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SEMESTRALE FOCUS STORIA COLLECTION N° 1
Sped. in A. P. - D.L. 353/03 art. 1, comma 1 NE/VR
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COME SI VIVEVA
AI TEMPI DEL
FASCISMO I TRENI ER RANO DAV VVERO IN ORARIO? • IL CIBO, LA SCU UOLA E LE MALATTIE • LE LE EGG GI RAZZIALI • I RICORDI DEI NON NNI • AMORI E TEMPO LIIBER RO • COSA RISCHIAVA CHI NON ERA ISC CRIITTO O AL PARTITO? • I PR RODO OTTI “NAZIONALI”: LANITA AL, SALPA A, CAFIO OC...
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abati e sabati passati a marciare, epidemie di geloni, dii-vieto assoluto di fare l’albero di Natale o di usare la parola la a “tennis” (sostituita da “pallacorda”). Niente strade asfaltate ate né bagno in casa o televisione. Telefono e auto solo per pochissimi. mi. Il Ventennio fascista, visto nei suoi aspetti meno politici, più cononcreti, belli o brutti che fossero, è un mondo lontanissimo. In queste ueste pagine abbiamo cercato di raccontarlo trattandolo per quello che he è: storia di un passato ormai remoto, di cui si può scrivere con serenità enità e distacco, senza badare troppo alle odierne esibizioni di svastiche che e saluti romani, per lo più limitate ad alcuni stadi di calcio. Con n due obiettivi. Mostrare come vivessero i nostri padri, nonni e bisnonnonni, prostrati da una prima guerra mondiale e abbagliati dall’idea dea di rinunciare alla democrazia in cambio di un futuro di pace e benessere, che invece sfocerà in un altro, sciagurato, conflitto.. E fare capire a chi ancora si dichiara fascista quanto sia soprattutto ridicolo farlo: sarebbe un po’ come volersi schierare per Napoleone. Interpretare il mondo attraverso lo schema della contrapposizione tra fascismo e antifascismo è ormai anacronistico. Oggi la democrazia non è minacciata dal fascismo: semmai da fenomeni molto più sottili e complessi. Marco Casareto direttore
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VII V EVAM MO ALL L A FASCIST TA
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L’ascesa, la conquista del consenso, l’invadenza nel quotidiano. La vita nel Ventennio analizzata da uno storico.
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Sulle strade circolavano tram, moto, auto, ma soprattutto bici. Navi e aerei, invece, erano riservati a pochi.
L’E ERA A DE EI CINE EGIO OR NALII
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Li proiettavano nei cinema, in piazza, a scuola: erano i filmati dell’Istituto Luce, fatti per esaltare il regime.
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SC CENAR R I DII MA A RM MO
M A ESTR RO DI DITT TATU URA A
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I CR IMIN NI IN N VISIB BIL LI Si viveva più sicuri durante il regime? Dopo tanti luoghi comuni, ecco i dati reali su delitti, furti e suicidi.
GIIOCHI DA BAL LILL LA Scalzi per strada, in divisa a scuola e in colonia: la vita dei bambini, quando la Befana era fascista e i giocattoli di latta.
LA A M ACC CHIINA DE EL CON NSE ENSO O Censura, uso della radio, campagne stampa: le tecniche della propaganda.
Come un insegnante elementare divenne il “duce”, conquistando l’Italia con minacce e propaganda.
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VÈ ÈST TITII, US SCIA A MO O Quando la sottoveste era d’obbligo, i cappellini fantasiosi e le calze con la riga indispensabili.
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Il regime aveva bisogno di edifici spettacolari per celebrare se stesso.
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BIINA RI, ELIICHE E E PED DAL LI
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IT TA LII AN NI A CON NFR RONTO Faccia a faccia di cifre tra due Italie, quella del Ventennio e quella di oggi. Fascismo
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AL LL A CO ONQ QUIST TA DE ELLE PA A LU UDI
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INS SER RTO 118
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UN N PO OST TO A L SOLE E 130
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QU UA NDO O NO ON C’ER RA L “ W EEK K EN ND” IL
S Fascismo
I GR A ND DI A NTIIFAS SCIS S TI Un ritratto degli oppositori, le poche personalità che riuscirono a dire no.
QU UA L COSA È RIIMA AS TO O Quel che resta del fascismo dopo 80 anni.
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LA A VIITA SCO OMO ODA A Che cosa succedeva a chi non aderiva al fascismo? E a chi si ribellò a viso aperto?
PA A ROLE IN FASC CIST TESE E
I nostri nonni passavano il (poco) tempo libero in modo assai diverso.
FR R ATELL LI D’ITA A LIA A La discriminazione degli ebrei fu colpa del fascismo? O in Italia il germe dell’antisemitismo c’era già?
Quelle pompose dei discorsi ufficiali. E quelle dell’italianizzazione forzata.
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IL L FASCIIO VA IN N CA A MPO Migliaia di nuovi impianti e di società sportive. Il duce ci voleva tutti atleti.
La vita nelle colonie dell’Africa Orientale Italiana, conquistata nel 1935-36.
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LA A SA A PE E TE E L’ULTIIM A? Raccontare una barzelletta poteva costar caro, se il bersaglio era Mussolini.
I prodotti dell’epoca, rigorosamente italiani, e la cronologia degli eventi.
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NIIENTE CA A RNE E, SII A MO IT TAL LIAN NI Sulle tavole del Ventennio regnava la penuria. E l’arte di arrangiarsi.
A CON NTI FAT T TI... La vita era più cara. Ma sul lavoro ci furono anche progressi sociali.
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IL L TEMP PO DEI GEL LONI I nostri nonni erano tormentati dal freddo e minacciati da tisi e malaria.
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Era Achille Starace, per 8 anni segretario del partito. Oggi le sue disposizioni agli iscritti ci fanno sorridere.
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GL LI SCIE ENZ Z I AT TI DE EL DUC CE Il contributo del “genio italico” al fascismo: molto fumo, poco arrosto.
Dai futuristi alla retorica di regime, una selezione di artisti dell’Italia fascista.
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DA A L FOC COL L ARE E AL L BO ORD DEL LLO Corteggiamenti, matrimoni di massa, prostitute: l’amore ai tempi del regime.
Gerarchi, collaborazionisti, donne affascinate dal duce... I fedelissimi.
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LA A FA A BB BRIC CA DEI SO OGNI Le origini di Cinecittà, nata per battere la supremazia di Hollywood.
La bonifica dell’Agro Pontino fu un successo per la propaganda fascista, ma non diede risultati economici.
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LO O SF FAS SCIO O Il tragico epilogo, fra le bombe degli Alleati e le mine dei tedeschi.
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LE E T T UR R E CONSIG GLIA ATE www.focusstoria.it
Emozionati con lo spettacolo della Storia Riflettori puntati sugli eventi del passato
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L’INTERVISTA
Come fu possibile che il fascismo prendesse il potere,
VIVEVAMO ALLA D
alla scuola alle istituzioni, dalla vita di tutti i giorni alle manifestazioni di piazza che inneggiavano al duce, il fascismo non fu un fenomeno “contro”. Tutt’altro. Riuscì a innestarsi nella società italiana conquistando, almeno all’inizio, un vasto consenso. Usando la macchina della comunicazione e la gestione minuziosa di ogni aspetto del quotidiano – questione femminile, economia domestica, educazione, sport, urbanistica, pianificazione agricola – ottenne la nascita di una nuova nazione, l’Italia fascista, con i suoi figli della lupa e la retorica littoria. Ne abbiamo parlato con lo storico Giovanni Sabbatucci, che fu allievo di Renzo De Felice ed è considerato oggi uno dei massimi studiosi italiani del fascismo. Una volta passato lo spettro della Prima guerra mondiale, quali fattori favorirono il radicamento in Italia dell’ideologia fascista? «Dopo la tragica esperienza della Grande guerra, il fascismo seppe soddisfare una serie di aspettative collettive che andavano dal desiderio di ordine a quello di aggregazione, senza peraltro rinunciare all’uso della forza. L’adesione popolare al regime, attestata da numerose testimonianze e memorie familiari, fu quindi dovuta in parte alla paura provocata dalla violenza squadrista e in parte proprio alla voglia di ordine sociale, accompagnata dalla convinzione (infondata) che il Paese potesse presto ottenere lo status di grande potenza. Era inoltre diffusa la sensazione che entrare a far parte della comunità fascista potesse costituire una buona occasione di promozione sociale, in particolare per i ceti medio-bassi».
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S fascismo
Omaggio a Mussolini 1939: sulla strada per Verrès (Aosta) balilla e avanguardisti presentano le armi al duce, ordinatamente disposti su un grande arco a forma di “M”.
godendo per anni di un così largo consenso?
FASCISTA In quest’opera di convincimento un ruolo significativo fu giocato anche dall’arte, che in molte sue espressioni fu asservita alla cosiddetta macchina del consenso... «Il settore più coinvolto fu senza dubbio quello del cinema (v. a pag. 96), un’arte che, a detta dello stesso duce, costituiva “l’arma più forte”. In ogni caso, i film palesemente politici non furono numerosi, ed era semmai più diffusa la commedia borghese dei “telefoni bianchi” (appellativo dovuto alla presenza in queste pellicole di apparecchi telefonici bianchi che, a differenza dei più diffusi apparecchi neri, indicavano un alto grado di benessere, ndr). Grande schermo a parte, vennero sfruttate anche le arti figurative (v. a pag. 60) e molti pittori e scultori furono incaricati di celebrare i fasti del regime. Non si sviluppò però una vera e propria scuola pittorica o scultorea fascista, contrariamente a quanto accadde in Unione Sovietica con la corrente del realismo socialista». Culto del corpo, dell’efficienza fisica: che ruolo ebbe lo sport nell’imporre un modello fascista? «Un ruolo importante, tant’è che gran parte dell’organizzazione sportiva italiana nacque con il fascismo (v. a pag. 118), trovando espressione architettonica nel monumentale complesso del Foro Italico (nato come Foro Mussolini, v. a pag. 14) a Roma. Lo sport costituì uno strumento utile per inquadrare la gioventù e, poiché stava diventando un fenomeno di massa, rappresentò anche un veicolo di propaganda. Gli stadi e le altre strutture sportive favorivano poi quelle sfarzose adunate che tanto piacevano al duce. A proposito di coreografie fasciste, c’è da dire che se alcune possono rischiare oggi di apparire esagerate o ridicole, non si deve sottovalutare la potente forza di persuasione che ebbero».
Giovannni Sabbbatuccci, docente di Storia contemporanea all’Università di Roma La Sapienza, è riconosciuto come uno dei massimi esperti sulla crisi dello Stato liberale italiano e l’avvento del fascismo.
