani (Campobasso)
La “cintola” di Prato Ho letto con estremo interesse la storia della Sacra Sindone di Torino, sul numero 107 di Focus Storia. Vorrei segnalarvi che esiste anche un altro sacro telo della stessa epoca della Sindone: si tratta della Cintura del Vestito della Madonna. Essa è conservata a Prato dal 1141 circa, denominata “Sacra Cintola”. Secondo un testo del V secolo, fu lasciata dalla madre di Gesù, poco prima della sua assunzione, a San Tommaso apostolo e da questi e dai suoi discendenti conservata fino a quando, nell’anno sopra indicato, fu portata come dote matrimoniale da una ragazza di Gerusalemme (Maria) a un giovane di Prato (Michele), probabilmente un crociato. Nel viaggio di ritorno a Prato da Gerusalemme, dove era stato celebrato il matrimonio, la giovane sposa morì e il marito, giunto in città, donò la Sacra Cintola al proposto della Pieve di San Stefano (oggi Duomo di Prato). Da allora la Sacra Cintola è ospitata in una cappella appositamente edificata all’interno del Duomo ed
è oggetto di grande venerazione da parte dei pratesi, che gli attribuiscono vari eventi prodigiosi. Il vescovo la esibisce (“Ostensione del Sacro Cingolo”) nelle occasioni importanti da un pulpito esterno al Duomo, edificato su progetto di Donatello e Michelozzo nel ’400. Essa è stata venerata nei secoli da molti principi e papi, l’ultimo dei quali fu Giovanni Paolo II nel 1986. Giancarlo Bragagni, Prato
Le altre Amazzoni A integrazione del vostro interessante articolo (come tutti d’altra parte!) sulle Amazzoni, ho ricordo di altri interi reparti femminili utilizzati nella Storia, anche nell’era moderna. Durante la Grande guerra in Russia, dopo l’abdicazione dello zar Nicola II e prima dell’avvento dei Soviet, furono arruolati interi battaglioni femminili, i “battaglioni della morte”. Ma il loro utilizzo contro le truppe degli Imperi centrali risultò disastroso. Più di recente, Gheddafi costituì un corpo di guardie personali interamente femminili, molto affascinanti e discretamente addestrate, ufficialmente servivano per la protezione del dittatore libico, ma di fatto erano vergognosamente utilizzate più per soddisfare i suoi impulsi sessuali. Ancora in Africa, come fate riferimento nello stesso articolo, gli Zulu utilizzarono reggimenti (amabuthu) di “vergini guerriere” del re Cetshwayo nella seconda metà dell’800, ma anche prima, con precedenti sovrani. [...] Loris Zancanella
Ricordando Mazzei
dell’illustratore Marcello Mangiantini) di una “biografia romanzata” sotto forma di graphic novel a fumetti, dedicata a Filippo Mazzei. Fu un’iniziativa del comune di Poggio a Caiano, dove nacque Mazzei, e l’albo fu poi prodotto anche negli Stati Uniti, due anni dopo. Non lo dico per un’eventuale pubblicità, visto che, fra l’altro, l’albo credo sia anche introvabile, ma per una semplice soddisfazione, visto il tanto tempo passato “in compagnia” di Mazzei, a studiarne la vita e i fatti, per poterne scrivere. Un personaggio a cui mi sono molto affezionato e che non è molto conosciuto, per cui è stato un piacere poterne leggere. Marco Di Grazia
Delusione da Sud Scrivo per contestare il vostro servizio di disinformazione sul n° 108, a proposito delle notizie riguardanti il Regno delle Due Sicilie e in special modo alle tante non verità da voi omesse o per ignoranza [...] oppure perché la linea editoriale del vostro giornale prevede ancora una volta la manipolazione della verità su quella che è stata la Grande colonizzazione in Europa: assoggettare popoli civili ed autonomi e ricchi, i Borboni con un elevato grado di industrializzazione e progresso sia industriale-manufatturiero sia culturale ed economico per l’epoca (acciaierie in Calabria, prima ferrovia a Portici, primo teatro lirico in Europa a Napoli, prima università pubblica a Napoli, primo grande parco orto botanico d’Italia a Napoli, la più grande e ricca banca in Italia il Banco di Napoli...)
Nel numero 108 di Focus Storia, ho letto con molto piacere un articolo su Filippo Mazzei, l’illuminista pratese, protagonista di importanti eventi, come anche voi avete scritto. Io sono stato, quindici anni fa, autore dei testi (con disegni Il ritratto di Filippo Mazzei (1730-1816), illuminista pratese.
per favorire una famiglia, i Savoia, che piena di debiti e invidiosa [...] decise conquistarla con l’ aiuto di un uomo, Giuseppe Garibaldi, a capo di un manipolo a cui vennero promessi soldi e elargizioni poiche sbarcarono In Sicilia dove poi si costituì il suo esercito. A far parte di questo esercito ci furono molti briganti e delinquenti fatti uscire dalle carceri dell’isola per compiere le barbarie di cui ancora oggi come voi non tutti narrano [...]. Il resto poi, e parlo della questione meridionale, la condizione sempre meno sviluppata del Sud al confronto del Nord d’Italia, la nascita delle organizzazioni criminali radicate sul territorio del Meridione,sono tutte conseguenze. Spero presto di leggere un nuovo articolo sul vostro giornale dove venga fatta chiarezza [...]. Elia Caliendo
Alle eccellenze del Regno delle Due Sicilie e a pagine controverse delle azioni di Garibaldi abbiamo dedicato in passato alcuni articoli, anche a firma di Gigi Di Fiore, noto autore di libri di “controstoria” del Risorgimento. Non ci pare quindi di poter essere accusati di faziosità.
I NOSTRI ERRORI RMN/ALINARI
l’ultimo marchese (Nicola Mormile) lasciò il dipinto alla chiesa di Ripalimosani; da allora rimase per circa un secolo conservato negli archivi parrocchiali finché l’arciprete Nicola Minadeo lo espose alla venerazione dei fedeli (1899). La Sindone di Ripalimosani è qualificata come “reliquia da contatto” in quanto fu fatta combaciare con l’originale e come tale degna di pubblica venerazione. Come per la Sindone di Torino, si nota l’immagine di Cristo con i segni della Passione; alla base della tela è riportata la scritta: ”S.S. Sudari Salvatoris imago e Sacra Sindone Sabaudiae excepta Iulio Caesare Riccardo Archiepiscopo Bari Clementis VIII Nuncio”. Verso il lato sinistro c’è un pezzetto di seta rossa con sotto la scritta “Seta in cui fu involta la SS. Sindone dal maggio 1868 al maggio 1898 ed ebbe immediato contatto con la SS. Reliquia (Il Cappellano Maggiore di Sua Maestà)”.
Focus Storia n° 108, pag. 39: il toro raffigurato nella foto in basso non è quello della galleria milanese, bensì quello dei portici di Piazza San Carlo, a Torino. 5
SCALA
novità e scoperte
Le ripetizioni di storia si fanno sui muri
C
accia al tesoro della Storia in Val d’Enza, in provincia di Reggio Emilia. Dai luoghi più inaspettati fanno capolino i volti di grandi personaggi, ma siete sicuri di saperli riconoscere? E di ricordare che cosa hanno fatto? Da queste domande è nata l’originale iniziativa dei writer del Collettivo Fx, gruppo di artisti che decora grigie pareti con murales
in bianco e nero. Riscoprire le opere degli italiani che segnano la toponomastica cittadina è infatti uno degli obiettivi del progetto, che ha anche un nome: “La Storia sotto casa”. Dimmi in che via sei. Così può capitare di svoltare un angolo e trovarsi di fronte, nelle rispettive vie, al faccione di Danilo Dolci (1924-1997), sociologo pacifista (per questo soprannominato il Gandhi italiano), o del monaco medioevale Donizone da Canossa, biografo della più celebre Matilde: in entrambi i casi, italiani illustri ma a volte non abbastanza da essere finiti nel bagaglio culturale della maggioranza. Ora la sfida è rintracciare e identificare tutte e 21 le opere, in attesa che ne compaiano altre. (a. b.)
COLLETTIVO FX (2)
Insulti da
F I ritratti “graffitari” del sociologo Danilo Dolci (sopra) e del monaco Donizone da Canossa (XI-XII secolo).
IN PILLOLE
1
Dove ti appoggio il cranio
A Città del Messico, nel centro cerimoniale dell’antica Tenochtitlán, trovate tracce di uno tzompantli, la rastrelliera di pali e travi in cui erano infilati (in cerchio) i crani dei sacrificati. 6
2
uck (letteralmente, “fottere”), la parolaccia inglese ormai conosciuta anche da chi l’inglese non lo sa, ha circa 700 anni. È infatti apparsa per la prima volta in alcune carte processuali del 1310. La scoperta è stata del tutto casua-
Una Roma tutta nuova
Cambia la mappa della Roma più antica, quella dei re: trovati i resti di una domus patrizia del VI secolo a.C. in una zona che si pensava occupata soltanto da una necropoli.
3
le. Durante alcune ricerche su Edoardo II, re d’Inghilterra dal 1307, lo storico medievista Paul Booth dell’Università di Keele (Gran Bretagna) si è imbattuto in uno strano personaggio, tale Roger “Fuckebythenavele” (navel significa “ombelico”). Il
Robinson Crusoe in Alaska
Scoperto a Sitka, nel Sud-est dell’Alaska, il campo dei superstiti del naufragio della nave russa Neva, avvenuto nel gennaio del 1813. Dovettero aspettare i soccorsi per 24 giorni.
REUTERS/CONTRASTO
Scoperto casualmente un documento del 1310 in cui compare per la prima volta “fuck”, la parolaccia inglese più famosa.
Il densitometro “legge” La testaun di Lenin riesumata codice miniato. a Berlino. Andrà al museo.
Con Lenin in testa
L Oscenità Una coppia in intimità in una miniatura del ’400. A destra, la parola fuck (nel tondo) in un epiteto offensivo: è in un documento del 1310.
medioevali soprannome, che compare per ben tre volte negli archivi della cittadina inglese di Chester, suona poco lusinghiero. Secondo lo studioso indicherebbe un amante inesperto che tenta di fare l’amore attraverso l’ombelico (o uno sciocco
4
che ritiene sia questo il modo corretto per farlo). Sdoganata. Di derivazione tedesca, la parola fuck si diffuse nel XV secolo, per poi assumere una connotazione così volgare da essere bandita dall’Oxford English Dictionary nel ’700.
Antichissimi spermatozoi
Spermatozoi di 50 milioni di anni fa, i più antichi mai trovati: erano sull’isola di Seymour (Antartide), protetti da bozzoli fossili. Erano di una specie di vermi estinta.
5
Bisognò aspettare fino al 1960 per vederla riapparire: la sua pubblicazione fu autorizzata, in seguito a un processo, tra le pagine del romanzo di David Herbert Lawrence, L’amante di Lady Chatterley (1928). •
Maria Lombardi
Vera età
Undicimila anni: è l’età della più antica statua di legno. Si tratta di un idolo trovato sui monti Urali nel 1890, ma datato solo di recente. In origine era alto oltre 5 metri.
a testa di una gigantesca statua di Lenin, rimasta sepolta per 25 anni in un bosco a sud-est di Berlino insieme ad altri 129 pezzi, è stata dissotterrata per volontà del museo del quartiere di Spandau. Alta 1,7 metri per 3.900 kg di peso, era parte di un monumento in granito rosso che, realizzato per il centenario della nascita dello statista russo, è apparsa nel film Good Bye Lenin! (2003, di Wolfgang Becker), dove la si vede trasportata in volo. Vittima del crollo. Alta 19 metri, la statua completa era stata commissionata dal Partito comunista della Germania Est allo scultore sovietico Nikolaj Tomskij e inaugurata nel 1970 davanti a 200mila persone. Dopo la caduta del Muro di Berlino (1989) e della cortina di ferro che divideva le due Germanie, si decise il destino di ben 800 monumenti. Tra cui questo, che fu rimosso nel 1992. Gli abitanti del quartiere tentarono di impedirlo sostenendo che faceva parte della loro storia, incompresa dagli “occupanti” dell’Ovest. Il museo di Spandau, dopo la ristrutturazione, ha deciso di riesumare la testa per una mostra permanente – che sarà inaugurata a fine anno – dedicata ai monumenti politici della capitale, dal XVII secolo in poi. (g. l.) 7
novità e scoperte Rodolfo d’Asburgo e la sua giovane amante Maria Vetsera. Si suicidarono insieme nel 1889.
A casa dei primitivi
SCALA
nche gli uomini di Neanderthal (foto) amavano avere l’acqua calda in casa. Lo hanno scoperto i ricercatori dell’Istituto Catalano di Paleoecologia umana ed Evoluzione sociale (Iphes), che hanno analizzato un riparo ricco di reperti preistorici nel sito di Abric Romani, in Catalogna (Spagna). Sorpresa finale. A impressionare gli esperti è stata la suddivisione degli spazi. Sono state identificate infatti una zona per la macellazione della selvaggina, una per la scheggiatura degli utensili, una per lo smaltimento dei rifiuti, un’area dei focolari e (per la prima volta in un sito neanderthal) una riservata al sonno. Tra i focolari e le rocce riscaldate è stato trovato un buco che per gli scienziati poteva servire a riscaldare l’acqua. (a. b.)
GETTY IMAGES (2)
A
Morire d’amore Nel 1889 quello di Maria Vetsera e Rodolfo d’Asburgo fu suicidio. Lo svela una lettera.
C
“
ara mamma, perdonami per ciò che ho fatto. Non ho potuto resistere al mio amore. Tua Mary”. Era il 30 gennaio 1889 quando, nel capanno di caccia di Mayerling (nei dintorni di Vienna), la baronessa Maria Vetsera, 17 anni, moriva suicida con il principe ereditario Rodolfo d’Asburgo, 30 anni, sposatissimo. La lettera, re-
centemente ritrovata, fu scritta il giorno precedente e conferma il suicidio per amore. Sospetti. Per coprire lo scandalo, gli Asburgo avevano rimosso segretamente il cadavere della giovane, fatto sepellire nelle vicinanze; Rodolfo fu invece portato nella Cripta dei Cappuccini, sepoltura della famiglia. Il maldestro tentativo di copertura portò a una ridda
di ipotesi sulla loro morte. Oggi quella lettera, indirizzata a madre, sorella e fratello, mette la parola fine ai sospetti. Se ne sapeva l’esistenza, insieme ad altre missive che si credevano perse o distrutte. Una mano anonima le depositò invece nel 1926, con altri documenti, nel caveau di una banca austriaca. Il ritrovamento è dovuto a un riordino. Nel 2016 il materiale sarà esposto a Vienna per il centenario della morte dell’imperatore Francesco Giuseppe.• Giuliana Lomazzi
TRAPASSATI ALLA STORIA Personaggi sconosciuti che sono stati, in vita, protagonisti.
BRAD ANDERSON
Fumettista
Sansone, il grosso alano che non sa di essere enor me e fa impazzire i padroni, nacque nel 1954 dalla fantasia di Brad Anderson, morto a 91 anni. All’a pice del successo, le vignette comparivano su 500 giornali, tra cui Topolino. In controtendenza, pensò di disegnare un cane non umanizzato. Originale. Nel 1978 ricevette un prestigioso premio per la sua creazione, che comparve in una serie tv e nel 2010 fu protagonista dell’omonimo film, in cui fu doppiato dal cantante Pupo. 8
FRANCES KELSEY
Farmacologa
Se negli Usa la talidomide non imperversò, il me rito è suo. Appena assunta alla Food and Drug Ad ministration, nel 1960, le fu chiesto di approvare il farmaco usato per calmare le nausee delle donne incinte. Ma la Kelsey esigette ulteriori studi clinici. Cautela. A fine 1961 giunsero le prime notizie di nati deformi, seguite dalla rinuncia dell’azienda e da leggi più severe sull’approvazione dei farmaci. Nel 1962 la Kelsey fu premiata dal presidente John Fitzgerald Kennedy; è morta a 101 anni.
A cura di Giuliana Lomazzi
LAWRENCE HERKIMER
Istruttore
L’idea delle cheerleader, come le conosciamo oggi, venne a Herkimer appena dopo la laurea, nel 1948, quando decise di formare ballerine acrobati che di sostegno alle squadre sportive. Successo. Al primo appello della National Cheer leaders Association, nata con un prestito di 600 dollari, risposero nel 1949 52 ragazze e un ragazzo; l’anno dopo furono 350. Il successo spinse poi Her kimer a inventare un enorme pompon, un acroba tico salto e apposite uniformi. È morto a 89 anni.
curiosario A cura di Giuliana Rotondi
La Nazionale di Pozzo
I
V.SIRIANNI
l 29 giugno del 1933 Primo Carnera mandò al tappeto l’australiano Bill Sharkey e conquistò così il titolo mondiale dei pesi massimi. I successi ottenuti sul ring del Madison Square Garden di New York fecero montare la testa a Benito Mussolini, che si convinse di poter trasferire anche sui campi di calcio la gloria ottenuta nei match di pugilato. Sul tema fioccarono ardite interpretazioni. Il tenente Vittorio Pozzo, commissario tecnico della Nazionale (a destra, nella caricatura) si spinse a dire che il terreno di gioco era da considerarsi una metafora del campo di battaglia. “Ci parlava della patria e della famiglia e ci faceva cantare La canzone del Piave”, ricorderanno in seguito i giocatori della Nazionale che, saliti per il ritiro all’albergo L’Alpino – sul Lago Maggiore a Stresa –, iniziarono la preparazione per il Mondiale del 1934. Con un solo obbiettivo richiesto in modo tassativo: “Vincere!”. A qualsiasi costo. Per il duce. Fiera e gagliarda, la squadra italiana diede a tutti la soddisfazione sperata e si fece onore diventando per l’opinione pubblica, ossia per la propaganda, la cosiddetta “Nazionale del duce”. Non senza strascichi di polemiche. Dal 1934 in poi, infatti, la squadra italiana sarebbe stata accolta all’estero tra i fischi e le contestazioni, alimentate da antifascisti fuoriusciti. Eppure, tra i giocatori azzurri solo due erano dichiaratamente fascisti e iscritti al partito: Eraldo Monzeglio e Attilio Ferraris (detto Ferraris IV). Monzeglio era anche un habitué di Villa Torlonia, la residenza dei Mussolini a Roma, nonché amico dei figli del duce, Vittorio e Bruno, di cui fu istruttore di calcio e tennis.
Pranzi da capogiro
Le antiche carote viola
C
L
enare (o pranzare) con Nerone doveva essere un onore così grande da far girare la testa, letteralmente. Sì, perché all’interno la “casa dorata” dell’imperatore, la Domus Aurea, aveva una sala da pranzo girevole. I racconti che lo storico Svetonio riporta e altre fonti antiche in cui la coenatio rotunda è menzionata erano così incredibili da essere ritenuti una leggenda fino agli scavi del 2009.
Girotondo. Le testimonianze archeologiche sembrerebbero invece confermare: la sala, secondo le ultime ricostruzioni, ruotava imitando il movimento degli astri e del Sole, aveva il pavimento poggiato sull’acqua e si affacciava su un panorama mozzafiato. Il soffitto era dipinto a stelle e nascondeva pannelli che a un certo punto dispensavano petali di rosa e profumo sui commensali. (m. l.)
e carote non sono sempre state arancioni, come le conosciamo oggi. L’ortaggio era in origine, per sua natura, di un altro colore, tra il porpora e il viola. Così era al tempo di Egizi, Greci e Romani, che lo utilizzavano (non solo in cucina) per le sue proprietà benefiche. Testimonianze storiche dimostrano poi che ne esistevano varietà gialle o bianche, mai arancioni. Almeno fino al XVI-XVII secolo.
Appetibili. La trasformazione, che ha portato anche un cambiamento nel gusto, divenuto più dolce e delicato, è avvenuta nei campi olandesi. I coltivatori, attraverso incroci e selezioni, riuscirono a cambiare il colore in quello che oggi vediamo sui banchi dei mercati. Si dice che scelsero l’arancione in onore della dinastia degli Orange, che guidò l’Olanda nella guerra contro gli spagnoli. (m. l.) 9
microstoria
IL MITO Secondo l’Odissea, lo stratagemma della TELA DI PENELOPE fu ideato dalla moglie di Ulisse per tenere a bada i Proci, pretendenti alla sua mano e al trono di Itaca. Dopo aver promesso ai Proci che avrebbe scelto il futuro marito solo dopo aver terminato il lenzuolo funebre per il suocero Laerte, infatti, Penelope di giorno tesseva la tela, mentre di notte la disfaceva. In questo modo rimandava all’infinito il momento della scelta nell’attesa del ritorno di Ulisse. Svelato. Il trucco non durò a lungo: dopo quattro anni un’ancella traditrice riferì l’inganno ai Proci. Oggi la tela di Penelope sta a indicare un lavoro che non avrà mai termine, oppure intrapreso a mo’ di alibi per qualcos’altro. 10
LEEMAGE/MONDADORI PORTFOLIO
LEEMAGE/MONDADORI PORTFOLIO
A cura di Aldo Carioli, Marta Erba, Giuliana Rotondi e Daniele Venturoli
LA VIGNETTA
METROPOLIS
Il 19 giugno 1886 sulla rivista francese La Caricature uscì questa illustrazione: una “visione dal futuro” che prevedeva gli effetti dell’apertura della metropolitana di Parigi. A realizzarla fu Albert Robida (1848-1926), che interpretò così la grande attesa della Francia verso questa novità. Ville lumière. A Parigi si era iniziato a discutere della possibilità di decongestionare il traffico di carrozze e pedoni fin dalla metà dell’Ottocento.
Negli Anni ’80 erano già partiti i lavori a Londra, che ebbe la sua prima linea metropolitana nel 1890, mentre la capitale francese ancora discuteva su come realizzarla. Furono i Giochi olimpici del 1900 a vedere debuttare la prima linea parigina (ne furono subito pianificate sei): sotterranea ed elettrica, fu subito un grande successo. Nel disegno, però, si immaginano treni a vapore: per molto tempo fu questa l’opzione più probabile.
PAROLE DIMENTICATE
R A S I L E Deriva dal latino rasilis, espressione a sua volta derivata da rasus (“raso”): indica la proprietà di un oggetto che si può levigare facilmente.
SCALA
Mosaico di San Luca nella basilica di Venezia.
IL NUMERO
120
I volumi che compongono il poema epico tibetano su Re Gesar (XII secolo), che nella versione originale contiene oltre un milione di versi.
TOP TEN
CHI L’HA DETTO? “Noblesse oblige” Il principio per cui “la nobiltà impone degli obblighi” è illustrato da Pierre-Marc-Gaston de Lévis, in Maximes e reflections (1808): ogni nobile e chi occupa posti di responsabilità deve dare il buon esempio.
Analogie. Un concetto simile è nel Vangelo di Luca (“A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto”), ma anche nei fumetti dell’Uomo Ragno (“Da un grande potere derivano grandi responsabilità”).
L’OGGETTO MISTERIOSO È formato da due pezzi: un contenitore in rame e latta di 6 cm di altezza con fondo svitabile e uno stoppino interno, con copristoppino e manico, lungo 18 centimetri. A che cosa serviva? Aspettiamo le vostre risposte, indicando anche la località, a: Focus Storia, via Battistotti Sassi, 11/a - 20133 Milano oppure a
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È stata Silvia Grinza da Torino la lettrice più veloce nell’indovinare l’oggetto misterioso del numero scorso: si trattava di un antico “tracciatore” in ferro, usato dagli artigiani del legno e del ferro come una matita a due punte: permetteva di indicare una dimensione e tracciare un taglio.
BREVETTI STORICI
1
Thomas Edison (1847-1931) Usa Con 1.084 brevetti è il re degli inventori a stelle e strisce. Sono “suoi”, tra gli altri, la lampada a incandescenza e il fonografo.
2
George Albert Lyon (1882-1961) Can. Le sue 993 invenzioni brevettate furono quasi tutte dedicate all’automobile e alla sicurezza della guida. Inventò il paraurti.
3
John F. O’Connor (1864-1938) Usa Ingegnere ferroviario, tra i suoi 949 brevetti c’è quello del meccanismo che univa le locomotive al carrello.
4
Melvin De Groote (1895-1963) Usa Suoi il metodo chimico per raffinare il greggio e quello per far aderire il cioccolato al gelato (il cremino). Ha 925 brevetti.
5
Francis H. Richards (1850- ?) Usa Tra i suoi 894 brevetti una macchina per stampare, piegare e rifinire con la gommacolla 80mila buste al giorno.
6
Carleton Ellis (1876-1941) Usa A quota 753, deve la sua fama all’invenzione del poliestere e al metodo per estrarre margarina (foto) da oli vegetali.
7
Elihu Thomson (1853-1937) Uk Fu un grande innovatore nell’elettricità. Ideò l’illuminazione ad arco e uno scaricatore magnetico per i fulmini: 696 brevetti.
8
Henri Dreyfus (1882-1944) Svizzera Chimico da 524 brevetti: molti nel campo delle tinture tessili, in quello delle fibre sintetiche e nello studio dei polimeri.
9
Thomas E. Murray (1860-1929) Usa Tra i suoi 449 brevetti, il regolatore dell’intensità della luce (foto) nelle lampade a petrolio e gas, oltre che il fusibile.
VOCABOLARIO: PANZANA L’espressione deriverebbe, secondo le ricostruzioni più accreditate tra cui quella del linguista Giacomo Devoto, dalla parola toscana panicciana che significava “una cosa molle e priva di consistenza”. Alcuni sostengono che anche la famosa panzanella – il pane raffermo bagnato e condito con sale tipico dell’Italia centrale – possa avere la stessa origine.
John Hammond Jr. (1888-1965) Usa Mise a punto un amplificatore di segnale per le linee telefoniche e il controllo radio dei sistemi missilistici: 417 brevetti.
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PERSONAGGI
IL VENEZIANO
che ci lasciò la pelle Scontro di potenze
LEEMAGE
Battaglia tra la flotta veneziana e quella ottomana al largo di Cipro, nel 1570-71: in palio c’era il possesso dell’isola. A destra, busto di Marcantonio Bragadin (1523-1571).
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L
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Marcantonio Bragadin nel 1571 difese Cipro dagli ottomani. Sconfitto, fu scorticato vivo. Ancora oggi non si sa perché
o hanno ingabbiato, torturato, spellato vivo, sbeffeggiato, poi ne hanno imbottito la pelle di paglia mandandola in giro per Famagosta a dorso d’asino. Ma sul perché gli ottomani di Lala Mustafa Pascià abbiano massacrato e oltraggiato in quel modo Marcantonio Bragadin, il 15 agosto 1571, vale ciò che negli Anni ’50 il giornalista Tommaso Besozzi scrisse in un celebre reportage dedicato alla fine di Salvatore Giuliano: “Di sicuro c’è solo che è morto”. «Non sappiamo ancora, e forse non sapremo mai, cosa accadde davvero, e soprattutto perché», scrive Alessandro Barbero nel suo saggio Lepanto (Laterza). La tragica storia dell’uccisione del “rettore” (un alto grado di comando) veneziano della fortezza di Famagosta, sull’isola di Cipro, è diventata la pietra di paragone della crudeltà ottomana nei confronti dei cristiani; mentre Lala Mustafa Pascià rappresenta nell’immaginario degli europei suoi contemporanei la quintessenza del turco traditore e infido. E due mesi più tardi, il 7 ottobre, nella battaglia di Lepanto, i veneziani per vendicare il massacro di Famagosta non faranno prigionieri: “de’ turchi gavemo fato becària” (becària sta per macelleria), scrisse il patrizio veneziano Girolamo Diedo in una relazione al bàilo (l’ambasciatore) a Costantinopoli. L’isola contesa. Il contesto storico è abbastanza noto: gli ottomani volevano sottrarre l’isola di Cipro ai veneziani che la controllavano direttamente da poco meno di un secolo. Per la precisione dal 1489, anno in cui la regina Caterina Corner, vedova di Giacomo II Lusignano, aveva abdicato in favore della Serenissima (vedi riquadro nella pagina successiva). Il primo contingente musulmano era sbarcato il 3 luglio 1570. I veneziani non avevano osato giocarsi il tutto per tutto: attaccare subito i turchi avrebbe significato, in caso di sconfitta, vedersi annientato l’esercito. Ma se avessero vinto, l’isola sarebbe stata salva. Invece avevano preferito chiudersi nelle fortezze, aspettando i rinforzi da Venezia. La capitale, Nicosia, era caduta in mano turca dopo un assedio di 44 giorni. Presa anche Kyrenia, ai turchi rimase l’osso più duro: la fortezza di Famagosta. Le mura erano “firmate” dal più celebre architetto militare cinquecentesco: Girolamo Sammicheli. A difenderle, Venezia aveva mandato un uomo tutto d’un pezzo, Marcantonio Bragadin, e l’abilissimo 13
Le versioni dei fatti tramandate dalle fonti occidentali e da quelle turche non uomo d’arme perugino Astorre Baglioni. Anche il comandante ottomano era un valoroso, Lala Kara Mustafa Pascià, generale bosniaco dello stesso villaggio del gran visir in carica a Costantinopoli. L’assedio a Famagosta dura undici mesi. Dopo i quali la sequenza degli eventi precipita: visto che i rinforzi da Venezia non arrivano e che le truppe sono ormai stremate, Bragadin decide di arrendersi. I veneziani consegnano la città, in cambio della possibilità di andarsene senza subire ritorsioni. In prima battuta tutto procede per il meglio: gruppi di sudditi veneti già cominciano a imbarcarsi, con le famiglie al completo. Poi succede il fattaccio. Sgarbo. Lala Mustafa invita nella sua tenda Bragadin e i comandanti italiani, che gli devono consegnare le chiavi della città. È il 5 agosto. Scrive Barbero: «Mar-
cantonio Bragadin era a cavallo, vestito di porpora, come ogni magistrato veneziano nell’esercizio delle sue funzioni, e con un domestico che reggeva su di lui il parasole, anch’esso di porpora, lo seguivano il Baglioni, pure a cavallo, e altri capitani e gentiluomini». Un cronista annotò che sembrano i vincitori, e non i vinti. A Costantinopoli l’unico che poteva andare in giro riparato da un ombrello era il sultano. Figuriamoci l’effetto, per i turchi, di vedere arrivare in quel modo il veneziano. L’ipotesi di Barbero è che Bragadin e Lala Mustafa fossero due testardi arroganti, pieni di sé e tutti presi ognuno dal proprio ruolo. Pure Baglioni era della stessa pasta: nessuno era disposto a cedere. E infatti andò proprio. «Sembra non esserci nessun dubbio sul fatto che Bragadin fece infuriare il pascià, e forse anche
lo offese a morte», spiega Barbero. Probabilmente proprio questa è l’interpretazione più esatta. Tutte le altre ipotesi, avanzate nei secoli successivi, sono giustificatorie o accusatorie, a seconda di chi le ha formulate. Si è persino ricorso al cliché del turco omosessuale irresistibilmente attratto da un giovane nobile veneziano. Punti di vista. «I fatti non sono accertabili in forma indipendente. Da parte occidentale si ripete con monotona insistenza la sequenza accordo-visita di Bragadin a Lala Mustafa Pascià-attacco di cupidigia sessuale di questi verso Gianantonio Querini-massacro. Insomma, il macello di Famagosta sarebbe dipeso dagli insaziabili appetiti del comandante turco e dalla rabbia per le enormi perdite subite e il tempo perduto avendo di fronte una guarnigione esigua», osserva Federico Moro,
Da Venezia alla Turchia Il leone di san Marco, emblema della Repubblica di Venezia a Famagosta, oggi nella parte turca di Cipro.
Ingegneria militare
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I bastioni della fortezza veneziana di Famagosta, progettata da Girolamo Sammicheli.