In che misura l’ideologia penetrò nelle scuole e nelle università? «In proposito bisogna fare una piccola distinzione: la penetrazione fu profonda per quanto riguarda la scuola di base (v. a pag. 24) – grazie anche all’adozione di un libro di testo unico – e più superficiale per quanto riguarda licei e università (nonostante i docenti fossero obbligati a giurare fedeltà al regime). Ciò non significa però che la cosiddetta “cultura alta” fosse apertamente antifascista o a-fascista, ma semplicemente che i suoi esponenti riuscirono a inserirsi nelle strutture di regime senza violentare i propri valori culturali». Il fascismo gettò anche un ponte alla Chiesa. A che livello era il rapporto con il clero e con la religione? «In ambito religioso sussisteva una delle tante contraddizioni del regime. Il fascismo nacque infatti laico e rimase sostanzialmente pagano, dacché il suo fine ultimo era quello di fondare una specie di religione terrena. Ciononostante procedette a braccetto con la Chiesa di Roma, che da parte sua vedeva nel regime un utile strumento per la riconquista cristiana della società. La frattura tra le due parti tornò in ogni caso a incrinarsi dopo l’emanazione delle leggi razziali (1938) e ancor di più con l’entrata in guerra (1940)». Il regime riuscì a coinvolgere mai come prima il mondo femminile. In che modo era considerata la donna? «L’atteggiamento nei confronti della donna (e più in generale della famiglia) fu contraddittorio: da un lato, anche in omaggio alla Chiesa, c’era infatti l’imposizione di un modello ultra-tradizionalista di donna “madre e sposa” (v. a pag. 98), mentre dall’altro si favoriva la mobilitazione sociale femminile tramite organizzazioni come i Fasci fem▸ minili o le Massaie rurali». fascismo
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IL FASCISMO EBBE ALL’INIZIO L’APPOGGIO DI TANTI PERCHÉ FU CAPACE DI INCUNEARSI IN OGNI AMBITO Quali interventi apportò il regime nell’ambito delle infrastrutture? «Con il fascismo si registrarono miglioramenti soprattutto nel settore delle comunicazioni, si pensi alla nascita delle prime autostrade (v. a pag. 30), ma resta da capire quanto tali evoluzioni siano da attribuire al regime o rientrino invece in una tendenza comune ai Paesi europei. L’intervento più significativo – e tipicamente fascista – fu certamente la bonifica dell’Agro Pontino (v. a pag. 52): un’opera di grande impatto propagandistico e allo stesso tempo di indubbia efficacia pratica». C’è chi per molto tempo ha considerato l’architettura fascista l’unica vera espressione del genio italiano nel XX secolo. Quale giudizio ne offre oggi la storiografia? «L’architettura di epoca fascista è stata spesso identificata con il monumentalismo, con la retorica imperiale e con gli interventi di sventramento dei centri storici, quello di Roma in particolare, ma in epoca recente sono state valorizzate le sue correnti moderniste e razionaliste (v. a pag. 10). Esempi in tal senso sono, sempre nella capitale, il citato Foro Mussolini e la Città universitaria della Sapienza. Ma come per le arti figurative e il cinema, non è possibile parlare di un fenomeno unitario».
Vi fu anche un particolare sviluppo della ricerca scientifica? «Sì e no. Il regime, soprattutto negli anni dell’autarchia, favorì alcuni settori scientifici come quello della chimica, fu per esempio creata l’Agip (Azienda generale italiana petroli), e della fisica – si pensi al gruppo di studiosi orbitante attorno a Enrico Fermi nei laboratori di via Panisperna a Roma (v. a pag. 104) – dando anche vita al Consiglio nazionale delle ricerche, il Cnr. Ma le eccellenze in campo scientifico esistevano in Italia anche prima del fascismo e a prescindere da esso, ed è quindi difficile individuare una vera politica scientifica fascista». Molti di questi scienziati erano ebrei. Come scorreva la vita di tutti i giorni per le persone di religione ebraica? E tra la gente era più diffusa l’intolleranza o c’era invece solidarietà verso questa componente della società italiana? «Almeno fino alle leggi razziali, la vita degli ebrei, di quelli dello storico ghetto romano così come di tutti gli altri, non era nella sostanza diversa da quella del resto degli italiani. Dal 1938 tutto cambiò in peggio (v. a pag. 124). A causa dell’esiguità della comunità ebraica e del suo elevato tasso di integrazione, nel Paese non si registrò mai
una vera corrente di antisemitismo popolare, come accadde invece nei Paesi dell’Est Europa e nella stessa Francia. Ma non vi fu neanche una reazione forte di fronte a un fenomeno aberrante come la discriminazione ebraica. Si registrarono molti atti di solidarietà (soprattutto durante l’occupazione nazista) ma non mancarono le delazioni e i tentativi di trarre un qualche profitto dalla situazione». Oltre alle citate leggi razziali, vi furono altri episodi che fecero perdere consenso al regime o che addirittura spinsero la popolazione a opporvisi? «Intanto va sottolineato che quella di opporsi al fascismo fu una scelta terribilmente coraggiosa in quanto decisamente minoritaria. Il grosso della popolazione era infatti diviso tra chi sosteneva il regime e chi lo accettava ritenendolo inevitabile. Dunque, le motivazioni di chi preferì fare opposizione militante sono da ricercare in una strenua fedeltà agli ideali libertari. Mentre per quel che riguarda il consenso, esso subì le prime incrinature a partire dalla fine degli anni Trenta e ancor più dopo le prime sconfitte subite in guerra, dissolvendosi come neve al sole con lo sbarco alleato del 1943».◉ Matteo Liberti
Fasci alla romana
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cominciare dal nome, il fascismo rievocò molti simboli dell’antica Roma, che diventarono strumenti di una sorta di religione laica. Autoritario. Il termine fascismo apparve nell’Ottocento, riferito ai moti contadini detti “fasci siciliani”. E “fascio” era all’epoca qualsiasi associazione non partitica. Dal 1923 il fascio littorio – che già era stato un’insegna della
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Rivoluzione francese – invase l’Italia. Derivava dal simbolo dell’autorità dei magistrati nell’antica Roma (e prima ancora presso gli Etruschi): fasci di verghe (per fustigare) con una scure in mezzo (per decapitare) portati a spalla dai “littori”. Sempre nel ’23, abolito il 1° maggio la festa dei lavoratori confluì nel Natale di Roma (21 aprile), leggendaria data di fondazione della Capitale, nel 753 a. C.
Altro che pace! Anche il saluto era “romano”: braccio destro teso verrso l’alto e mano aperta a in segno di pace. Mussolini da capo del governo si trasformò in “duce”, dal latino dux (“colui che guida”). I solol-dati diventarono “legioonari”, i bambini sotto gli gli 8 anni “figli della lupa” e i sindaci “podestà”, termine di uso medioe-vale che indicava chi aveva la potestas (in laa atino “autorità”). (a. cc.) .))
Parata di gruppi provinciali fascisti negli Anni ’30: sulle insegne, l’aquila romana. www.focusstoria.it
PROPAGANDA
i e d a r i e l ’ l a n r o i g e n ci
Un solerte operatore del Luce a Trieste.
Lo speeakeer che div venttò simb bolo o
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Il megafono di Mussolini Nel 1937 il duce posa la prima pietra della nuova sede dell’Istituto Luce a Cinecittà.
I FILMATI DELL’ISTITUTO LUCE ERANO PROIETTATI AL CINEMA, IN PIAZZA E NELLE SCUOLE. PER ESALTARE IL REGIME
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è stato un tempo in cui il telegiornale si guardava al cinema. Si chiamava Giornale cinematografico Luce (ma per tutti era “il cinegiornale”), durava 10 minuti e veniva proiettato, anche nelle scuole, 4 volte la settimana. A realizzare i filmati era l’Istituto nazionale Luce. Stat talizza ato. Nel 1923, per iniziativa del giornalista Luciano De Feo, era nato il Sindacato istruzione cinematografica (Sic), che aveva lo scopo di realizzare documentari educativi per un’Italia ancora in gran parte analfabeta. De Feo presentò l’iniziativa a Mussolini, che ne capì subito le potenzialità come strumento di propaganda e suggerì di ribattezzare la società L.U.C.E. (L’Unione Cinematografica Educativa), prima di trasformarla, nel 1925, in ente statale
con il nome Istituto nazionale Luce. Nel 1926 una legge rese obbligatoria in tutti i cinema italiani la proiezione di parate militari, eventi sportivi e, dal 1927, dei cinegiornali. Negli anni del regime, in tutto, ne furono prodotti più di 3 mila. Mussolini aveva capito che la forza delle immagini, magnificando i traguardi raggiunti e dando enorme risalto alla sua figura, gli avrebbe fatto guadagnare consenso popolare. Inoltre, le tecniche di montaggio permettevano di prendersi gioco degli avversari: il presidente Usa Roosevelt, mostrato con la moglie davanti al caminetto, appariva ridicolo. Eppure, a metà degli Anni ’30, una parte dei dirigenti fascisti ritenne che il Luce non fosse più in grado, da solo, di fare una propaganda degna del regime. Fu così che nel 1938 il giornalista Sandro
uando capita di rivedere i filmati dell’Istituto Luce, un particolare ci fa sorridere: la voce impostata dello speaker, così lontana da quella degli annunciatori di oggi. Ma il proprietario di quella voce, che accompagnò tutti i filmati dal 1931 (prima i cinegiornali erano muti) è rimasto misterioso, e c’è anzi chi ritiene che le voci fossero più d’una. Depistati? La voce del Luce è stata talvolta identificata con quella dell’attore e speaker radiofonico Guido Notari (1893-1957). In realtà, pur avendo lavorato anche per l’Istituto Luce, Notari era la voce ufficiale della Incom (v. articolo). L’equivoco sarebbe nato nel dopoguerra, quando i cinegiornali Incom continuarono a essere trasmessi con la voce di Notari, che restò così impressa in maniera indelebile nella memoria popolare.
Pallavicini fondò la società privata Incom (Industria cortometraggi Milano), che produceva filmati propagandistici e ruppe il monopolio del Luce. e. Gli anni della guerra fuAl fronte rono seguiti con particolare attenzione dal Luce, che inviò al fronte ben 17 unità di ripresa, pagando il suo contributo di vittime. I documentari dovevano dimostrare che l’esercito italiano era invincibile, nonostante le scarne vittorie. Con la nascita della Repubblica di Salò, il Luce si trasferì a Venezia, ma si limitò a produrre solo il cinegiornale e a distribuire quelli tedeschi, doppiati in italiano. La fine della guerra spazzò via il regime, ma non l’Istituto Luce che, tornato a Roma, continuò a esistere come Istituto nazionale Luce nuova. ◉ Emiliano Longo fascismo
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MEMORIE
SCENARI I “PALAZZONI” FASCISTI NACQUERO PERCHÉ IL REGIME AVEVA
Rifatta La Stazione centrale di Milano è il rifacimento di un edificio del 1864. Questa seconda versione, espressione della potenza del regime, fu completata sotto il fascismo e inaugurata nel 1931.
L’architettura fascista è sinonimo di monumentalità grigia e opprimente. Ma in quegli anni si costruirono anche chiese, stazioni e asili d’infanzia ispirati ai movimenti d’avanguardia. E spesso ancora oggi in uso.
DI MARMO BISOGNO DI EDIFICI E LUOGHI PER CELEBRARE SE STESSO A Roma Eur Sopra, il Palazzo dei congressi nel quartiere dell’Eur, sigla che sta per Esposizione universale di Roma. L’evento, impedito dalla guerra, nel 1942 avrebbe dovuto celebrare i 20 anni della Marcia su Roma.