Il teatro dell’azione Famagosta in un’incisione dall’Atlante delle isole famose di Giovanni Francesco Camozio (1576).
esperto di storia militare, autore del libro Venezia in guerra (La Toletta edizioni). I turchi insistono invece sulla faccenda dei prigionieri massacrati, tentativo di giustificazione a posteriori. Inoltre, le fonti occidentali non sono univoche. Qualcuno nega che siano stati uccisi prigionieri, qualcun altro ammette che, rimasti senza cibo, gli italiani abbiano in effetti ammazzato i prigionieri per avere meno bocche da sfamare, c’è anche chi ipotizza che tra loro ci fosse il figlio del comandante ottomano. Sia come sia, Lala Mustafa fa arrestare i suoi ospiti. Un comportamento inaudito, del quale sarà chiamato a rispondere davanti al Diwan, il consiglio supremo ottomano, una volta rientrato a Costantinopoli. Astorre Baglioni viene subito decapitato e la sua testa esposta su una picca; al-
tri due membri della delegazione, il veneziano Lorenzo Tiepolo e il greco Manoli Spilioti vengono impiccati e i loro corpi, pare, dati in pasto ai cani. Le violenze travolgono presto tutti gli italiani che stavano sgomberando Famagosta: rapinati, gli uomini uccisi o incatenati ai remi delle galee, le donne stuprate e ridotte in schiavitù. I comandanti ottomani si danno da fare per evitare violenze alla popolazione greca, destinata a diventare suddita del sultano. Ci riescono solo in parte. Trattamento speciale. A Marcantonio Bragadin viene riservato un trattamento particolare: gli mozzano orecchie e naso e viene lasciato una decina di giorni chiuso in una gabbia sotto il sole, con un minimo d’acqua perché non muoia. Lo si obbliga a portare una gerla carica di pietre, qualche fonte dice che viene costretto a lavo-
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coincidono. Stabilire come andò è molto difficile
Caterina Corner, regina di Cipro fino al 1489.
L’eredità cipriota di Caterina Corner
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REALY EASY STARI
a giovane patrizia veneziana Caterina Corner diventò regina di Cipro, nel 1468, sposando il re dell’isola, Giacomo II Lusignano. La sua famiglia era già ben presente a Cipro, poiché prestava denaro alla casa reale e vi possedeva vaste coltivazioni di canna da zucchero. Lo zucchero al tempo era preziosissimo; introdotto dagli arabi in Sicilia, si coltivava nelle quattro grandi isole mediterranee: una, Creta, era già veneziana dal 1204, l’altra, Cipro, lo sarebbe divenuta presto. Sotto pressione. Re Zaco, come veniva chiamato, morì nel 1473 e la Serenissima organizzò allora una delle più brillanti operazioni diplomatiche della sua storia: impadronirsi di Cipro. Ci vollero ben sedici anni, passati tra pressioni e minacce, ma alla fine i rappresentanti della Serenissima ebbero successo: nel 1489 Caterina Corner abdicò da regina per cedere l’isola alla repubblica veneziana. In cambio ricevette la signoria sul castello di Asolo (Cipro contro un castello: un buon affare per Venezia!), dove ispirerà una delle più colte ed eleganti corti rinascimentali italiane. Un giovane pittore di Castelfranco, di nome Giorgio, comincerà a dipingere per lei prima di diventare noto come Giorgione, e Pietro Bembo nel 1502 comporrà in suo onore i dialoghi Gli Asolani. 15
REALY EASY STAR
La pelle di Bragadin fu portata a Costantinopoli, da dove fu trafugata nel 1580. Oggi è conservata come una reliquia, in una basilica di Venezia Mito e reliquia. Spiega Vera Costantini, docente di Lingua e letteratura turca all’Università di Venezia e autrice del libro Il sultano e l’isola contesa (Utet): «Marcantonio Bragadin fu la declinazione veneziana dell’eroe rinascimentale. La sua lealtà allo Stato veneziano andava oltre il concetto stesso di lealtà, giacché tra le mura di Famagosta assediata Marcantonio Bragadin incarnava egli stesso la repubblica». Ma perché fu così zelante? «Aderiva con caparbietà alle prescrizioni dello Stato che l’aveva designato a un compito tanto difficile e rischioso, anche quando questo lo spingeva a prendere posizione contro le autorità ecclesiastiche di Famagosta. Diciamo che la lealtà di Bragadin superò il proverbiale pragmatismo di cui era imbevuta la cultura politica del patriziato veneziano. Ma, appunto, si trattava innanzi tutto di cultura politica, che si applicava alle questioni di Stato. Non si applicava invece al di fuori delle funzioni amministrative».
Ispirazione MONDADORI PORTFOLIO
rare al restauro delle mura che aveva inutilmente difeso, deve inginocchiarsi e baciare la terra davanti al pascià. Viene appeso all’albero di una galea, in modo che tutti lo possano vedere. E finalmente, il 17 agosto, scorticato vivo. Un frate, testimone oculare, racconta che Bragadin insulta i turchi fino alla fine. A un imam che lo esortava a convertirsi all’islam per avere salva la vita, risponde: “can traditor, nemico di dio, brutto becho fotuo”. E rivolto a Mustafa, Bragadin dice che se fosse stato lui a vincere, avrebbe usato la sua barba per “cavar la merda” dalle latrine. È a questo punto che il boia turco comincia a spellarlo dalle spalle. Il cadavere viene infine fatto a pezzi e gettati ai soldati perché ne facessero scempio. Con la pelle riempita di paglia si mise insieme un macabro fantoccio, portato in giro per Famagosta in sella a un asino e “mostrata al populazzio per dargli ristoro”. Fu anche questa fine violenta a fare di Bragadin un eroe.
La punizione di Marsia (1576), del pittore veneziano Tiepolo, fu forse ispirata dalla fine di Bragadin.
Insomma, rinunciando al realismo politico della Serenissima, Bragadin ci lasciò letteralmente la pelle. Pelle che, portata a Costantinopoli, fu trafugata nel 1580 dal veronese Girolamo Polidoro e contrabbandata a Venezia. Dove tutt’oggi si trova, in un monumento funebre, all’interno della Basilica dei Ss. Giovanni e Paolo. • Alessandro Marzo Magno (ha collaborato Emilio Vitaliano)
L’ultimo atto della vita di Bragadin a Famagosta, il 17 agosto 1571.
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COSTUME
Dimmi come ti siedi...
Prima del 3000 a.C.
C’ERA UNA VOLTA
Poco più che sgabelli: le sedie delle prime civiltà erano piuttosto rudimentali, spesso senza schienali né braccioli. E non erano molto diffuse, tanto che il posto più comune dove sedersi rimaneva il pavimento o il giaciglio che fungeva da letto. Le prime versioni con spalliera sono state rinvenute in area mesopotamica.
1300 a.C.
FARAONICA
Dalla tomba di Tutankhamon, faraone-simbolo sul trono tra il 1328 e il 1318 a.C., arrivano le prime sedie da museo (nella foto, una di quelle del ricco corredo funebre). Realizzate con materiali pregiati, erano pensate per accogliere il nobile deretano di faraoni e di sacerdoti di altissimo rango.
XII-XVI secolo
PER SENATORI
LINEA SEVERA
Via lo schienale e braccioli bassi: agli antichi Romani le sedie piacevano così. La struttura era quella della “sella curule”, pieghevole, a forma di “X” e riccamente ornata di ebano o avorio. Inizialmente prerogativa dei re di Roma, era un’eredità degli Etruschi, che consideravano questo tipo di sedile un simbolo di potere.
Quercia e noce: erano di legno massiccio le imponenti sedie che arredavano monasteri e palazzi in età medioevale. Lo stile severo, detto gotico, evocava gli ambienti ecclesiastici. Bisognò aspettare il Rinascimento perché diventassero privilegio di un maggior numero di persone.
MATERIALE Al primo posto il legno, ma c’era anche la pietra.
MATERIALE Ebano, avorio, nonché legno intagliato e laccato.
MATERIALE Nell’antica Roma erano di moda gli intarsi d’ebano.
MATERIALE Quando il legno era di quercia, spesso era tinto di nero.
COSTRUZIONE I sedili erano assemblati con sistemi a incastro.
COSTRUZIONE Le gambe erano a forma di zampe di animali.
COSTRUZIONE La sedia si ricavava da un unico pezzo di legno.
COSTRUZIONE Gli intagli lignei erano l’unico vezzo decorativo.
VALUTAZIONE
VALUTAZIONE
VALUTAZIONE
VALUTAZIONE
1
1
2
4
COMFORT Materiali grezzi e poche rifiniture, senza alcuna comodità.
STILE Si guardava più alla praticità che al design, assai spartano.
COMFORT Le sedie egizie erano di fibre intrecciate, non comodissime.
STILE Troni e sedie dei faraoni erano raffinatissimi, a volte in oro.
18
VII secolo a.C.
2 COMFORT Vietato appoggiarsi: lo schienale non era previsto.
3
3
3
STILE Erano pezzi di alto artigianato, forse un po’ kitsch.
COMFORT La seduta rigida in legno non consentiva molto relax.
STILE Solo nel ’500 le sedute tornarono ad “ammorbidirsi”.
Cinquemila anni fa ci si sedeva per terra, nel Medioevo su rigidi scranni, nel Settecento su sontuose poltrone damascate: sedersi è un atto che fa parte della vita quotidiana. Prima di una fortunata élite, poi di tutti noi. A cura di Anita Rubini
SALOTTI DA RE
Fasto e sontuosità erano le parole chiave di quello che diventò lo “stile Luigi XIV” e che influenzò per oltre un secolo il design francese e non solo. Il Settecento è considerato l’epoca d’oro delle sedie, e quella di nascita della poltrona.
XVIII-XIX secolo
PIETRA MILIARE
Seduta larga e trapezoidale e schienali traforati orientaleggianti, ispirati alle cancellate della lontana Cina: in Inghilterra fecero scuola le sedie di Thomas Chippendale (foto) che nel 1754 pubblicò il suo catalogo di arredi, la “bibbia” per i mobilieri di Europa e America nei cent’anni successivi.
Inizio del XX secolo
SEMPLICEMENTE
Benvenuta Art déco! Ovvero, via il vecchio, avanti il nuovo, che faceva mostra di sé alla “Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes” (da cui il nome di questo fenomeno del gusto). È la Parigi del 1925 e lo stile si traduce nelle sedie in un connubio tra legno e tappezzeria.
XX secolo
MINIMALISTA
Less is more (“Meno è di più”) era il motto del designer Mies van der Rohe, “papà” della poltrona Barcelona (foto), oggi simbolo del disegno industriale e del movimento modernista. Fu progettata nel 1929 per l’Expo di Barcellona. Nel Dopoguerra, la rivoluzione la fece invece la sedia di plastica.
MATERIALE Il connubio ideale è legno massello e tappezzeria.
MATERIALE Si fa largo uso del mogano e degli intarsi in legno.
MATERIALE Rivestimenti in pelle e finiture in radica.
MATERIALE Metallo e plastica sostituiscono il legno.
COSTRUZIONE Erano molto pesanti, ma si sono alleggerite col tempo.
COSTRUZIONE Molta cura nella realizzazione delle gambe.
COSTRUZIONE Assai importante la scelta dei colori, anche a contrasto.
COSTRUZIONE Si studiano linee ideali per la produzione in serie.
VALUTAZIONE
VALUTAZIONE
VALUTAZIONE
VALUTAZIONE
4
5
4
4
COMFORT Sedute comode per una vita sempre più sociale.
STILE Nell’Inghilterra del ’700 si sbizzarriscono gli stilisti.
COMFORT Non solo design: la cura è anche nella seduta.
STILE Francia e Inghilterra fanno a gara: le più belle sono le loro.
4 COMFORT La spalliera è imbottita e la schiena ringrazia.
5
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STILE Una rivoluzione nelle forme. Parola chiave: semplicità.
COMFORT Si affermano forme adatte al corpo, con l’ergonomia.
STILE Lascia il segno, mischiando linee classiche e moderne. 19
BRIDGEMAN IMAGES/MONDADORI PORTFOLIO (1) - DE AGOSTINI/GETTY IMAGES(1) - DEA/GETTY IMAGES (2)
XVII-XVIII secolo
ARCHEOLOGIA
Le ultime scoperte su una terza frontiera romana in Britannia, il Gask Ridge, in Scozia. Più antica dei celebrati valli di Adriano e Antonino
IL PRIMO
VALLO Frontiera mobile
OSPREY (3)
Un tratto del vallo fatto edificare da Adriano nel 122 d.C. per arginare i popoli della Caledonia (attuale Scozia). È il più famoso dei confini a nord dell’Impero romano. Ma il primo fu quello oggi detto Gask Ridge: a sinistra, la ricostruzione di una delle torri di avvistamento di cui era composto.
20
Oltre il limite. Chi dice limes, oggi, pensa al Vallo di Adriano; in parte ancora esistente e in alcuni tratti ben conservato, è questo il più famoso e noto dei confini romani, anche perché l’imperatore che lo fece costruire nella prima metà del II secolo gode di un certa celebrità letteraria. Ma più a nord c’era un secondo vallo, fatto costruire dall’imperatore Antonino Pio nel 142-144). E ancora più su, tra le nebbie della Caledonia, l’odierna Scozia, gli archeologi hanno portato alla luce la prima vera frontiera imperiale in Britannia. È il cosiddetto Gask Ridge (ridge in inglese significa “crinale”), si snoda nella zona fra Glasgow e Aberdeen ed è il più GETTY IMAGES
P
rogenitore di tutti i muri, il limes, ovvero l’estremo confine dell’Impero romano era legato al progredire delle conquiste imperiali. Era infatti un “confine mobile”: accompagnato da un fossato, si spostava in avanti o indietro con i condottieri, a segnare i successi o le sconfitte delle legioni. Eppure ancora oggi spesso si confonde quel primo confine, diventato in epoca imperiale l’estremo baluardo contro i barbari che dilagavano nei territori d’Occidente, con i tanti muri odierni. A dimostrare la “mobilità” della frontiera romana sono alcune scoperte archeologiche avvenute in Gran Bretagna.
UNA FRONTIERA DI FORTI Durante la costruzione del Vallo Antonino, l’imperatore volle un forte sul fiume Almond (odierna Scozia), che diventò un porto strategico per le truppe di Roma.
ARRIVANO I VIVERI Quasi 500 uomini lavorarono alla costruzione della fortezza, che diventò un porto per il rifornimento delle guarnigioni stanziate in Britannia.
ALLA FOCE DEL FIUME Cramond, 142 d.C.: Antonino Pio volle un forte alla foce del fiume Almond. Doveva proteggere il fianco orientale della frontiera romana.
RITIRATA VERSO SUD Organizzato come un castrum (l’accampamento romano) fu abitato per una quindicina di anni: poi le truppe si ritirarono a sud, verso il Vallo di Adriano.
Il limes del Gask Ridge non era un muro, ma un sistema di fortezze, fortini e torri di avvistamento collegati tra di loro. Doveva tenere a bada i Caledoni antico baluardo romano, che poi si spostò, arretrando sotto la pressione degli indomabili Pitti, i “barbari tatuati” che abitavano quella regione senza sottomettersi mai a Roma. «Non si trattava di un muro, né di un vallo, bensì di un sistema che alternava fortezze, fortini, torri di avvistamento», spiegano Birgitta Hoffmann e David Wooliscroft, gli archeologi che guidano il team al lavoro sul Gask Ridge. «Era un complesso di opere militari destinato a proteggere le legioni stanziate in Britannia». Perché fu costruito, e perché proprio lì? Per rispondere bisogna percorrere 22
a ritroso le conquiste romane d’Oltremanica. Giulio Cesare sbarcò senza successo sull’isola nel 55 a.C. e Claudio ci riprovò con più gloria nel 44 d.C. Ma quella rimase sempre una provincia non assoggettata, sulla quale la pax romana non regnò mai. All’epoca di Nerone (I secolo) vi scoppiò la rivolta di Budicca, regina della tribù degli Iceni stanziati nell’odierna zona di Norfolk. Piegati, o quasi. A domare, almeno in parte, le rivolte, e a spingere il limes settentrionale fino alla Caledonia fu il governatore Giulio Agricola, fra il 79 e l’83 d.C. Fu lui a ordinare la costruzione dei for-
ti del Gask Ridge. «Lo scopo era proprio quello di sorvegliare i Caledoni, un insieme di tribù appartenente alla popolazione dei Pitti», spiega Hoffmann. «Ne vennero uccisi 30mila» Il tracciato, che precedeva di una sessantina d’anni quello di Adriano, si compone di circa 40 fortificazioni, per lo più in terra e legno, costruite su una linea di circa 100 chilometri. Tra le strutture individuate dagli archeologi, le torri del Gask Ridge sono la prova di quanto questo limes contasse per Roma. Dotate di una sola porta di accesso, di circa 3 metri di lato, erano presidiate da circa 8 uomini e circondate da un fos-
Quattromila anni di barriere anti-popoli
T
ra i tanti tipi di muri ci sono quelli difensivi, come la Grande Muraglia in Cina, e quelli che impediscono la fuga, come quello di Berlino. L’idea di costruire barriere per fermare gli eserciti nemici o arginare le migrazioni considerate ostili è molto antica. Il più antico. In Mesopotamia il caso più antico: la terza dinastia sumera, alla fine del III millennio a.C., costruì nell’attuale Iraq un muro tra i fiumi Tigri ed Eufrate: doveva fermare i nomadi Amorrei provenienti da nord. E, almeno in parte, ci riuscì. (a. r.) GRANDE MURAGLIA (cina), dal III sec. a.c. 8.852 km
Con tutti i comfort
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I resti delle latrine presso il forte di Bar Hill, sul Vallo Antonino. Sopra, la costruzione del muro voluto nel 142 dall’imperatore Antonino Pio.
MURO DEL SAHARA (marocco), 1982 2.720 km MURO DEL KASHMIR (india-pakistan), 1947 2.000 km MURO DI TIJUANA (usa-messico), 1994 1.200 km WEST BANK BARRIER (israele), 2004 730 km LIMES GERMANICO-RETICO (germania-austria), I-II sec. d.c. 548 km
sato. Forti anche più imponenti erano probabilmente collegati grazie a torri di avvistamento. Secondo alcune fonti, nonostante comprendesse tre bastioni di grandi dimensioni, il “terzo vallo” conobbe i suoi giorni migliori quando Agricola nel 79 d.C. si trasferì ad Ardoch ed edificò una catena di contrafforti consolidando l’avamposto in seguito utilizzato come punto di partenza del Vallo di Antonino. Scavi più recenti hanno riportato alla luce monete datate fino all’86 d.C.: da quel momento questa prima linea difensiva fu forse abbandonata. E nei due secoli successivi, sotto la pressione dei padroni di casa, i Romani si ritirarono dalla Caledonia. Quando, verso il 410, l’ultimo legionario lasciò la Britannia, nessuno si ricordava più del “primo vallo” da secoli relegato nell’ombra dalla grande opera che portava il nome di Adriano. • Veronica Arpaia
MURO MESOPOTAMICO (iraq), 2037 a.c. 270 km MURO DI GIARABUB (libia), 1931 270 km
Al limite estremo Statua di Giulio Agricola nella cittadina di Bath. Il governatore spinse il confine romano fino alla Caledonia fra il 79 e l’83 d.C. Fu allora che sorse la linea di difesa del Gask Ridge.
BARRIERA COREANA (corea), 1953 246 km LINEA VERDE (cipro), 1974 180 km MURO D’UNGHERIA (ungheria), 2015 175 km MURO DI BERLINO (germania), 1961 155 km VALLO DI ADRIANO (scozia), II sec. d.c. 117 km
Hunting Hitler. Nuovo. Imperdibile. In Esclusiva.
Un corpo carbonizzato e una porzione di cranio di dubbia provenienza: del Fürher resta ben poco. Ma nuovi documenti resi pubblici dall’FBI nel 2014 potrebbero riscrivere la storia dell’uomo che ha cambiato le sorti del mondo.
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NAZISTA
Gli aspetti meno conosciuti della vita nel Reich di Hitler: donne aguzzine e bambini soldato, la fine di Rommel, il “ghetto modello”, i misteri insoluti.
PRIMO PIANO
NELLA GERMANIA
LE SS “GENERICHE” pag. 26 ■
GLI AFFARISTI DELLA GRANDE GERMANIA pag. 32 ■
HITLER NEL PRIVATO pag. 38 ■
CRESCERE NELLA HITLERJUGEND pag. 44 ■
ENIGMI E LUOGHI COMUNI pag. 50 ■
SCIENZIATI CON LA SVASTICA pag. 52 ■
LA FARSA DI THERESIENSTADT pag. 56 ■
DEVOTE FINO ALLA CRUDELTÀ pag. 62 ■
L’EUROPA NAZIFICATA pag. 68 ■
ROMMEL IL “SUICIDATO” pag. 70 ■
NORIMBERGA: I PROCESSATI
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Joseph Göbbels, ministro della Propaganda, durante un’adunata a Berlino nel 1938.
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PRIMO PIANO
REICH I CUSTODI DEL
SÜDDEUTSCHE ZEITUNG/ AGF
Camerati in birreria Allgemeine-Ss (riconoscibili per la divisa nera) in una birreria in occasione dell’adunata del partito nazista a Norimberga, nel 1937. 26
La “spina dorsale” dello Stato nazista erano le Allgemeine-Ss: l’élite del partito che teneva le redini di una società interamente militarizzata
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I PIÙ FEDELI
C. GIANNOPOULOS
ei vecchi film di Hollywood sono sempre cattivissimi e assetati di sangue. E il loro compito è sempre lo stesso: uccidere senza pietà i nemici del Reich, dagli ebrei in giù. Stiamo parlando delle Ss (Schutzstaffel, “Squadre di protezione”), l’élite del partito nazista. Ma non tutte le Ss erano uguali. Ce n’erano infatti di tre tipi. Quelle che si vedono nei film di guerra di solito sono le Verfügungstruppe (“Truppe a disposizione”), che a cominciare dal 1940 si chiamarono Waffen-Ss (“Ss combattenti”) e furono destinate alla prima linea. C’erano poi le Ss-Totenkopfverbände, le unità “Teste di morto”, incaricate di sorvegliare i campi di concentramento. E infine c’erano loro, le Allgemeine-Ss, le “Squadre di protezione generica”. Il cinema ha spesso rappresentato le WaffenSs come maschera dei peggiori abomini, raffigurandole spesso con uniformi nere. Un errore: le unità combattenti vestivano divise di colore grigio o mimetiche. Le uniformi nere, invece, erano appunto quelle delle Allgemeine-Ss. Che non giravano armate e non davano tanto nell’occhio, eppure erano la spina dorsale della società militarizzata del Terzo Reich. I lunghi coltelli. Le Ss nacquero nel 1925 come guardia personale di Adolf Hitler. Non deve dunque stupire che i loro capi avessero in mano le redini dello Stato. Ma quelle redini se le dovettero conquistare sul campo. A far loro concorrenza c’erano infatti le Sa (Sturmabteilung, “Squadra d’assalto”): erano gli squadristi in camicia bruna della prima ora, più legati alle origini operaiste del partito di Hitler, che si definiva “nazionalsocialista dei lavoratori”. Le Ss, a differenza delle Sa, erano legate al Führer da un giuramento di fedeltà assoluta. E infatti furono le Ss a liquidare le Sa nella Notte dei lunghi coltelli del 29-30 giugno 1934. Un cruento passaggio di potere che in Germania è noto come “Röhm-Putsch”, dal nome del carismatico comandante delle Sa, costretto a suicidarsi dopo aver visto arrestare e uccidere i vertici della sua organizzazione.
Ufficiale delle Allgemeine-Ss, con la tipica divisa nera; le Ss combattenti avevano invece quella grigia o mimetica. Nonostante il nome (allgemeine in tedesco vuol dire “generico”), erano ufficiali come questo a controllare ogni aspetto, anche civile, della società sotto il nazismo.
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Paramilitari
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Hitler con un gruppo di Sa nel 1934 (1), poco prima che chiedesse alle Ss di Himmler (2, con il dittatore nel 1936) di liquidare quella che era stata la forza paramilitare del partito nazista. Ernst Röhm, capo delle Sa (3, al centro), fu costretto al suicidio, anche se era stato ministro di Hitler.
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Le Allgemeine-Ss controllavano la polizia criminale e quella politica, ma anche l’economia REINHARD HEYDRICH
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Il “boia di Praga”
acque ad Halle il 7 marzo 1904 e passò alla Storia come il “boia di Praga” durante il periodo (1941-42) in cui fu governatore del Protettorato tedesco di Boemia e Moravia. Aderì al Partito nazista nel 1931, quando Hitler lo incaricò di creare una struttura di controspionaggio all’interno delle Ss: si trattava del primo nucleo della futura Sd, il Servizio di sicurezza. Ariano modello. Biondo e imponente, indicato come modello della forza ariana, fu il più diretto collaboratore di Himmler, che nel settembre del 1939 gli affidò la direzione dell’Ufficio centrale per la sicurezza del Reich (Rsha). Il 27 maggio 1942, un commando di partigiani cechi, addestrati dai servizi segreti britannici, attentò alla sua vita attaccando l’automobile scoperta sulla quale era solito circolare (v. Focus Storia n° 65). Il gerarca morì il 4 giugno successivo, per le gravi ferite riportate.
HEINRICH HIMMLER
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Il “sacerdote” delle Ss
ato a Monaco di Baviera il 7 ottobre 1900, agronomo, si iscrisse al Partito nazista nel 1923, partecipando al fallito Putsch di Monaco di quell’anno. Alla guida delle Ss dal 1929, dopo la nomina di Hitler a cancelliere concentrò nelle sue mani i poteri di ordine pubblico e sicurezza: nel 1936 divenne anche capo della polizia tedesca e della Gestapo (v. riquadro in basso). Salutista. Maniaco salutista e assertore delle virtù delle erbe, elaborò strane teorie sui pregi di zuppa d’avena e acqua minerale per la prima colazione delle Ss. Tutto ciò mentre pianificava l’Olocausto. Altra sua fissazione erano gli studi sull’arianesimo, che lo spinsero in Tibet. Adottò per le sue Ss i principi della Compagnia di Gesù (Hitler lo chiamava “il mio Ignazio di Loyola”). Alla fine tradì il Führer, trattando con gli Alleati. Si suicidò nel campo britannico di Lüneburg, il 23 maggio 1945.
Dal 6 gennaio 1929 le Ss erano sotto la guida di Heinrich Himmler (v. riquadro a sinistra). In pochissimi anni, dopo la vittoria di Hitler alle elezioni del 1933 e dopo la nascita della dittatura, Himmler concentrò nella sua persona tutte le funzioni di comando degli apparati di polizia e di sicurezza del Terzo Reich. Fino a diventare, di fatto, il secondo uomo più potente della Germania hitleriana. Grazie proprio alla presenza capillare dei suoi uomini negli apparati del partito e dello Stato. Le Allgemeine-Ss, all’interno delle Ss, erano un’élite cresciuta ad armi e fanatismo. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, esse contavano circa 485mila uomini, compresi 180mila appartenenti alle formazioni di riserva. Operavano nelle retrovie, ma questo non significa che fossero una semplice appendice burocratica del nazismo. Himmler le considerava infatti la vera avanguardia della nazione hitleriana. Le Allgemeine-Ss gestivano una serie di funzioni di comando vitali, di tipo politico e organizzativo. Erano loro a occuparsi del controllo ideologico di tutta la società, dalla scuola
GESTAPO, IL “BRACCIO POLITICO” CHE ARRIVAVA DAPPERTUTTO
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on i loro cappotti di pelle, sono entrati nell’immaginario del nazismo: sono gli agenti della Gestapo (abbreviazione di Geheime Staatspolizei, “polizia segreta di Stato”). Eppure non era un’invenzione nazista, ma l’evoluzione della polizia politica del Reich prussiano (tra le più efficienti a 28
fine Ottocento), che nel 1933 fu affidata da Hitler a Hermann Göring. Sotto l’ala delle Ss. L’anno dopo, la Gestapo passò sotto il controllo diretto delle Ss (in particolare del Servizio di sicurezza) e dal 1936 fu affidata da Heydrich al “direttore generale” Heinrich Müller. Anche
nel caso della Gestapo c’era un ufficio per ogni necessità: l’identificazione e la cattura degli ebrei, il controllo politico su sette e chiese (massoneria inclusa), la caccia agli oppositori politici (con dipartimenti dedicati ai comunisti, ma anche ai liberali e ai “reazionari”), la supervisione all’immigra-
RUE DES ARCHIVES / AGF
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all’industria, dalla supervisione di delicati settori strategici dell’economia bellica all’amministrazione della complessa “macchina da guerra” che furono le Ss. Una piovra dal cuore di ferro. Le Ss “generiche” erano organizzate in una tentacolare struttura di comando, articolata in otto diversi dipartimenti: gli Hauptamt. Ne risultò una giungla di sigle, alla quale i tedeschi, per via della lunga tradizione prussiana, erano del resto abituati. Su tutti dominava l’imponente struttura dell’Ufficio centrale per la sicurezza del Reich (Rsha). Era questa la piovra politico-militare che vigilava sulla saldezza del regime, dentro e fuori i confini della Germania. Istituito nel settembre del 1939, era affidato alla direzione del glaciale Reinhard Heydrich, che Hitler battezzò “l’uomo con il cuore di ferro”. Dopo l’assassinio di Heydrich, nel 1942 (v. riquadro a sinistra), gli succedette nell’incarico un altro mastino, Ernst Kaltenbrunner. Austriaco come il Führer, entrò nella sua cerchia intima. Ma che cosa facevano, nella quotidianità, le Allgemeine-Ss? L’Rsha controllava tutte le strutture di intelligence, dal Servizio di sicurezza (Sd), alla Gestapo e alla Polizia criminale (Kripo): era quindi responsabile supremo dello spionaggio interno ed esterno, del controspionaggio, della lotta agli oppositori politici e alla criminalità comune. Non solo: intercettava le opinioni espresse dalla popolazione nei confronti del partito unico, con un’azione di mo-
zione e all’emigrazione, il controllo delle frontiere, l’autorizzazione al lavoro nelle fabbriche e negli uffici, lo spionaggio e la lotta al sabotaggio interno. Dopo il 1939 furono infine creati reparti dedicati ai Paesi occupati dalle truppe tedesche, dove la Gestapo agiva come braccio politico delle Ss.
I CONCORRENTI: LE SA
J: SHUMATE
Comandante delle Sa, sigla di Sturmabteilung (“Squadra d’assalto”), i paramilitari del partito nazista dai quali nacquero le Ss. Le Sa erano guidate da Ernst Röhm, che accusò Hitler di essere asservito al capitalismo: Röhm e le Sa furono liquidati dalle Ss il 29-30 giugno 1934.
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Le Ss “generiche” si occupavano anche della purezza ariana, rilasciando certificati genealogici nitoraggio costante degli umori diffusi. In pratica, si occupava di snidare oppositori, ingaggiando una lotta serrata a ogni tipo di dissenso. Non è un caso che, nel Dopoguerra, il governo comunista della Repubblica democratica tedesca si sia ispirato al modello dell’Rsha per dar vita al proprio ministero della Sicurezza di Stato, la famigerata Stasi. I tentacoli della piovra arrivavano fin nelle casseforti della Germania. Il Dipartimento economico e amministrativo si occupava delle finanze delle Ss, del sistema dei lager, ma anche della gestione di imprese industriali e agricole. È un aspetto poco conosciuto della vita del Reich: un fenomeno destinato ad assumere proporzioni enormi durante la guerra, quando le necessità della macchina bellica crescevano di giorno in giorno. Sotto il comando dispotico di Himmler, la già invasiva presenza dello Stato nazista nell’economia tedesca si estese sempre più, fino a diventare predatoria. L’infiltrazione delle Ss in ogni settore della vita del Reich divenne presto una realtà. E nei territori conquistati dopo il 1939 un incubo.