Fame di case Un cortile delle Case Federici, a Roma, un vasto complesso di 440 alloggi popolari progettato nel 1931 da Mario De Renzi e realizzato dall’Impresa Federici. Nel 1977 Ettore Scola vi girò il film Una giornata particolare. fascismo
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NELLE PALUDI BONIFICATE FURONO COSTRUITE NUOVE
La propaganda sul grande schermo
Il teatro per le adunate giovanili
Il Cinema Impero a Marsala (Trapani) era un’arena scoperta che negli Anni ’30 acquistò un tetto e divenne funzionale alla diffusione dei cinegiornali di regime.
L’Auditorium Modernissimo di Nembro (Bergamo), inaugurato nel 1937, era la sede dell’Opera nazionale balilla e ospitava le adunate della gioventù littoria.
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CITTÀ: 60 BORGHI E 13 CENTRI URBANI NATI DAL NULLA
Migliaia di Case del fascio Oggi è la sede dell’Agenzia delle entrate, ma era la Casa del fascio (la sede del partito) di Asti, progettata nel 1933 in stile razionalista. Sul territorio ne esistevano più di 11 mila. www.focusstoria.it
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La piscina Si ispira alla classicità greca la piscina olimpionica coperta del Foro Italico (allora Foro Mussolini), progetto di Costantino Costantini, sorta negli Anni ’30 nello stile monumentalista dell’epoca.
L’ARCHITETTURA RAZIONALISTA, STILE ALL’AVANGUARDIA Metafisica Interno della chiesa milanese di Santa Maria Annunciata, nota come Chiesa Rossa. Il progetto fu portato a termine nel 1932 da Giovanni Muzio, urbanista che si rifaceva alla metafisica di Giorgio De Chirico.
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A scuola L’Asilo infantile Sant’Elia a Como, edificio razionalista di Giuseppe Terragni, fu progettato nel 1936 sulla base di un nuovo concetto: la scuola all’aria aperta. Luminoso e innovativo, funziona ancora oggi.
NEGLI ANNI ’20 E ’30, PUNTAVA SU FUNZIONALITÀ E RIGORE
Pietra miliare L’atrio della ex Casa del fascio di Como, del 1932, un altro edificio di Giuseppe Terragni. Esempio del razionalismo italiano, è tuttora considerata dai critici una pietra miliare dell’architettura moderna europea.
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UN QUARTIERE DI ROMA FU DEMOLITO PER COSTRUIRE
Poste dal gusto geometrico Il Palazzo delle poste di Testaccio, un quartiere di Roma. Come il Palazzo dei congressi dell’Eur, era opera di Adalberto Libera, uno dei maggiori esponenti del razionalismo. Lo firmò con Mario De Renzi.
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VIA DEI FORI IMPERIALI, DOVE IL REGIME SFILAVA IN PARATA
Monumento a una nuova idea di città Il Palazzo della civiltà italiana all’Eur, finito nel 1940, è uno degli edifici più emblematici della corrente razionalista italiana. Era parte della Roma ripensata dall’architetto di regime Marcello Piacentini. www.focusstoria.it
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Azione dimostrativa A destra, roghi durante la Marcia su Roma organizzata il 28 ottobre 1922 da Benito Mussolini (a sinistra) fondatore dei Fasci di combattimento. Nella capitale affluirono migliaia di fascisti che minacciarono di prendere il potere con la forza, ma Mussolini aveva già in tasca l’incarico di presidente del Consiglio.
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COME UN INSEGNANTE ELEMENTARE DIVENNE DUCE, CONQUISTANDO L’ITALIA FRA MINACCIA DELLA VIOLENZA E COSTRUZIONE DEL CONSENSO
MAESTRO DI P
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otevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo sprangare il parlamento e costituire un governo composto esclusivamente di fascisti. Potevo, ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto”. Così Benito Mussolini si presentò alla Camera dei deputati il 16 novembre 1922 per ottenerne la fiducia. Dopo mesi di violenze squadriste contro i partiti e i sindacati di sinistra, il 26 ottobre iniziò la cosiddetta Marcia su Roma, conclusasi il 30 ottobre, dopo che circa 25 mila camicie nere, armate solo in parte e malamente, erano affluite indisturbate nella capitale. Del resto il capo del fascismo era comodamente giunto a Roma in vagone letto da Milano, con già in tasca, virtualmente, l’incarico di Vittorio Emanuele III di formare un governo di coalizione.
Bast Ba stone e ca carota. L’avvento del fascismo, come sostiene lo storico inglese Donald Sassoon nel recente Come nasce un dittatore (Rizzoli), fu dunque l’esito di una combinazione tra l’uso della forza, esibita e minacciata con la mobilitazione teatrale degli squadristi, e il rispetto formale della legge. E anche se nella successiva retorica di regime quella presa del potere fu sempre celebrata come rottura violenta, “atto indiscutibilmente rivoluzionario”, Mussolini prestò giuramento al sovrano e alla Costituzione e si presentò al Parlamento, dal quale chiese e ottenne pieni poteri. “Dite la verità, che abbiamo fatto una rivoluzione unica al mondo” intimò in quei giorni il trentanovenne Benito (il più giovane primo ministro nella storia dell’Italia unita) rivolgendosi a un giornalista del Corriere della Sera. In effetti per la pri- ▸
SOLO L’ASSASSINIO DI MATTEOTTI, NEL 1924, SANCÌ LA FINE DEL SOSTEGNO LIBERALE AL FASCISMO
Reduci alleati Un comizio di Mussolini ai reduci della Prima guerra mondiale, nel 1928.
In carica Mussolini (al centro) e i suoi ministri nella prima seduta del governo da lui presieduto, nel novembre del 1922.
Pericolo rosso? Sopra, la folla sul luogo del rapimento, nel 1924, del deputato socialista Giacomo Matteotti (nel tondo a sinistra).
ma volta nell’Europa Occidentale delle democrazie il potere era stato affidato al capo di un partito-milizia da lui stesso fondato, che dichiarava che lo Stato liberale era superato e che il parlamentarismo, con i deputati democraticamente eletti, era virtualmente morto. Malgrado i proclami antidemocratici, l’esercizio del potere con metodi violenti e senza il rispetto delle regole, la data di inizio del regime dittatoriale va però posticipata di circa due anni, al 3 gennaio 1925. Solo allora Mussolini si assunse, in un discorso alla Camera dei deputati, la “responsabilità morale e politica” di quanto era avvenuto durante il suo mandato (con esplicito riferimento all’assassinio di Giacomo Matteotti, il deputato socialista che aveva denunciato in parlamento le violenze e le intimidazioni compiute dal partito fascista) dichiarandosi pronto a scatenare la violenza per eliminare ogni opposizione. Tota To talitario. o. I provvedimenti “a difesa dello Stato” varati il 5 novembre 1926, dopo che già erano stati sciolti i sindacati e i partiti, e chiusi o neutralizzati i giornali non fascisti, segnarono la definitiva chiusura di tutti gli spazi di libertà. Da quel momento opporsi a Mussolini, al suo governo e al suo partito significò essere fuorilegge. Eppure www.focusstoria.it
Alla conquista dell’America
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ussolini godette di buona stampa negli Usa nei primi anni della dittatura. Fece da apripista il successo editoriale di The life of Benito Mussolini (1925), versione inglese della biografia scritta da Margherita Sarfatti. La stessa Sarfatti fu l’artefice di una collaborazione, ben retribuita, di Mussolini con l’agenzia d’informazioni United Press, alla quale il duce fornì una serie di articoli sulla sua vita quotidiana, pubblicati nel gennaio 1927. Ambito. Il racconto che egli faceva di se stesso nella biografia – lavoratore instancabile, eccellente sportivo, salutista (avverso all’alcol mentre l’America era in pieno proibizionismo) – piac-
non tutti gli storici sono stati d’accordo nel definire l’Italia fascista uno Stato totalitario. Ha avuto per esempio molto seguito, tra gli storici del dopoguerra, la posizione autorevole della politologa Hannah Arendt che, identificando l’essenza del totalitarismo con il terrore e lo sterminio di massa, ha circoscritto l’area dei regimi totalitari al nazismo e al comunismo stalinista. Secondo la studiosa tedesca, il cui giudizio fu condiviso tra gli altri dagli storici del fascismo Alberto Aquarone e Renzo De Felice, Mussolini si accontentò “della dittatura del partito unico”, imitato dai governi di destra sorti tra le due guerre in Romania, Polonia, Ungheria, Portogallo, Spagna e negli Stati Baltici. Di parere diverso è oggi Emilio Gentile che, distinguendo tra una fase autoritaria (fino al 1929, anno del plebiscito, in cui si votò “sì” o “no” a una lista unica) e una successiva fase totalitaria, ritiene che il fascismo abbia anticipato proprio Hitler e Stalin, imponendo nel nostro Paese una società sotto controllo totale. Insomma, fu vera dittatura e fu anche il primo esempio di totalitarismo. Fasc Fa scistizzat ati. “Un partito che governa totalitariamente una nazione è un fatto nuovo nella Storia. Non sono possibili riferiwww.focusstoria.it
que ai lettori, tanto da suscitare l’interesse di altri editori, tra cui il potente William Randolph Hearst, sui cui giornali apparvero tra il 1931 e il 1934 decine di articoli, alcuni firmati da Mussolini altri dalla Sarfatti. Il divorzio. Il duce come superstar politica, un self made man anticomunista, fece breccia anche nell’industria di Hollywood: il film documentario Mussolini speaks (1933), prodotto e distribuito dalla Columbia pictures, incassò negli Stati Uniti un milione di dollari. La fascinazione per Mussolini, che piaceva persino a Franklin Delano Roosevelt all’inizio del mandato, finì però con l’intervento italiano nella guerra civile spagnola.
menti o confronti” scrisse lo stesso Mussolini nella sua Dottrina del fascismo (1932). L’operazione di fascistizzazione dello Stato attraverso il partito partì già nel 1923 con l’istituzione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (Mvsn), che mise la forza armata del partito alle dirette dipendenze del capo del governo. Ma cominciò a incidere sugli italiani a partire dal 1926, quando il fascio littorio diventò emblema ufficiale dello Stato. Nel 1928 il Gran consiglio, organo supremo del partito, diventò anche organo dello Stato. E dal 1932 la tessera del partito fascista fu necessaria per partecipare ai concorsi pubblici. Il partito, nelle cui organizzazioni confluirono, nel corso degli anni Trenta, tutte le categorie di cittadini, senza distinzioni di sesso e di età, dai giovanissimi “figli della lupa” alle “massaie rurali”, doveva svolgere la funzione di grande pedagogo seguendo – come si legge in un opuscolo del 1936 intitolato Il cittadino soldato – i cittadini “in tutto il loro sviluppo, e prima ancora del loro venire alla luce e formarsi, non abbandonandoli mai, dando a tutti una coscienza e una volontà unitarie e profondamente accentrate”. Il monopolio dell’attività politica, dell’attività assistenziale e del tempo libero (dalle colonie estive ai dopolavoro), l’inquadramento e la mobilitazione delle giovani generazioni, dai balilla agli avanguardisti, furono alla base di quel regime totalitario fatto di violenta coercizione, ma anche di largo consenso. Fin da piccolo, secondo la dottrina mussoliniana, “l’uomo nuovo”, il futuro cittadino soldato, si sarebbe dovuto svuotare della propria individualità per lasciarsi interamente assorbire nella comunità totali▸ taria. E votarsi al culto del capo supremo. fascismo
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NEL FILM DI CHAPLIN “IL GRANDE DITTATORE”, MUSSOLINI DIVENTÒ IL TIRANNO BONITO NAPOLONI Scelta unica Propaganda per il plebiscito del 1929: la lista era unica e si votava solo “sì” o “no”. Sotto, Mussolini e il cardinale Pietro Gasparri siglano quello stesso anno i Patti lateranensi, via diplomatica alla soluzione della “questione romana”, sorta con l’Unità d’Italia.
“Rel “R eligione ne” politica ca.. Nel 1932, in occasione del decennale della Marcia su Roma, venne inaugurata la Mostra della rivoluzione fascista. Soggetto principale di quadri, sculture e fotomontaggi era Mussolini: il suo culto divenne l’elemento centrale della nuova “religione” politica, l’altra novità – sempre secondo Emilio Gentile – della via italiana al totalitarismo. La liturgia fascista, con i suoi martiri e i suoi santi (gli eroi della guerra patriottica e i combattenti in camicia nera caduti nel corso delle imprese dello squadrismo), i suoi luoghi di culto (le Case del fascio), i suoi riti di iniziazione e di comunione (l’appello dei morti, i cortei funebri, il giuramento fascista), le sue vaste assemblee di credenti (le adunate a cui fece tante volte da scenario, a Roma, l’Altare della patria), il mito fondatore nella romanità antica (Mussolini fece di Roma la vetrina del regime, immaginandola come una capitale universale), ebbe il suo dio-sacerdote nella persona del duce. Era lui il capo indiscusso che si riteneva capace di suscitare una nuova fede in grado di trasformare le masse in una “comunità morale organizzata totalitariamente”, realizzando così l’unità della nazione e della stirpe.
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Fabb Fa bbrica dii consenso so. Il culto di Mussolini, “il solo Capo, da cui ogni potere promana. Il pilota, il solo pilota cui nessuna ciurma può sostituirsi”, si sviluppò a partire dal 1926 per iniziativa di Augusto Turati, segretario del Partito nazionale fascista (Pnf) fino al 1930. Nel decennio successivo, durante la lunga segreteria di Achille Starace, l’inventore del cerimoniale mussoliniano (v. a pag. 66), l’ex insegnante delle elementari fu trasformato in eroe e quasi santo, un “uomo della Provvidenza”, come era stato definito da papa Pio XI dopo la firma, nel 1929, dei Patti lateranensi. Pensatore e statista, scrittore, artista e fondatore di imperi, ma anche lavoratore della terra, abile nel maneggiare il ferro e il fuoco nonché sportivo eccellente in tutte le discipline, “il più bello, il più forte, il più buono dei figli della nostra madre Italia” (la definizione, del 1928, è di Turati) e molto altro. Mussolini non perse mai occasione per valorizzarsi davanti a fotografi e cineoperatori: mostrandosi ora in orbace per i discorsi al popolo, ora a torso nudo per le fatiche della mietitura, imbracciando il piccone per l’edificazione della nuova Roma, giocando con i figli a Villa Torlonia o nuotando intrepido nel Mare Nostrum. Per diffondere questa sua immagine servivano potenti mezzi. Soppressi nel 1926 tutti gli organi d’informazione di opposizione, Mussolini fece in modo che i grandi quotidiani nazionali fossero mantenuti in vita, ma con direzioni e redazioni a lui fedeli. Al sottosegretariato della Stampa e propaganda, diventato ministero nel 1935 sotto la guida del genero Galeazzo Ciano e trasformato nel 1937 in ministero della Cultura popolare (abbreviato in Minculpop), fu affidato il compito di orchestrare propaganda e informazione: emanare direttive, filtrare e selezionare le notizie, censurare tutto quel che potesse in qualche modo attentare al morale degli italiani, fosse anche la foto dell’ex campione del mondo dei pesi massimi, Primo Carnera, messo al tappeto nel 1935 da Joe Louis, pugile d’oltreoceano all’epoca sconosciuto e per giunta “negro”. Anche la radio e il cinema svolsero una precisa funzione nella fabbrica del consenso. La prima fu posta sotto il diretto controllo dello Stato con la creazione dell’Eiar nel 1927 e fu usata in modo assai innovativo nelle adunate di massa, in occasione delle quali le parole del dittatore riecheggiavano con gli altoparlanti da una piazza all’altra d’Italia: accadde il 2 ottobre 1935 con la dichiarazione di guerra all’Etiopia, il 9 maggio 1936 in occasione della proclamazione dell’impero e infine il 10 giugno 1940 per annunciare l’entrata in guerra a fianco dell’alleato nazista. Gran Gr ande sch chermo. L’altra potente arma per creare il consenso fu il cinema. In realtà, solo il 5% del totale della produzione nazionale (cioè non più di una trentina di film) ebbe, secondo De Felice, fini espliciti di propaganwww.focusstoria.it
Arte di regime L’inaugurazione della nuova sede dell’Istituto Luce a Cinecittà, allestita nel 1937 alle porte di Roma.
Nuova identità Sotto, una tessera del partito fascista del 1939. Dal 1937 era considerata equivalente alla carta d’identità.
da. Ma tutte le pellicole, italiane e non, distribuite nelle sale durante il Ventennio erano comunque sottoposte alla censura. Determinante fu il ruolo svolto dall’Istituto Luce, nato per iniziativa privata nel 1923 e diventato ente di Stato nel 1925 con lo scopo di svolgere opera di propaganda e diffusione della cultura attraverso il cinema. Con la sua produzione differenziata (cinegiornali, documentari e quella che oggi chiameremmo fiction) il Luce svolse un ruolo non certo secondario nell’organizzazione del consenso. Il cinema diventò negli anni Trenta la forma di intrattenimento più popolare: grazie agli autocinema (automezzi attrezzati con proiettori: piccoli cinema itineranti) raggiungeva anche le aree più remote. E i cinegiornali, prologo obbligato a ogni film (v. a pag. 9), trasmettevano sul grande schermo l’immagine idealizzata del regime e del duce, ma anche dell’Italia e degli italiani. Uomo Uo mo fatal ale. “Se mi riuscirà, se riuscirà al fascismo, di sagomare così come lo voglio il carattere degli italiani” assicurava Mussolini nel 1926 “state tranquilli e certi e sicuri che quando la ruota del destino passerà a portata delle nostre mani noi saremo pronti ad afferrarla e a piegarla alla nostra volontà”. La prowww.focusstoria.it
messa convinse molti: alla fine del 1939, secondo il rapporto del segretario del Pnf Achille Starace, su 43.733.000 italiani, 21.606.468 erano iscritti a una qualche associazione facente capo al partito. Forgiato il materiale umano, per usare il linguaggio di Mussolini, era tempo di “prendere d’assalto la Storia”. Il 10 giugno 1940 il duce annunciò via radio al popolo nelle piazze che l’ora del destino era scoccata: iniziava anche per noi la Seconda guerra mondiale. Coinvolti in un cerimoniale che era anche la principale (e per i più l’unica) forma di partecipazione alla vita pubblica, milioni di italiani diventarono attori di un film dal finale tragico. ◉ Gianpaolo Fissore fascismo
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GIOCHI DA SC SCALZI PER STRADA E IN DIVISA A SCUOLA E IN C COLONIA: LA VITA DEI BAMBINI, QUANDO LA BEFANA ERA FASCISTA E I GIOCATTOLI DI LATTA BEF 24
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Giochi istruttivi Il meccano, popolare gioco di costruzioni, in versione balilla e (sotto) il Monopoli del Ventennio, con largo Littorio e via del Fascio.
Eja, eja... trallallà! Un gruppetto di “figli della lupa” in divisa si esibisce nel saluto romano. A sinistra, il signor Bonaventura, celebre personaggio del giornalino Corriere dei Piccoli.
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ilano, aprile 1934. Un ragazzino scalzo scende in strada con un gessetto in mano. Subito un gruppetto di coetanei gli si raduna attorno e tutti insieme decidono il percorso del giorno. Il Giro d’Italia, oggi, parte dall’angolo del marciapiede, curva attorno al tombino, arriva fino all’ingresso della panetteria e torna indietro, costeggiando lo scolo per l’acqua piovana, che scorre a lato della strada. Si scelgono le biglie e vince chi arriva primo al traguardo. Chi cade nel tombino è eliminato. Chi finisce nello scolo deve ricominciare daccapo. Cerchiio, lippa e bambo ole di pezza. Settantotto anni non danno l’idea della distanza che separa i giochi dei bambini di oggi da quelli dei loro bisnonni. I bambini degli Anni ’20 e ’30 inventavano da sé i propri passatempi. E quasi sempre lo facevano all’aria aperta. «Giocavamo in strada, anche in inverno con il ghiaccio» dice Ivone Sandano, classe 1928. I giocattoli si costruivano con quello che c’era, data la miseria. Uno comunissimo era il cerchio, ri- ▸
Cine-baby Il piccolo proiettore a molla riproduceva la magia del cinema. Anche la marca (Dux) recava l’impronta del regime.
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SECONDO IL MITO, BALILLA ERA IL RAGAZZINO CHE NEL 1746 AVEVA DATO IL VIA ALLA RIVOLTA DI GENOVA CONTRO GLI AUSTRIACI
Altolà! Un bambino di Bassano del Grappa (Vi) scherza con un fucile costruito dal padre usando una canna di bambù.
cavato dalle ruote di vecchie biciclette, che si faceva rotolare. Poi c’era il monopattino: i ragazzini, che all’epoca avevano doti da bricoleur sconosciute ai bimbi di oggi, facevano il giro delle officine per recuperare i cuscinetti a sfera, e su quelle “ruote” montavano una tavola. Con due bastoni si giocava alla lippa, colpendo al volo il più piccolo con quello più grande (vinceva chi lo scagliava più lontano). E con quattro stracci e qualche filo di lana si facevano le bambole per le bambine che, a differenza dei loro coetanei, giocavano più spesso in casa. Sold So ldi spreca cati. Fra i pochi giochi che si potevano comprare c’erano i soldatini di carta, venduti dal cartolaio: venivano collezionati e scambiati, proprio come si fa oggi con le figurine. Chi aveva un giocattolo comprato in negozio lo teneva gelosamente nascosto in casa e lo faceva vedere soltanto agli amici più cari. Infatti, se lo avesse portato in strada, non sarebbe sopravvissuto alla curiosità di chi non ne aveva mai visto uno. Anche perché, a differenza di oggi, i giocattoli di un tempo non erano “a prova di bambino”. I camioncini e i soldatini di latta, i trenini e le automobili a molla, le bambole di celluloide o di porcellana – per le bambine delle famiglie più agiate – andavano in pezzi con estrema facilità. Così, per molti, comprare un gioco equivaleva a buttar via soldi. A Natale non si regalavano giocattoli, ma cose che servivano, come le scarpe. Per guadagnarsi le simpatie dei più piccoli, quindi, a partire dal 1928 il regime istituì la Befana fascista. Ma, come ricorda un’anziana signora triestina «no iera dada a tuti, solo ale familie bisognose». E consisteva in un pacco con dentro «un poco de magnar, un poco de vestir, qualche zogatolo e qualche dolzeto». La necessità di tirare la cinghia fu messa a dura prova quando l’Opera nazionale balilla (Onb), che era stata istituita nel 1926 con il compito di accompagnare la forma-
Due bambini giocano per strada al tamburello, di fronte a una fabbrica per la lavorazione dell’olio.