E DOPO IL ’45, CON LA CIA
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lla fine della guerra la Germania subì un lungo processo di denazificazione. Ma se alcuni capi furono processati per crimini di guerra a Norimberga, moltissimi delle decine di migliaia di appartenenti alle Ss riuscirono a far perdere le proprie tracce e a rifarsi una vita in Germania o altrove.
I PRETORIANI DI HITLER
J: SHUMATE
Un soldato delle Leibstandarte-Ss “Adolf Hitler”: formate nel 1933, erano la guardia del corpo personale del Führer. Furono uomini di questo reparto a dare il via alla cosiddetta Notte dei lunghi coltelli del 29-30 giugno 1934, quando furono epurati i vertici delle Sa.
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In ogni campo Allgemeine-Ss all’entrata della sede della radio tedesca a Berlino (1) e in una competizione sportiva (2). Le Ss erano alla guida di quasi tutte le istituzioni tedesche e inquadravano, alla vigilia del conflitto, circa 500mila tedeschi.
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Una gigantesca rete di fattorie, piantagioni, coltivazioni intensive, foreste, miniere, allevamenti, impianti industriali arricchì in primo luogo le Ss e i loro capi, e quindi la Germania. Le Schutzstaffel non solo controllavano, ma anche possedevano tutto quanto facesse funzionare una nazione in guerra. Himmler esercitava un ferreo controllo su 500 fabbriche, che, ad esempio, producevano il 75% delle bevande e il 95% del mobilio del Terzo Reich. Le Ss e il suo capo non si facevano mancare nulla: avevano messo le mani persino su case editrici, fabbriche di porcellane, locali notturni. Ultima risorsa. Con la guerra, che pure aveva arricchito tanti gerarchi, la forza di retrovia delle Allgemeine-Ss subì una drastica cura dimagrante. Del quasi mezzo milione di unità del 1939, 170mila vennero chiamate in servizio dalla Wehrmacht, l’esercito regolare, mentre altre 35mila entrarono nelle Waffen-Ss. Soltanto 100mila membri vennero esentati dal combattimento in prima linea. Alla fine del conflitto, le Schutzstaffel contavano in totale 840mila uomini, di cui soltanto 48.500 appartenevano alle Allgemeine-Ss. I quadri delle Ss “generiche”, nel 1944-45, furono addestrati a proseguire la guerra con sabotaggi e attentati nel caso in cui la Germania nazista fosse stata conquistata dai nemici. Fortunatamente, non ve ne fu bisogno, perché la Germania nazista non c’era più. • Roberto Festorazzi
Negli Usa. Tra i casi noti di ex Ss c’è stato lo scrittore Günter Grass, che soltanto nel 2006, a 78 anni, rivelò di essersi arruolato volontario, verso la fine della guerra, nelle Waffen-Ss. Meno risaputo è che, subito dopo il 1945, molti ex membri del partito nazista, inclusi esponenti delle Schutz-
ERNST KALTENBRUNNER
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Il rivale di Himmler
ustriaco, nacque a Ried im Innkreis il 4 ottobre 1903. Di professione avvocato, aveva una vistosa cicatrice sulla guancia, che accentuava la sua fama sinistra. Dopo aver aderito al nazionalsocialismo nel 1932, due anni più tardi collaborò alla tentata annessione dell’Austria, ma l’Anschluss si realizzò soltanto nel 1938. Nel frattempo, Kaltenbrunner era divenuto la figura dominante delle Ss a Vienna. Confidente. Il 30 gennaio 1943 prese il posto di Heydrich al vertice dell’Ufficio centrale della sicurezza del Reich (Rsha) e il suo potere crebbe a dismisura negli ultimi mesi del conflitto. Hitler credeva totalmente in lui. Lo mise a parte dei suoi progetti per la creazione, dopo l’attesa vittoria nella guerra, di un Führermuseum a Linz, in Austria, destinato a celebrare i propri natali. Processato a Norimberga, fu impiccato il 16 ottobre 1946.
staffel, furono assoldati dai servizi segreti statunitensi nella Guerra fredda contro il comunismo sovietico. A rivelarlo, alla fine del 2014, è stato il New York Times. In particolare, stando ai documenti e alle testimonianze raccolte dal quotidiano, nel 1980 l’Fbi si rifiutò di fornire informazioni
LEONARDO CONTI
Il “dottor Morte” svizzero
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ato a Lugano, nella Svizzera italiana, il 24 agosto 1900, a tre anni seguì la madre a Berlino. Proprio quest’ultima gli trasmise accesi sentimenti antisemiti. Al ginnasio, venne sospeso per aver aggredito compagni di origine ebraica. Nel 1923, dopo aver aderito al nazionalsocialismo, partecipò al fallito Putsch di Monaco. Ministro della Salute. Medico delle Ss, nel 1936 fu direttore del servizio sanitario delle Olimpiadi e nel ’39 venne nominato capo della Sanità civile del Reich. Fu l’ispiratore della legge per la sterilizzazione coatta, con lo scopo di assicurare la “salute razziale” dei tedeschi. Svolse un ruolo importante nell’Aktion T4, il programma di eutanasia forzata per eliminare i portatori di malattie ereditarie e inguaribili, nonché i malati mentali. Si tolse la vita nella sua cella del carcere di Norimberga, il 6 ottobre 1945.
ai “cacciatori di nazisti” su 16 ex nazisti che vivevano negli Stati Uniti. Questo perché, si è scoperto, quei 16 erano informatori della Cia. Tra loro c’era anche Otto von Bolschwing, ufficiale del Servizio di sicurezza delle Ss (Sd) e consigliere di Adolf Eichmann, il regista dell’Olocausto. (a. c.) 31
PRIMO PIANO
Hitler avrebbe portato a termine il suo piano di riarmo ed espansione bellica anche senza il sostegno dei colossi tedeschi e di grandi industrie straniere? Per gli storici, no
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SCALA
hyssen, Krupp, Bayer. Ma anche Standard Oil, General Motors, Ibm, Ford: sono solo alcuni dei marchi più famosi, tedeschi e non, finiti sul banco degli imputati per aver fatto affari all’ombra della svastica. Capo d’accusa: aver collaborato con il regime chiudendo gli occhi sulle sue derive antisemite e criminali. Con un’aggravante: aver sfruttato la manodopera dei campi di internamento. Per tutti nell’immediato dopoguerra c’è stata la condanna della Storia. In alcuni casi anche della giustizia. Ma perché parte della grande industria si mise al fianco del regime? Subiva il fascino magnetico del Führer o fu una scelta di pragmatico opportunismo economico? La caduta degli dèi. «Negli Anni ’30 molti industriali tedeschi concordavano su un principio: la democrazia, così com’era, aveva fallito. La costituzione di Weimar non garantiva la governabilità del Paese. Serviva un governo forte, capace di riportare la Germania agli antichi splendori», spiega Gustavo Corni, docente di Storia contemporanea all’Università di Trento.
Finanziatori del Reich Collage dell’artista John Heartfield (1932) dal titolo ironico Milioni sono dietro di me. Denuncia l’appoggio finanziario garantito dalla grande industria a Hitler.
ADOC/CONTRASTO
GLI AFFARI
SONO AFFARI
Macchina del popolo Inaugurazione nel 1937 della prima Volkswagen (in tedesco “auto del popolo”): Hitler disse di voler motorizzare con questo veicolo il popolo tedesco meno abbiente. 33
BETTMANN/CORBIS7CONTRASTO (2)
Pubbliche relazioni
ULLSTEIN BILD/ALINARI
Incontro tra autorità americane e tedesche nel 1933: il terzo uomo da sinistra che stringe la mano a Roosevelt è Hjalmar Schacht, presidente della Banca del Reich. Sotto, il duca di Windsor visita uno stabilimento tedesco (1937).
La casa automobilistica Ford aveva alla periferia di Berlino una fabbrica per il «Ciò che gli industriali volevano era stabilizzare il Paese arginando il rischio di derive comuniste. Intendiamoci: non desideravano nessuna autarchia, nessuna guerra, nessun embargo. Non erano nemmeno antisemiti: non si trattava quindi di un’adesione al programma hitleriano. Finanziavano a pioggia tutti i movimenti nazionalisti e conservatori tedeschi, nazismo incluso. Di certo non avevano simpatie socialdemocratiche né comuniste». Il fenomeno Hitler peraltro non era ancora ben chiaro a tutti. Un cronista americano a Berlino nel 1932, Abraham Plotkin, scrisse, dopo aver assistito a un comizio di nazisti capeggiati da Göbbels: “Sarebbe quindi questa la famosa minaccia alla Germania e al mondo? Confesso la mia delusione… ero venuto per vedere una balena e ho trovato un pesciolino”. 34
Un anno dopo il “pesciolino” sarebbe guadagni stellari, permettendo ai magnati diventato uno squalo. Nominato cancel- dell’acciaio, della chimica e della siderurliere, Hitler, sfruttando le paure provoca- gia di fare affari d’oro tramite le commesse statali», aggiunge Corni. Musica te dall’incendio del parlamento per le orecchie dei Thyssen, tedesco, il Reichstag, avrebdei Krupp, dei capi del cobe abolito la costituziolosso chimico IGFarben. ne, sguinzagliando le E di banchieri spregiuSs per il Paese. dicati fedelissimi al Nel biennio sucMILA Führer. cessivo mentre GöbIl numero di operai provenienti dai Quando il direttobels organizzava i lager utilizzati a costo zero dal re della rivista stafalò dei “libri degecolosso chimico IGFarben tunitense Foreign Afnerati” e Brecht, Thodurante la guerra. fairs, Hamilton Fish mas Mann, Albert EinArmstrong ,giunse a Berstein e moltissimi altri lino, nel 1933, andò a trolasciavano la Germania, dai vare Hjalmar Schacht: l’uomo consigli di amministrazione delle aziende venivano espulsi i manager che al regime aveva versato generosi fiebrei. Nel silenzio della grande industria. nanziamenti ricevendo in cambio la no«Le politiche di riarmo rendevano i loro mina a ministro delle Finanze e direttore
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MILIONI
BERLINER VERLAG/CORBIS/CONTRASTO
di marchi versati dall’Associazione degli industriali tedeschi al partito nazista nelle elezioni del 1933.
Le aziende verso il riarmo A sinistra, stabilimento Opel in Germania nel 1940. L’azienda, dal 1929 assorbita dalla General Motors americana, produsse i celebri autocarri Opel Blitz. Negli anni del riarmo le sue quote di mercato in Germania balzarono dal 35% (1933) al 50% (1935). In alto, l’immagine di una donna al lavoro in una fabbrica della Siemens durante la guerra.
montaggio di automezzi destinati alla Wehrmacht della Banca del Reich. “Arrivato in banca Armstrong venne scortato in una grande cucina vuota dove Schacht stava posando per uno scultore che gli faceva un busto. Siccome lo voleva scorgere dal basso, l’artista lo aveva fatto sedere su una sedia in cima al grande tavolo. Perciò mentre l’artista sudava alla sua opera per plasmare qualcosa di somigliante al volto brutto e tirato del banchiere, questi spiegava al direttore che il nazismo avrebbe corretto gli eccessi del capitalismo creando un sistema economico più stabile e affidabile”, racconta il giornalista americano Andrew Nagorski in Hitler, l’ascesa al potere (Newton Compton). Tra gli industriali non era il solo a pensarla così. Condivideva lo stesso pensiero anche Fritz Thyssen, che nel 1941 pubblicò un libro dal titolo inequivocabile: Pagai
Hitler. «Negli Anni ’30 non presagiva che da lì a breve il suo Paese avrebbe dichiarato guerra, indirettamente, all’intero sistema capitalistico», precisa Corni. Quando scoppiò il conflitto denunciò pubblicamente la sua contrarietà. Pagando cara “l’intemperanza”: cercò rifugio in Francia dove la Gestapo lo catturò riportandolo in Germania (v. riquadro a destra). Fu un complotto? «Contrariamente a quanto ha sostenuto una certa storiografia marxista, non ci fu però un complotto della grande finanza a favore di Hitler. A guidare la maggior parte degli industriali fu l’opportunismo», precisa Corni. Come nel caso dei Krupp, la potente famiglia che Luchino Visconti rappresentò nel suo film La caduta degli dèi (1969). Arricchitasi negli anni della rivoluzione industriale grazie allo sviluppo della siderurgia, era
THYSSEN IL RIBELLE
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agnate della siderurgia, Fritz Thyssen, classe 1873, negli Anni ’20 controllava più del 70% delle riserve tedesche di acciaio, dava lavoro a oltre 200mila persone ed era uno degli uomini più influenti della Germania. Oltre a ricoprire ruoli importanti nella vita industriale – era a capo delle associazioni delle industrie del ferro e dell’acciaio – aderì con entusiasmo al progetto nazista, finanziando lautamente il partito, soprattutto negli anni della sua ascesa. Lo confermerà lui stesso in un libro dal titolo inequivocabile: Pagai Hitler, pubblicato nel pieno del conflitto, nel 1941 a New York. Voltafaccia. Cosa si aspettasse l’industriale tedesco da Hitler è stato oggetto di discussione almeno quanto il suo progressivo disincanto. Dalla Notte dei lunghi coltelli (1934) in poi fu una progressiva delusione, ma nonostante questo rimase nel partito e nel Reichstag. Fino al 1939, l’anno dello strappo finale. Il Paese era stato riarmato fino ai denti, adesso le armi iniziavano a essere rivolte verso i nemici del Reich, a est e a ovest. Con l’inizio della guerra, Thyssen denunciò la sua contrarietà alla linea nazista a suo dire suicida. Come ogni dissidente fuggì dalla Germania. Cercò rifugio in Francia con l’intenzione di scappare in Sud America, ma quando il Paese venne occupato gli uomini della Gestapo lo prelevarono, deportandolo in diversi campi di concentramento: gli ultimi furono Buchenwald e Dachau. Qui le forze alleate lo liberarono nel ’45. Sarà processato per il suo sostegno al partito e il 15% delle sue aziende tedesche sarà confiscato. Morirà di infarto in Sud America, nel 1951. 35
BETTMANN/CORBIS7CONTRASTO
Molte grandi industrie del Reich usarono manodopera dei lager. I detenuti lavoravano gratis come schiavi produttrice dei cannoni che sconfissero Napoleone III a Sedan nel 1870. Sempre loro avevano sfornato i treni del Reich di Bismarck. Un colosso tedesco, insomma. Durante il nazismo rimasero sulla cresta dell’onda divenendo il perno del riarmo tedesco, guadagnando milioni di marchi. Per ridurre il costo del lavoro non si fecero scrupoli a usare la manodopera proveniente dai lager. Con la stessa freddezza ce affari fornendo alla tedesca IGFarben il con cui la IGFarben (di cui la Bayer faceva piombo tetraetile per alimentare gli aerei parte) produceva lo Zyklon B usato nelle della Luftwaffe e l’olio pesante per i carcamere a gas di Auschwitz e di altri cam- ri armati della Wehrmacht. Senza, seconpi di sterminio. do molti analisti, non sarebbe stata possibile l’invasione dei Sudeti e della L’America è vicina. Anche Cecoslovacchia né la succesoltreoceano non mancasiva espansione. Così corono casi di magnati me senza le sofisticate disposti a fare affari macchine prodotte dalcol diavolo. Nel ’41 la filiale tedesca della in Germania c’eCONDANNE Ibm (la Dehomag) non rano centinaia di tra i 24 imputati della IGFarben nei sarebbe stato possibiaziende statunitenprocessi di Norimberga. Furono le mappare la riorgasi con cui il Reich ritenuti colpevoli di genocidio, nizzazione industriale stringeva accordi. schiavitù e altri crimini. del Reich (compresa l’inAd alcuni dei loro alti dustria bellica) né catalogadirigenti Hitler conferì il re la popolazione dentro e fuotitolo onorifico dell’Ordine ri dai lager. Queste macchine permetdell’aquila tedesca. I marchi più “esposti” sono oggi noti grazie alla ricerca tevano di schedare tutti i cittadini presenti storica. L’industria petrolifera dei Rocke- sul territorio registrando sesso, nazionalifeller, la Standard Oil del New Jersey, fe- tà, percentuale di sangue tedesco e altro. NATIONAL ARCHIVES/CORBIS7CONTRASTO
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Sul banco degli imputati I vertici della Krupp al processo di Norimberga. Tra le accuse, l’uso di lavoratori provenienti dai campi di concentramento.
Le macerie dei Krupp I resti dello stabilimento Krupp a Essen dopo i bombardamenti del 1945: i vertici dell’azienda furono poi processati a Norimberga.
Il più spudorato fu però Henry Ford: nel suo caso si trattava di affinità elettiva col Führer. Non a caso nello studio di Hitler campeggiava una gigantografia dell’industriale americano. E il suo Mein Kampf fu ispirato, per sua stessa ammissione, al libro L’ebreo internazionale (1920), un’opera di Ford in 4 volumi, dai toni antisemiti. Ford a Colonia aveva una sua filiale, non colpita dai bombardamenti del 1942: nei sei anni di guerra la fabbrica fornì 78.000 mezzi pesanti al Reich. All’interno lavoravano gli internati dei lager, sotto la supervisione della polizia tedesca. Cambio di casacca. «Nel 1944, quando era evidente che la guerra era persa, molti imprenditori abbandonarono il carro di Hitler e ripresero a tessere accordi sotto banco con il mondo occidentale: si preparavano al dopoguerra», conclude Corni. Effettivamente, liberata Berlino, la resa dei conti con il mondo dell’industria fu più simbolica che sostanziale. Alcuni dirigenti e imprenditori tedeschi vennero condannati a Norimberga: Krupp e IGFarben in testa. Quest’ultima fu accusata di avere usato 83.000 schiavi provenienti dai lager. Dei 24 imputati, 13 furono ritenuti colpevoli di genocidio, schiavitù e altri crimini e condannati al carcere, con pene da un anno e mezzo a 8 anni. Ma un anno dopo la sentenza tutti furono liberati, grazie anche alla mediazione dell’ex ministro delle Finanze Schacht. La guerra era finita. Il pericolo sovietico e l’avvento della Guerra fredda creavano nuovi equilibri geopolitici. La grande industria si preparava a giocare ancora un ruolo da protagonista. • Giuliana Rotondi
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PRIMO PIANO GETTY IMAGES (4)
Molto, molto tedeschi Nel 1934, il Führer con un gruppo di bavaresi in abito tradizionale. Hitler si era innamorato negli Anni ’20 dell’Obersalzberg, la zona alpina della Baviera in cui si trovava la villa di Berchtesgaden, il Berghof (sotto). Qui soggiornò con Eva Braun e i suoi amici.
Come un tenero zio A destra, Hitler nella sua residenza nel 1936, con Helga Göbbels. I 6 figli del ministro della Propaganda gli erano molto legati.
Aria di montagna A pranzo con la moglie di un ufficiale al Berghof (sotto, durante i lavori di ristrutturazione). La casa, a 20 km da Salisburgo, fu comprata con i diritti d’autore di Mein Kampf.
Nella sua casa sulle Alpi bavaresi, tra gerani, bambini, l’amato cane. E con i fedelissimi, da Eva Braun a Göbbels. Tutto ariano e ordinato, come piaceva a lui
PRIVATO 39
MONDADORI PORTFOLIO
HITLER
MONDADORI PORTFOLIO (2)
Blondi, fida compagna
BPK/SCALA
Hitler con il pastore tedesco Blondi, di cui si fidava più che dei gerarchi, nel 1935. Ma anche con lei usava il frustino: ogni suo rapporto era di dominio.
Un ritratto di Eva Braun, compagna di Hitler dal 1932. A destra, la sala radio del treno personale del dittatore. 40
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Eva e i viaggi blindati
Mein Kampf in pillole: le parole chiave
C
hurchill lo definì il “Corano della fede e della guerra”. Pubblicato nel luglio del 1925 il libro Mein Kampf (“La mia battaglia”) è ancora oggi pubblicato in tutto il mondo. Eccone le parole chiave.
• ANTISEMITISMO Basando-
si su documenti falsi – i Protocolli dei Savi di Sion prodotti in Russia – Hitler sviluppa la tesi del “pericolo ebraico”: una cospirazione ebraica internazio-
nale il cui obiettivo è ottenere la supremazia nel mondo. “Traditori, parassiti, usurai e truffatori” gli epiteti con cui Hitler definisce gli ebrei.
• ARIANESIMO Secondo
Hitler la Storia è espressione della lotta tra razze per la supremazia. La guerra è quindi la sua necessaria conseguenza: si conclude con la vittoria del più forte. Scopo dello Stato è mantenere pura la razza.
Di tutte le razze quella “ariana” (gruppo etnico indoeuropeo inesistente ma fatto risalire all’antichità indo-iranica) è quella a cui spetta il diritto di dominare il mondo.
• ANTICOMUNISMO Quello che Hitler definisce “il putrido virus delle idee marxiste” è presentato come il più pericoloso dei veleni: si propaga attraverso il parlamentarismo e la democrazia borghese co-
stituisce un terreno fertile per la “pestilenza marxista”.
• LEBENSRAUM (“spazio vitale”) In Mein Kampf Hitler spiega perché la Germania deve allargarsi a est. È una spinta risalente al Medioevo; la impone il Trattato di Versailles (1919), che ha privato il Reich di territori indispensabili alla sua sopravvivenza; infine, la rende necessaria la crescita demografica tedesca. (g. r.)
Con i gerarchi più vicini Il Führer nel 1942 tra Hermann Göring (a sinistra) e Albert Speer, architetto preferito nonché ministro degli Armamenti.
Non fumava e non prendeva alcolici e caffè. Soffriva di vertigini e si stancava facilmente. Ossessionato dalle malattie, prendeva medicine e faceva radiografie, ma senza spogliarsi: anche il sarto lavorava “a occhio” 41
Una grande mascherata
RUE DES ARCHIVES/AGF
Hitler posa con alcuni bambini in maschera. Il dittatore tedesco si dimostrò scaltro conoscitore delle leggi della comunicazione, grazie alle quali sedusse la Germania.
Secondo lo psichiatra Carl Jung, Hitler era come uno sciamano: aveva un potere “magico”. Anche con le donne
Beato fra le donne
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Sono austriache le donne immortalate “ai piedi” di Hitler nel 1939. L’anno prima l’Austria era entrata a far parte della Grande Germania con un plebiscito.
Irresistibile In un’atmosfera ovattata Hitler festeggia il Natale del 1941, anno di inizio della “soluzione finale”. A sinistra, in crociera con Inge, moglie del gerarca Robert Ley: di lei si diceva che fosse segretamente innamorata del Führer. 43
PRIMO PIANO
Adoranti
BPK/SCALA
“La gioventù intorno a Hitler” recita il titolo di questo libro fotografico degli Anni ’30, con un testo di Baldur von Schirach, il capo della Gioventù hitleriana. A destra, membri della Hitlerjugend durante un’esercitazione paramilitare.
AVANTI
MARSCH! V
“
eloce come un levriero, duro come il cuoio e forte come l’acciaio Krupp”, così voleva Adolf Hitler il giovane tedesco, il futuro della nazione. Quando pronunciò queste parole a Norimberga era il 1935 e il Führer era al potere da soli due anni. L’addestramento dei giovani era sempre stato uno dei suoi “pallini”. Il primo tentativo di organizzare i ragazzi (dai 14 ai 18 anni) nel Partito nazionalsocialista risale al 1922 quando fondò la Lega della Gioventù, poi sciolta dopo il fallito putsch del 1923. Ma il vecchio progetto di forgiare il “futuro della grande Germania”, attraverso l’educazione dei giovani, non lo abbandonò mai. Negli anni Trenta orde di ragazzini furono sedotti dal nazismo, tanto che divenne per mol44
La Gioventù hitleriana allevò un’intera generazione di tedeschi nel culto del Führer: bambini e bambine disposti a morire per il nazismo
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Un piccolo hitleriano si addestra al tiro, una delle principali attività delle organizzazioni giovanili naziste.
AKG/MONDADORI PORTFOLIO
Pronti al fuoco
Entrare nell’organizzazione giovanile del partito non era formalmente obbligatorio. Ma molti aderirono con entusiasmo
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ti di loro una vera fede. Del resto la propaganda trovò terreno fertile nelle giovani e malleabili menti di tanti ragazzi e bambini. Che nella Gioventù hitleriana (Hitlerjugend o HJ) videro la possibilità di essere trattati da grandi, “in uniforme ci sentivamo presi molto più sul serio” . Attivi e obbedienti. D’altra parte però si trattava pur sempre di ragazzi e quindi l’aspetto ricreativo e comunitario aveva la sua importanza: lo sport, i campeggi, la vita all’aria aperta, imparare a fare (cucinare, montare le tende, fare il fuoco) e sentirsi parte di un sistema, esercitava su di loro un grande fascino. A maggior ragione se entrare nell’organizzazione giovanile nazista era l’unico modo per praticare queste attività: dal 1936, infatti, tutte le associazioni giovanili (eccezion fatta per quelle cattoliche, comunque mal tollerate) dovettero confluire nella Gioventù hitleriana. Come si può facilmente intuire, la “materia” più importante da imparare era l’obbedienza e di questo i genitori andavano particolarmente fieri: finalmente i loro figli conoscevano un po’ di disciplina. Secondo molti testimoni dell’epoca, nella Jungvolk (la sezione della HJ che radunava ragazzi dai 10 ai 14 anni) si praticava la boxe, ma spesso si faceva anche a botte fuori dal ring. Le risse tra i ragazzi erano frequenti e non venivano sedate subito dagli adulti: l’aggressività veniva così incentivata.
Volontari o quasi. Al suo interno l’organizzazione era militaresca. I bambini venivano inquadrati in squadre di 150 individui, divisi per quartiere di appartenenza e uno dei loro compiti era il reclutamento di nuovi iscritti. Era importante che ai nuovi sembrasse attraente diventare un giovane hitleriano e non si sentissero obbligati. E chi poteva convincerli meglio di un altro adolescente? Spesso, per rendere tutto più misterioso e aumentare le aspettative, i ragazzi che chiedevano di entrare erano lasciati in attesa di risposta per qualche giorno.
Mappe e moschetto Sotto a sinistra, membri della Jungvolk a lezione di cartografia. Sotto, bambine mobilitate per la festa del partito nazista a Coburgo (Germania), nel 1938.
LA GIORNATA DEI GIOVANI HITLERIANI L’addestramento nella Hitlerjugend era di tipo militare e ideologico. Nei campi organizzati periodicamente l’istruzione era basata su una serie di attività molto particolari. Ecco quelle di una giornata-tipo.
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Tutti i bambini dell’associazione dai 10 anni in su dovevano imparare a sparare. Negli Anni ’30 non era comune possedere o usare un fucile e molti ragazzi si esaltarono all’idea di imparare un’attività da adulti.
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L’educazione fisica era forse al primo posto nella formazione del futuro cittadino del Terzo Reich. Tra le attività sportive sulle quali si puntava di più c’erano l’atletica e il pugilato. Tra l’altro, risse e scontri fisici erano incoraggiati e non puniti.
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L’istruzione di base era affidata alla scuola e comunque fortemente ideologizzata. Tuttavia era nei gruppi organizzati della gioventù che avveniva l’indottrinamento delle nuove generazioni. Argomento di studio: le dottrine ariane e antisemite.
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La disciplina era di tipo militare: il rispetto verso l’autorità e i superiori era finalizzato alla formazione di futuri soldati. Per questo si imparavano anche principi di radiotelegrafia, il codice Morse e come scavare una trincea.
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Tra le attività più popolari per maschi e femmine c’era il campeggio, praticato assiduamente in primavera ed estate. Anche prima della nascita del regime hitleriano i giovani tedeschi avevano la tradizione di campeggiare per la festa di Pentecoste.
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Durante i campeggi estivi si facevano lunghe escursioni per rafforzare lo spirito di corpo, la disciplina e la prestanza fisica. Servivano anche a imparare cartografia e orientamento e la domenica erano incoraggiate come alternativa alla messa.
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I bambini e i ragazzi amano le marce e i riti organizzati. Facendo leva su questo, la pedagogia nazista fece delle cerimonie che punteggiavano la giornata (l’alzabandiera per esempio) uno strumento per creare senso di appartenenza.
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Era l’attività cui erano destinati i meno portati per lo sport. Il canto e le marce militari erano parte integrante della Hitlerjugend: von Schirach, capo dell’organizzazione, diceva che “le canzoni sono il modo migliore per rafforzare lo spirito di corpo”.
TIRO
SPORT Il pugilato era lo sport forse più incentivato: si lasciava che i ragazzi si picchiassero fra loro, per sviluppare l’aggressività.
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Sul ring
Nonostante non fosse obbligatorio appartenervi, la Gioventù hitleriana crebbe velocemente: nel 1933 i membri erano appena 50mila, nel 1935 erano già 4 milioni (circa la metà della gioventù di allora), nel 1936 5 milioni e mezzo e nel 1939 8 milioni. Forse perché non era imposto ma pur sempre molto consigliato. “Ero al mio primo anno di scuola media (nel 1937, ndr) e una mattina trovai il preside che mi aspettava sulla porta. Mi chiese come mai non ero membro della Gioventù hitleriana”, racconta HansJochen Vogel, presidente del Partito socialdemo-
ISTRUZIONE
DISCIPLINA
CAMPEGGIO
PASSEGGIATE
CERIMONIE
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MUSICA
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BERLINER VERLAG/CORBIS/CONTRASTO BUNDESRCHIV
Alla fine della Seconda guerra mondiale anche i giovanissimi, di appena 14 anni, furono arruolati come ausiliari nella Luftwaffe Pronti per il fronte
BERLIN VERLAG/CORBIS/CONTRASTO
Sopra, un giovanissimo tedesco addestrato alla guida di un blindato nel 1944. Sopra a destra, campagna di adesione alla Jungvolk. Sotto, la Gioventù hitleriana impegnata nella raccolta e nella vendita di vetro per finanziare lo sforzo bellico.