zione dei futuri fascisti, mise in commercio un fucile giocattolo lungo una settantina di centimetri, copia in scala minore di un’arma vera. I fascisti convinti non ebbero cuore di negarlo ai figli e lo comprarono a completamento della divisa, che i piccoli indossavano fin dalla più tenera età. L’iscrizione dei bambini all’Onb non era obbligatoria, ma farne parte permetteva di accedere ad alcune forme di assistenza (come i risarcimenti in caso di malattia, oppure la possibilità per i più poveri di avere gratis libri e quaderni) e di partecipare alle molteplici attività extrascolastiche volute dal regime. Nel 1934 l’Onb contava quasi 4 milioni di bambini, divisi per sesso e per fasce d’età in figli della lupa (6-8 anni), balilla e piccole italiane (8-14 anni), avanguardisti e giovani italiane (fino ai 18 anni). A partire dal 1935, Mussolini volle estendere l’iscrizione anche ai più piccoli: quando nasceva un bambino, i genitori ricevevano a casa la tessera dell’Onb, da pagare 5 lire, e una lettera di congratulazioni e di benvenuto nella “gaia schiera dei ragazzi di Mussolini”, com’era scritto nel biglietto di auguri prestampato inviato ai nuovi nati. Fra esercita Fr tazioni e ba bagni di ssol ole. e. Una volta alla settimana maschi e femmine indossavano la divisa e si recavano nel cortile di una scuola o in un campo sportivo per svolgere esercizi che assomigliavano più a un addestramento militare che a un gioco. Ma per le bambine quei pomeriggi erano spesso l’unico diversivo alla monotonia della vita quotidiana e un’occasione per uscire di casa. In estate, far parte dei balilla significava poter andare in vacanza in una delle strutture che il regime aveva fatto costruire, a partire dagli Anni ’20, al mare e in montagna. Al Lido di Venezia, a Rimini, a Cattolica, a Giaveno (To), a Limone Piemonte e in molte altre località il tempo dei bambini trascorreva organizzato fra adunate, esercitazioni, giochi e bagni di sole. Ai pasti,
Sopra, i genitori salutano i figli in partenza per le colonie, organizzate dall’Opera nazionale balilla. A destra, un bambino con abito da marinaretto e racchetta nel 1928.
Pensiero unico Sopra, una rivista per l’educazione dei più piccoli: fin da giovanissimi dovevano conoscere l’impero. A destra, un Pinocchio balilla. la carne, che a casa i bambini vedevano di rado (v. articolo a pag. 112), veniva servita due o tre volte alla settimana. Le colonie ospitavano anche i figli degli italiani che vivevano all’estero, che potevano così “tornare oltre confine con la chiara e precisa visione della bellezza e della grandezza della loro Patria” si legge in un documento ufficiale del 1928. Inel In eluttabile le destino no. All’Onb fu affidato anche l’insegnamento dell’educazione fisica nelle scuole. Fu il primo di una serie di ritocchi a quella che Mussolini aveva definito “la più fascista delle riforme”, quella della scuola ideata da Giovanni Gentile, attuata nel 1923 con una serie di decreti e senza discussione in parlamento. «La riforma Gentile cercò di costruire un sistema scolastico basato su percorsi paralleli, che rispecchiavano la struttura della società e incanalavano i ▸
Si preparano i pacchi della Befana fascista, da distribuire ai bambini delle famiglie più indigenti. fascismo
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Simboli in classe Sopra, una lezione in una 3a elementare di Alessandria nel 1939. Dietro la maestra, il crocifisso e i ritratti del re e del duce. A sinistra, un dettato del 1938 in cui si esalta il fascismo.
Dall’alto, la cartella “del balilla”, in fibra vulcanizzata, e il Corriere dei Piccoli che pubblicava le avventure dei primi eroi di carta.
NEL 1937 LA “GIOVENTÙ ITALIANA DEL LITTORIO” PRESE IL POSTO DELL’“OPERA NAZIONALE BALILLA” Sartoria e bricolage A sinistra, una bimba si impratichisce nel ricamo. Dopo le elementari, chi continuava a studiare andava alle scuole medie, propedeutiche ai licei, oppure alle scuole di avviamento professionale. A destra, giochi nel cortile di una scuola: si impara a coltivare la terra.
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E arrivò la Treccani: la summa del sapere firmata da Giovanni Gentile
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idea di un’enciclopedia nazionale sul modello francese e inglese aveva già quasi vent’anni quando l’industriale Giovanni Treccani avviò l’opera. Appassionato di arte e libri, il 18 febbraio 1925 Giovanni fondò l’Istituto Treccani per la pubblicazione dell’enciclopedia italiana e del diziona-
rio biografico degli italiani (dal 1933, Istituto della enciclopedia italiana). Apolitica. A dirigere l’opera fu chiamato Giovanni Gentile che, nell’intento di renderla apolitica, coinvolse uomini di cultura non legati al fascismo (fra le poche defezioni, quella del filosofo Benedetto Croce). Ma non
bambini verso un destino determinato in partenza e difficile da modificare» spiega Dario Ragazzini, docente di Storia dell’educazione all’Università di Firenze. «Passare da un ramo di studi a un altro, infatti, era pressoché impossibile». Furono creati il liceo classico, che aveva il compito di formare l’élite, e quello scientifico, considerato di livello inferiore. Fu istituito l’esame di Stato, che affligge ancora oggi gli studenti alla fine delle scuole superiori. «Nacque allora anche l’approccio storico all’insegnamento della filosofia e della letteratura» aggiunge Angelo Gaudio, docente di Analisi dei sistemi educativi all’Università di Udine. La scuo ola fasciistissima a. Più in generale «la riforma privilegiò la cultura classica e fece fare un deciso passo indietro a quella scientifica che, seppure in modo disorganico e nozionistico, era presente nella scuola degli anni precedenti» dice Ragazzin Ragazzini. «Per le scuole elementari, Gentile giustificava la scelta dicendo cche la matematica m serve a risolvere i proble p problemi, e che dunque i bambini poteva p potevano farne a meno perché non avevano problemi». Ma fu proprio aveva a questo quest uno dei punti deboli. Ci si q rrese conto che la scuola non era in
La scuola del Fascio La pagella di una bimba di quarta elementare. re. Fra le materie: “Lavori donneschi e manuali”. A destra, una madree sistema la divisa al figlio. glio.
mancarono le polemiche. Pio XI, nel 1932, protestò perché nella definizione di “fascismo”, redatta da Gentile stesso, si sosteneva che “nulla di umano e di spirituale può davvero esistere fuori dallo Stato”. La polemica indusse Mussolini a riscrivere di suo pugno la voce. L’opera fu completata nel 1937, al ritmo
di un volume ogni 3 mesi. Sul web. Nei suoi 87 anni di vita, la Treccani (ora anche on-line) ha mantenuto il suo stile, con qualche aggiornamento. Oggi, alla voce “fico”, si legge anche: “Di persona abile, astuta, che si fa ammirare per qualche sua particolare capacità, o anche elegante, di bella presenza”.
grado di formare tecnici, anche se non furono presi provvedimenti efficaci per ovviare al problema. Gli sforzi di chi negli anni successivi mise mano alla riforma, di fatto stravolgendola con modifiche che Gentile definì “tradimenti”, si concentrarono piuttosto a far sì che dalla scuola uscissero bambini ubbidienti e indottrinati. Nel 1929, alle elementari, fu adottato il libro di testo unico, che doveva essere approvato dalle autorità centrali. Fra le materie studiate c’era anche la “mistica fascista”. Negli Anni ’30, già dalle medie furono introdotti l’insegnamento della cultura militare per i bambini e la puericultura per le bambine. Scomparvero dai programmi gli autori stranieri e i discorsi di Mussolini divennero oggetto di studio. Il cambio di rotta è chiaro nelle testimonianze di chi frequentò la scuola in quegli anni. Giovanna Lazzaroni, nata nel 1918, ricordava fino a qualche tempo fa «il grembiule bianco per le bambine e nero per i maschietti». Aurelia Lepore, classe 1930, ha ancora in mente «la divisa con un ferma-colletto con il profilo di Mussolini». Di tre anni più anziana, Anna Maria Manghi racconta che per andare a scuola era «obbligata a indossare la gonna nera e la camicia bianca da “piccola italiana”, a fare il saluto romano e a cantare Giovinezza». A bottega. «Con grandi differenze fra le campagne e le città, e fra il Nord e il Sud, in media i bambini frequentavano le scuole dai 5 agli 11 anni d’età» riprende Ragazzini. Proseguire oltre era un lusso, come raccontava pochi anni fa Angelo Limido, un altro testimone dell’epoca: «Sono andato a lavorare a 12 anni, perché una bocca di d meno in casa mia valeva qualcosa. qualcos Lavoravo in una pasticceria e mangiavo e dormivo là. Iniziavo alle 6 del mattino a In pulire il negozio e la strada. pu Durante il giorno facevo il D garzone. A Natale portavo a g casa le mance e un panettoc ne n gratis. Il mio arrivo “era q qualcosa”. Ma non perché e arrivato il figlio. Era arera ri ◉ rivato il panettone!». Margherita Fronte
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CAVALLI, BINARI,
Circolare, circolare! Un autiere dirige il traffico durante un’esercitazione militare nel 1939. Sulle strade del Ventennio era difficile rimanere bloccati in un ingorgo: le auto erano poche, perché troppo costose.
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SI INCROCIAVANO TRAM, MOTO E AUTO, MA SOPRATTUTTO BICI. TRENI, NAVI E AEREI C’ERANO, MA SOLO PER POCHI Milano, 1936: più moto che auto.
Scontro fra un tram e un’auto. Gli incidenti si chiamavano “disgrazie” o “accidenti”.
O
ggi, secondo un’indagine Istat, tre italiani su quattro si recano al lavoro in auto. Negli Anni ’20 e ’30 la maggior parte invece ci andava a piedi, percorrendo anche decine di chilometri, oppure, come facevano molti impiegati, in bicicletta. Il boom delle due ruote, che precedette l’avvento del fascismo, fu promosso all’inizio del Novecento dal Touring Club, che in origine era un’associazione di “velocipedisti”. La prima bicicletta (rigorosamente da lavoro, perché quella da corsa restava di solito un sogno) si conquistava con il diploma. I marchi erano Bianchi, più economica, o l’inglese Wolsit, per i figli della borghesia. Mult Mu lte e fa fang ngo. Chi viaggiava a pedali non aveva vita facile. «Circolare a fanale spento poteva costare una multa di 10 lire e 10 centesimi» ricordava Luigi Losio, classe 1910. «Ma quando il carabiniere diceva “Sono 10 e 10”, noi ragazzi rispondevamo: “Ah be’, allora per le 11 sono a casa”. E via di corsa!». Le strade erano sterrate e con la pioggia si trasformavano in acquitrini, mentre le vie lastricate erano sconnesse e scivolose per le due ruote. L’asfalto, quando fece la sua comparsa, rappresentò dunque una svolta. Tutto merito dell’ingegnere milanese Piero Puricelli, titolare di
Il filobus, per il regime, era la “vettura filotranviaria”.
Una Fiat Balilla affianca due biciclette, vere regine della strada.
NEL 1928, 3 MILA FANALI ILLUMINARONO PER LA PRIMA VOLTA AL MONDO UNA STRADA: LA ROMA-OSTIA un’azienda di costruzioni, che nel 1922 raccolse la sfida di realizzare il circuito di Monza in tempo per l’inaugurazione, prevista di lì a pochi mesi. Ci riuscì e, forte di questo successo, propose a Mussolini una sua invenzione: una strada asfaltata riservata solo ad automobili e motocicli, niente carrozze, bici e pedoni. Nacque così, nel 1925, la prima autostrada del mondo: la Milano-Laghi. Attrav versamen nto peco ore. Tra i veicoli a motore, su quelle poche strade circolavano soprattutto le motociclette: le Guzzi 500 della milizia della strada, antenata della polizia stradale, o le moto Gilera e Bianchi. Le automobili invece, specie in campagna dove prevalevano carri e calessi, restarono un bene di lusso (v. articolo a pag. 68) fatto per stupire. Nel 1922 le quattroruote in circolazione in Italia erano appena 22 mila, anche se verso la fine degli Anni ’30 erano già salite a 290 mila. Code e ingorghi erano sconosciuti, ma gli incidenti erano numerosi: 3.400 morti e 45 mila invalidi nel solo 1935. Colpa della scarsa segnaletica, dei pochi passaggi a livello, di greggi e mandrie che sulle strade avevano la precedenza, oltre che dell’imperizia dei guidatori. La “licenza di guida” era richiesta, ma pochi l’avevano. Dal 1926 una convenzione internazionale impose definitivamente di circolare a destra, ma molti, specie in campagna, ignorarono la nuova regola. In più, per risparmiare sulla benzina, si percorrevano le discese a motore spento, mettendo a rischio freni e incolumità dei passeggeri, già provati dal mal d’auto che tormentava chi non era abituato al nuovo mezzo. Certamente più sicuri delle auto erano i treni, che il regime esigeva puntuali. La tanto decantata regolarità dei treni nel Ventennio dipendeva dal rigido sistema di controllo: severe sanzioni colpivano i macchinisti “ritar-
Pompa littoria Un distributore degli Anni ’30. Un litro di benzina, negli oltre 16 mila distributori italiani, costava quasi 3 lire (circa 2,8 euro). Con un litro la Balilla faceva oltre 12 km.
Un veicolo anfibio sperimentale sul litorale laziale.
Roma, 1939: un carrettiere attacca il mulo al carro in pieno centro.
datari”. Ma nonostante nte questo, pare che non fossero poi così in orario (v. la prima ima pagina di Stampa Sera a pag. 35). E guai a sputare in terra a o schiamazzare: l’onnipresente milizia era inflessibile anche con i viaggiatori indisciplinati. Le famiglie dei ferrovieri, rrovieri, come quella di Luigi Losio, avevano diritto ad alloggiare loggiare in un casello. «Mamma azionava le sbarre del passaggio ssaggio a livello» ricorda ancora Luigi «mentre papà, quando c’era nebbia, doveva piazzare dei petardi sulle rotaie per avvertire il macchinista della prossimità dello scambio». Esperimenti. La rete ferroviaria italiana, che partiva quasi da zero, lasciava spazio alle sperimentazioni e la principale novità fu l’elettrificazione. Sulla linea Milano-Porto Ceresio (Va) fu provata la terza rotaia, che restò in uso fino agli Anni ’60. Il sistema prevedeva una linea elettrica a lato delle rotaie, collegata alle ruote tramite uno spuntone di ferro. Aveva un solo inconveniente: faceva strage di polli e galline, fulminando ogni tanto anwww.focusstoria.it
Bici per dame Il “velocino”, di moda nel 1939, aveva due manubri laterali. Era molto gradito alle donne poiché si poteva usare facilmente anche con la gonna.
che qualche persona. Negli Anni ’30, con l’elettrotreno Etr 200, da Milano a Roma ci volevano 6 ore. Si superò la barriera dei 200 km/h e, in un viaggio dimostrativo del 1939, fu stabilito il record Milano-Firenze: 1 ora e 59 minuti. Il regime mise il proprio marchio (il fascio littorio) anche su un’altra innovazione: la Littorina. Prima del 1932, nelle stazioni di testa bisognava staccare la locomotiva per invertire la direzione. La Littorina, che era un’automotrice a nafta con due cabine, faceva risparmiare tempo. Binario o classist sta. I treni, però, erano cari. Per andare da Milano alla Liguria si spendevano più di 30 lire (27 euro di oggi) in terza classe (e addirittura 80 lire in prima) in anni in cui un operaio specializzato guadagnava meno di 600 lire al mese e un bracciante non arrivava a 300. Per questo i treni popolari domenicali di sola terza classe, introdotti nel 1931-32, furono un successo: gli italiani potevano passare una giornata al mare o arrivare fino alle località di montagna a poco prezzo (il biglietto era infatti ridotto del 70-80%). Certo, toccava svegliarsi poco dopo mezzanotte perché i treni popolari partivano all’alba e bisognava rientrare in giornata. Ma doveva valerne la pena, se nel 1937 i “viaggiatori popolari” furono 1.261.267. ▸ www.focusstoria.it
Ma il mezzo di trasporto principale restavano i piedi
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e ne vedevano in giro meno di quante auto si incrocino oggi sulle nostre strade. Eppure le scarpe erano il primo mezzo di trasporto del Ventennio. “A che ora parte il treno?”: per saperlo bisognava andare a piedi fino alla stazione. “Dov’è quella pratica?”: in assenza di e-mail e telefoni, in ufficio o in fabbrica si scarpinava su e giù per le scale da un reparto all’altro. Al duomo in ciabatte. I contadini usavano semplici zoccoli, ma le scarpe di tutti gli altri, come
oggi l’auto, erano uno status symbol. «Mia sorella» ricordava Angelo di Milano, classe 1912 «andava in ciabatte fino a piazza Duomo (il tram era troppo caro per noi) e le scarpe le infilava solo arrivata in via Dante». Per proteggerle si usavano le calosce, ma siccome ghiaia, fango e ciottoli tormentavano comunque le povere scarpe, i ciabattini godevano di grande rispetto. E, invece che dal benzinaio, ci si fermava dal lustrascarpe ambulante. fascismo
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La Fiat 500 del 1936, più nota come “Topolino”.
CON 150 ALBUM DI FIGURINE BUITONI-PERUGINA (COMPLETI DEL RARISSIMO “FEROCE SALADINO”) SI VINCEVA UNA FIAT TOPOLINO
Tram in corsa. Anche le città erano percorse dalle rotaie. Erano quelle dei tram, elettrici sulle linee urbane, a vapore su quelle extraurbane, e che si prendevano in corsa. A Milano, dopo il 1928, entrarono in servizio le vetture a carrelli. Nei primi tram c’era anche un salottino nella parte posteriore, dove si poteva fumare. E avevano solo due porte: al centro e davanti. A bordo, oltre al conducente, c’era il bigliettaio, che aveva anche il compito di scendere a riposizionare la carrucola dell’alimentazione che spesso si sganciava dal filo. A partire dal 1933 apparvero i filobus, che avevano il vantaggio di non richiedere la posa delle rotaie. Gli autobus invece erano mossi dal gassogeno, un enorme bruciatore che trasformava il carbone o, in tempi di autarchia (v. articolo a pag. 74), la legna in gas combustibile. I trasporti pubblici erano più “democratici” del treno: costavano 70 centesimi e li usavano persino le domestiche di ritorno dal mercato. Ma solo se avevano davvero fretta. Decoll lo stenta ato. Se salire su un treno era un evento memorabile, gli aerei appartenevano per i più alla sfera dell’irraggiungibile. La prima linea aerea, del 1926, fu affidata agli idrovolanti, in teoria i velivoli ideali per un Paese affacciato sul mare. Si andava da Torino a Trieste facendo scalo a Pavia (sul fiume Ticino) e a Venezia, ma ca-
Il destino del Rex Il transatlantico Rex, varato il 1° agosto 1931, in navigazione. La nave (268 metri di lunghezza) fu affondata l’8 settembre 1944 dalla Raf, l’aviazione inglese.
pitava di dover tornare indietro perché il mare mosso impediva l’ammaraggio. Fu così che già a metà degli Anni ’30 gli idroscali di Roma e Milano si convertirono alle attività sportive e gli idrovolanti andarono in pensione, lasciando il cielo agli aeroplani. Con 40 lire si poteva decollare per un volo dimostrativo dall’aeroporto di Milano Taliedo (la “città aviatoria” di Linate fu inaugurata solo nel 1937) ma pochi pensavano seriamente all’aereo come a un mezzo di trasporto. Nel 1932 dagli aeroporti italiani transitarono appena 46 mila passeggeri (nel 2011 sono stati circa 149 milioni) e le linee dell’aviazione civile fascista non superarono mai la settantina. I grandi viaggi, allora, si facevano a bordo dei transatlantici. o Rex. E viaggiare per mare poteva significare Magico imbarcarsi sul Rex, la nave mito degli Anni ’30 (v. foto in basso). Chi l’aveva visto ne parlava come di una magica apparizione. «Era una specie di totem» scrive Ulderico Munzi nel suo libro Il romanzo del Rex (Sperling & Kupfer). «Il fascismo volle inserirlo nella sua liturgia, ma pochi ci credettero». Nemmeno quando nel 1933 conquistò il Nastro azzurro, strappando ai tedeschi il record della traversata atlantica più veloce (4 giorni, 13 ore e 58 minuti) ed entrando nella leggenda. La differenza rispetto ai transatlantici
precedenti era il comfort garantito a tutti, anche agli 860 passeggeri di terza classe. Ma solo i 1.100 passeggeri della prima e delle classi speciale e turistica potevano contare su una sala da pranzo da 800 metri quadrati, un cineteatro, negozi, due piscine con tanto di spiaggia sabbiosa, campi da tennis, bagni turchi, biciclette... Le cucine potevano sfornare 9 mila pasti al giorno e 1.500 dolci l’ora. E c’era persino l’aria condizionata. Il transatlantico, che partì per il suo viaggio inaugurale il 27 settembre 1932 e continuò il suo servizio facendo la spola tra Genova e New York, finì successivamente nel mirino della polizia politica, che lo riteneva un covo di spie,
ma anche nelle mire degli espatriati antifascisti. «A New York gruppi di italiani dissidenti erano sempre pronti a organizzare manifestazioni di protesta all’arrivo e alla partenza del Rex» racconta Munzi. Falsi miti. Durante la Seconda guerra mondiale, il “levriero dei mari” fu disarmato e ancorato presso Trieste. Qui fu saccheggiato dei suoi oggetti preziosi e anche di alcuni materiali come il rame e lo zinco, e l’8 settembre del 1944, vicino alle coste slovene dove era stato spostato, fu fatto colare a picco dagli aerei alleati. Scompariva così il simbolo del vagheggiato primato italiano. Ma quanto c’era di vero nella tanto sbandierata supremazia tecnica dell’Italia fascista? I trasporti nel Ventennio conobbero un progresso generalizzato, ma non per merito della “ferrea volontà del Duce”. Era l’Europa intera, in quel periodo, a vivere un’epoca di grandi innovazioni. ◉ Aldo Carioli
Un’automotrice ferroviaria Littorina nel 1940.