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cratico tedesco dal 1987 al 1991 nel libro Hitler’s Children di Guido Knopp (Sutton publishing, in inglese). “Dissi che mi ero appena trasferito e vivevo lontano dalla città. Mi rispose che non potevo non farlo. Avevo 10 anni e dovevo iscrivermi. Se non mi fossi iscritto avrei creato problemi alla scuola. Così diventai membro. Non ricordo nessuno nella mia scuola che non fosse iscritto alla Jungvolk, e dopo, a 14 anni, alla Gioventù hitleriana. Era il normale corso delle cose e non si poteva discutere. Non c’erano alternative per i giovani tedeschi”. Per i nazisti i ragazzi di 10 anni, che uscivano dalla scuola primaria, avevano grosse potenzialità. A quell’età si comincia a essere più autonomi dalla famiglia e Hitler era convinto che con il giusto addestramento a 16-17 anni sarebbero stati dei veri nazisti e dei buoni soldati. Lo sapeva bene il capo della HJ, Baldur von Schirach, che nel 1936 riferì al Führer che poteva dirsi orgoglioso del fatto che il 90% dei ragazzi di 10 anni di tutta la Germania era finalmente sotto il suo comando. Tuttavia per cambiare l’uomo di domani era necessario cominciare presto, con l’associazionismo (anche i bambini dai 6 ai 10 anni erano inquadrati, nella Pimpfe) ma soprattutto con la scuola. Per Hitler la scienza e la cultura non servivano a scuola perché ai giovani bisognava dare modo di formare il carattere. E l’unico modo per ottenerlo era far loro praticare attività fisica ed educarli all’azione. “Il complesso lavoro di istruzione ed educazione in uno Stato nazionale”, scrive Hitler nel 1925 nel Mein Kampf, “de-
ve trovare il suo coronamento nell’infondere, nel cuore e nel cervello della gioventù a lui affidata, il senso e il sentimento di razza conforme all’istinto e alla ragione”. Bandito perciò ogni sentimentalismo, via dalle scuole le fiabe per i più piccoli e l’inutile nozionismo di alcune materie, si introduceva invece l’ideologia nazista. Swing e donne. Ma si sa, se il curriculum scolastico si può cambiare, non tutto ciò che riguarda i giovani (volubili per definizione) si può controllare. Negli anni Trenta era il momento dello swing, genere musicale proveniente dagli States legato a uno stile di vita anglosassone. Per il nazismo era inaccettabile che i giovani swingkids amassero ascoltare musica (per di più suonata da neri) e ballare, più che marciare o fare parate. Così la musica newyorkese venne bandita, sebbene molti (anche tra coloro che erano iscritti alla HJ) l’ascoltassero di nascosto. Uno dei principi fondamentali dell’inquadramento della gioventù era la separazione tra maschi e femmine. Per ruoli diversi nella società era necessaria un’educazione differente. Le ragazze dai 10 ai 14 anni si radunavano nella Jungmädelbund. Successivamente tra i 14 e i 18 anni nella Bund Deutscher Mädel (Lega delle ragazze tedesche), dove imparavano, in un contesto severo e austero, attività utili al loro futuro di mogli e madri, ma facevano anche molto sport per temprare il fisico. La femminilità era esaltata solo nell’ultimo grado: a 21 anni entravano nella branca “Fede e Bellezza” per prepararsi a diventare madri di futuri nazisti. La Le-
ga nel 1944 era la più grande associazione femminile del mondo con oltre 4 milioni di iscritte. Generazione perduta. Fu soltanto con la guerra però che i piccoli uomini in divisa della Hitlerjugend iniziarono a fare sul serio, con grande abnegazione. Da marzo 1939 tutti i ragazzi dai 14 anni in su dovevano iscriversi alla Gioventù (dai 10 anni nel 1941), una specie di coscrizione obbligatoria. Inizialmente i giovani raccoglievano fondi e risorse per il fronte, facendo al contempo propaganda per la guerra. Bizzarra l’“operazione dei piedi nudi” lanciata da Artur Axmann, dal 1940 a capo della Gioventù hitleriana. I ragazzi erano invitati a gravare il meno possibile sull’industria tessile (impegnata negli equipaggiamenti militari) vestendo sempre gli stessi abiti, anche se consumati o rotti, e a fare a meno delle scarpe in estate. I ragazzi poi sostituirono gli adulti, che erano al fronte, nelle loro attività, per esempio nel lavoro dei campi: si stima che nel 1942 i ragazzi e le ragazze impegnati nel settore agricolo fossero quasi 2 milioni. Ma il peggio arrivò poco dopo.
Già nel 1940 Axmann aveva riorganizzato la Jugend in modo più militaristico trasformandola in un serbatoio di giovani per le Waffen-SS. E nel 1943 cominciarono a essere addestrati giovani di 17 anni per il fronte: appartenevano alla 12° Divisione Panzer Waffen SS “Hitlerjugend”, che combatté in Normandia nell’estate del 1944. Tuttavia il sacrificio maggiore di questi giovani avvenne sul fronte interno. Dove, a partire dal 1943, anche ai più piccoli fu chiesto di imbracciare le armi come ausiliari della Luftwaffe (programma Luftwaffenhelfer). Reclutati nelle scuole, quasi tutti gli adolescenti tra i 14 e i 17 anni dovettero impegnarsi in compiti di vedetta, vigili del fuoco e soccorso durante i bombardamenti degli Alleati, ma anche in vere e proprie azioni militari, guidando la contraerea (da qui il soprannome di “generazione contraerea”). La guerra lasciò una triste eredità: nel 1945 un terzo di quella generazione di giovani nati tra il 1921 e il 1926, sedotta da Hitler, era sottoterra. Privando la Germania del suo futuro. •
IL PROGETTO LEBENSBORN
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ra le trovate perverse escogitate da Heinrich Himmler una riguardava i neonati: il Progetto Lebensborn. L’idea era semplice: per conquistare il mondo la “razza ariana” avrebbe dovuto prevalere anche numericamente all’interno dello Stato. E la Germania aveva un problema di bassa natalità. Dapprima si cercò (senza grande successo) di convincere gli ufficiali delle Ss, l’élite nazista, a “donare” i propri figli a istituti creati nell’ambito del progetto. Poi, al motto di “Per noi sia sacra ogni madre di buon sangue”, si allestirono cliniche per accogliere figli di ragazze madri. Purché rigorosamente germaniche. Se infatti la futura mamma dimostrava la propria ascendenza ariana poteva evitare di ricorrere all’aborto: parto e assistenza sarebbero stati garantiti, a spese dello Stato, nelle cliniche del Progetto Lebensborn. In cambio, i neonati diventavano proprietà del partito, che li allevava come perfetti nazisti, destinati a perpetuare la razza ariana. Rapimenti. Al “reclutamento” di neonati senza famiglia si aggiunsero i rapimenti. Esistono testimonianze, venute alla luce nel Dopoguerra, di piccoli biondi e dagli occhi azzurri che, nei Paesi occupati dall’avanzata nazista (specie in Scandinavia) furono prelevati offrendo ai genitori la speranza di un futuro per i piccoli. Che perdevano così la propria identità e rinunciavano a rivedere mamma e papà: venivano infatti sottoposti a un trattamento forzato di germanizzazione. Nel Dopoguerra, molte di queste madri dei “bambini di Himmler” furono accusate di collaborazionismo. (a. c.)
Federica Ceccherini
Espiazione
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Adolf Martin Bormann, primogenito del segretario particolare del Führer, Martin Bormann. Rinnegò poi l’operato del padre e divenne sacerdote cattolico missionario.
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PRIMO PIANO
Le Ss erano una setta esoterica, Hitler e Stalin si odiavano, il Führer fuggì
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Sono molte le leggende, le convinzioni sbagliate, i misteri veri o presunti e gli aspetti misconosciuti del Terzo Reich. Cerchiamo di chiarirne alcuni.
ROMMEL, STRATEGA SOPRAVVALUTATO
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incitore a Tobruk, nella Campagna d’Africa, contro gli inglesi, si guadagnò il soprannome di Volpe del deserto. Edwin Rommel è una star della Seconda guerra mondiale. Ma gli storici militari evidenziano che le sue grandi virtù tattiche avevano un grave limite: non sapeva adattarsi alle forze a disposizione. Smodato. Incaricato di prevenire il crollo delle forze alleate italiane in Cirenaica, nel 1941, davanti ai successi iniziali andò oltre gli ordini ricevuti, tentando di riconquistare la regione e di avanzare fino al Canale di Suez. Un piano ardito, ma che non teneva conto delle enormi distanze, dell’insufficienza numerica delle truppe, delle difficoltà delle sue linee di rifornimento e (dall’altra parte) dei rinforzi continui che arrivavano al nemico grazie alla strategica base di Malta. 50
LE SS ERANO (ANCHE) ITALIANE
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u dopo l’8 settembre 1943, ad armistizio firmato, che migliaia di soldati italiani si arruolarono volontariamente nelle Waffen-Ss, cioè nelle Ss combattenti. Furono inizialmente inquadrati nella prima Brigata d’assalto Ss italiane, poi diventata la 29sima SsWaffengrenadierdivision (Italienische Nr. 1): più semplicemente “Divisione Italia”. Nel dicembre 1944 la divisione contava almeno 15.000 uomini. La divisa era quella del regio esercito: cambiavano solo le mostrine (gli italiani poterono fregiarsi delle doppie rune delle Ss, su sfondo rosso). Gli ultimi elementi della divisione si arresero alle truppe americane a Gorgonzola. Era il 30 aprile 1945, il giorno dopo che il cadavere di Mussolini era stato esibito, appeso per i piedi, a Milano. Di tutti i colori. Le divisioni Ss che combatterono per il Reich non erano dunque affatto della tanto esaltata stirpe germanica. Già dal 1940, vi furono infatti inquadrati molti stranieri: francesi, olandesi, danesi, norvegesi, belgi, croati, serbi e persino indiani.
IL DOPING: L’ARMA SEGRETA DEL REICH
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o chiamavano anche Panzerschokolade, “il cioccolato dei carri armati”: il Pervitin, stimolante il cui principio attivo è la metanfetamina, era usato dai militari fin dalla Prima guerra mondiale, come eccitante e antifatica. La sua diffusione diventò ancor più capillare nella Germania nazista, almeno stando a un libro recentemente pubblicato: ne avrebbero ampiamente abusato i soldati della Wehrmacht, ma anche lo stesso Hitler. Lo sostiene Norman Ohler nel suo saggio Der totale Rausch (“L’euforia totale”). Su di giri. Sempre secondo Ohler, lo stesso Hitler avrebbe ricevuto negli anni dal suo medico personale Theo Morell qualcosa come 800 iniezioni, in cui metanfetamine e steroidi si mischiavano ad altre sostanze dopanti.
HITLER E STALIN: NEMICI MAI
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itler e Stalin trasformarono nazismo e comunismo in regimi totalitari che finirono per combattersi. Ma i due leader non si odiarono, anzi. «L’unico uomo per cui Hitler avesse un “rispetto incondizionato”», ha scritto la studiosa dei totalitarismi Hannah Arendt, «era “il geniale Stalin”» (i corsivi sono tratti dai taccuini del Führer). Collega stimato. Nelle sue Memorie del Terzo Reich, Albert Speer, architetto e ministro del Reich, rivela che il rispetto di Hitler per Stalin aumentò nel corso dell’Operazione Barbarossa (l’offensiva contro l’Urss). Scrive Speer: “Lo colpiva la forza d’animo con cui aveva accettato le sconfitte. Parlava di Stalin con molta stima”.
in Sud America... Se ne dicono tante sul nazismo. Ma qualche mistero c’è
MITI NAZISTI A cura di M. Consoli e A. Rubini
TROVATO IL TRENO DELL’ORO. O NO?
S I PIÙ NAZISTI? GLI AUSTRIACI
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u un plebiscito a decidere l’annessione dell’Austria alla Germania di Hitler: secondo i documenti ufficiali del referendum a cui il 10 aprile 1938 furono chiamati 4.474.000 elettori austriaci, il 99,7% espresse un “sì”. L’Austria diventò così parte integrante della Grande Germania. Pochi ma “buoni”. Gli austriaci rappresentavano solo l’8% della popolazione dello Stato hitleriano, ma le percentuali attive nella macchina del Reich erano altissime: il 14% dei membri delle Ss erano di origine austriaca. Non solo: il 40% del personale nei campi di sterminio e il 70% del personale di Adolf Eichmann proveniva dall’Austria.
NAZISMO ESOTERICO PER POCHISSIMI
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iti esoterici nel nome dell’antica religione germanica, per cementare le radici ariane del Terzo Reich. Tutto vero? Sì e no. Il fenomeno non fu così diffuso come spesso si crede. Di sicuro coinvolse dal 1933 il Reichsführer Heinrich Himmler, cultore dell’esoterismo, che aveva dato il via a riti neopagani che si svolgevano soprattutto nel castello di Wewelsburg (Germania): avrebbero dovuto trasformare le Ss in monaci guerrieri chiamati a difendere le radici “ariane” e a riscoprire l’antica religione dei padri. Ristretto. Che le stesse Ss (Himmler a parte) credessero davvero ai rituali spiritici è però assai dubbio. Di sicuro la vicenda ha alimentato nel tempo la fantasia di un nazismo esoterico.
LA SECONDA VITA DI HITLER
I
servizi dell’Urss (che liberò Berlino) hanno sempre dato la loro versione dei fatti sugli ultimi istanti di vita del Führer. Ma non tutti la condividono. Adolf Hitler morì il 30 aprile 1945 per suicidio. Si sparò un colpo alla testa, dopo avere ingerito una capsula di cianuro, nel suo bunker a Berlino. Al suo fianco, Eva Braun lo seguì ingerendo anche lei del cianuro. Nel pomeriggio, secondo la volontà del dittatore, i loro resti sarebbero stati bruciati fuori dal bunker. Questa dunque la versione ufficiale, che però non ha messo a tacere le tante teorie alternative che hanno comunque prosperato. Come quella secondo cui il Führer non si suicidò, ma fuggì in Sud America dove si sarebbe rifatto una vita in Patagonia. Il Führer da vecchio. Secondo un’altra ricostruzione Hitler, con il nome di Adolf Leipzig, si sarebbe trasferito nella piccola città di Nossa Senhora do Livramento, tra Brasile e Bolivia. Soprannominato “il vecchio tedesco”, vi sarebbe morto in incognito nel 1984.
e fuggendo dal luogo in cui abitate doveste occultare oggetti preziosi per recuperarli in un secondo momento, dove li nascondereste? Forse da qualche parte sottoterra. A questo devono avere pensato i nazisti in fuga da Breslau (Breslavia), la città polacca in mano tedesca fin dall’epoca del regno di Prussia, incalzati dall’Armata Rossa alla fine della Seconda guerra mondiale. Ma siccome il loro tesoro era ingombrante, lo caricarono su un treno, partito dalla stazione sotterranea della città e spedito poi dentro alcuni tunnel realizzati nell’ambito del Project Riese, misteriosa ragnatela di scavi sotterranei realizzati nella regione della Bassa Slesia. A pieno carico. Sul treno c’erano forse dipinti e preziosi scippati alle famiglie polacche ed ebree mandate nei lager, gran parte dell’oro e dei beni prima custoditi nelle banche tedesche o sottratti a quelle dei Paesi invasi e mai ritrovati. Ma anche la Camera d’ambra, regalo di Federico Guglielmo I di Prussia allo zar Pietro I: sei tonnellate di ambra e oro divise in pannelli per ricoprire una stanza di 55 m2. Pannelli rubati dai nazisti e spariti nel nulla. Almeno così sperano Piotr Koper e Andreas Richter, che avrebbero individuato il luogo in cui è ubicato il treno e chiesto alle autorità polacche di avere una ricompensa pari al 10% del valore al suo interno. La ricerca continua. L’esploratore Krzysztof Szpakowski sostiene che ci sarebbero almeno altri due convogli nascosti sottoterra vicino alla città di Walim, anche se il contenuto non è noto. 51
PRIMO PIANO
LA SCIENZA Future scienziate?
ULLSTEIN/ALINARI
Ragazze in una scuola femminile a Rendsburg, nel Nord della Germania, nel 1935. Si stanno sperimentando sistemi di filtraggio per l’acqua potabile.
L’inventore ebreo del famigerato Zyklon B
N CHIMICA 52
ella Germania hitleriana la ricerca sull’uso del nucleare a fini militari vide all’opera, al fianco dei fisici, illustri chimici tra cui un fermo oppositore del nazismo: Otto Hahn, insignito del premio Nobel per gli studi sulla
fissione nucleare. Molti suoi colleghi furono invece protagonisti di un altro genere di ricerche che diede alla luce, loro malgrado, sofisticati strumenti di morte. Il chimico Gerhard Schrader, per esempio, mentre cercava di
ottenere un nuovo insetticida, sintetizzò alcuni gas nervini estremamente letali, tra cui il Tabun. La sua inalazione aveva effetti devastanti, provocando una crisi del sistema nervoso con convulsioni, nausea e perdita di
IN DIVISA
Nel Terzo Reich molti scienziati si piegarono all’ideologia anche nei laboratori. Ma in vari campi la ricerca tedesca rimase all’avanguardia
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è chi parla di fantascienza, chi di pseudoscienza e chi, semplicemente, di delirio. È all’incirca questo il campionario di sostantivi che accompagnano la storia della scienza ai tempi del nazismo. D’altronde, secondo molti, per potersi sviluppare pienamente la scienza deve essere libera. Il che la renderebbe incompatibile con i regimi totalitari. In effetti il nazismo condizionò anche la ricerca scientifica, con gli scienziati tedeschi pronti a imboccare tortuose strade che portarono a sperimentazioni criminali (v. riquadro a destra). Tuttavia, seppure con questi condizionamenti, nella Germania nazista lavorarono fior di scienziati. Chimici, fisici, ingegneri e medici tedeschi – spesso con il Nobel nel curriculum – arricchirono le conoscenze scientifiche in tutti i campi, almeno quanto fecero all’estero i loro colleghi ebrei costretti alla fuga o allontanati dai laboratori di ricerca. A scuola di eugenetica. In cima alla lista delle discipline preferite dal nazismo c’erano le ricerche biologiche e mediche. Si moltiplicarono studi inquinati da una concezione razzista della società e l’antropologia (lo studio dell’uomo) si ridusse allo studio di fantomatiche “razze umane” finalizzato a tracciare una specie di scala gerarchica, al cui vertice svettava l’inesistente razza ariana. Le classificazioni avvenivano secondo criteri esteti-
coscienza seguita da un rapido decesso. A tale scoperta seguirono quelle dei gas Sarin e Soman, decine di volte più aggressivi del Tabun. Gas letali. Non fu però il gas nervino a segnare la chimica nazista, bensì un agente a base di acido cianidrico, lo Zyklon B. Na-
ci: capelli biondi, pelle e occhi chiari erano per esempio i tratti tipici dei nordici, a cui venivano attribuite doti di coraggio, saggezza e igiene. Queste teorie infondate sfociarono nelle campagne di sterilizzazione contro malati e categorie considerate “anormali” (programmi simili, ma meno estesi si ebbero in Canada e Stati Uniti). Era il vasto campo dell’eugenetica, inaugurata a fine Ottocento e fondata anche sulle teorie dell’italiano Cesare Lombroso: l’idea era applicare metodi di
U
Matteo Liberti
ESPERIMENTI CRIMINALI
na cosa buona i medici del Reich la fecero: analizzarono le connessioni tra fumo e tumore e – su input di Hitler – portarono avanti la più grande campagna antitabacco degli Anni ’30. A parte questo, non si fecero mancare nessun abominio. A partire dall’utilizzo di esseri umani come cavie. E a volte ottenendo persino risultati accettati dalla comunità scientifica. Tanto che oggi alcune nomenclature portano ancora i nomi di quei criminali. Esiste per esempio il test di
to come insetticida e sviluppato negli anni Venti dal chimico Fritz Haber, impiegato della Bayer, già premio Nobel per le ricerche sulla sintesi dell’ammoniaca. Di famiglia ebrea, Haber lasciò il Paese nel 1934, ma per triste ironia della sorte proprio la sua “invenzione” ucciderà in seguito
selezione genetica al fine di migliorare la specie umana. Persino la fisica subì i pregiudizi sulla razza: la teoria della relatività di Einstein fu attaccata poiché “creazione di un ebreo”. Tutto questo scredita ai nostri occhi la scienza nazista, spesso liquidata come il racconto delle gesta di scienziati sadici. Eppure, fino agli Anni ’30, il cuore pulsante della cultura scientifica europea batteva proprio lì, in Germania. •
Clauberg (medico ad Auschwitz), che misura l’azione del progesterone, un ormone, sulle donne. O la sindrome di Reiter (attivo nel campo di concentramento di Buchenwald), infezione dei tessuti connettivi di origine batterica. Diabolici. Nei lager i medici, fregandosene del giuramento di Ippocrate, vivisezionarono i corpi dei deportati dopo averli sottoposti a esperimenti. Furono studiati così gli effetti dell’ipotermia, dei lanci da grandi altezze e della privazione di cibo.
gli ebrei di Auschwitz e degli altri lager. Lo Zyklon, prodotto soprattutto dal colosso industriale IG Farben, fu infatti usato nelle camere a gas per uccidere con modalità simili a quelle dei gas nervini. In tale infernale contesto non mancarono i chimici che diedero invece una mano agli
Come? Immergendo le cavie nell’acqua gelida, rinchiudendole in camere a pressione atmosferica variabile, costringendole a digiunare bevendo soltanto acqua marina. Per testare nuovi vaccini, a molti deportati furono inoculati ceppi virali e batterici di epatite, tifo, tetano e tubercolosi. Gli omosessuali, infine, venivano sottoposti a terapie d’urto a base di testosterone. Per non parlare delle famigerate ricerche sui gemelli di Josef Mengele, il “dottor Morte” poi fuggito in Sud America.
ebrei. Come Carl Bosch, premio Nobel, che in un primo tempo appoggiò il nazismo, salvo poi difendere i suoi colleghi perseguitati (Fritz Haber su tutti), e Heinrich Otto Wieland, altro Nobel che a Monaco offrì sostegno agli studenti cacciati dall’Università in quanto ebrei.
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Alcune denominazioni mediche, come il test di Clauberg o la sindrome di Reiter, portano il nome di scienziati nazisti. Oggi c’è una campagna per sostituirli
INGEGNERIA
La tecnologia nel Terzo Reich
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Teorie bizzarre Hanns Hörbiger, ingegnere e astronomo austriaco: elaborò una teoria sul ghiaccio cosmico, priva di qualsiasi fondamento, ma che allora ebbe molta popolarità.
el tentativo di affermarsi come grande potenza militare il Terzo Reich finanziò ricerche ingegneristiche nel campo degli armamenti, avvalendosi del contributo di ingegneri del calibro di Wernher von Braun, celebre per aver realizzato il missile balistico a lunga gittata Aggregat 4, o V2, impiegato per bombardare Londra, e poi “padre” dei vettori Saturn che portarono gli americani sulla Luna (v. riquadro a destra). Avanguardie. Altra figura di spicco fu Fritz Gosslau, che collaborò allo sviluppo della bomba volante V1, primo esempio di missile da crociera (controllabile in volo) entrato in servizio nel 1943 (poco prima del V2) anticipando molte tecnologie adottate dalla Nasa in campo aerospaziale. E a proposito di aerei, i fiori all’occhiello dell’ingegneria nazista furono il Messerschmitt Me 163, primo aereo a razzo della Storia, e il Me 262, ultratecnologico bimotore a reazione. Sempre in ambito bellico, altre opere ingegneristiche di rilievo furono la Linea Siegfried e il Vallo Atlantico, due sistemi di fortificazione che si estendevano dalla Germania alla Svizzera e dalla Norvegia alla Francia. Vi furono inoltre vari sviluppi ingegneristici con ricadute civili. Per volontà di Hitler, che desiderava produrre un’automobile economica, robusta e accessibile a tutti, nacque nel 1937 la Volkswagen, la “vettura del popolo”. Il progetto, affidato all’ingegnere Ferdinand Porsche, già fondatore dell’omonima casa automobilistica, diede forma al celebre maggiolino, la cui produzione fu convertita durante la guerra creando delle auto anfibie. Ultimo lascito ingegneristico fu la serie di apparecchiature Z (la prima – Z1 – è del 1938), macchine elettroniche provviste di unità di calcolo con numeri codificati in binario. Era la nascita del moderno computer.
OPERAZIONE PAPERCLIP
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FISICA
Gli “atomici” del Club dell’uranio
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ra gli scienziati che sostennero apertamente Hitler vi furono i due premi Nobel per la fisica Johannes Stark e Philipp von Lenard. Quest’ultimo si distinse per il particolare odio mostrato verso Albert Einstein (fuggito dalla Germania nel 1933), a cui rimproverava innanzitutto l’essere ebreo. Quando nel 1921 anche Einstein ottenne il Nobel, Lenard arrivò a denunciare come “impostura giudea” la sua teoria della relatività. Lenard era infatti convinto – al pari di Stark – che la fisica teorica einsteiniana, “astratta”, fosse da sostituire con i dettami di una “fisica ariana”, basata sulle teorie razziali.
L’atomica di Hitler. Meno ideologizzato – ma fedele al nazismo – fu Werner Karl Heisenberg, Nobel per gli studi sulla meccanica quantistica coinvolto sul finire degli Anni ’30 nel programma mirato alla produzione di armi nucleari. Ci lavorarono due gruppi: uno militare, diretto dal fisico Kurt Diebner e volto a creare armamenti tramite l’arricchimento dell’uranio, e l’altro civile, diretto dallo stesso Heisenberg e incaricato di svolgere ricerche per la produzione di energia. Il cosiddetto Club dell’uranio non completò però le proprie ricerche. La reale volontà di consegnare a Hitler una “superbomba” divide gli storici: alcuni sostengono che gli scienziati abbiano sabotato il progetto per scrupoli morali, ma è più probabile che siano semplicemente stati battuti dall’analogo Progetto Manhattan americano, con il quale si realizzarono le prime atomiche (grazie anche al contributo di fisici fuggiti dal nazismo). C’è infine chi sostiene, citando diverse lettere, che i nazisti fossero riusciti a sviluppare delle armi al plutonio, ma troppo tardi per usarle.
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Nazista da Nobel Il fisico tedesco Philipp von Lenard, insignito del premio Nobel per la fisica nel 1905. Consigliere di Hitler, fu sostenitore della “fisica ariana” sotto il regime.
ell’autunno 1945 i servizi segreti statunitensi assoldarono alcuni tra i più grandi scienziati della Germania hitleriana nell’ambito di un piano segreto autorizzato dal presidente Harry Truman e finalizzato a impedire che le conoscenze scientifiche dei nazisti finissero in mano sovietica. Tra gli scienziati coinvolti spicca il nome di Wernher Von Braun, colui che più di altri aveva contribuito a sviluppare la missilistica tedesca e che diverrà poi uno dei protagonisti dell’esplorazione spaziale statunitense.
Passato ripulito. Ai professionisti ingaggiati venne data la cittadinanza americana e fu ripulito il curriculum, cancellandone le malefatte compiute. Le loro nuove identità vennero allegate ai rispettivi fascicoli con delle graffette, (paperclip in inglese) da cui il nome dell’operazione: Operation Paperclip. Oggi biasimata da molti, permise agli Usa di accrescere le proprie conoscenze in vari ambiti scientifici. E il reclutamento proseguì nella Guerra fredda, coinvolgendo nel complesso circa 2.000 persone.
L’uomo della Luna Wernher von Braun, l’ingegnere tedesco che poi collaborò con la Nasa, nel suo ufficio americano. In alto è con gli scienziati americani nel settembre del 1945. 55
PRIMO PIANO
Una fortezza del ’700 trasformata in lager. Nel pieno della guerra diventò un “ghetto ideale” da esibire agli stranieri, riservato ad artisti e intellettuali ebrei. Dove morirono in 34mila
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l regime nazista non si limitò a nascondere l’Olocausto. Si ingegnò diabolicamente per far credere il contrario: ovvero che si prodigava per il bene degli ebrei. Altro che carnefici: Himmler, Eichmann e gli altri artefici della Soluzione finale si presentavano al mondo come filantropi incompresi. E per convincere delle loro inclinazioni umanitarie il fronte degli scettici, inscenarono il più atroce dei bluff. Cercarono di spacciare la boema Theresienstadt (Terezín in ceco) per ghetto modello, un luogo in cui gli ebrei potevano intrattenersi con concerti e spettacoli teatrali in un clima da dolce vita. In realtà era un lager di raccolta e transito. Un campo di concentramento dove la mortalità media toccò le 131 vittime quotidiane nel settembre del 1942 e dove, fuori dell’obitorio centrale, venivano accatastati centinaia cadaveri.
L’inganno di TEREZÍN 56
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Multifunzione
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I morti al giorno nel settembre 1942. In tutto, a Terezín morirono 34mila ebrei.
L’interno della fortezza di Terezín (in tedesco Theresienstadt), nella Repubblica Ceca, oggi. A lato, una cartolina della località termale a inizio ’900, quando si chiamava Theresienbad. In basso, l’arrivo di un gruppo di ebrei: inizialmente in molti scelsero il trasferimento volontariamente.
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A un certo punto furono aperti anche dei negozi, in cui si vendevano abiti e biancheria. Provenienti dai bagagli dei “residenti”
Fortezza. Come scrive lo scrittore Winfried G. li e una chiesa. Giuseppe II d’Asburgo, aveva inSebald, che ne ha ricostruito la storia nel suo li- titolato quel progetto alla memoria della madre, bro Austerlitz, a Theresienstadt «i quattro ince- l’imperatrice Maria Teresa. Ma i nemici prussianeritori a nafta del crematorio, in funzione gior- ni non l’assediarono mai, né si profilarono altre no e notte al ritmo di quaranta minuti per ciclo, minacce, per cui la città-fortezza era stata per tutto l’Ottocento una tranquilla guarnivenivano caricati fino all’estremo ligione con un paio di reggimenti e mite delle loro capacità». Eppucirca 2mila civili. Con muri dire, quel ghetto di cartapesta pinti di giallo, panetterie, peringannò prima gli ebrei che gole, birrerie, case da gioco. avevano scelto fiduciosamente di “reinsediarsi” tra “Reinsediamento”. Quella quelle mura, e poi la coche era pur sempre la più La Germania nazista munità internazionale che grande città-prigione della estende le leggi razziali ai nuovi lo visitò cercando di veBoemia era dunque rimadomini cecoslovacchi. derci chiaro. sta poco utilizzata. Finché, Il luogo di quella messindal giugno 1939, la Germascena sorge ancora oggi alnia nazista aveva esteso le legla confluenza dei fiumi Elba ed gi razziali ai nuovi domini cecoEger, a 60 km da Praga. Terezín-Theslovacchi, il Protettorato di Boemia e resienstadt era nata nel 1780 come cittadella Moravia. Il progetto dello sterminio prese coraustriaca antiprussiana: una fortezza a forma di po due anni più tardi. Hermann Göring, numestella, cinta da bastioni e fossato. ro due del Reich, incaricò del piano il governaUndici caserme, una prigione, un’area interna tore dei nuovi territori, il generale Heydrich. di 1.200 metri per 920, vari edifici militari e civi- Nell’ex Cecoslovacchia l’antisemitismo era meno
IL FILM DELLA FARSA
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GIUGNO 1939
Nell’immagine più a sinistra è riprodotta la cittadella asburgica eretta a partire dal 1780 su una caratteristica pianta a stella; nell’illustrazione accanto sono riprodotti gli edifici del 1940-45. 1 - Fossato, fiume e bastioni di guardia. 2 - In occasione della visita della Croce Rossa il Brunnenpark fu aperto anche agli ebrei. 3 - Il municipio era usato per concerti e spettacoli. 4 - In uno dei parchi cittadini furono installati giochi per i bambini del “ghetto modello”. 5 - La Piazza del mercato su cui si affacciava la chiesa fu convertita in parco e vi sorse un padiglione per i concerti all’aperto. 6 - In questi terrazzamenti della fortezza venivano eseguite le pubbliche impiccagioni.
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NELLA CITTADELLA
radicato che in Polonia o in Romania. Ma Hitler voleva liberarla da “qualsiasi presenza ebraica”. Heydrich lo esaudì deportando gli ebrei cecoslovacchi nei ghetti di Lodz (Polonia) e Minsk (Bielorussia). Non bastavano. Decise perciò di “reinsediare” a Theresienstadt tutti gli ebrei del Protettorato, in attesa di deportarli più a est. Il suo piano prevedeva il trasferimento di alcune categorie “privilegiate”, la cui espulsione o soppressione avrebbe suscitato proteste e richieste di chiarimenti da parte di altre nazioni, a causa delle loro relazioni internazionali. Theresienstadt fu, all’inizio, un ghetto per over 65; poi arrivarono veterani di guerra invalidi o decorati; infine personalità in vista, i Prominenten, e i Mischlinge, i “mezzi ebrei” non di fede giudaica, oltre ad altre “categorie protette”. Si fece credere a migliaia di loro che si sarebbero stabiliti in un’elegante località termale, Theresienbad (questo il nome che aveva allora), dove avrebbero continuato a percepire la pensione e da cui sarebbero potuti rientrare a Praga nei weekend. Molti furono indotti a pagare in anticipo affitti di fantomatici alloggi; altri,
Vite in transito Sopra, l’ingresso della fortezza oggi. Sotto, seduto, il governatore del Protettorato boemo Reinhard Heydrich, che organizzò i trasferimenti verso Theresienstadt (e quelli da qui verso i campi di sterminio).