Treni lumaca Per la propaganda di regime i treni erano sempre in orario. Ma questo articolo, pubblicato all’indomani della caduta di Mussolini, svela il contrario.
Tra i misteri del fascismo c’è anche un Ufo Un idrovolante trimotore approda al Lido di Roma (1933).
Rom 4 giugno 1939: un biplano al 1° raduno dei giornalisti aviatori. Roma,
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econdo alcuni documenti, nel giugno del 1933 un aeromobile sconosciuto precipitò a Milano. Il velivolo fu preso in consegna dalla sicurezza e se ne perse ogni traccia. Un telegramma ai giornali datato 13 giugno 1933 avvisava: “D’ordine personale del Duce disponesi assoluto silenzio su presunto atterraggio su suolo nazionale at opera aeromobile sconosciuto”. Top secret. I resti dell’Ufo sarebbero stati nascosti negli stabilimenti dell’azienda aeronautica Siai Marchetti,
presso Varese. Stabilimenti che avrebbero preso misteriosamente fuoco nel 1943. Paolo Toselli, del Centro italiano studi ufologici, è però scettico: «Le fonti sono molto incerte. I documenti su cui si basa l’intera storia sono fotocopie e l’unico originale non risulta negli archivi. Quindi come prova vale zero». Eppure, nel 1933 Mussolini creò un comitato segreto per studiare simili avvistamenti. Temeva si trattasse di velivoli sperimentali inglesi o francesi. (d. p.) fascismo
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VITA QUOTIDIANA Q
QUANDO LA SOTTOVESTE ERA D’OBBLIGO, I CAPPELLINI FANTASIOSI E LE CALZE CON LA RIGA INDISPENSABILI (MA A VOLTE FINTE)
L Sotto i vestiti La sottoveste di lei, in raso e pizzo, è quella di una donna di classe. Così come le calze, velatissime, in pura seta. Lui porta mutandoni al ginocchio e, di notte, una retina per tenere in ordine i capelli.
ui amava i capelli lunghi, ma molte di loro continuarono ostinatamente a tagliarseli corti, “alla maschietta”. Lui le voleva in divisa, oppure in abiti tradizionali. Ma loro, le signore benestanti degli Anni ’20, almeno sui vestiti opposero un fiero “me ne infischio” alle direttive che venivano dall’alto. Quando, a partire dal decennio successivo, le imposizioni fasciste si fecero più pressanti, anche la moda cercò di adeguarsi. Ma di certo “se il consenso al regime si fosse dovuto valutare dall’osservanza dei consigli di moda impartiti alle donne della media borghesia, Mussolini sarebbe risultato l’uomo meno obbedito d’Italia” ha scritto il giornalista Gian Franco Venè in Mille lire al mese (Mondadori). Forse perché, quando il duce salì al potere, le donne avevano iniziato già da tempo a fare di testa loro, senza dare ascolto agli uomini. In al ltri pan nni. A imprimere una svolta decisiva erano stati gli anni della Prima guerra mondiale, «quando le donne si erano trovate a svolgere compiti che prima erano stati tipicamente maschili» spiega Emanuela Mora, docente di Sociologia della cultura all’Università Cattolica di Milano. «Le borghesi, che non avevano mai lavorato, si impegnarono ad assistere i malati o a svolgere lavori d’ufficio; le popolane diventarono spazzine, carrettiere e, a Milano, si misero alla guida dei tram. Questo contribuì a cambiare il gusto e a far avvertire, in tutte le classi sociali, che l’abbigliamento poteva coniugare gusto
e funzionalità». Così, messi al bando i busti rigidi con le stecche di balena e i gonnelloni lunghi e ingombranti, negli Anni ’20 la moda iniziò a guardare ai modelli più pratici che provenivano dal di là delle Alpi. rancese e. Il centro ispiVestiivamo alla fr ratore era la Francia: «Dopo le sfilate, i sarti parigini vendevano i diritti di copia a distributori ufficiali che li portavano in Italia, dove venivano riprodotti su centinaia di cartamodelli in modo che in poche settimane qualsiasi sartina potesse già reinterpretare l’ultimo grido parigino» spiega Silvia Grandi, storica dell’arte dell’Università di Bologna. «Si trattava di modelli che nascevano per l’alta moda, ma che nelle città italiane erano accolti da tutti gli strati della popolazione» sottolinea Emanuela Mora. L’interesse era stimolato anche dalla diffusione di riviste femminili specializzate per i diversi tipi di pubblico e dal cinema hollywoodiano. Negli Anni ’20 esplose la moda della vita bassa, dei seni piatti e della figura sottile e scattante. Per le più audaci fu l’epoca dei capelli alla garçonne, corti con un ricciolo che scendeva sulla gota, e dei pantaloni, che si diffusero nonostante l’aperta ostilità del regime e della Chiesa. Condannati da papa Pio XI, i pantaloni erano per Mussolini “adatti alle gambe rinsecchite delle suffragette” (termine usato per indicare le femministe dell’epoca). Più in generale «il fascismo non incoraggiò le donne a occuparsi della loro bellezza» dice ▸ Fascismo
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Stefano Anselmo, truccatore. Ne è un esempio l’ostilità nei confronti del trucco, che «nonostante fosse appena accennato, era fatto oggetto di indignazione, come si può leggere in un articolo della rivista Anni Venti, che paragonava le unghie smaltate delle donne a quelle di persone che immergono le mani in piaghe sanguinanti, o le sopracciglia depilate ad arco a quelle dei pagliacci». Espl plodon ono le ffor orme. A partire dalla seconda metà degli Anni ’20, però, almeno per alcuni aspetti i gusti delle signore cominciarono ad allinearsi a quelli propagandati dal regime. «La donna asciutta e senza curve lasciò il posto a una figura che iniziava a recuperare fianchi, seno e vita» racconta Silvia Grandi. «Negli abiti e nei tailleur da giorno il punto vita tornò a rialzarsi, le linee si fecero più fluide e le gonne si allungarono, mosse in fondo con pannelli sbiechi o volant». Per evidenziare meglio le forme si indossavano guaine elastiche che rimodellavano i fianchi. «E per sollevare il seno si diffusero i primi reggiseni, a volte imbottiti proprio come si usa oggi» spiega Graziano Ballinari, studioso del costume e collezionista di biancheria intima che ama autodefinirsi “mutandologo”. Il reggicalze, nato come un semplice accessorio, si arricchì di tulle e nastri. Mentre la forma delle gambe era sottolineata e slanciata dalla cucitura posteriore delle calze di seta, un vero oggetto di culto per le donne dell’epoca. Indispensabili nel guardaroba delle signore, le calze erano però piuttosto costose e per questo, quando si smagliavano, venivano riparate dalle ram-
IL TRUCCO FEMMINILE ALLORA ERA MALVISTO: LE SOPRACCIGLIA DEPILATE, PER ESEMPIO, ERANO CONSIDERATE PAGLIACCIATE
Eleganza prêt-à-porter Due pubblicità del grande magazzino di Milano La Rinascente. Il nome fu ideato da Gabriele D’Annunzio.
Sfilata romana: una collezione presentata nella capitale per la primavera del 1931.
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Lui, lei e l’altra Ricca vestaglia di raso per lei ed elegante gilet per lui. Le cameriere delle “famiglie bene” portavano una divisa completa di grembiulino e crestina.
magliatrici. Le più economiche costavano 10 lire, più o meno come allora 3 kg di pasta, le più eleganti 22 lire (circa 18 euro di oggi). La voce incideva non poco sui bilanci familiari e per questo “nell’inferno della guerra, ancor prima che una riserva di calze di seta fosse assegnata in dotazione ai soldati occupanti per ottenere facili amori e informazioni, le signore della piccola borghesia accolsero l’invito geniale di chi mise sul mercato il necessario per la “fintacalza”: una tintura da spalmare fino alle cosce corredata da una matita a carboncino, per disegnare lungo il polpaccio la riga” si legge nel libro di Venè. Bian ancher eria fan anta tasios osa. a. «Le mutande da donna erano a calzoncino e, negli anni del consenso, spesso ricamate con motivi che si ispiravano al regime. Claretta Petacci, amante del duce, ne aveva un paio con la scritta: “Sei stato grande”» riprende Ballinari. La sottoveste non mancava mai. «Nemmeno le contadine ne facevano a meno. Era un obbligo igienico, ma anche un indumento che denunciava inequivocabilmente lo stato sociale di chi lo portava: di cotone o canapa per le donne dei ceti più poveri, era invece di seta o raso per le più ricche». Se si eccettua la biancheria intima, negli Anni ’30 in tutta Europa si nota però una certa mancanza di fantasia nella moda, dovuta anche alla progressiva austerità. I tessuti, stampati a fiori o a pois, erano per lo più blu o neri. I soprabiti femminili, dello stesso colore, erano arricchiti da sciarpine, guanti e soprattutto cappellini. Creati dalle modiste, e vero orgoglio della donna borghese di quegli anni (che misurava il suo benes- ▸
Dallle co oloniie,, un in ndum mentto anco ora alla mod da
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Il carro di un venditore ambulante di abiti e accessori, a Roma, nel 1934. www.focusstoria.it
a giacca sahariana, con il colletto aperto, le quattro tasche applicate sul davanti e la cintura in vita, si presenta puntuale ogni anno fra le proposte di moda per l’estate. In pochi però sanno che i primi a indossarla furono i soldati italiani impegnati nella guerra d’Etiopia (v. articolo a pag. 76). La sahariana fu creata per loro, ma il successo nella moda quotidiana fu immediato e passò i confini
nazionali. Con orgoglio, i giornali degli Anni ’30 sottolineavano che l’italianissimo modello, simbolo della nostra potenza militare e del nostro buon gusto, aveva successo persino in America, dove la indossavano giovani, sportivi, ma anche maturi uomini d’affari. Mimetica. I colori più utilizzati ancora oggi vanno dal cachi al marroncino, sfumature che, non a caso, chiamiamo genericamente “coloniali”. Fascismo
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MUSSOLINI ORDINÒ CHE DA GIORNALI M E RIVISTE SPARISSERO LE FOTO DI DONNE TROPPO MAGRE ser in base a quanti ne possedeva), i cappelsere lini passarono di moda nella decade succeslin siva, sostituiti dal turbante. siv I benestanti potevano permettersi un negozio di sartoria, ma la maggior parte degli abiti veniva v confezionata dalle sarte, che lavoravano in casa e si occupavano anche di ramrav mendare, rattoppare e rigirare stoffe e colletme ti, per allungare quanto più possibile la vita dei vestiti. Le classi meno abbienti, infatti, Un rasoio per due si arrangiavano con quello che avevano, ma La pubblicità di un rasoio erano disposte a fare qualche sacrificio per elettrico ne sottolinea apparire eleganti nei giorni di festa o alle cel’utilità anche per le donne. rimonie. Raccontava Angelo Limido, un teGli uomini erano sempre stimone dell’epoca: «A 18 anni avevo un solo ben rasati. Qui lui indossa una giacca da camera, un vestito buono. Lo mettevo la domenica oppuindumento allora comune. re r per andare a ballare, o se c’era un funerale. Era uno ed era soltanto quello». n Fra di ivise e tradizioni. Col tem1 41 UGLIO 19 18 LU A MP TA S po, le imposizioni si fecero più presp LA L A OSIZIONI DISPO o nt ta e santi. Il regime caldeggiò il recupero s o tt le Nessun trafi ro nt co na an delle tradizioni, tanto che l’abito tipid nd co a meno nessun e. lz co, indossato dalle contadine, era conc ca a nz le donne se ssiderato al pari della divisa fascista. moda cercò di adeguarsi e di media«La m re, creando modelli ispirati ai costumi regionali, come le gonne a pieghe sul tipo di quelle toscane, o i cappelli di paglia decorati con nastri, frutta e fiori» spiega Alessandra Vaccari, che si occupa di design all’Università di Bologna. Verso il 1940, in omaggio alle aree alpine, si diffuse la moda del loden e delle camicette con le maniche a palloncino. Persino in spiaggia, mentre in Francia si
Bellezze al bagno Sopra, una bagnante a Riccione, con un ombrellino. A destra, ragazze a Imperia, con abiti a vita bassa e gonne al ginocchio. Indumenti e accessori tipici degli Anni ’20.