Teatri e café-chantant: la musica all’inferno
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hi nel ’43 sedeva nel caffè all’aperto di Theresienstadt poteva illudersi di villeggiare alle terme. Sul palco i Ghetto Swingers di Fritz Weiss ed Erich Vogel suonavano ogni giorno Benny Goodman e George Gershwin (vietati in Germania). Solo che sulle loro cravatte spiccava la stella di David. Spettacolo. Nel “cartellone” del ghetto ce n’era per tutti i gusti: il varietà del celebre attore Karel Svenk, una conferenza sull’Iliade, un Re-
quiem di Verdi, un concerto da camera e altro ancora. Decine di noti musicisti, compositori e direttori d’orchestra erano confluiti nella fortezza. Su tutti svettavano i nomi di Viktor Ullman, Hans Krasa, Rafael Schachter, Gideon Klein, Sigmund Schul e di quel Pavel Haas che proprio a Terezín compose alcuni Lieder capolavoro e uno Studio per orchestra d’archi di cui è rimasta traccia sonora e visiva (con audio in presa diretta) nell’unico spezzone
sopravvissuto (una ventina di minuti) del documentario propagandistico Hitler regala una città agli ebrei (a sinistra, alcuni fotogrammi). Note umiliate. La musica fu sicuramente l’arte più praticata e tollerata nei lager nazisti. Persino ad AuschwitzBirkenau si suonava molto, ogni giorno. Peccato che fossero marce che facevano da colonna sonora all’uscita e al rientro dei lavoratori forzati e alle impiccagioni pubbliche. 59
I padri potevano incontrare i figli solo tra le 18 e le 19:45. Ma per la visita della Croce Rossa fu allestito un parco giochi
costretti o convinti con l’inganno, come ricorda nobbe sette mesi di relativa normalità. Terezín Sebald, «a firmare contratti per l’acquisto, in ri- era un luogo particolare: la sua eccezionale concoveri per anziani, di alloggi del valore nomina- centrazione di artisti, scienziati e intellettuale di anche 80mila marchi». L’illusione di aver li provocò un’esplosione delle attività culturali. Venne istituito un Dipartimento per le attività trovato l’America durava lo spazio del viaggio, del tempo libero. Nacquero orchestre, compasu un treno con normali vagoni. Appena scendevano alla stazione, a 3 km dal gnie teatrali, giornali. Spettacoli e conferenze si ghetto, gli ebrei venivano depredati e trattati co- tenevano a ciclo continuo. Una delle superstiti, me bestie. Finivano stipati in locali di venti me- Ruth Elias, ha raccontato che si giocava a pallatri quadri. Gli abili al lavoro dovevano sotto- volo fuori dalle mura e molti riuscivano a fare porsi a corvée di tre mesi prima di ricevere una l’amore di nascosto, nei porticati o nelle soffitte degli alloggi privati. E il “grande inmansione adeguata (si fa per dire) alganno” era solo agli inizi. la loro formazione nei laboratori o negli uffici, o all’esterno A bbellimento . Le parvendel campo. Chi commetteva ze d’una vita quasi idilliaca la minima infrazione venivennero rafforzate per orva bastonato o impiccato. dine di Adolf Eichmann, il Malattie, freddo e fame regista della deportazione Himmler ordina di sospendere i trasporti, fecero strage (fino al 1945, di massa. Eichmann aveva per non insospettire la 34mila morti). Anche peracconsentito a un’ispezione Croce Rossa. ché dal giugno ’42 il ghetdel Comitato internazionale to fu sempre sovraffollato. Il della Croce Rossa, prenden1942 è infatti l’anno della “sodo però tempo: alcuni mesi che luzione finale”, la decisione di sarebbero serviti per il più cinico procedere con lo sterminio sistematidei maquillage, il “Programma di abco degli ebrei (e non solo). Fu allora che Terezín bellimento”. Fu così che Terezín si mascherò da divenne il ghetto modello. paradiso: «Un Eldorado di cartapesta», come ha La farsa. All’inizio del ’43 Himmler aveva or- scritto Sebald. Sorsero teatro, sala concerti, sala dinato di sospendere i trasporti, per non inso- prove, palco per concertini all’aperto, giardino spettire l’opinione pubblica straniera durante la d’inverno, piscina per i bambini, parco giochi. realizzazione della Soluzione finale. Dal febbra- Furono piantati roseti, migliorate le strutture saio di quell’anno ai primi di settembre il ghetto, nitarie, installate panchine, aperti nuovi negoaffidato formalmente a un consiglio ebraico, co- zi. In attesa del sopralluogo, gli aguzzini lascia-
INIZIO 1943
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Dietro la facciata Sopra, gli ingressi a uno dei blocchi di prigionia ricavati dagli edifici dove un tempo alloggiavano i soldati (la fortezza poteva ospitarne fino a 11mila). A sinistra, il crematorio per le vittime del campo.
o ss ru te on Fr
Lituania
105 25
Germania 175
Belgio 65
150
250 Polonia 2500
Russia Bianca 150 Ucraina
200 52 Slovacchia Boemia 200 380 Romania Ungheria
235 Austria 60
Francia 10 Italia
55 12 Iugoslavia Bulgaria 58 Grecia
LA CONTA DEI DEPORTATI
FONTE: R. HILBERG, LA DISTRUZIONE DELGLI EBREI IN EUROPA (EINAUDI)
Paesi Bassi
Nella cartina, gli ebrei vittime delle deportazioni, suddivisi per Paesi. I valori sono espressi in migliaia e il totale supera i 4,6 milioni di deportati (a destra, gli internati di un lager).
lizzando un film celebrativo: Hitler regala una città agli ebrei. La pellicola fu proiettata in due successivi sopralluoghi della Croce Rossa. Dietro la macchina da presa c’era un prigioniero di talento, Kurt Gerron, attore-regista che aveva recitato con Marlene Dietrich e interpretato Brecht. Gerron pensava così di scamparla. Invece, terminate le riprese, lo spedirono ad Auschwitz, dove fu gasato insieme a centinaia di altri illusi. Nell’ottobre del ’44 si susseguirono undici trasporti verso la morte. L’Eldorado di cartapesta svanì in una nuvola di cenere. • Dario Biagi
AKG/MONDADORI PORTFOLIO
rono passeggiare liberamente i prigionieri e fecero sfogare la loro sete di libertà. Paradossalmente, in quei mesi, in tutta l’Europa nazificata non c’era forse posto più vivace culturalmente del ghetto boemo: satira, jazz, cabaret, opere, musica classica. Successo mediatico. Il 23 giugno 1944 la finzione fece scattare la trappola mediatica di fronte alla Croce Rossa. Gli inviati, uno svizzero e due danesi, decantarono il campo come una società-modello. Tale fu il successo dell’operazione che il ministro della Propaganda Goebbels e i vertici delle Ss decisero di alzare la posta rea-
Ristrutturazioni fittizie A sinistra, i bagni che, in occasione della visita della Croce Rossa, nel 1944 furono ristrutturati e dotati di specchi per fare la barba. Sopra, gli ingressi di alcune celle di isolamento. 61
PRIMO PIANO BRIDGEMAN IMAGES/MONDADORIPORTFOLIO
Ideale e realtà Bionda, solare, affidabile: è la donna simbolo, secondo il poster propagandistico per il reclutamento di ausiliarie della Luftwaffe. Nell’altra pagina, Ilse Koch, detta “la strega di Buchenwald” per la sua efferatezza, durante uno dei processi a suo carico: prima scagionata, poi condannata all’ergastolo, si impiccò nel 1967.
Storie di ordinaria crudeltà dietro alla facciata del “nazismo in rosa”. La donna ideale della Germania hitleriana era sposa e madre. Ma spesso si trasformava in aguzzina
Quelle
BRAVE ragazze A AFP/GETTY IMAGES
“
iutami, ti prego!”. Una bambina in lacrime le tende le braccia: avrà sette anni, non di più. Si è staccata dal gruppo silenzioso che ha appena lasciato il ghetto di Drohoby (Ucraina) e che ora, lì sui binari, aspetta l’ultimo treno della vita. “Aiutami...”, piange rivolta a quella signora bionda in tailleur. “Ti aiuterò!”, le risponde lei. L’agguanta per i capelli, la prende a pugni e la spinge a terra. Poi le calpesta la testa, finché il corpicino giace immobile. Raccoglie il frustino che le è caduto nella lotta e si allontana. È il 1943: sono passati dieci anni da quando Josephine Krepp, allora dattilografa viennese poco più che ventenne, si è iscritta al Partito nazista. Diventata poi impiegata della Gestapo, la polizia segreta del Terzo Reich, ha sposato un 63
MARY EVANS/SCALA
Irma Grese teneva a digiuno i cani lupo perché attaccassero e sbranassero i prigionieri dei campi
A scuola di ubbidienza In una foto del 1935 ragazze istruite sulla visione nazista del mondo, con tanto di mappa delle nazioni da conquistare. A destra, un ritratto di Irma Grese, diventata tristemente famosa per le atrocità commesse come sorvegliante in un campo di concentramento.
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ANNI
L’età di Irma Grese, sorvegliante a Bergen-Belsen, quando fu impiccata nel 1945 dopo la condanna a morte del tribunale britannico.
ufficiale delle Ss e si è trasferita con lui nell’Est conquistato da Hitler. Ma accudire i figli non le basta, vuole essere ancora più utile al Führer: per questo, senza alcun ruolo ufficiale, uccide e fa uccidere “zingari” ed ebrei per i motivi più futili. Erna Petri, 23 anni appena, lo fa invece per dimostrarsi all’altezza degli uomini. Quella stessa estate, a Grzenda (Ucraina), di ritorno da un giro di shopping a Leopoli si è imbattuta in quattro bambini fuggiti da un treno di deportati: se li è portati a casa, li ha sfamati e poi li ha accompagnati nel bosco. Qui ha sparato loro alla nuca, a bruciapelo, prima di tornare dai suoi due figli piccoli, felice di avere qualcosa di bello da raccontare al marito, ufficiale delle Ss. Casi sporadici? Niente affatto. «Nelle indagini svolte nel Dopoguerra in Germania, Israele e Austria, gli ebrei sopravvissuti identificarono le tedesche non solo come compiaciute spettatrici, ma anche come crudeli aguzzine persecutrici», scrive la statunitense Wendy Lower, storica
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LENI, LA REGISTA DI HITLER
maschi sono nati per la guerra, le femmine per mettere al mondo i figli. O al massimo diventare moglitrofeo o amanti-giocattolo. Per Hitler non c’erano tante alternative e pochissime donne al suo servizio sfidarono con successo gli stereotipi nazisti: la più famosa fu la berlinese Leni Riefenstahl (1902-2003), la sua regista preferita. Dietro la cinepresa. Fiera e indipendente fin da ragazza, dopo essersi dedicata all’arte, al balletto e alla recitazione, la “pin-up di Hitler” venne stregata dall’arte della regia e lasciò la scena per passare dall’altra parte della cinepresa. Nel 1932 sfornò il suo primo film, Das blaue licht, “La luce blu”. Galeotto fu il film e il Mein Kampf, che la Riefenstahl lesse durante le riprese: quando la regista e il Führer si incontrarono nella cancelleria, Hitler, affascinato dalla donna e dall’artista, propose a Leni di girare un cortometraggio (La vittoria della fede) per il primo congresso del partito a Norimberga. Lei, devota ammiratrice di quell’uomo e forse anche della pubblicità
Beata fra gli uomini Norimberga, 1934. Hitler supervisiona gli schemi per le parate militari sotto l’occhio attento di Leni Riefenstahl, la sua regista preferita.
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dell’Olocausto, nel suo saggio Le furie di Hitler (Rizzoli). «Non erano delle sociopatiche marginali: credevano che le loro violenze fossero atti di vendetta giustificati, inflitti ai nemici del Reich; a loro modo di vedere, simili gesti erano una manifestazione di lealtà». Quote rosa. Furono migliaia queste leali naziste, che agirono dietro le quinte di una scena occupata dagli uomini: segretarie solerti, divinità della morte o della vita tra le sorveglianti dei campi di concentramento, scienziate pazze della medicina, angeli sadici tra le infermiere dei programmi d’eutanasia o mogli esemplari come la Krepp, che dopo aver lucidato casa aiutavano i mariti a far “pulizia” anche fuori dalle mura domestiche. Appartenevano quasi tutte alla nuova generazione di ragazze naziste, cresciute a pane e nazionalsocialismo: animate da una fede fanatica nel Partito, si consideravano una classe a sé rispetto alla maggioranza delle altre lavoratrici tedesche che, per paura o convenienza, si limitavano a eseguire ordini fingendo di non vedere quale ingranaggio della macchina dell’orrore stessero oliando. E dire che Hitler e i suoi gerarchi le avevano provate tutte per tenere le donne a casa, a fare figli o la maglia: ci avevano ripensato, però, quando le leggi di Norimberga “per la protezione della purezza del sangue tedesco” (1935), l’invasione della Polonia (1939) e la guerra che ne seguì lasciarono vacanti vecchi e nuovi posti di lavoro. Molte giovani abbracciarono con passione le opportunità lavorative che l’amministrazione nazionalsocialista offriva loro. A Varsavia le segretarie della Gestapo si occupavano delle pratiche riguardanti le rappresaglie contro i prigionieri politici polacchi. “Nell’ingresso c’era un mucchio di incartamenti, più o meno un centinaio, e allora, quando dovevano fucilarne solo cinquanta, la scelta dei fascicoli era a esclusiva discrezione delle donne”, raccontò un impiegato dopo la guerra. Impeccabili. Il potere di queste attivissime funzionarie è evidente nel caso di Erna Reichmann: segretaria del commissario distrettuale di Slonim (Bielorussia), depennò da una lista di 2mila ebrei destinati alla fucilazione solo il nome della donna che non aveva ancora finito di confezionarle un maglione ai ferri. Senza dubbio Erna possedeva la stessa “abilità organizzativa” che il commissario regionale Wilhelm Westerheide ammirava tanto nella sua segretaria personale, la ventiduenne Johanna Altvater. La “signorina Hanna”, che spesso lo accompagnava nelle visite di routine al ghetto di Volodymyr-Volynskyy (Ucraina), se ne andava in giro orgogliosa nella sua uniforme, i capelli castani cortissimi, uccidendo in base all’ispirazione del momento. I bambini erano i suoi
che il documentario avrebbe potuto garantirle, accettò: fu l’inizio della loro collaborazione. Il trionfo della volontà, secondo Hi tler “una glorificazione incomparabile, del tutto unica, del potere e della bellezza del nostro movimento”, girato durante il secondo raduno a Norimberga (1934), le aprì un futuro di film di propaganda e di onori internazionali. Ma anche di invidia maschile e ostruzionismo da parte dell’industria cinematografica d’Oltreoceano, che non le perdonò la sua vicinanza al Führer. Ambigua. Su questo punto, Leni fece sempre la finta tonta: disse di non aver mai pensato alla politica. Eppure nel 1939, come inviata al seguito delle truppe tedesche, dopo aver assistito alle sparatorie contro gli ebrei filmò comunque l’entrata trionfale di Hitler a Varsavia e l’anno seguente salutò l’occupazione di Parigi con un telegramma di congratulazioni al Führer. Nel 1946 venne processata quattro volte dagli Alleati per le sue attività filonaziste, ma fu sempre assolta.
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Le Ss ufficialmente non accettavano donne: anche per questo, nei processi post bellici, le criminali subirono poche condanne
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LA SPOSA PERFETTA, SECONDO IL REICH
a donna idealizzata del nazismo era quella che compariva sui manifesti della propaganda (sopra, uno del 1938): una bellezza giunonica e atletica, con i capelli biondi stretti in una treccia, occhi azzurri, pelle candida. Meglio se senza trucco e nel tipico, castigato abito da bavarese: giacca alpina, camicetta bianca e gonna blu, calzini e scarpe di pelle senza tacco. Al bando il caschetto anni Venti, i fili di perle, le calze al ginocchio, gli abiti scollati modellati sulle esili figure parigine, 66
le sigarette e anche la musica jazz, che veniva dall’America e quindi aveva origine “negra”. Niente studi superiori, niente università, nessuna carriera: gli unici interessi femminili dovevano essere “Kinder, Küche und Kirche”, cioè “bambini, cucina e chiesa”. Era il mantra delle giovani che ambivano a sposare un membro delle Ss, costrette a frequentare la Scuola per le spose del Reich, una specie di corso prematrimoniale per “trasformare le segretarie in casalinghe”. Lussi nascosti. Alle tedesche non si chie-
deva altro che sfornare piccoli ariani e allevarli insegnando loro i valori razziali del regime: di suo, la vera donna nazista aggiungeva l’impegno sociale e patriottico, delazione e lavoro nelle organizzazioni femminili al primo posto. Va detto però che nessuna moglie di gerarca – a eccezione di Gerda Bormann, l’unica ad abbracciare con entusiasmo ogni aspetto dell’ideologia nazionalsocialista, anche nella vita privata – rinunciò mai alla moda francese, ai trucchi, al fumo e a tutti i lussi della sua posizione.
preferiti: li attirava con una caramella e, quando aprivano la bocca, ci infilava la sua piccola pistola color argento e tirava il grilletto. Durante i rastrellamenti del 1942, poi, ci mise pochi minuti a sgomberare il reparto di pediatria dell’ospedale del ghetto, gettando dal balcone del secondo piano i piccoli degenti. «Nei territori orientali le donne naziste commisero atrocità in un sistema più aperto, come parte di ciò che consideravano un’opportunità professionale e un’esperienza liberatoria. Si erano infatti lasciate alle spalle leggi regressive, costumi borghesi e tradizioni sociali che rendevano la vita in Germania irreggimentata e oppressiva», precisa la storica Wendy Lower. Oltre alle segretarie, di queste naziste in trasferta facevano parte anche le circa 3.500 tedesche e austriache impiegate come guardie dei lager. Donne di scorta. Prima di essere trasferite nei territori conquistati, si erano sottoposte all’Harteausbildung, il rigoroso programma di addestramento delle Ss. Ma, per quanto se ne considerassero membri, non appartenevano all’élite guidata da Heinrich Himmler, che non accettava donne tra le proprie file. Relegate al corpo delle assistenti o della scorta, erano pronte a sfruttare il potere della divisa e a rifarsi del disprezzo dei colleghi sfogando la frustrazione sui prigionieri. Alcune ricorrevano persino a trucchetti “da casalinga”: Alice Orlowski, come forse faceva con la biancheria nei suoi armadi, nel campo di sterminio di Majdanek (Polonia) lanciava i bambini nelle camere a gas sopra le teste degli adulti, in quella che chiamava “operazione salvaspazio”. La “strega di Buchenwald”, alias Ilse Koch, sorvegliante nel campo di lavoro tedesco, andava pazza per i guanti e i paralumi. Soprattutto quelli che si faceva realizzare con la pelle conciata dei prigionieri tatuati. Ma nei lager, persino i più votati per professione alla pietà, cioè i medici, non lesinavano atrocità. A Ravensbrück (Germania), fu la dottoressa Herta Oberheuser a incarnare il lato oscuro del giuramento di Ippocrate: in nome della scienza malata del Reich iniettò ai prigionieri barbiturici e benzina e strofinò legno, vetro o chiodi sulle loro ferite, per vedere in quanto tempo morivano.
SCALARCHIVES
CAPE SENZA POTERE
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eader senza potere, semplici figure simboliche: questo erano le (pochissime) donne che ricoprirono un ruolo di comando nelle organizzazioni del Reich. Messe lì prima delle elezioni per cercare di ottenere anche il voto femminile e, dopo che Hitler diventò cancelliere, per dare l’impressioMILIONI ne alle tedesche Le donne, circa un terzo della che il partito popolazione femminile tedesca, riconoscesse impegnate in organizzazioni davvero l’imnazionalsocialiste portanza del loro nel 1939. contributo alla politica, in realtà ebbero un potere decisionale pari a zero. La “Führer femmina”. Ne è un esempio la numero uno delle esponenti femminili del partito nazista, l’unica a essere stata nominata capo di un dipartimento: Gertrud Scholtz-Klink, capo della Lega delle donne naziste. “La missione della donna è di provvedere, in casa e al lavoro, alle necessità della vita, dal primo all’ultimo momento dell’esistenza dell’uomo”, nosa. Loro però, che dannose lo erano state davsosteneva la Scholtz. La sua lealtà fanatica vero, non ebbero quasi mai la punizione che mealla rigida mentalità ritavano: nel complesso le condannate nei promisogina e maschilista cessi post bellici furono pochissime. del partito le valse il Impunite. La scamparono del tutto le donne soprannome di “Führer che occuparono ruoli più tradizionali, come infemmina” e all’apice della sua carriera, nel 1941, segnanti, assistenti sociali e ispettrici della razza, si trovò alla guida di che non erano state addestrate a essere crudeli, circa 30 milioni di donne ma avevano servito con diligenza o zelo le politedesche e ne controllò tiche criminali naziste; furono scagionate le semaltre 20 milioni nei plici segretarie, che sostenevano di aver compiterritori occupati: la sua influenza politica, però, lato liste di morte senza sapere quel che il regifu praticamente nulla. me stesse facendo; ne uscirono pulite molte di Ideali inculcati. Lei quelle che scoppiarono in lacrime, intenerendo stessa ammise, in un’ingiudici già propensi a crederle vittime della cattervista di una trentina tiva influenza dei loro mariti. Persino la maggior di anni fa, che il suo più grande successo fu parte delle più crudeli se la cavò con qualche anquello di instillare gli no di carcere, prima di tornare alla normale vita ideali nazisti in tutte le quotidiana. I pregiudizi maschili, in questo cadonne tedesche, benché so, le salvarono: era difficile allora, e lo è tuttoqueste non esercitassero ra, credere che, proprio come l’amore, anche l’oalcun potere sul mondo maschile al di fuori delle dio non ha sesso. • mura domestiche. Maria Leonarda Leone
La resa dei conti Sopra, a Düsseldorf, nel 1975, Hermine Braunsteiner a processo per i crimini di guerra commessi come guardia nei lager di Ravensbrück e Majdanek. A destra, la corsa per consegnare regali di compleanno al Führer, nella Berlino del 1937.
Armi letali. Non fu da meno Pauline Kneissler, una delle prime venti infermiere scelte per portare avanti i “programmi di eutanasia” inaugurati in Germania nel 1939. Cominciò prelevando dagli istituti chi soffriva di deficit mentali o fisici, per trasferirlo nel castello di Grafeneck (a 60 km da Stoccarda): ufficialmente ospizio per disabili, era il luogo dove i nazisti mettevano più o meno segretamente in atto l’eliminazione fisica di chi, anche se tedesco, non corrispondeva ai canoni della perfezione ariana. Pauline diventò bravissima a uccidere quei pazienti, spesso pieni di salute, iniettando loro mix letali di farmaci. Per non destare sospetti, i corpi venivano cremati: le ceneri raccolte con la pala erano suddivise a casaccio in singole urne e recapitate alle famiglie ignare insieme a una fittizia causa di morte. La Kneissler venne processata per aver ucciso in questo modo 250 bambini e centinaia di adulti, anche se, come quasi tutte le naziste, non si considerò mai una criminale: i suoi, sostenne, erano stati atti di compassione nei confronti di persone la cui vita, per il Reich, era inutile o dan-
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I funerali di Stato del feldmaresciallo Rommel, costretto a suicidarsi il 14 ottobre 1944: ufficialmente si disse che era morto per un infarto.
AGF
PRIMO PIANO
Ultimo saluto
ROMMEL La volpe in trappola
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ersino Hitler, solitamente altezzoso e glaciale con i sottoposti, lo coccolava come un fratello premuroso: “Eravamo tutti preoccupati per lei”, commentò al rientro del guerriero dalle vittoriose scorribande tra Ardenne e Piccardia del maggio 1940. Solo a lui aveva concesso di condividere, praticamente alla pari, le luci della ribalta del gran carrozzone propagandistico montato da Göbbels. Derogando al suo egocentrismo, Hitler l’aveva lanciato come un divo al rientro dai trionfi libici di Gazala e Tobruk, battaglie con cui il “suo generale prediletto” aveva sbaragliato gli inglesi, 70
Guidò le principali campagne dell’esercito tedesco. Ma fu costretto a suicidarsi quando entrò in dissidio con Hitler
superiori numericamente, riconquistando la Cirenaica e insidiando l’Egitto. Un sondaggio Gallup stabilì nel ’42 che il feldmaresciallo Rommel era il tedesco più conosciuto all’estero dopo il Führer. Il panzergeneral, l’eroica “volpe del deserto”, era il fiore all’occhiello del delirio di onnipotenza nazista. Hitler stravedeva per lui e Rommel venerava il suo capo come un semidio. Almeno finché non si accorse che quel semidio con la sua follia stava portando la Germania dentro il baratro. Un generale di fascino. Erano in tanti, per la verità, ad avere un debole per quel condottiero svevo, anche tra gli avversa-
ri. Difficile non innamorarsi di un combattente così geniale, audace eppure cavalleresco. Rommel soccorreva i nemici feriti, trattava con umanità i prigionieri (e ne faceva tanti nelle sue campagne) e, quando gli ordinarono di trattare i soldati ebrei catturati non come prigionieri di guerra ma come ebrei, disobbedì. Non si dava arie con i suoi soldati, prendeva con loro il rancio e aveva modi camerateschi. Soprattutto stava sempre in mezzo alla truppa in battaglia, a bordo di un blindato da ricognizione, come se cavalcasse un destriero alla testa di una carica. Era questo che lo differenziava dagli al-
ASCESA E DECLINO DI ERWIN ROMMEL
1891
Nasce ad Heidenheim il 15 novembre.
Il feldmaresciallo Ritratto di Rommel nel 1943 quando, dopo le esperienze in Africa, gli venne affidata la difesa della costa atlantica francese, possibile teatro di un’invasione alleata.
1914-17 Combatte in Belgio, Francia, Romania e Italia. Trionfa a Caporetto.
1929-38
Istruttore in varie accademie. Nel ’34 conosce Hitler.
1940 1941
In Libia con l’Afrika Korps. Riconquista la Cirenaica, ma fallisce nell’assedio di Tobruk. Vince a Sollum. Offensiva inglese.
1942
Riprende la Cirenaica; espugna Tobruk. Montgomery vince a el Alamein.
1943
Ritirata in Tunisia. Assume il comando del Nord Italia.
1944
È in Normandia a difesa del Vallo Atlantico. Esorta Hitler a negoziare la pace. Il 17 luglio è ferito in un attacco aereo. Il 14 ottobre, formalmente accusato di cospirazione, opta per il suicidio.
Un sondaggio Gallup stabilì nel ’42 che il feldmaresciallo Rommel era il tedesco più conosciuto all’estero dopo il Führer
RUE DES ARCHIVES/TALLANDIER
Nelle Ardenne alla guida della 7ma Divisione corazzata.
Il film americano Rommel, la volpe del deserto (1951)
Nella tana del lupo
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Hitler e Mussolini ispezionano il quartiere generale dove esplose la bomba del fallito attentato, nel 1944.
tri comandanti: era il re della tattica, della manovra, dell’improvvisazione. Gli altri erano strateghi che programmavano da lontano, a tavolino. Lui, guidato da quel che i tedeschi chiamano “fiuto per la vittoria”, prendeva decisioni momento per momento con la massima rapidità e flessibilità. Per vincere, diceva, bisogna colpire “a pugno chiuso”, cioè con forza nel punto decisivo; e questa determinazione poteva venire solo dall’esempio contagioso del comandante. Cioè da lui. I suoi soldati lo adoravano; gli avversari, Churchill in testa, lo ammiravano. Molto meno lo amavano i colleghi, regolarmente scavalcati dal suo individualismo. Nessun ordine poteva frenarlo quando fiutava la vittoria. Gli dicevano di difendere la Tripolitania e lui si lanciava alla riconquista della Cirenaica e puntava a invadere l’Egitto. Se provavano ad arginarlo, si rivolgeva direttamente
GLI ATTENTATI AL DITTATORE
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A difesa del Reich Il generale Rommel ispeziona le difese della Normandia nel febbraio 1944: da qui si temeva uno sbarco alleato, che in effetti arrivò.
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attentato di luglio (Operazione Valchiria) non fu l’unico tentativo di eliminare Hitler. Ci provarono più volte sia i servizi segreti russi sia quelli inglesi. E la Resistenza polacca fece più volte deragliare treni su cui doveva trovarsi il dittatore. Solitari. Nutrito fu infine l’elenco degli attentatori solitari. Tra i più famosi, lo svizzero Bavaud e il tedesco Elser. Maurice Bavaud, un fervido cattolico instabile di mente, partì per Monaco nell’ottobre del ’38 intenzionato a colpire Hitler durante la sfilata della Giornata degli eroi: la selva di braccia tese gli impedì di sparare a colpo sicuro. Con un pretesto cercò allora di penetrare nella Casa bruna, la sede del partito nazionalsocialista. Fu smascherato e condannato a morte. Più ingegnoso il piano di Georg Elser, un ebanista-carpentiere. Decise di colpire il Führer nella Burgerbraukeller, la birreria di Monaco in cui Hitler aveva iniziato la sua rivoluzione nel ’23. Per otto mesi del ’39 si fece rinchiudere ogni notte di soppiatto nel locale. Lavorando a lungo di sega e di lima, riuscì a nascondere in un pilastro una carica di esplosivo che fece poi detonare con un timer. La bomba fece strage. Peccato che Hitler avesse lasciato il locale poco prima. La Rosa Bianca. Con la non-violenza provarono infine a rovesciare il despota cinque universitari di Monaco. Distribuivano opuscoli sovversivi firmandoli “la Rosa Bianca”. Colti sul fatto nel ’43, furono arrestati e decapitati.
a Hitler e, grazie al filo diretto con lui, riusciva a bypassare i vari Gariboldi, Bastico e altri comandanti italiani. Persino a Mussolini non restava che mugugnare e inchinarsi. Parecchi nemici s’era fatto anche tra i capi della Wehrmacht per le critiche a muso duro. Alcuni lo trovavano precipitoso e poco attento ai risvolti logistici. Ma lui era fatto così, e poteva sempre contare sul suo filo diretto con il capo supremo. Al fronte. Il 4 settembre ’39 Hitler lo inviò sul fronte polacco come generale di divisione. Scelse di passare a un reparto corazzato. Al comando della 7a Divisione partecipò all’offensiva sul fronte occidentale. In tre settimane traversò la Mosa e perforò la Linea Maginot seminando lo scompiglio tra i francesi. La sua unità riusciva a sfruttare così bene il fattore sorpresa che fu ribattezzata Divisione-fantasma. Si superò poco dopo sul fronte nordafricano, dove era accorso per rimediare
consolidò in Occidente la sua immagine di eroe Rotta di collisione. La musica cambiò nel 1943. L’orso russo era tutt’altro che domato e il pessimismo cominciava a serpeggiare nelle file della Wehrmacht. Il feldmaresciallo, che aveva creduto ciecamente nel Führer e nei suoi proclami, cominciò a ricredersi appena lo spedirono in Normandia, alla testa del Gruppo di armate B, a predisporre le difese del Vallo Atlantico. Fino ad allora non aveva afferrato, o aveva sottovalutato, la follia del disegno hitleriano di conquistare il mondo eliminando intere razze e popoli. Pochi giorni dopo lo sbarco degli Alleati sulle coste normanne, si rese conto che il nemico era
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alle batoste subite dagli italiani. Nel deserto libico da comandante dell’Afrika Korps espresse il meglio del suo genio bellico. Riuscì a disorientare e battere l’armata britannica, in netta superiorità numerica, con mille espedienti e invenzioni tattiche. Arrivò a sollevare nuvoloni di sabbia per sparire alla vista del nemico e a camuffare da carri armati vecchi telai di Volkswagen. Si arrese, nelle sabbie di El Alamein, solo alla scarsezza di rifornimenti e mezzi. Per qualche mese si illuse, e illuse i dittatori dell’Asse, che avrebbero conquistato l’Egitto, si sarebbero riversati in Persia, mettendo le mani sul petrolio degli inglesi: fu consacrato eroe nazionale e condottiero invincibile. Si prestò anche a interpretare se stesso in un film di propaganda, Vittoria in Occidente, e a posare per i fotografi come un divo dei fotoromanzi.
Attacco al generale Sopra, Rommel ferito a un occhio dopo l’attacco del 17 luglio 1944: tre giorni dopo ci sarebbe stato l’attentato a Hitler (a sinistra, i due nel 1941). Rommel fu accusato di collusione con i cospiratori dell’Operazione Valchiria e costretto a uccidersi.
Per Rommel, Hitler andava processato, non ucciso. Per non farlo diventare un martire troppo forte, la disfatta inevitabile. Sfidando l’ira di Hitler, gli consigliò allora, e alla fine gli intimò, di negoziare la pace con le potenze occidentali. Una soluzione politica era l’unico modo, secondo Rommel, per salvare la Germania dalla distruzione completa. Meglio se a Berlino fossero arrivati inglesi e americani piuttosto che i russi. Hitler lo zittì ordinandogli di non ritirarsi dai dintorni di Caen e promettendogli la riscossa grazie a nuove armi segrete (i missili V1 e V2) e all’intervento della Luftwaffe. Il 16 luglio Rommel replicò con una sorta di ultimatum al suo Führer. La situazione precipita. Rommel sapeva della cospirazione contro il Führer, passata alla Storia come Operazione Valchiria (v. riquadro nella pagina precedente). Martin Bormann, segretario particolare di Hitler, lo riterrà coinvolto in prima persona. Probabilmente Rommel era, sì, informato del piano, ma contrario all’attentato. Ma a quel punto la situazione precipitò: per la “volpe” era ormai troppo tardi. Il 17 luglio 1944 un caccia nemico mitragliò l’auto del generale sulla strada di Vimoutiers; Rommel riportò nell’attacco la frattura cranica e varie ferite. Tre giorni dopo, a Rastenburg, scoppiò la bomba contro Hitler. Il Führer scampò per miracolo e immediatamente si scatenò un’ondata di arresti, suicidi e fucilazioni. Mentre succedeva tutto questo, Rommel era ancora in ospedale, fuori gioco ma potenzialmente pericoloso. Il 7 ottobre il nuovo capo dell’esercito, Keitel, lo convocò a Berlino. Rommel
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ra stato il padre, professore di matematica a Heidenheim, nel Württemberg, a indirizzarlo alla carriera militare. Erwin, classe 1891, era piccolo e minuto, ma non aveva paura di nulla. Era appassionato di scienze, matematica e sport invernali: avrebbe voluto diventare
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Gli ultimi istanti del condannato Sopra, il cancello della casa di Herrlingen da cui il generale Rommel uscì per l’ultima volta prima di salire sulla sua auto (a destra), sulla quale avrebbe ingerito il cianuro mortale. Se non si fosse ucciso l’avrebbero processato per alto tradimento.
si rifiutò di lasciare Herrlingen, la cittadina dove si era ritirato, ormai lontano dal comando. Allora Keitel gli mandò a casa due messaggeri con le presunte prove della sua complicità nella congiura e una proposta. Tra l’altro, risultò che Gordeler, il congiurato candidato al ruolo di futuro cancelliere al posto di Hitler, aveva indicato proprio Rommel per la poltrona di presidente del Reich. E saltarono fuori tre testimonianze, tra le quali la più schiacciante era quella del colonnello Von Hofacker. Agli atti, anche le dichiarazioni di due vecchi sodali di Rommel, i generali Speidel e Von Stulpnagel. Insieme a quelle carte, i messaggeri consegnarono al-
la “volpe del deserto” due opzioni e una capsula di cianuro: o si faceva processare per alto tradimento oppure sceglieva il suicidio, un’onorevole “via d’uscita da ufficiale”. Avrebbero spacciato la sua morte per un infarto, il che gli avrebbe garantito funerali di Stato e l’immunità dei suoi famigliari. Rommel, che pure non aveva cospirato, ma che opponendosi apertamente alla volontà del Führer era conscio di aver tradito come soldato, sia pure per il bene della patria, decise in dieci minuti: il tempo di vestirsi e salutare moglie e figlio. Fuori lo aspettava un’automobile: si sedette sul sedile posteriore e ingurgitò il cianuro. • Dario Biagi
NELLA GRANDE GUERRA ingegnere. Un tipo tranquillo. Con non poca fatica, perché era un borghese che veniva dalla gavetta, riuscì a farsi largo in un ambiente ancora appannaggio dell’aristocrazia prussiana. Dalle Alpi alla Polonia. Durante la Prima guerra mondiale si distinse subito per auda-
cia e propensione all’attacco. La vittoria, già teorizzava, arride quasi sempre al “primo che riempie di piombo l’altro”. Con i suoi blitz scalò velocemente i gradi della gerarchia militare e collezionò medaglie e ferite, prima in fanteria, poi nel Battaglione imperiale alpino. Compì imprese leggen-
darie sui monti della Romania e del Triveneto. Sul Matajur fece prigionieri 9mila soldati italiani perdendo solo 6 dei suoi uomini. Poi per vent’anni dovette accontentarsi della teoria insegnando in varie accademie. Finché Hitler, nel 1939, lo inviò sul fronte polacco.
58 a Fiera del Collezionismo Militare
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1943 - 1945 Epilogo della II Guerra Mondiale
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PRIMO PIANO
PROCESSO DI NORIMBERGA
IL REGIME ALLA SBARRA Nel 1945, nella città simbolo del nazismo, un tribunale militare internazionale giudicò 24 tra i maggiori capi del Terzo Reich. Ecco come andò
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l processo era presente la giornalista britannica Rebecca West che lo raccontò nel suo libro Serra con ciclamini (1964). Sugli imputati scrive: “Talmente ridimensionate erano le loro personalità, da ren-
REPORTAGE D’EPOCA dere difficile ricordare chi era chi [...] e quelli che spiccavano si definivano più per stranezza che per carattere”. La caduta. “Göring aveva ancora gesti imperiali ma erano così volgari da far pensare che
non avesse mai veramente occupato una qualche posizione di rilievo”. “Hess era notevole perché era così evidentemente pazzo [...]. Aveva l’aria caratteristica degli ospiti dei manicomi”. E sul clima in aula: “Tutta
questa gente (avvocati, interpreti, segretari, guardie, ndr) voleva lasciare Norimberga con la stessa urgenza con cui un paziente sotto trapano vuole alzarsi e lasciare la poltrona del dentista”.
Attenti e concentrati
BETTMANN/CORBIS/CONTRASTO
Cinque dei 24 imputati a Norimberga: da sinistra Göring, Hess, Ribbentrop, Keitel e Kaltenbrunner con gli avvocati durante il processo. A sinistra, i giudici della Corte internazionale nel 1945.
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uello che noi comunemente chiamiamo “processo di Norimberga” fu solo il primo di una serie di procedimenti penali contro i nazisti, che furono in realtà 12, si svolsero tutti nel Tribunale internazionale militare di Norimberga (città simbolo del nazismo, dove venivano organizzate le adunate del partito) e videro imputate in totale 185 persone, tra medici, giuristi, Ss, capi di industrie e funzionari di Stato. Tuttavia il primo processo, che si svolse dal 20 novembre 1945 al 1º ottobre 1946 (il 16 ottobre 1946 ci furono le impiccagioni dei condannati a morte), fu quello che fece più clamore poiché alla sbarra mise 24 tra i massimi esponenti del Terzo Reich. Nuovi reati. Gli Alleati (Usa, Urss, Regno Unito e Francia) si accordarono già prima della fine della guerra per processare le potenze dell’Asse, responsabili dei crimini commessi durante il conflitto. Ma su quali basi di diritto si potevano giudicare questi uomini? Il problema fu risolto l’8 agosto 1945 a Londra, quando un gruppo di esperti redasse quello che sarebbe stato l’impianto normativo adottato a Norimberga, ponendo al contempo le basi per una carta condivisa, la Carta del Tribunale militare internazionale, sottoscritta dalle
potenze alleate il 6 ottobre dello stesso anno a Berlino. Accanto a capi d’accusa già esistenti come “crimini contro la pace” e “crimini di guerra”, si ebbero due novità. La prima era il “crimine contro l’umanità” che comprende l’assassinio, lo sterminio, la riduzione in schiavitù, la deportazione, gli atti inumani ai danni di civili e le persecuzioni politiche, razziali e religiose. L’altra era la “cospirazione contro la pace”, reato nel quale è evidente l’intenzione degli Alleati di voler condannare il piano nazista nel suo insieme (non solo gli atti violenti individuali). La Corte era presieduta da un britannico, Geoffrey Lawrence, e la pubblica accusa era formata da 8 giudici, francesi, britannici, americani e russi. L’obiezione principale durante il procedimento fu sollevata da Otto Stahmer, avvocato di Göring, sulla base del principio del diritto romano “nessun crimine e nessuna pena senza una legge penale precedente”. Tuttavia il diritto a cui si appellava il Tribunale di Norimberga era precedente alla Seconda guerra mondiale e faceva riferimento alle convenzioni dell’Aia e di Ginevra. Ma la questione divide ancora, poiché quei trattati internazionali non erano stati ratificati dalle potenze dell’Asse. • Federica Ceccherini
TUTTI GLI IMPUTATI E LE CONDANNE 77
CHI ERANO E DI CHE COSA FURONO ACCUSATI I al fine 2 Crimini 1 Cospirazione 3 Crimini di commettere gli contro di guerra
I CAPI D’IMPUTAZIONE
altri 3 crimini
la pace
l’umanità
MARTIN BORMANN
KARL DÖNITZ
HANS FRANK
WILHELM FRICK
1900 - 1945 Per il segretario del partito che, secondo i testimoni, fu ucciso dai sovietici a Berlino nel maggio del 1945 dopo la fuga dal bunker di Hitler, la condanna avvenne in contumacia.
1891 - 1980 Grandammiraglio della Marina militare tedesca e Presidente del Reich dopo Hitler, firmò la resa tedesca con gli Alleati, l’8 maggio 1945, e poco dopo fu arrestato dai britannici.
1900 - 1946 Avvocato del partito e Governatore della Polonia dal 1939, durante l’occupazione nazista. Gli fu imputato lo sterminio ai danni degli ebrei e l’assassinio di milioni di polacchi.
1877 - 1946 Ministro dell’Interno del governo di Hitler dal 1933 fino al 1943 (quando fu sostituito da Himmler). Fu tra i responsabili delle leggi razziali contro gli ebrei emanate nel 1935.
IMPUTAZIONE
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ALFRED JODL
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10 anni
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WILHELM KEITEL
GUSTAV KRUPP
1903 - 1946 Responsabile dal 1943 dell’ufficio centrale per la sicurezza del Reich (Reichssicherheitshauptamt). Era il maggior gerarca delle Ss sopravvissuto alla guerra.
1882 - 1946 Generale a capo del Comando supremo delle Forze Armate (Okw). Fece richiesta di essere fucilato da soldato ma fu impiccato come tutti gli altri il 16 ottobre del 1946.
1870 - 1950 Grande industriale tedesco. Non fu processato poiché nel 1943 era stato colpito da un’emorragia cerebrale. Il figlio Alfried fu condannato a 12 anni di carcere nel 1948.
IMPUTAZIONE
IMPUTAZIONE
IMPUTAZIONE
IMPUTAZIONE
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ERNST KALTENBRUNNER
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VERDETTO
1890 - 1946 Capo dello staff dell’Oberkommando della Wehrmacht (Okw), il comando supremo delle Forze Armate durante la guerra. E secondo dopo Wilhelm Keitel, capo dell’Okw.
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4 Crimini contro
VERDETTO
3
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1
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3
4
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VERDETTO
3
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JOACHIM VON RIBBENTROP
ALFRED ROSENBERG
FRITZ SAUCKEL
HJALMAR SCHACHT
1893 - 1946 Ministro degli Esteri dal 1938, idea tore del patto di non aggressione con l’Urss (Molotov-Ribbentrop). Dopo la morte di Hitler tentò di fuggire, ma fu catturato dagli inglesi.
1893 - 1946 Ideologo del nazismo e sostenitore della teoria del complotto giudeomassonico-bolscevico e delle teorie razziste. Dal 1941 fu ministro del Reich per i territori occupati dell’Est.
1894 - 1946 Nazista della prima ora, nel 1942 divenne plenipotenziario per il lavoro. Deportò milioni di lavoratori stranieri in Germania, per i lavori forzati nell’industria e nell’agricoltura.
1877 - 1970 Importante economista del Reich, fu a capo della Reichsbank, la banca centrale tedesca, e ministro dell’Economia nella Germania nazista nel periodo dal 1935 al 1937.
IMPUTAZIONE
IMPUTAZIONE
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24 DEL PROCESSO PRINCIPALE. E COME FINIRONO IMPUTAZIONE
VERDETTO
10 anni NON IMPUTATO IMPUTATO
COLPEVOLE
CARCERE
MORTE
ERGASTOLO
ASSOLTO NON PROCESSATO
HANS FRITZSCHE
WALTHER FUNK
HERMANN GÖRING
RUDOLF HESS
1900 - 1953 Commentatore radiofonico e, dal 1938, capo della Divisione stampa nazionale. Si dice sia stato processato al posto di Goebbels, il ministro della Propaganda morto suicida.
1890 - 1960 Ministro dell’Economia dal 1938 e dal 1939 anche Governatore della banca centrale tedesca del Reich (Reichsbank). Sostenne di aver avuto poco potere durante il regime.
1893 - 1946 Considerato il numero due del Reich, dopo Hitler, fu comandante dal 1935 dell’aviazione militare, la Luftwaffe. Si suicidò con il cianuro la notte prima dell’esecuzione.
1894 - 1987 Segretario del partito nazista fino al 1941 e figura di rilievo del Reich. Imprigionato dagli inglesi nel 1941 dopo un volo sulla Scozia, durante una missione dai contorni oscuri.
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ROBERT LEY
KONSTANTIN VON NEURATH
FRANZ VON PAPEN
ERICH RAEDER
1890 - 1945 Capo del Fronte tedesco del lavoro (Deutsche Arbeitsfront), la corporazione dei lavoratori. Non fu possibile processarlo poiché si impiccò in cella prima dell’inizio del processo.
1873 - 1956 Ministro degli Esteri del Reich fino al 1938 e Governatore del Protettorato di Boemia e Moravia. Fu l’unico colpevole di tutti e 4 i reati a non essere condannato a morte.
1879 - 1969 Era stato Cancelliere prima di Hitler durante la Repubblica di Weimar nel 1932. Nel 1933 favorì la nomina a Cancelliere di Hitler e fu ambasciatore in Turchia durante la guerra.
1876 - 1960 Grandammiraglio della Marina militare, considerato uno dei più importanti capi militari della guerra. Condannato all’ergastolo, fu rilasciato nel 1955 per motivi di salute.
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BALDUR VON SCHIRACH
ARTHUR SEYSS-INQUART
ALBERT SPEER
JULIUS STREICHER
1907 - 1974 Era a capo della Gioventù hitleriana con il delicato compito di organizzare ed educare all’azione i ragazzi tedeschi. Dal 1943, fu Gauleiter (luogotenente del Reich) di Vienna.
1892 - 1946 Avvocato austriaco, divenne Cancelliere d’Austria nel 1938 e fu uno degli artefici dell’Anschluss, l’annessione dell’Austria al Reich. Dal 1940 fu governatore dei Paesi Bassi.
1905 - 1981 Era l’architetto di Hitler e nel 1942 divenne ministro degli Armamenti. Fu accusato di aver usato manodopera in condizioni di schiavitù per mandare avanti l’industria bellica.
1885 - 1946 Giornalista e direttore del settimanale antisemita Der Stürmer, fu accusato di essere uno dei principali istigatori all’odio razziale nei confronti della popolazione ebraica.
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IL REICH SPIEGATO Il libri per capire come è nato e si è imposto il nazismo in Germania e come funzionava quella macchina di morte. Breve storia del nazismo Gustavo Corni (Il Mulino) Una sintesi chiara della parabola del nazionalsocialismo tedesco. Le ragioni della sua ascesa e quelle della sua tragica sconfitta. Le cause storiche e sociali e le drammatiche conseguenze dell’ideologia del Führer. Hermann Göring Gustavo Corni (Giunti) La biografia di una delle personalità più eminenti del regime nazista: la sua parabola fino al suicidio nel carcere di Norimberga che rispecchia fedelmente la storia del Reich millenario. Auschwitz Laurence Rees (Mondadori) I nazisti e la soluzione finale spiegati da un autorevole studioso e documentarista
che ricostruisce come funzionava la macabra macchina di morte nazista. La bomba di Hitler Rainer Karlsch (Lindau) È mai esistita una bomba atomica tedesca? La storia della ricerca nucleare nella Germania nazista. Un libro avvincente che getta una nuova luce su una questione controversa. Vittime e sopravvissuti Paul Weindling (Le Monnier) Questo libro, basato su una vasta ricerca con una grande quantità di fonti, mette in luce pratiche, obiettivi, logiche, estensione e luoghi degli esperimenti nazisti su cavie umane. L’autore dimostra che gli esperimenti non erano soltanto atti di crudeltà occasionale di pochi medici Ss, di cui Josef Mengele resta la figura iconica, ma parte integrante del programma nazista. In uscita.
Foto ricordo per l’anno scolastico 1933: Hitler era appena diventato cancelliere, ossia capo del governo.
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PRIMO PIANO
saperne di più
Nelle tenebre di Norimberga George Gilbert (Sei) Il processo ai criminali di guerra nazisti visto con gli occhi dello psicologo americano della prigione di Norimberga, che ebbe l’opportunità unica di osservare con scientifica imparzialità i gerarchi incontrandoli tutti i giorni. Furono loro che a poco a poco gli rivelarono i loro pensieri più nascosti.
Operazione Valchiria M. Baigent, R. Leigh (L’età dell’Acquario) La vicenda di Claus von Stauffenberg, l’ufficiale che tentò di cambiare il corso della Storia cospirando contro Hitler. Ecco come fu messa in atto la mistica crociata che ha ispirato anche il cinema.
La Storia raccontata in queste pagine rivive anche in tv
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nche questo mese History, il canale di Sky dedicato alla Storia, disponibile anche in Hd, approfondisce i temi in primo piano su questo numero di Focus Storia. Lo fa con tre documentari che ci accompagnano nelle pieghe più nere dell’ideologia nazista. HUNTING HITLER Nei primi mesi del 2014 l’Fbi ha reso noti centinaia di documenti riservati secondo i quali Hitler non si è suicidato. Secondo una recente teoria, il Führer sarebbe fuggito in Sud
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America e avrebbe trascorso lì gli ultimi giorni della sua vita. Dal 26 ottobre, ogni lunedì ore 21:00 (repliche il venerdì alle 21:00 e la domenica alle 22:00) NAZISMO, DAL TRAMONTO ALL’ALBA La Seconda guerra mondiale e il massacro degli ebrei sono eventi orribili ai nostri occhi, ma non alla perversa mente nazista: quella follia violenta è il risultato di un’ideologia in cui la Germania di Hitler credeva fermamente. Entriamo nella mente dei nazisti
e ripercorriamo quei tragici eventi attraverso i loro occhi. Riviviamo la guerra dalla prospettiva nazista in un percorso al rovescio, dalla disfatta di Hitler alla sua ascesa. Dal 2 al 7 novembre, tutti i giorni , ore 15:10 L’AEREO NAZISTA IN SARDEGNA Dei giganteschi aerei che Hitler fece costruire nel 1943 non è rimasta traccia: l’unico esemplare esistente al mondo è un relitto trovato pochi anni fa a 65 metri di profondità, sul
fondo del Mar Tirreno, al largo delle coste sarde. È quel che rimane del più grande aereo dell’aviazione tedesca durante la Seconda guerra mondiale, il Messerschmitt Me 323 Gigant, un aereo da trasporto con sei motori e ali lunghe 55 metri: era stato progettato inizialmente per l’invasione dell’Inghilterra. Il documentario ricostruisce la storia del gigante che settant’anni fa solcava i cieli trasportando armi e soldati tedeschi. Lunedì 26 ottobre, ore 22:00
domande & risposte
Che cos’era
Queste pagine sono aperte a soddisfare le curiosità dei lettori, purché i quesiti siano di interesse generale. Non si forniscono risposte private. Scrivete a Focus Storia, via Battistotti Sassi 11/a, 20133 Milano o all’e-mail
[email protected]
Domanda posta da Alessandra C.
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Che cos’è il Santo Graal? Domanda posta da Mirco Magli.
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on si sa che cosa sia e nemmeno se esista davvero. Dal 1190 – anno in cui per la prima volta comparve in un romanzo cortese il termine “graal” (sinonimo di recipiente magico) – a oggi il Santo Graal è stato identificato con le cose più disparate. Coppa divina. Robert de Boron, intorno al 1200, ipotizzò che il Graal fosse la coppa in cui Gesù celebrò l’Eucaristia durante l’Ultima Cena. La stessa in cui, poi, Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Cristo crocefisso. Intorno al 1210, nel poema Parzival, Wolfram von Eschenbach assimilò il Graal a una pietra parlante, un’allusione a Gesù Cristo come “pietra angolare”. Alcuni hanno poi notato la somiglianza del termine “graal” con il Graduale (Responsorium
L’
espressione, usata per la prima volta dall’ufficiale dei servizi segreti inglesi Arthur Conolly (18071842), è entrata nell’uso grazie allo scrittore britannico Rudyard Kipling, che ne scrisse nel suo romanzo Kim (1901). Si riferisce alla “guerra fredda” che dal XIX al XX secolo contrappose intelligence e diplomazie di due superpotenze di allora: l’Impero britannico e quello russo. In
Lancillotto dorme mentre il Santo Graal appare a un cavaliere.
Graduale), libro della liturgia cattolica: potrebbe quindi essere un libro della sapienza. Oppure una stoviglia, come la parola in latino medioevale gradalis (“piatto”) farebbe pensare. Meteorite? Ma ci sono altre ipotesi. C’è chi sostiene che il Graal potesse essere una pietra caduta dal cielo, appartenuta in origine alla corona di Lucifero, perduta nello scontro tra gli angeli del Bene e quelli del Male. Anche il luogo in cui dovrebbe trovarsi è oggetto di numerose supposizioni: forse è a
Glastonbury in Inghilterra, o a Rennes-le-Château in Francia, o a Oak Island in America, o a Valencia in Spagna. O forse in Italia: a Bari, a Genova, oppure a Torino. Per qualcuno, invece, il Graal è una persona, il capostipite della stirpe risalente all’unione tra Gesù e Maria Maddalena, il “sangue reale” ripreso dal Codice Da Vinci di Dan Brown. La longevità del mito del Graal risiede proprio nella sua elusività. E la sua ricerca è divenuta simbolo del percorso di avvicinamento al mistero, o a Dio stesso. (m. p.)
Qual era la lingua più parlata nell’Impero romano? SCALA
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Panificio del I secolo a Pompei. Qui si ordinava in latino.
li idiomi “ufficiali” imperiali erano due: accanto al latino, infatti, era sopravvissuto il greco, in Oriente e come lingua della cultura. Quando, nel 395, l’Impero romano si divise, la frattura seguì le due aree linguistiche: greco nell’Impero d’Oriente, latino in quello d’Occidente. Lingua dotta. Il latino era adottato dai popoli conquistati per interagire con l’autorità (magistrati, soldati, coloni); il greco, nelle province orientali, era la lingua della filosofia e delle lettere, ma anche
d’uso quotidiano. Ovunque, negli ambienti colti, il greco godeva di maggior prestigio, mentre il latino era poco più che una lingua da contadini. Tanto che l’imperatore Giustiniano (482- 565) dovette scrivere molte delle sue leggi anche in greco, affinché fossero comprese da tutti, inclusi coloro che ignoravano il latino. In quello che era stato l’Impero d’Occidente, poi, si diffusero man mano le lingue dei conquistatori: quelle delle popolazioni germaniche, slave e infine arabe. (d. v.)
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Domanda posta da Michela Colasanti.
il Grande gioco? Game over. Il Grande gioco iniziò dopo il 1813, con la fine della guerra tra Russia e Persia, e terminò nel 1907 con un accordo anglorusso che rafforzò la presenza britannica in Asia Meridionale. In seguito furono chiamati “Grande gioco” anche gli scontri nella stessa area dopo la rivoluzione del 1917 e nel Dopoguerra. •
Giuliana Lomazzi
Soldati coloniali inglesi (sikh) a guardia di prigionieri afgani nel 1878. In alto, in una vignetta del XIX secolo, un afgano tra due belve: l’orso russo e il leone inglese.
Perché si dice “anno sabbatico”?
Domanda posta da Marco Minelli.
L’
’ espressione deriva dalla tradizione ebraica. Secondo le leggi mosaiche (nella foto, Mosè le riceve in un dipinto del ’600), ogni sette anni ricorre un anno speciale, dedicato a Dio, detto “anno sabbatico”. La parola ha origine dallo shabbat, la festa del riposo, celebrata il settimo giorno della settimana, il sabato (per gli ebrei il primo giorno è la domenica). Come nel settimo giorno anche in nel settimo anno era prescritta una pausa. Il lavoro nei campi e la riscossione dei debiti venivano sospesi. E gli schiavi “debitori” (coloro che erano diventati schiavi dei loro creditori per non averli pagati), venivano liberati. Accademico. Il termine oggi indica un anno di congedo retribuito che i professori universitari possono richiedere per dedicarsi alla ricerca. Per i docenti universitari italiani l’anno di riposo è però più frequente di quello ebraico: cade due volte ogni 10 anni. L’espressione è anche entrata a far parte del vocabolario comune come sinonimo di un periodo di riposo dal lavoro. (m. l.) JOSSE/LEEMAGE/MONDADORI PORTFOLIO
gioco c’erano i territori dell’Asia Centrale, che i russi volevano conquistare per minacciare l’India, il “gioiello della Corona” inglese che i britannici dovevano proteggere a tutti i costi. Finte spedizioni geografiche, operazioni militari e accordi segreti con i sovrani locali coinvolsero Paesi come l’Afghanistan e il Tibet, poco conosciuti ma da sempre strategicamente importanti.
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alaluddin Muhammad (15421605) è passato alla storia come Akbar, “Il più grande”. Non a caso. Fu il terzo imperatore Moghul, la dinastia musulmana di stirpe turca che dominò l’India dal 1526 alla metà dell’Ottocento. Salito al trono a soli 13 anni, nel 1556, si conquistò l’altisonante soprannome estendendo i confini del regno fino agli attuali Afghanistan e Pakistan e a tutta l’India Centro-settentrionale. Nuova capitale. Sovrano illuminato, Muhammad favorì il dialogo tra le religioni, fu un valente condottiero e mise a punto un efficace sistema di governo del suo impero. Per il quale, dal 1571, fece erigere una nuova capitale, Fathpur Sikri. La città fu cuore del regno solo per un decennio e nel 1585 (un viaggiatore inglese riferì che era più grande e popolosa di Londra) fu abbandonata per la più sicura Lahore. I monumenti della città sono stati riportati alla luce a partire dal 1892 e il sito è oggi Patrimonio Unesco. Il cantiere fu una delle imprese celebrate nel Libro di Akbar, manoscritto commissionato dall’imperatore al suo più fedele collaboratore, Abu’l Fazl, e illustrato dai più grandi artisti del periodo. Il codice e le sue miniature, come quella a destra, sono oggi al Victoria and Albert Museum di Londra. • 3
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4 La foggia del turbante preferita dall’imperatore era differente da quella usuale per i suoi predecessori: era più piccolo, annodato in spire strette. Ai piedi, agli stivali preferiva scarpine aperte sul tallone.
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3 L’imperatore seguì in prima persona la costruzione della città. Qui il sovrano è raffigurato mentre dà indicazioni a un tagliapietre. Davanti a lui, un supervisore annota le sue parole.
Anno 1571: nell’India di re Akbar sorge una capitale da sogno. Questa miniatura spiega come fu eretta.
2 Durante le uscite pubbliche, Akbar era sempre accompagnato da un servitore che gli faceva ombra con l’aftabgir, il parasole a foglia di palma, mentre un altro teneva lontani gli insetti con un elegante scacciamosche.
7 Nel seguito dell’imperatore non mancavano mai gli assistenti alla caccia con lo sparviero, grande passione di Akbar. Il re non imparò mai a leggere e scrivere, preferendo fin da bambino le cavalcate e la caccia.
6 La pietra più utilizzata nella costruzione degli edifici pubblici e delle mura fu l’arenaria rossa. Lo stile architettonico era eclettico, ricco di influenze indù, persiane e musulmane.
5 Akbar introdusse profondi mutamenti negli abiti della corte. Abbandonate le lunghe vesti e sopravesti tipiche dell’Asia Centrale da cui proveniva la sua dinastia, adottò la jama, la veste che arrivava sotto il ginocchio, e leggeri pantaloni al tallone.
Nel grande cantiere dei Moghul
1 Il perimetro delle mura della città misurava 11 chilometri; accanto alla capitale fu creato un grande lago artificiale.
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11 Nel grande cantiere furono coinvolte anche le donne. Queste operaie rompono i mattoni e ne setacciano i frammenti impiegati per la produzione della malta.
10 Gran parte della popolazione indiana si vestiva in modo molto succinto, coprendo minime parti del corpo, e non solo durante le ore di lavoro.
9 Blocchi e lastre di arenaria venivano lavorati e decorati dagli scalpellini. Per ottenere le dimensioni desiderate erano “tagliati” usando martelli e cunei allineati.
8 I lavori di costruzione erano diretti con grande precisione e severità, come testimonia la presenza di molti guardiani armati di verghe intenti a sorvegliare le attività del cantiere.
Dmitrji Mendeleev in una foto del 1880 circa. Sotto, la sua tavola periodica pubblicata nel 1869 e, a lato, i suoi appunti.
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na poesia”: così nel 1975 il chimico e scrittore Primo Levi definì la tavola periodica degli elementi. Che, inventata nel 1869 dal geniale chimico russo Dmitrij Ivanovicˇ Mendeleev, ci aiuta a comprendere meglio gli “ingredienti” che compongono il nostro universo. Con una intuizione straordinaria, in una manciata di righe e colonne, Mendeleev riuscì infatti a fare ordine nel caotico mondo degli elementi chimici. Nel labirinto della chimica. Nel secolo precedente la chimica aveva fatto passi da gigante, grazie al lavoro di scienziati come il francese Antoine Lavoisier, ghigliottinato nel 1794, o lo svedese Jöns Jacob Berzelius, che a inizio Ottocen- la chimica. Ben presto si reto inventò i moderni simbo- se conto che il lettore inesperli chimici. Mendeleev mise un to rischiava di perdersi in quel punto fermo nella storia della labirinto di dati. Era necessario trovare un modo per orgadisciplina. Nato nel 1834 a Tobolsk, nel- nizzare in maniera chiara i vala sperduta Siberia, ultimo di ri elementi e le loro proprietà. almeno quattordici figli, stu- All’epoca se ne conoscevano 63, dall’idrogeno diò a San Pietroburgo e poi in La tavola nacque all’uranio, ognuGermania, a Heicon buchi vuoti no contraddistinto da un proprio delberg, sotto la guida del celebre per elementi non peso atomico. Gioco. Mendechimico Robert ancora scoperti leev lavorò senza Wilhelm Bunsen (famoso per avere inventato il sosta per settimane. Su alcuni bruciatore a gas detto “becco foglietti scrisse il nome e le cadi Bunsen”, presenza irrinun- ratteristiche di ciascun elemenciabile in ogni laboratorio di to, provando a disporli in vario modo, come nel gioco di carte chimica). Nel 1867, da poco nomina- del solitario. Il risultato di queto professore all’Università di sti incastri fu riportato su una San Pietroburgo, Mendeleev tabella di una pagina, rivista era assorbito dalla scrittura di da Mendeleev varie volte fiun manuale sui principi del- no alla versione del 1871, che 86
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In tavola
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L’uomo che mise in ordine gli elementi
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adottava la disposizione orizzontale, simile a quella utilizzata ancora oggi. L’importanza della tavola non consisteva solo nel raggruppare gli elementi allora noti in base a certe caratteristiche, ma anche nel prevedere l’esistenza e le proprietà di metalli e gas ancora sconosciuti. L’azzardo calcolato, che aveva lasciato vuote alcune caselle, fu premiato: nel 1875 fu scoperto il gallio, nel 1879 lo scandio e nel 1886 il germanio, dai nomi latini delle nazioni dove erano stati identificati. La sua ipotesi era confermata: in natura esistevano altri elementi. Un impero contro. Come quasi sempre accade per le scoperte scientifiche, il russo ebbe precursori e concorrenti. L’inglese John Newlands aveva proposto una tabella, in cui
elementi simili si presentavano a intervalli regolari come le note di una scala musicale. L’analogia non era però piaciuta alla Chemical Society, che la bocciò come “chimica da avanspettacolo”. Il tedesco Julius Lothar Meyer aveva invece elaborato in maniera indipendente una tavola simile a quella di Mendeleev, destinata però a essere dimenticata. Per le sue idee riformiste Mendeleev fu a lungo osteggiato dall’impero zarista e nel 1890 lasciò, amareggiato, l’università. Tre anni dopo ebbe la direzione della Camera dei pesi e delle misure, dove rinnovò il sistema russo delle unità di misura. Morì nel 1907, dieci anni prima della rivoluzione che avrebbe cambiato il volto della Russia. • Elena Canadelli
agenda A cura di Irene Merli
MOSTRA
VICENZA
Il presidente architetto Il Campidoglio di Richmond (Virginia, Usa) progettato da Jefferson.
MOSTRA
ROMA
Tesori della Cina imperiale
Oltre 100 reperti raccontano il passaggio dalla dinastia Han al l’Età dell’Oro della dinastia Tang.
Fino al 28/2/2016, Palazzo Venezia, Roma. Info: 06 6780131, www.tesoridellacinaimperiale.it FOTOGRAFIA
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he cosa ci fa in un museo di architettura italiano un busto di Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti? Ebbene, mister Jefferson (1743-1826) era un grande studioso di Palladio, conosceva il greco e il latino e contribuì a dare un volto alla sua nuova nazione attraverso l’architettura e il disegno razionale del territorio. Non per nulla la Casa Bianca ha un portico su colonne, come le ville palladiane. La mostra Jefferson e Palladio. Come costruire un mondo nuovo, al Palladio Museum, vuole condurre il visitatore nel mondo del visionario presidente-architetto, attraverso opere d’arte, progetti e modelli, sculture, di-
segni, preziosi volumi. Per Jefferson, Palladio era “the Bible”, l’uomo che aveva saputo tradurre la grande architettura romana negli usi del mondo moderno e aveva inventato la villa neoModello di Canova per la statua di Washington.
classica. Il presidente aveva letto i Quattro libri del grande architetto veneto e a Washington avrebbe voluto costruire una copia più grande della “Rotonda” di Vicenza. Capitol Hill. Nell’esposizione sono presentati video, multimedia e 36 fotografie realizzate in Virginia nel 2014 sui luoghi delle architetture jeffersoniane. Il presidente progettò ville, il Campidoglio di Richmond (in Virginia), che fu il modello degli edifici del potere civile americano, e il campus dell’Università della Virginia, con la biblioteca a forma di Pantheon. In mostra, anche tre bozzetti di Antonio Canova per la statua di George Washington, commissionata da Jefferson. •
Fino al 28/3/2016. Palladio Museum, Vicenza. Info: 0444 323014, www.palladiomuseum.org
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Grandi fotografi del mondo
Scatti dei più importanti autori internazionali sul Belpaese: modi di vita, ricchezze artistiche, parti colarità della nostra storia.
Dal 10/11 al 7/2/2016, Palazzo della Ragione, Milano. Info: 02 43353535, www. palazzodellaragionefotografia.it SAGRA
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Festa del torrone
Ricostruzione del pranzo di nozze di Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza (1441), in cui fu servito il torrone.
24-25/10 e 21-29/11. Info e programma: www.festadeltorronecremona.it. SAGRA
MONTEMURLO (PO)
Festa dell’olio
Torneo dei rioni, sfilate in costu me, spettacoli, danze, giochi e degustazioni dell’olio nuovo. Dal 14 al 22/11. Borgo della Rocca. Info: www. festadelloliomontemurlo.it
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ARCHITETTURA
NELLA
Una costruzione durata 6 secoli. Voluta da un duca visionario, finanziata dai milanesi e tormentata da mille imprevisti e ripensamenti
FABBRICA DEL
DUOMO
La fine e l’inizio Il Duomo di Milano nel XIX secolo, dopo il completamento della facciata e con la Madonnina, innalzata nel 1774 a 108,5 metri d’altezza. A sinistra, la targa in marmo nell’interno della cattedrale che ricorda l’inizio della costruzione.
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bito il Consiglio della Fabbrica ebbe una maggioranza laica, perché, fatto insolito, il committente della cattedrale non era soltanto l’arcivescovo; c’erano anche il principe e la cittadinanza. Come spiega Clara Moschini nel libro Il cantiere del Duomo di Milano (Silvana editoriale), nel XV secolo dentro il Consiglio operavano, oltre al vicario generale e ai canonici della diocesi, il vicario di provvigione, 3-4 giureconsulti e 12 eminenti cittadini, 2 per ogni Porta della città. Si trattava di mercanti, artigiani, banchieri, scelti tra le famiglie più prestigiose per assicurare alla Fabbrica prestazioni professionali. E gratui te. Ma anche per garantire la gestione di un cantiere immenso con le modalità di un’impresa moderna. Ogni settimana venivano poi eletti sei “ebdomadari”, che avevano il compito di controllare giorno e notte ogni lavoro, tutti i materiali e le forniture, in nome della cittadinanza milanese. Il cantiere. E ce n’era da organizzare e da controllare. I primi anni se ne andarono per scavare le fondamenta, profonde 7 metri, costruire l’abside, le due sacrestie e il primo pilone. A ridosso dell’abside prima, e poi a lato della chiesetta del camposanto, c’era la “cassina”, il cantiere che ospitava maestri scalpellini, fabbri, falegnami, carpentieri e architetti. Il DuoDEA/GETTY IMAGES
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orre l’anno 1386. A Milano è partito da poco il cantiere per una nuova cattedrale, su iniziativa dell’arcivescovo Antonio da Saluzzo. L’antica basilica di Santa Maria Maggiore ormai è fatiscente e si vuole costruire una chiesa in cotto, come nella tradizione del romanico lombardo. Ma Gian Galeazzo Visconti, il nuovo signore di Milano e cugino dell’Arcivescovo, sogna ben altro per la sua città. Ambiziosissimo, aspira a diventare duca (ci riuscirà nel 1395) e vuole gareggiare con le maggiori corti d’Europa. La nuova cattedrale deve perciò essere “una basilica che superasse in grandiosità e magnificenza quante se ne trovavano costrutte a’ suoi tempi, non solo in Italia ma ben anche fuori”, come racconta lo storico dell’arte Ambrogio Nava nel 1854. Cioè tutta di marmo e ricca di decorazioni e trafori, come le grandi chiese gotiche d’Oltralpe. Nasce la Fabbrica. Preso dalle sue ambizioni, fu dunque Gian Galeazzo a cambiare la storia del Duomo di Milano. Una svolta che ha anche una data di nascita: il 18 ottobre 1387, quando il duca decretò la costituzione della Veneranda Fabbrica di Milano, istituzione responsabile della costruzione dal punto di vista architettonico, economico e amministrativo. Da su-
Un mercante donò 35mila ducati alla Fabbrica. Che gli dedicò la prima guglia e una tomba nella chiesa
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come sappiamo oggi dal Registro delle Oblazioni. Arrivavano denaro, testamenti, donazioni di immobili, cere, vino, farine, grano, frutta, biada, utensili, materiali di costruzione, vestiti, biancheria, drappi, coperte, cibo, persino bottoni e logore vesti: per l’uomo medioevale anche il bene più umile era un tesoro, e privarsene era segno di grande devozione. «Alcune prostitute lasciavano le decime delle loro nottate», dice Marco Rossi, docente di Storia dell’arte medioevale all’Università Cattolica di Milano. «E alla causa della grande impresa contribuì anche la moglie di Gian Galeazzo, Caterina, con preziosi gioielli che servirono per il paliotto (il rivestimento per l’altare) della cattedrale». Per chi non poteva venire in Duomo, c’erano cassette e ceppi in ogni chiesa e monastero della città e del contado, presso le porte cittadine, nel cantiere, nelle cave di Candoglia da dove proveniva il marmo (v. riquadro nella pagina a destra) e agli incroci delle vie principali. Indulgenze vendensi. Quanto al clero, squadre di sacerdoti destinati alla questua si recavano periodicamente nei villaggi delle campagne, celebravano messa e annunciavano la grande impresa, per
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Sfida per la facciata Alcuni progetti per la facciata del Duomo: dall’alto, di Francesco Maria Richini; di Carlo Buzzi; di Carlo Felice Soave. A sinistra, bassorilievo con il busto del duca di Milano Gian Galeazzo Visconti (1351-1402).
Il “tocco” di san Carlo Borromeo
ospesa molto in alto, sopra l’altare maggiore, c’è la reliquia più preziosa del Duomo: il Santo Chiodo della croce sulla quale sarebbe stato inchiodato Gesù. E che secondo la tradizione fu ritrovato da sant’Elena, che lo donò al figlio, l’imperatore Costantino, sotto forma di morso per il suo cavallo. Il Chiodo, presente nella cattedrale dal 1461, è conservato in un tabernacolo dell’abside, ma una luce rossa rende visibile la sua posizione da tutta la cattedrale. Per celebrare questa presenza sacra ogni settembre si svolge il rito della Nivola, in memoria di
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SCALA
mo che saliva brulicava di maestranze, tra specialisti e manovali. I capi scultori, tanto per fare un esempio, potevano avere da 100 a 300 scalpellini sotto di loro. Tutti gli addetti al cantiere portavano sull’avambraccio una benda di tela bianca, e venivano pagati con salari e monete diverse, a seconda di incarico e provenienza. I tantissimi che nei secoli raccolsero l’appello a lavorare amore dei (cioè gratis), nella maggior parte dei casi ricevevano in cambio del vino. Il vino era anche un’integrazione importante del salario, per l’ultimo degli artigiani così come per l’ingegnere responsabile del cantiere. Non doveva mai mancare, per evitare proteste: solo nel 1391 la Fabbrica ne ordinò 75mila litri. In coda per l’obolo. Ma tutto quel ben di Dio era a spese della Veneranda Fabbrica? No di certo. Fin dai primi decenni si era attivata una rete capillare di raccolta delle donazioni. Nel Duomo il principale punto di raccolta era il vecchio altare di Santa Maria Maggiore, sulle cui rovine si stava costruendo: una lampada era sempre accesa per poter consegnare gli oboli di giorno e di notte ai tre deputati di turno. Questi ricevevano e tenevano il conto di tutto,
una processione di penitenza compiuta da san Carlo Borromeo dal Duomo alla chiesa di San Celso, durante la peste del 1576 (a lato, il santo mostra il Chiodo durante la festa dell’Esaltazione della Croce). Macchinario. La Nivola, una struttura a forma di nuvola ideata nel XVII secolo e decorata in cartapesta, viene sollevata da argani fino a più di 40 metri d’altezza per permettere all’arcivescovo di salire fino al Sacro Chiodo e portarlo a terra. La reliquia rimane accessibile alla devozione dei fedeli per 40 ore e viene poi riportata nella sua sede. Oggi
l’argano è meccanizzato, ma in origine era azionato da una ventina di uomini che si trovavano sul tetto della cattedrale. Sempre a proposito di san Carlo Borromeo, nella navata sinistra della cattedrale c’è un altare in cui è conservato il grande crocifisso ligneo che l’arcivescovo portò in processione per la città altre due volte, durante la peste del 1576, che arrivò a causare 100 morti al giorno. Proprio sotto questo altare dal 2012 riposano le spoglie del cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002, che chiese di essere sepolto lì.
Quando svettava Uno scorcio del Duomo e del “coperto Figini” (il portico poi eliminato) nel 1838. Non erano ancora stati realizzati la Galleria Vittorio Emanuele II e la piazza, che ridussero la cattedrale a una “quinta” scenografica.
V
SCALA (2)
sulle chiatte della Fabbrica in sosta presso le molte bettole e osterie. Le risse durante le soste erano all’ordine del giorno, ma un complesso di norme regolava il comportamento dei barcaioli. La Conca di Viarenna (realizzata nel 1438 e secondo molti la prima chiusa al modo di questo tipo) aiutava la chiatta a superare i due metri di dislivello che separavano la Darsena dalla cerchia dei Navigli interni. Grazie a questo accorgimento le barche del marmo potevano raggiungere la cattedrale: nei primi tempi erano costrette a fermare qui il loro viaggio. La chiatta raggiungeva infine il laghetto di Santo Stefano, a poche centinaia di metri dal cantiere. (m. b.)
VENERANDA FABBRICA DEL DUOMO
Sulla via del marmo
erso la fine del 1300 Milano era una città di mattoni e legno. Perché per la nuova cattedrale fu scelto il marmo estratto dalle cave di Candoglia, nella Val d’Ossola? Intanto, la valle era possedimento visconteo; poi, da lì il marmo poteva essere trasportato via acqua a Milano. Oltre 500mila blocchi di marmo percorsero quei 100 km di via d’acqua. A Ufo. Ai caselli daziari lungo il percorso le barche dei marmi non dovevano pagare: recavano impressa la scritta «A.U.F.» (Ad Usum Fabricae, “a uso della Fabbrica [del Duomo, in questo caso]”. Da qui l’espressione “a ufo” per indicare chi si serve a sbafo. Lungo il naviglio la gente baciava i blocchi di marmo
La g
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CANDOGLIA
Il percorso dei blocchi di marmo sulle vie d’acqua: fiume Toce, lago Maggiore, Ticino, Navigli, fino al cantiere del Duomo. Sotto, la lapide presso uno dei caselli.
La cripta circolare progettata da Pellegrino Tibaldi, autore anche del ciborio (XVI secolo).
no Tici
Tesoro sotterraneo
Castelletto Ticino Somma Lombardo
Il laghetto di Santo Stefano, dietro il Duomo, approdo finale di barche e chiatte. In alto, il lavoro nelle cave a Candoglia, negli Anni ’50.
Magenta
Milano
Abbiategrasso
consentire ai presbiteri di passare di casa ti: a quel punto erano già rovinati dal pasin casa a chiedere l’obolo. Non solo. Nei saggio dei carri del cantiere. E nemmeno momenti in cui le casse della Fabbrica ri- la posa della Madonnina avvenne in moschiavano di languire, i milanesi ottenne- do pacifico. «Fu innalzata il 26 dicembre ro dai pontefici di godere del giubileo a 1774, di notte, portando i pezzi a piedi, in casa loro: per ottenere l’indulgenza basta- spalla, fin lassù. E non ci fu cerimonia di va visitare alcune chiese meneghine per inaugurazione, per non sollevare discus10 giorni e versare alla Fabbrica un ter- sioni», racconta monsignor Gianantonio Borgonovo, attuale presidenzo delle spese che sarebbete della Veneranda Fabbrica. ro state necessarie per anda- Un disegno di Leonardo re a Roma. Arriva Napoleone. Quanto da Vinci: era stato chiamato per un Liti infinite. In un modo o alla facciata, simbolo dell’econsulto sul tiburio. dificio, rimase quella ronell’altro, dunque, i mimanica di Santa Maria lanesi trovarono sempre Maggiore fino alla sei soldi per la loro catconda metà del Seicentedrale. E tra esenzioni to. Poi fu demolita e doper la Fabbrica, finanpo innumerevoli varianziamenti personali, tasti ci volle un ordine di se ad hoc, anche il siNapoleone, il 20 maggnore di Milano diede gio 1805, perché fosse un forte contributo. completata. MancavaA rallentare i lavono sei giorni alla sua inri furono invece guercoronazione a re d’Itare, pestilenze, carestie e lia e Bonaparte promiimprevisti. Oltre a una se che la spesa sarebcatena infinita di dispube stata sostenuta dalla te su come procedere Francia. Il rimborso non con il progetto. Iniziaarrivò, ma il Duomo nel rono a un anno dal via giro di sette anni ebbe al cantiere e continuala sua facciata, e il gerono fino all’Ottocento. nerale francese una staNel primo periodo, tua di san Napoleone su tra gli architetti del canuna guglia. tiere e quelli francesi e tedeschi chiamati come Battute finali. All’Otconsulenti si litigò sull’alteztocento non restava che conIl Duomo in za finale e sui cedimenti che cludere quell’opera che semun’incisione del 1745 si rischiavano. Ma alla fine a brava infinita. Vennero reacirca. La facciata era ancora in costruzione. essere zittiti (e licenziati) eralizzati allora la maggior parte no sempre gli stranieri, e si degli archi rampanti e delcontinuava più o meno come da progetto. le 135 guglie e si finirono le 3.600 statue: Sul tiburio in cima alla grande guglia si una foresta di pietra che si era iniziato a discusse per la bellezza di 60 anni. Fu in- scolpire nel Trecento. La costruzione deldetto un concorso, a cui parteciparono la cattedrale che avrebbe dovuto eternanomi del calibro di Bramante e Leonardo: re la gloria di Gian Galeazzo Visconti poma anche questa volta prevalsero gli ar- té dirsi finita solo nel 1965, con l’inauguchitetti della Fabbrica, tali Amadeo e Dol- razione del quinto portone. Dall’inizio di cebuono. Nel XVI secolo, san Carlo Bor- tutto erano passati quasi sei secoli. “Lunromeo diede un nuovo impulso ai lavori, go come la fabbrica del Duomo”, dicono i facendo costruire il ciborio (il baldacchino milanesi di un lavoro interminabile. E chi al di sopra dell’altare) da Pellegrino Tibal- può dar loro torto? • di, che progettò anche il coro e i pavimenIrene Merli 92
VENERANDA FABBRICA DEL DUOMO
I milanesi passavano attraverso il Duomo in costruzione per andare al mercato. C’era persino una porta apposita, che fece chiudere san Carlo
Bellezza gotica Un’immagine di oggi: dettaglio degli archi rampanti, completati nell’800, che collegano la foresta di pinnacoli.
A passeggio lassù Turisti sul tetto del Duomo a inizio Novecento. Le terrazze della cattedrale sono tutte percorribili e in marmo: un esempio unico al mondo.
VENERANDA FABBRICA DEL DUOMO (2)
La Fabbrica oggi
L
SCALA
Il Portale centrale, realizzato da Lodovico Pogliaghi tra il 1894 e il 1908, con storie della vita della Vergine Maria.
ALINARI
La Porta di Maria
a Veneranda Fabbrica del Duomo oggi si occupa della manutenzione della cattedrale, restauri compresi, e dell’estrazione del marmo a Candoglia (Val d’Ossola), come nel passato. Gestisce il Cantiere marmisti (sotto), all’interno del quale i blocchi vengono lavorati per costruire i nuovi “pezzi” per i restauri con le tecniche più aggiornate, e il cantiere presso il Duomo. Qui il personale opera direttamente sul monumento sacro per restaurare e conservare strutture lapidee, installare e aggiornare impianti tecnologici, posare ornati e strutture provenienti dal Cantiere marmisti, mettere in opera vetrate, dipinti, manufatti lignei e metallici, tenere efficiente il complesso originario, predisporre paramenti e arredi liturgici e provvedere al decoro delle celebrazioni e dell’intero tempio. Per eseguire questa manutenzione “ordinaria” gli operatori lavorano spesso su
alti ponteggi (sopra). E se si dice che la costruzione del Duomo non ha mai fine è proprio per questo continuo, capillare fare e rifare: a parte l’impegnativa pulizia delle parti esterne, “sporcate” dallo smog”, in media ogni 50 anni statue, guglie, contrafforti, decorazioni, doccioni vanno sostituiti: quelli esposti a nord e quindi più soggetti alla forza del vento e delle intemperie anche ogni 30. Materiale fragile. Nei pavimenti dopo 100-150 anni il tenero marmo di Candoglia crea avvallamenti: anche qui i tecnici devono intervenire. La Fabbrica mantiene inoltre regole precise. Ogni artista non può eseguire più di 2 statue e arriva a operare per il Duomo dopo una lunga trafila: prima deve presentare un bozzetto, poi una prova in legno o in argilla, quindi una prova in fusione e solo alla fine gli viene consegnato il pezzo di marmo. Ovviamente di Candoglia.
VITA QUOTIDIANA
La sbornia? Un tempo si curava così Per combattere i postumi di una bevuta esagerata ci si è inventati di tutto. Dall’occhio di pecora alla cenere di becco di rondine, ecco alcuni rimedi. A cura di Marco Narducelli
ULLSTEIN BILDS/ARCHIVI ALINARI
Bevuto troppo? Un uomo fotografato al bancone del bar, piegato da troppi cocktail. L’immagine è stata scattata negli anni Sessanta.
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imenticate le medicine. Se nell’antico Egitto aveste alzato un po’ troppo il gomito, la cura per i postumi di una sbronza non sarebbe stata una pastiglia, bensì una ghirlanda di foglie di lauro alessandrino da portare al collo. È quello che emerge dalla nuova traduzione di un papiro, scritto in greco, che riporta la ricetta per curare “il mal di testa da ubriachezza”. La persona avrebbe dovuto legare insieme le foglie di Ruscus racemosus, e portarle come una collana. Non sappiamo se la cura funzionasse, ma ancora oggi in Cambogia si inalano i fumi di queste foglie per curare mal di testa e vertigini. Da 5mila anni dunque gli uomini sono alle prese con gli effetti di quello che gli inglesi chiamano hangover. Ecco altre curiose pratiche con le quali i nostri antenati hanno cercato di farselo passare. •
Polmone di pecora arrostito oppure uova di civetta. Erano i toccasana consigliati da Plinio il Vecchio nel I secolo d.C. L’austero filosofo Seneca (I secolo d.C.) lamentava che i suoi contemporanei “vomitano per mangiare, mangiano per vomitare”. Gli antichi Romani, grandi estimatori del buon vino, durante i banchetti delle classi più agiate mangiavano e bevevano senza limiti. Lo scrittore romano Plinio il Vecchio raccomandava di non eccedere con l’alcol perché il giorno dopo “l’alito sa di botte, ogni cosa viene dimenticata e la memoria è come morta”. Consiglio inascoltato. Per alleviare i postumi della bevuta, già gli antichi Greci mangiavano cavoli e ingurgitavano molta acqua. Plinio consigliava anche di mangiare il polmone di pecora arrostito oppure uova di civetta messe per tre giorni nel vino. In alternativa, proponeva di rispolverare un’antica ricetta assira: cenere del becco di rondine tritata con mirra e vino.
Combattere i postumi della “ciucca” con altro alcol: di certo non si faceva nel Medioevo quando ubriacarsi era vietato. Esiste una credenza secondo cui per alleviare i sintomi di una sbronza bisogna... bere altro alcol (addirittura alcuni cocktail funzionerebbero meglio di altri come il Bloody Mary, base di vodka e succo di pomodoro, o il Black Velvet, miscela di birra scura e champagne). Difficilmente avrebbe però potuto prendere piede nel Medioevo quando la condanna all’ebbrezza diventò totale. Gli sbronzi erano puniti con una gogna pubblica, nota anche come “mantello dell’ubriacone”: erano costretti a uscire di casa dentro una botte senza fondo e coperchio superiore.
Da tempi remoti, in Oriente per gli avvinazzati si consigliano intrugli a base di erbe. Ma anche cocktail con occhi di pecora. Da migliaia di anni i cinesi preparano infusi a base di erbe che aiuterebbero il corpo a combattere febbri, mal di testa e sbornie varie. Il più famoso di questi beveroni è il kakkonto, oggi diffuso in tutta l’Asia, che si prepara con radice di kudzu, cinnamomo, datteri, zenzero, liquirizia e radice di peonia. Un rimedio ben più macabro si trova invece in Mongolia, dove dopo un’ubriacatura si consiglia di mandar giù con del succo di pomodoro un occhio di pecora sott’aceto.
Fin dal suo esordio, nel 1886, la Coca-Cola fu venduta anche come rimedio per mal di testa e stanchezza da dopo sbornia. La Coca-Cola per via del suo alto contenuto di glucosio e di caffeina può venire in soccorso dopo aver alzato troppo il gomito. Nel 1886, quando fu venduta per la prima volta ad Atlanta, era prescritta come rimedio per il mal di testa e la stanchezza, secondo alcuni anche post ciucca. Nel 1938, sempre negli Usa, l’hotel di lusso Ritz-Carlton cominciò a servire una sorta di cocktail del giorno dopo, in cui si allungava la Coca-Cola con il latte. Ernest Hemingway, noto bevitore, si riprendeva bevendo succo di pomodoro e birra. La comunità scientifica non ritiene che esistano trattamenti efficaci per curare gli effetti dell’alcol. Insomma, qualunque cosa proviate, probabilmente non funzionerà. 95
STORIE D’ITALIA MELDOLA (FC)
REALY EASY STAR
Nel 1858 il romagnolo Felice Orsini tenta di uccidere Napoleone III a Parigi. Da dove arrivava quell’idealista pronto a tutto? E chi erano i suoi mandanti?
IL
BOMBAROLO P
Felice Orsini lancia una bomba contro la carrozza imperiale di Napoleone III. L’imperatore scampò all’attentato, che provocò 12 morti e 156 feriti. Orsini (in alto) fu arrestato e condannato alla ghigliottina.
A. MOLINO
Dalla Romagna
arigi, giovedì 14 gennaio 1858. È ormai sera e un netturbino ha quasi terminato il suo lavoro. Gli manca solo quel tratto davanti all’Opera, dove stazionano due uomini. Lo spazzino chiede loro di spostarsi dal selciato, ma mentre sta ancora parlando, i due raggiungono altri due sconosciuti appena arrivati sul marciapiede di rue Le Peletier. C’è animazione nelle strade: i giornali hanno annunciato che all’Opéra saranno presenti l’imperatore Napoleone III e sua moglie, Eugenia de Montijo. La folla si sta ingrossando per salutare il loro passaggio. In testa al corteo imperiale passa la carrozza degli ufficiali, seguita dalla scorta di lancieri che precedono e seguono la vettura con l’imperatore, sua moglie e il generale Roquert. Li aspetta il picchetto d’onore. La folla si accalca trattenuta dai gendarmi, fra un vociare che aumenta nel momento in cui la carrozza imperiale compie gli ultimi metri. Quando si ferma, tre boati scuotono l’aria. Sono bombe. La folla grida, i cavalli scalciano terrorizzati fra vetri rotti e schegge di legno e metallo. Uno dei cavalli ha la testa tranciata, un altro, ferito dalle schegge, sbanda paurosa-
mente prima di stramazzare al suolo, dove alla fine si contano dodici persone dilaniate dalla deflagrazione. Saranno 156 i feriti che da quel giovedì sera avranno per sempre la vita segnata. E l’imperatore? Illeso, o quasi. Napoleone III si accorge che nel suo copricapo è infilata una scheggia di ghisa. Se non si fosse piegato per sentire quel che il generale Roquert gli stava dicendo, quel frammento mortale si sarebbe conficcato nella sua tempia. Il rumore assordante dei tamburi e della folla lo aveva costretto a un gesto che gli aveva salvato la vita. Rivoluzione armata. A colpire la carrozza era stato un italiano, il trentottenne Felice Orsini. Aveva usato bombe rudimentali, ma efficaci, che da quel momento si sarebbero chiamate “bombe all’Orsini”. Orsini non era però solo quella sera di gennaio. Con lui avevano agito tre complici: Giovanni Andrea Pieri (50 anni), Carlo Di Rudio (27) e Antonio Gomez (26). Napoleone III doveva pagare con la vita “l’assassinio della Repubblica Romana” del 1848. Era dalla primavera di due anni prima che ci pensava, l’Orsini, a quell’attentato. Da quando aveva trovato rifugio a Londra dopo l’evasione 97
Il quinto uomo: Crispi?
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urante il processo Felice Orsini, pur assumendosi tutte le responsabilità di un atto terroristico che rivendicava con orgoglio, negò di aver lanciato la terza bomba (le prime due erano state scagliate da Gomez e da Di Rudio). Chiamò invece in causa un quinto complice. Orsini si rifiutò di farne il nome, anche al suo difensore, che così avrebbe forse avuto modo di salvargli la vita. A posteriori. Questo individuo misterioso tornò alla ribalta nel 1908, quando Il Resto del Carlino di Bologna pubblicò un’intervista a Carlo Di Rudio, nel frattempo naturalizzato americano e tenente dell’esercito Usa. L’ex complice di Orsini raccontò che il giorno fatale, poco prima dell’attentato, un uomo con due grossi baffi aveva fermato Orsini chiedendogli se fosse tutto a posto per “quella faccenda”: Felice aveva risposto di non preoccuparsi. Quando l’uomo si era allontanato, Di Rudio aveva detto a Orsini di aver riconosciuto l’uomo: era Francesco Crispi, mazziniano e futuro presidente del Consiglio nell’Italia unita. Senza prove. In effetti Crispi in quel periodo si trovava in Francia come esule. Secondo i rapporti della polizia francese era stato fermato nelle ore successive all’attentato, ma il suo arresto non era stato convalidato e poco dopo era stato espulso dal Paese. Ma c’è chi obietta che all’epoca Crispi non portava i baffi e che non poteva essere in buoni rapporti con Orsini dopo che questi aveva lasciato Mazzini. In assenza di prove, la teoria del coinvolgimento di Crispi non ha mai convinto gli storici.
I due complici Andrea Pieri e (a destra) Carlo Di Rudio, che dopo la condanna evase dalla prigione: raggiunse prima l’Inghilterra e poi gli Usa, dove si arruolò nell’esercito federale.
Secondo Orsini, tolta di mezzo la Francia (fedele al papa) il popolo sarebbe insorto contro lo Stato pontificio dal carcere di Mantova, dov’era stato rinchiuso come cospiratore mazziniano. Felice era nato a Meldola (allora legazione di Forlì, nello Stato della Chiesa) il 18 dicembre 1819 con la carboneria nel sangue e nel nome: il padre, Giacomo Andrea, aveva combattuto nell’esercito napoleonico ma era stato poi segnalato dalla polizia per avere introdotto la carboneria a Firenze nel 1821. Di secondo nome Felice faceva Teobaldo, in omaggio al santo protettore della carboneria. In gioventù aveva aderito a movimenti sovversivi con le idee chiare: l’uso delle armi per liberare l’Italia, e in particolare la sua terra, era più che legittimo. Con queste idee per la testa era facile finire in galera. E infatti Orsini si era guadagnato un ergastolo per le sue attività politiche, scampato solo grazie a un’amnistia, nel 1846. Radicale. La collaborazione con Mazzini, che l’aveva arruolato nella sua “guerra di popolo”, si concluse definitivamente a Londra. Qui il rivoluzionario romagnolo conobbe Simon Bernard, un chirurgo francese fuggito in Inghilterra per evitare l’arresto per cospirazione. Discorso dopo discorso, Bernard aveva convinto Orsini che non solo la strategia politica mazziniana era perdente, ma che l’unica mossa politicamente valida era un attentato che uccidesse Napoleone III, in modo da favorire un cambio di regime a Parigi e togliere di conseguenza la protezione della Francia nei confronti dello Sta-
to pontificio. A quel punto, senza più temere la forza francese, le regioni che si trovavano sotto il dominio del papa-re sarebbero insorte, trascinando poi tutte le altre verso l’indipendenza, e l’Italia sarebbe stata libera. Ma queste si riveleranno soltanto illusioni. Il processo del secolo. Dopo il fallimento dell’attentato, gli esecutori furono individuati a tempo di record, nel giro di sette ore. A sbloccare le indagini fu il ventiseienne Antonio Gomez, il più giovane del gruppo di attentatori. Arrestato nella trattoria italiana “Brogi”, dove s’era rifugiato cercando di confondersi fra gli avventori, aveva reso subito “una confessione piena ed esaustiva”, come si legge negli atti processuali. L’avvocato di Felice Orsini tentò di trasformare il processo in un atto d’accusa contro la tirannide che soffocava le libertà dei popoli di tutta Europa, mentre i complici di Orsini scaricarono su di lui la responsabilità dell’azione terroristica. Fu un processo-spettacolo. Orsini seguiva il processo in abiti di buon taglio, che ne esaltavano la figura elegante. L’italiano conquistò molti cuori femminili, compreso quello dell’imperatrice, che si spese presso suo marito per salvare la vita di quell’italiano. Lo stesso Napoleone III, in cuor suo, avrebbe voluto la grazia per Orsini: pensava a una commutazione della pena di morte in ergastolo, risparmiando la ghigliottina a quell’idealista ve-
REALY EASY STAR (5)
Stategia del terrore Simon François Bernard, il medico che convinse Orsini della necessità politica dell’attentato a Napoleone III.
“All’Orsini” Felice Orsini prepara la bomba per l’attentato a Napoleone III. L’ordigno (a sinistra, in una ricostruzione ottocentesca), privo di miccia, si innescava quando le capsule posizionate sull’involucro e riempite con fulminato di mercurio toccavano una superficie.
nuto dalla Romagna. Ma i francesi, oggi diremmo “l’opinione pubblica”, volevano una punizione esemplare per quello straniero che aveva rischiato di uccidere un sovrano amato e che aveva seminato morte fra le strade di Parigi. In definitiva, Orsini aveva compiuto un attentato in nome di un popolo che lo disconosceva. Anzi, che lo voleva vedere condannato a morte. I conti senza l’oste. Il piano elaborato da Orsini su ispirazione di Bernard fallì non tanto per-
ché Napoleone III sopravvisse, ma piuttosto perché non teneva conto della popolarità dell’imperatore, in Francia ma anche in Italia. Perciò la notizia dell’attentato, invece di far sollevare gli oppressi d’Europa, serrò le file intorno a un sovrano considerato più progressista di tanti altri. Luigi Napoleone Bonaparte, figlio del fratello di Napoleone I, Luigi, aveva infatti passato il vaglio di ben tre plebisciti, coi quali era diventato prima presidente della Repubblica (1848) e poi, 99
Napoleone III avrebbe voluto graziarlo. Ma l’opinione pubblica francese voleva una pena esemplare per gli attentatori: la ghigliottina
fosse stato liberato. Non ebbe risposta. Quando arrivò il momento dell’esecuzione, Orsini si avviò con passo fermo verso il patibolo e, una volta sotto la ghigliottina, urlò: “Viva l’Italia! Viva la Francia!”. Nel suo testamento chiese di essere seppellito a Londra, ma il suo corpo finì in una fossa comune parigina. Di Rudio evase dalla Caienna nel 1859 e Gomez fu graziato nel 1887: il primo emigrò negli Stati Uniti, dell’altro non si seppe più nulla. Il 22 luglio successivo, a Plombières, Napoleone III siglò con Cavour un accordo che avrebbe permesso all’Italia di conquistare l’indipendenza. La diplomazia era riuscita dove le bombe all’Orsini avevano fallito. • Pino Casamassima
Ultimo atto Sopra, lettera di Felice Orsini al suo amico Cesarini, dal carcere del castello di Mantova dopo l’arresto del 17 dicembre 1854. Sotto, a Parigi la folla assiste all’esecuzione di Felice Orsini e Andrea Pieri, condannati alla ghigliottina. È il 13 marzo 1858.
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nel 1852, imperatore. Fu proprio questo forte legame con il popolo francese a costare la testa a Orsini. Benché affascinato dalle argomentazioni di Orsini durante il processo, l’imperatore non poteva non tener conto della volontà dei suoi sudditi. La scontata condanna a morte fu estesa anche ad Andrea Pieri, mentre Antonio Gomez e Carlo Di Rudio, gli altri complici, furono condannati a scontare l’ergastolo sull’Isola del diavolo (Caienna), la colonia penale della Guyana francese, al di là dell’Atlantico. Irriducibile. E Orsini? Dal carcere scrisse due lettere (una di dubbia autenticità) all’imperatore in cui avvertiva Napoleone III che non sarebbe mai stato al sicuro finché il suo popolo non
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presenta
LA STORIA DA LEGGERE ALESSANDRO MAGNO LIBR
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UN GRANDE NARRATORE RACCONTA UN GRANDE CONDOTTIERO Fino alle soglie dei tempi moderni, e in alcuni casi anche in seguito, qualunque generale che aspirasse a lasciare una traccia di sé nella Storia si è posto come modello Alessandro Magno. Il sovrano macedone fu un conquistatore impareggiabile, uno stratega raffinato, un tattico lucido e brillante, un generale imbattuto e, soprattutto, un condottiero di inarrivabile coraggio, sempre in prima fila in battaglia e sotto gli spalti di una roccaforte nemica, colpito, ferito e vicino alla morte decine di volte ma in grado, con il suo esempio, di motivare i propri uomini come nessun altro comandante. Questo libro racconta le imprese di Alessandro depurandole dall’incredibile mole di leggende fiorite sul suo conto dopo la prematura morte, analizzando, oltre agli strumenti e alle capacità che gli consentirono di diventare il più grande condottiero di tutti i tempi, i limiti e i difetti della sua strategia militare e le circostanze che favorirono i suoi successi. Dall’autore de “Le grandi battaglie di Roma antica”, la trilogia “Dictator” su Giulio Cesare, la saga de “Gli Invincibili” e molti altri saggi e romanzi storici.
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VITA QUOTIDIANA
Ad Atene, Tebe o Argo, le donne dell’antica Grecia passavano la vita in una sorta di “harem”: una zona della casa dedicata a loro. E l’unica dove godevano di qualche libertà
IL
GINECEO ell’antica Grecia, signore e signorine non se la passavano troppo bene. Si sposavano giovanissime a uomini molto più grandi, e il loro consenso non aveva nessuna importanza: a stipulare accordo e dote (denaro, gioielli, tessuti preziosi, ma non terreni o immobili) erano padre e sposo. Eterne minorenni. Dopo le nozze la fanciulla si trasferiva dal marito e da allora viveva nel gineceo, la parte della casa riservata alle donne della famiglia, ai bambini e alle loro schiave. Il gineceo si trovava al piano superiore dell’abitazione o nella parte più difficile da raggiungere, per favorire l’isolamento e l’assenza di contatti con chi non apparteneva al nucleo familiare. Non solo. Le donne greche uscivano da quelle segrete mura solo per cerimonie religiose, matrimoni, funerali, e per andare a prendere l’acqua alla fontana con l’hydria, l’anfora a tre manici. Persino comprare al mercato era un compito svolto dagli uomini o da schiavi esperti. Le regole della vita femminile, decise prima dal padre e poi dal marito, erano precise. Anzitutto il dovere di una buona moglie era dare figli maschi alla famiglia e preparare le femmine al futuro ruolo materno. Nella vita di tutti i giorni, la sposa di ogni età doveva dirigere il lavoro del “personale” di casa (gli schiavi), tessere abiti per la famiglia, preparare o organizzare i pasti e curare al massimo il proprio aspetto: guai a trascurarsi, i Greci davano molta importanza a igiene e bellezza. Ma tutto questo dentro il gineceo, insieme a cognate, suocere e ai
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figli più piccoli. Per ingannare il tempo, le donne riunite nel loro spazio isolato raccontavano storie l’una all’altra, e le più anziane insegnavano alle più giovani lettura, scrittura e musica. Solo le meno agiate andavano a vendere al mercato stoffe e nastri confezionati in casa, per racimolare qualche soldo in più. Con questa sorta di apartheid, mogli, madri e figlie erano del tutto escluse dalla partecipazione alla vita politica della città, il più importante dei diritti per un greco. La gyne (“donna” in greco, da cui gineceo) era persino esclusa dalla linea di successione e in tribunale veniva rappresentata dagli uomini di famiglia. In definitiva, ciò che si chiedeva a una greca era una vita semplice, discreta, austera, passata dietro porte ben chiuse. A Sparta, invece... Unica eccezione era la città di Sparta. Anche lì il principale ruolo femminile era la procreazione, ma donne e fanciulle non venivano recluse. Fin da piccole erano educate all’esercizio fisico, per renderle madri di figli più sani, e gareggiavano nude nelle competizioni sportive proprio come gli uomini. Soprattutto, le spartane potevano possedere beni personali. Aristotele stimava che i due quinti dei terreni della città appartenessero a donne e da bravo ateniese adottivo era sconcertato da questo stile di vita. Eppure le madri di Sparta dovevano consegnare allo Stato i figli maschi, quando compivano 7 anni. E non li vedevano più fino all’inizio del servizio militare. • Irene Merli
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GRECO
PROPRIETÀ In Grecia le aristocratiche erano considerate oikoúrema, “custodi della casa”. Di fatto, si dedicavano soltanto a mariti e vita domestica.
CONTINUITÀ Scopo del matrimonio era conservare e perpetuare l’eredità familiare. L’amore non contava. La sposa di solito aveva 14-16 anni, lo sposo spesso il doppio.
2 Schiavitù. Erano le donne a occuparsi degli schiavi di casa. Quelle che appartenevano a famiglie benestanti avevano ancelle personali che le assistevano in ogni incombenza.
1 Cura personale. Le greche
facevano lunghi bagni profumati in casa, aiutate dalle schiave e usavano unguenti e cosmetici. La complessità delle pettinature ne dichiarava lo status sociale.
INTIMITÀ Il gineceo era preceduto da un atrio o peristilio, un cortile con colonne e arcate. Serviva per rafforzare il senso di uno spazio interno riservato a poche.
QUESTIONE DI CLASSE Le donne delle classi sociali più ricche avevano servitori riservati a loro. Ma vivevano quasi sempre in casa.
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Tessitura. Il chitone, l’abito greco, era una tunica di stoffa leggera, che si portava con fibbie alle spalle e un cordone in vita. Di solito veniva tessuto e confezionato in casa.
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4 4 Figli. I maschi passavano
i loro primi sette anni di vita nel gineceo, con la madre e le altre donne di famiglia: nonne, zie, sorelle. Dopo, era il padre a decidere del loro futuro.
I GRANDI TEMI
5 secoli fa la Battaglia dei giganti, un sanguinoso capitolo del lungo conflitto per spartirsi il nostro Paese.
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LA BATTAGLIA DI MARIGNANO
IN GUERRA PER L’
ITALIA
INTANTO NEL MONDO
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on un possente cavallo da guerra né una preziosa veste ricamata o una spada forgiata dal migliore dei fabbri: il regalo più ambito dal re di Francia Francesco I per i suoi 21 anni era la conquista del Ducato di Milano. Una nuova gemma da aggiungere alla corona francese. Ma solo dopo aver annientato la potenza militare degli svizzeri, che appena due anni prima avevano umiliato i francesi a Novara e si erano impadroniti dei territori milanesi. Con questi obbiettivi, il 12 settembre 1515, la festa di compleanno del sovrano francese non si svolse in una sontuosa sala di un palazzo, tra dame e cortigiani, ma in un fangoso accampamento presso Marignano (oggi Melegnano, a sud di Milano), alla vigilia di una grande e sanguinosa battaglia. A questa “festa” Francesco I invitò un esercito imponente, forte di oltre 40mila uomini. Più di 20mila erano i fanti e arcieri francesi pronti a scendere in campo insieme a 2.500 cavalieri pesanti e 1.500 cavalieri leggeri ben disciplinati e addestrati.
ITALIA
ALTRI PAESI
1492 Muore a Firenze Lorenzo il Magnifico, l’artefice di un lungo periodo di pace tra gli Stati italiani.
1492 Cristoforo Colombo scopre il Nuovo Mondo. Termina la Reconquista cristiana della Penisola iberica con la caduta della fortezza araba di Granada.
1494-1498 Discesa in Italia di Carlo VIII di Francia: iniziano le Guerre d’Italia. Dopo alterne vicende il re francese non ottiene la supremazia in Italia.
Carisma e ambizione Francesco I di Francia ordinato cavaliere all’indomani della Battaglia di Marignano, nel settembre 1515.
1498 Muore Carlo VIII e gli succede Luigi XII.
1499-1513 Spedizioni in Italia di Luigi XII. Il re francese viene alla fine duramente sconfitto nel 1513 a Novara dagli svizzeri che ottengono il controllo del ducato di Milano.
1494 A Venezia inizia l’attività di Aldo Manuzio, il più famoso stampatore del Rinascimento. 1495 Leonardo inizia a dipingere l’Ultima cena a Milano.
1497 Il navigatore Giovanni Caboto scopre il Canada.
1496 Michelangelo scolpisce la Pietà oggi in Vaticano (foto).
1498 Vasco da Gama raggiunge l’India circumnavigando l’Africa.
1500 Il portoghese Cabral scopre il Brasile.
1510 Inizia l’occupazione spagnola di Cuba e un regolare commercio di schiavi tra l’Africa e il Nuovo Mondo. 1515 Francesco I diventa re di Francia e riprende la guerra per il predominio in Italia. Con la vittoria di Marignano impone la sua supremazia nell’Italia Settentrionale.
CULTURA
1503-1506 Leonardo dipinge la Gioconda. 1508 Michelangelo inizia ad affrescare la Cappella Sistina a Roma.
1513 Niccolò Machiavelli (foto) scrive il suo capolavoro, Il principe.
1517 Martin Lutero affigge alle porte della Chiesa di Wittemberg le sue 95 tesi: inizia la Riforma protestante. 105
I GRANDI TEMI
LA BATTAGLIA DI MARIGNANO
L’esercito di Francesco I era da record: tra i 40mila uomini, c’erano moltissimi La potenza militare del re di Francia era amplificata dalla presenza di un nutrito stuolo di mercenari: più di 9mila lanzichenecchi, tra i quali 6mila spietati veterani della Banda Nera, storica compagnia di ventura tedesca, e un paio di migliaia di mercenari italiani, pronti a combattere al soldo del miglior offerente. In più, oltre a spade, archi e picche, Francesco si era portato attraverso le Alpi 72 cannoni pesanti e 200-300 pezzi di artiglieria leggeri: per l’epoca, un’eccezionale potenza di fuoco. L’Italia in palio. Perché un esercito tanto agguerrito era accampato nel fango alle porte di Milano? Per capirlo, bisogna immaginare un quadro storico del tutto diverso da quello di oggi. La Penisola e il ducato milanese erano da qualche decennio un “pez-
zo” ambito sullo scacchiere internazionale, conteso dalle grandi potenze militari dell’epoca: l’Impero degli Asburgo e la monarchia francese. Un conflitto passato alla Storia come “Guerre d’Italia”, un conflitto in otto di capitoli, di cui Marignano fu la terza fase, nonché una delle più sanguinose. In palio non c’era solo il Nord, ma anche il Regno di Napoli, e gli Stati regionali italiani divennero di fatto, all’alba del XVI secolo, il campo di battaglia in cui si confrontarono le superpotenze del tempo: Spagna, Sacro romano impero e Francia. Il Ducato di Milano non faceva gola solo ai grandi regni d’Europa. Ingolosiva anche i piccoli cantoni svizzeri, armati fino ai denti nonché élite degli eserciti del continente.
RMN/ALINARI
Alla riscossa In un quadro ottocentesco Francesco I guida i suoi uomini nella Battaglia di Marignano, il 14 settembre 1515.
L
a sconfitta nella Battaglia dei giganti non intaccò più di tanto la fama delle milizie elvetiche. I loro servizi furono sempre richiesti dai sovrani europei. Lo stesso Francesco I fu ben felice di concludere, nel 1516, un accordo di pace perpetua con i cantoni, assicurandosi la promessa da parte della Svizzera di non combattere mai più contro la Francia – accordo di fatto alla base della neutralità svizzera – ma soprattutto il diritto di reclutare le truppe elvetiche nelle campagne espansionistiche del regno francese.
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Nuove mappe. Gli accordi sanciti dopo la battaglia di Marignano andarono inoltre a definire l’assetto territoriale di quello che oggi chiamiamo Canton Ticino, con l’annessione alla Confederazione elvetica di Locarno, della Vallemaggia, di Lugano e Mendrisio, cioè buona parte dei territori che costituiscono oggi il cantone ticinese. Ai Grigioni vennero concessi invece i territori della Valtellina, Chiavenna e Bormio, sottratti a Milano. Dove ormai non c’era più un duca che potesse rivendicarne il possesso.
SCALA (2)
E poi nacque il Canton Ticino
Al centro del mondo
Le mani su Milano
Ludovico il Moro, duca di Milano dal 1494. Il suo ducato faceva gola alle superpotenze europee.
Luigi XII di Francia: fu lui a catturare il duca, conquistando Milano nel 1499.
INTANTO NEL MONDO
mercenari pronti a razziare Milano In uno scenario del genere, l’unica possibilità di sopravvivenza per il piccolo Stato lombardo restava legata a un difficile gioco di equilibrismo diplomatico tra i grandi d’Europa. Funzionò, almeno fino al 1499. Quell’anno Luigi XII di Francia, predecessore di Francesco I, riuscì a catturare il duca Ludovico il Moro e conquistare Milano. Fu allora che quegli stessi svizzeri che avevano fornito ai francesi le truppe mercenarie decisive per la vittoria, si schierarono al fianco di ciò che rimaneva della Lega Santa guidata da spagnoli aragonesi, promossa dal papa nel 1511 e dalla quale erano appena usciti i veneziani, per arrestare l’insidiosa supremazia francese. Gli elvetici avevano scacciato i francesi da Milano e messo sul trono un duca-fantoccio, il diciannovenne Ercole Massimiliano Sforza, figlio di Ludovico il Moro. Cardinali generali. Ecco dunque spiegato perché furono proprio gli svizzeri a preparare il comitato di benvenuto al battagliero Francesco. O meglio, alcuni svizzeri. Alla vigilia della batta-
BALESTRIERE
1525 Francesco I viene sconfitto e fatto prigioniero da Carlo V a Pavia. 1527 I lanzichenecchi di Carlo V saccheggiano Roma.
1519-1521 Cortés conquista l’impero azteco.
1533 Pizarro conquista Cuzco, la capitale degli Incas. 1534 Enrico VIII diventa il capo della Chiesa d’Inghilterra (anglicana) e si separa dalla Chiesa cattolica.
TESTA A POSTO La celata a visiera proteggeva la testa e il collo. Avevano poche altre protezioni.
1534 Ignazio di Loyola fonda i gesuiti e Martin Lutero termina la traduzione della Bibbia in tedesco.
1545 Inizia il Concilio di Trento (foto): si avvia la Controriforma cattolica che si oppone al protestantesimo.
A PROTEZIONE Armati di balestra,avevano lo scopo di proteggere i fianchi delle colonne di fanti dagli attacchi della cavalleria.
Dall’alto, Martin Lutero e Ignazio di Loyola.
1559 La pace di CateauCambrésis pone fine alle Guerre d’Italia e sancisce il predominio della Spagna sull’Italia.
G. ALBERTINI
A CAVALLO I balestrieri si muovevano a cavallo ed erano armati alla leggera.
1519 Carlo V d’Asburgo, re di Spagna, diventa imperatore. Comincia la lotta per la supremazia in Europa con Francesco I.
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I GRANDI TEMI
glia, l’8 settembre, le milizie di un pugno di diversi cantoni si erano accordate col sovrano, scegliendo di tornarsene a casa in cambio di un milione di corone. A difesa del ducato milanese rimasero circa 20mila uomini: una piccola compagine di milanesi fedeli agli Sforza e circa 15mila fanti rappresentanti dei cantoni di Uri, Svitto, Zurigo e Glarona comandati da un cardinale-generale, Matthäus Schiner, vescovo di Sion, fedelissimo del papa, ma soprattutto irriducibile nemico dei francesi. Schiner, parlando più da generale che da uomo di Chiesa, galvanizzò gli uomini promettendo razzia negli accampamenti francesi in caso di vittoria. Il bottino faceva gola più del Paradiso. In questo clima i fanti elvetici lasciarono Milano per dirigersi verso sud. Giunti a contatto con i francesi a Marignano, la sera del 13 settembre 1515, gli svizzeri si inginocchiarono per pregare, come prima di ogni battaglia: “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, questo sarà il nostro cimitero”. Dopodiché si passò dalle preghiere alle armi. I francesi, convinti di aver “comprato” la vittoria grazie a quel milione di corone, si trovarono impreparati: le truppe elvetiche, inferiori per numero e armamenti, potevano contare sull’effetto sorpresa. Colpendo per primi, gli svizzeri cercarono di portarsi in vantaggio grazie alla velocità, sfruttando la leggendaria spinta delle picche di-
sposte in compatti quadrati di fanti. Riuscirono a sfondare il fronte nemico, principalmente lanzichenecchi tedeschi, e a catturare alcuni pezzi di artiglieria. Soldati e mercenari combattevano in mischie disperate, circondati da tenebre sempre più fitte, rese ancora più impenetrabili dal fumo soffocante dei cannoni. Arrivano i “giganti”. Con il coraggio e, forse, l’incoscienza della gioventù, Francesco I non si lasciò intimorire dal violento attacco svizzero. Balzò in sella al suo cavallo per guidare personalmente la cavalleria pesante francese nella controffensiva. Fu una reazione disperata, dettata più dal cuore che dalla tattica. Ma funzionò. La carica dei cavalieri arrestò l’avanzata svizzera, assicurando alle fanterie francesi il tempo per riorganizzarsi. Gli scontri proseguirono fino a mezzanotte, senza che nessuna delle due parti conquistasse un significativo vantaggio. Il sole che sorse la mattina del 14 settembre illuminò una campagna devastata, cosparsa di cadaveri e armi abbandonate. Quella vista non fermò gli elvetici. Partì la replica dello spettacolo di un giorno prima: la colonna centrale degli attaccanti si trovò di fronte i lanzichenecchi al servizio dei francesi, che non ressero l’urto e cedettero terreno. Nel frattempo, però, la cavalleria francese lavorava ai fianchi il nemico per lasciare agli artiglieri il tempo di falcidiare i soldati elvetici, aprendo grosse falle nei quadrati dei picchieri.
Gli schieramenti nella Battaglia dei giganti in una stampa d’epoca.
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LA BATTAGLIA DI MARIGNANO
In due giornate di battaglia morirono almeno 15mila soldati. E la vittoria francese si rivelò inutile: le Guerre d’Italia proseguirono per quasi 50 anni
Francesco I il “Re cavaliere”
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rancesco di Valois salì al trono di Francia il 1° gennaio 1515 e regnò fino al 1547. Divise la sua vita tra i numerosi conflitti che lo opposero all’imperatore Carlo V per la supremazia in Europa e la passione per l’arte e le lettere che lo rese mecenate degli ar-
tisti e studiosi più importanti dell’epoca quali Leonardo, Cellini, Rabelais ed Erasmo da Rotterdam. Iniziato. La Battaglia dei giganti fu il battesimo del fuoco per questo giovane sovrano educato nel culto della cavalleria medioevale. Per
questo, volendo condividere un momento decisivo con i propri soldati e sottolineare il legame di fratellanza tra uomini d’arme, all’indomani della battaglia Francesco chiese a uno dei suoi luogotenenti più fidati, Pierre Terrail de Bayard, di investirlo cavaliere sul cam-
po. Davanti agli uomini d’arme che con lui avevano combattuto a Marignano il re si inginocchiò davanti al de Bayard così che il condottiero, dopo averne toccato la spalla tre volte con la spada, lo dichiarasse cavaliere. E così Francesco I divenne il “Re cavaliere”.
Lo Sforza senza potere A sinistra, Massimiliano Sforza, duca-fantoccio messo sul trono di Milano dagli svizzeri.
A descrivere quel mattatoio pensò anni dopo Francesco Guicciardini, nella sua Storia d’Italia (1561). Lo storico riporta le parole di Gian Giacomo Trivulzio, uno dei comandanti di Francesco I: “Il capitano confermò che non era stata una battaglia di uomini bensì di giganti e che le diciotto battaglie alle quali aveva partecipato in confronto di questa erano state battaglie da bambini”. Una nuova epoca. Già per i contemporanei Marignano segnò il passaggio a un’epoca nuova della guerra. «Dopo le tante vittorie dei fanti svizzeri si era diffusa l’idea che la “medioevale” cavalleria fosse superata e che la fanteria vincesse da sola le guerre. Marignano dimostrò che non era così», spiega Paolo Grillo, docente di Storia delle istituzioni militari all’Università di Milano. «Per dominare il campo era necessario far collaborare strettamente fanti, cavalieri e artiglierie. In questo senso fu la fine della potenza militare della Svizzera, che poteva mettere in campo una sola – per quanto agguerritissima – delle tre armi. Il futuro sarebbe stato dei grandi Stati nazionali (Francia, Spagna, poi anche Inghilterra) in grado di affrontare le colossali spese richieste dal nuovo modo di combattere». La superiorità bellica francese non piegò la tenacia svizzera. Lo stallo, che faceva crescere di ora in ora il numero delle vittime, fu interrotto da un aiuto inaspettato: scesero in campo le milizie venete. Dodicimila uomini al servizio della Serenissima arrivarono in soccorso di Francesco I, travolgendo l’esercito svizzero. A coprire il ripiegamento fu la retroguardia del Cantone di Zurigo che contrastò i tentativi di inseguimento: morirono tutti. Fu vera vittoria? «La battaglia di Marignano e la successiva, momentanea, riconquista francese del ducato (durata meno di 10 anni) precipitarono la Penisola in una nuova stagione di guerre destinata a prolungarsi per quasi mezzo secolo», prosegue Grillo. L’ultima Guerra d’Italia si combatté fra il Sacro romano impero di Carlo V e la Francia nel 1559. Francesco I, in ogni caso, aveva il suo “regalo di compleanno”. Ma gli costò caro: tra i 5mila e gli 8mila soldati morti. Ma fu la Svizzera, con i suoi 10mila caduti, a vedere archiviati i propri sogni di gloria. «Gli eccessivi costi economici e umani dell’avventura italiana dividevano già da tempo i cantoni. Forse anche senza Marignano sarebbe prevalsa l’idea dell’abbandono di una politica espansionistica che superava le possibilità della Confederazione». Nacque così la neutralità svizzera. Proprio mentre moriva definitivamente l’indipendenza del Ducato di Milano e l’Italia era sempre più un semplice bottino da spartire fra i “giganti” d’Europa. • Roberto Roveda
L’UNIONE FACEVA LA FORZA Le picche, disposte in quadrati compatti dai picchieri, erano una forza d’urto.
IN BATTAGLIA SENZA SCUDI A volte i picchieri combattevano senza alcuna armatura.
G. ALBERTINI
SCALA
PICCHIERE SVIZZERO
Lanzichenecchi: i rivali degli svizzeri
A
lla battaglia di Marignano, al soldo di Francesco I, prese parte anche una nutrita schiera di lanzichenecchi. Questa sanguinaria milizia a piedi era stata costituita intorno al 1493 dall’imperatore Massimiliano I arruolando i Landsknecht, ossia i “Servi della regione” (dal tedesco Land, “terra, patria”, e Knecht “servitore”), disperati che miravano ad arricchirsi con i saccheggi e che furono inquadrati in truppe organizzate. Veri mercenari. Sul campo di Marignano, dunque, vennero a scontarsi non solo fanti arruolati a forza e cavalieri, figli cadetti di nobili minori, che avevano imparato a giostrare nei tornei, ma anche dei professionisti della guerra. Ben addestrati e ben equipaggiati, i lanzichenecchi si dividevano in compagnie in base all’arma adottata: lunga picca, spada, corsaletto (corazza leggera), morione (elmo con tesa a barca) e colubrina (cannone a mano). A Marignano i mercenari tedeschi furono una delle armi vincenti dell’esercito di Francesco I, capaci di eguagliare l’esperienza militare e la perizia bellica delle milizie elvetiche. A una ventina d’anni dalla loro costituzione, i tedeschi avevano raggiunto il livello dei “maestri” svizzeri e la rivalità che li divideva dagli elvetici si manifestava in atti di feroce crudeltà contro i prigionieri o i feriti di parte avversaria: la Battaglia di Marignano non fece eccezione.
A OGNI CANTONE IL SUO COLORE Gli svizzeri combattevano con i colori del proprio cantone, qui quello di Unterwald.
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Storia
Sped. in A. P. - D.L. 353/03 art. 1, comma 1 NE/VR
da giotto a michelangelo, da san francesco ai borgia
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Periodico associato alla FIEG (Federaz. Ital. Editori Giornali)
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Fino alle soglie dei alcuni casi anche tempi moderni, e in in seguito, qualunqu generale che e aspirasse a lasciare di sé nella Storia una traccia si è posto come Alessandro Magno. Il sovrano modello fu un conquista macedone tore impareggi uno stratega abile, raffinato, un tattico e brillante un generale imbattuto lucido soprattutto, e, un condottier o di inarrivabi coraggio, sempre le e sotto gli spalti in prima fila in battaglia colpito, ferito di una roccaforte nemica, e vicino alla morte decine volte ma in grado, di motivare i propri con il suo esempio, di uomini come comandante. nessun altro Ma quanta parte ebbero, nelle le innovazio ni e le conquiste sue vittorie, Filippo II di di suo padre, Macedoni impero in decadenza a, la debolezza di un e infine la fortuna, come quello persiano, che gli permise vivo, seppur di uscire malconcio, da tutte le più temerarie azioni belliche? Questo libro racconta le imprese Alessandro di depurandole dall’incredibile mole di leggende dopo la prematurafiorite sul suo conto oltre agli strumenti morte, analizzando, e alle capacità consentirono che gli di diventare il più grande condottiero di tutti della sua strategia i tempi, i limiti e i difetti militare e le che favorirono circostanze i suoi successi.
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Dalle Pontine a Lampedusa, da Ustica alle Tremiti, la colonizzazione delle isole entrate nei possedimenti del Regno delle Due Sicilie, fino ad allora semideserte.
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flashback
“Coltiviamo tonnellate di patate dolci”, dice la didascalia su questa foto scattata nel 1909 in Minnesota (Usa). Si tratta però di un fotomontaggio, uno dei molti realizzati a inizio Novecento con soggetti simili: pesci da record, cetrioli giganti, fragole da trasportare con vagoni merci. Vero invece che la patata, coltivata in America da 5mila anni, è ancora oggi un’importante voce dell’agricoltura Usa. 114
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