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lanciavano i primi due pezzi e il pareo, si indossavano costumi con bretelle di ispirazione tirolese, simbolo di un’italianità che però strizzava l’occhio anche alla Germania amica. Negli anni dell’autarchia (v. articolo a pag. 74) l’orbace, tipico tessuto di lana sardo, fu usato per confezionare gli indumenti invernali. E Achille Starace, segretario del Partito nazionale fascista, lo impose anche per le divise dei gerarchi. muta ande rin nforza ate. Per il fascismo, che amava inquadrare ogni settore in apparati statali (il 31 ottobre 1935 un decreto legge fondò l’Ente nazionale della moda) questo campo era comunque da lasciare alle donne. L’abbigliamento maschile non seguiva uno stile. Della moda che aveva preceduto il crollo di Wall Street (1929) rimase soltanto il gilet, per i più eleganti. Caddero in disuso bombette, bastoni, ghette e giarrettiere, che negli Anni ’20 fissavano le calze sotto il ginocchio. Per gli impiegati era d’obbligo la cravatta, considerata un segno distintivo del proprio status, visto che operai e contadini la indossavano solo per le feste. Si facevano fare il nodo alla cravatta direttamente dal commerciante, poi la indossavano facendola passare dalla testa, giorno dopo giorno. Per economizzare si poteva comprare la cravatta con il finto nodo, che si allacciava con un elastico e costava meno perché richiedeva meno stoffa. I visi erano sempre ben rasati e i capelli pettinati all’indietro e impomatati. «Deriva da qui l’uso di mettere i centrini di stoffa a livello della testa sulle poltrone dei salotti borghesi: una decorazione già in uso nell’800 che proteggeva dalle macchie di brillantina» spiega Daniela Casati Fava, costumista. Gli uomini dormivano con la camicia da notte con il colletto basso, “alla coreana”, mentre la canottiera, bianca o nera, era un indumento da giorno. Le mutande a calzoncino, bianche o al più azzurrine, si allungavano fino alla caviglia in inverno. Non si cambiavano tutti i giorni, ma alcune avevano un triangolo di rinforzo che si poteva staccare e lavare a parte. Un modello molto amato da Mussolini aveva una taschina foderata di pelo di coniglio, per scaldare il pene. ◉ Silvia Bragagia www.focusstoria.it
I comp pleti dii Greta a Garbo o e il fondotin nta di Rodolffo Valeentin no
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a moda tra le due guerre subì il fascino di Hollywood: i completi di taglio maschile degli Anni ’20 si ispiravano a quelli indossati da Greta Garbo; lo stile
Di tutto punto Un tipico salone della casa di una famiglia benestante negli Anni ’30. La coppia è in abiti da passeggio. Lui ha i capelli impomatati, lei indossa un cappellino e una sciarpa.
sofisticato delle volpi argentate e dei lunghi bocchini era invece quello di Marlene Dietrich. Ossigenate. A lanciare il biondo platino fu Jean Harlow, attrice
morta a soli 26 anni. E a Rodolfo Valentino si deve il primo fondotinta, o greasepaint, creato da Max Factor su richiesta del divo, che voleva accentuare il suo fascino me-
diterraneo con un incarnato più scuro. Bocche rosse. Anche il rossetto era nato per soddisfare un’esigenza delle stelle del cinema in bianco e nero. Le pellico-
le infatti non erano molto sensibili e l’unico modo per evidenziare i contorni della bocca di attori e attrici era quello di accentuarne il colore con il rosso.
PROPAGANDA
CONTROLLO SULLA STAMPA, USO SAPIENTE DELLA RADIO, CENSURA, CAMPAGNE MARTELLANTI: LE EFFICACI TECNICHE DELLA PROPAGANDA FASCISTA
LA MACCHINA
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Che vi piaccia o no Manifesto per le elezioni del 1934: si poteva votare solo “sì” o “no” al partito fascista. Sotto, un esempio del culto della personalità di Mussolini: il manifesto sul discorso del 10 giugno 1940 con cui, dal balcone di Palazzo Venezia, aveva annunciato l’ingresso in guerra dell’Italia.
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hissà se qualcuno, allora, si chiese perché nei romanzi gialli del Ventennio ladri e assassini avessero nomi stranieri, l’eroe fosse sempre italiano e non ci si imbattesse mai in suicidi. Anche quell’aspetto apparentemente secondario della vita degli italiani era passato tra gli ingranaggi di un meccanismo perfetto, messo a punto per diffondere la falsa immagine di un Paese felice, raccogliere consensi e confondere la Storia. «Il fascismo creò un’efficace macchina propagandistica» spiega lo storico Emilio Gentile «utilizzando la stampa, la radio e il cinema per valorizzare i successi del regime e mantenere le masse in uno stato di mobilitazione emotiva permanente, attraverso riti e cerimonie collettive». Un mit to da inve entare. La macchina fu avviata già nel 1923, con l’istituzione dell’ufficio stampa della presidenza del Consiglio che, attraverso i prefetti, suggeriva ai giornali quali notizie dare e quali no. Era il primo passo di una strategia di controllo che avrebbe invaso persino la sfera privata. Nove anni dopo, nel decennale della Marcia su Roma e della conquista del potere, il meccanismo era ormai ben oliato. E il fascismo si celebrò con una delle sue più plateali messinscene, affidata alla regia del futuro ministro della Propaganda, Dino Alfieri: una grande mostra per ricordare i “3 mila caduti” della rivoluzione fascista. Solo che quei morti e quella rivoluzione, alla quale Mussolini peraltro aveva partecipato da Milano (pronto a scappare in Svizzera se qualcosa fosse andato storto), non c’erano mai stati: a malapena si era riusciti a scovare 500 vittime, molte delle quali morte nel loro letto per malattia. Per le altre 2.500 si ricorse a un elenco di nomi scelti a caso. Che fossero vivi o morti poco importava. Campag gna stampa. In pochi anni Mussolini riuscì a inculcare negli italiani il senso di appartenenza a uno sforzo collettivo. Come? Per esempio attraverso martellanti campagne “promozionali” affidate ai cinegiornali del regime, dal 1927 obbligatori in tutti i cinema. In Italia si cominciò a vivere in un clima da grandi imprese, sempre annunciate e di rado portate a termine. Come quando, nel 1925, per ridurre l’importazione di cereali dall’estero fu lanciata la “battaglia del grano” (v. riquadro a pag. 70). L’obiettivo era ampliare l’area seminativa per assicurarsi l’autosufficienza alimentare. Ma la vasta opera di persuasione contribuì anche ad avvicinare i contadini al fascismo e a pacificare le zone rurali, dove le tensioni sociali erano ancora forti. Anche la campagna per la bonifica integrale dei territori paludosi, lanciata nel 1928, si rivelò soprattutto un’operazione propagandistica. Il risanamento dell’Agro Pontino, avviato nei secoli precedenti, fu completato, si fondarono nuove città e furono assegnate terre ai braccianti, ma nel complesso solo un decimo delle bonifiche annunciate fu realizzato (v. articolo a pag. 52). Un decimo che il megafono del partito amplificò a dismisura. Nel 1929 fu la volta della campagna autarchica (v. articolo a pag. 74). Ancora una volta fu il pretesto per spinge- ▸ fascismo
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Mussolini e il re d’Italia, Vittorio Emanuele III. Ma la stretta di mano e l’inchino erano vietati dall’etichetta fascista.
Il duce e la figlia Edda inzaccherati da un’innaffiatrice ribelle nel Foro Mussolini, a Roma.
gli Scatti ce ensu ura ati A Guidonia (Roma) un goffo Mussolini salta giù dalla scaletta dell’aereo da lui stesso pilotato.
22 NOVEMBRE 1936 STAM PA DISPOSIZIONI AL LA fotografie Ricordarsi che le o essere del Duce non debbon sono state pubblicate se non autorizzate.
La a “v voce deel padron ne”: la ra adiio nel Venttennio
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a prima trasmissione radiofonica italiana andò in onda il 6 ottobre 1924. L’Uri (Unione radiofonica italiana) era nata appena due mesi prima.
Radio Safar (1933)
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Nel 1927 diventò Eiar (Ente italiano audizioni radiofoniche), antenata della Rai (a sinistra, una campagna promozionale del 1941). Fino al 1938, quando il Primo
Radiorurale Unda (1934)
e il Secondo programma furono sdoppiati, ci fu un solo canale. Popolare. Con la diffusione di apparecchi più economici, come la Radioba-
Italiana Watt “Ardito” (1934)
STANDO AI COMUNICATI, MUSSOLINI AVREBBE ACCUMULATO 17 MILA ORE DI VOLO. QUANTO UN AVIATORE PROFESSIONISTA Tradizione fascistizzata L’edizione 1937 dell’Infiorata di Genzano (Roma). Alle composizioni floreali della tradizione si affiancarono quelle propagandistiche.
lilla (foto sotto, con altri modelli della collezione Bogni di Luino) e grazie all’istituzione nel 1933 dell’Ente radio rurale per la promozione del nuo-
vo mezzo nelle campagne, la radio divenne il veicolo preferito della propaganda. I radiogiornali, da tre al giorno nel 1929, passarono a cinque nel 1935.
Radiobalilla Cge (1936)
Radio Savigliano (1939)
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re sull’acceleratore dell’orgoglio nazionale. Si inaugurava uno stabilimento per la produzione di cellulosa? I giornali dovevano sottolineare che i forni bruciavano solo carbone nazionale. Il duce aveva visitato il Centro sperimentale di cinematografia? I tecnici avevano di sicuro messo a punto un apparecchio “essenzialmente autarchico”. Oper Op erazione ne immagin ine. e. Ma il successo più grande Mussolini lo ottenne con il culto quasi religioso della propria personalità. Carismatico fin da ragazzo, aveva capacità mimiche straordinarie, sguardo penetrante, era attento all’abito e studiava nel dettaglio parole e gesti. Della sua immagine, fin dagli esordi, fece un monumento, atteggiandosi a capo instancabile: ordinò di lasciare accesa la luce del suo studio di Palazzo Venezia fino a tarda notte, per far credere che il Grande nocchiero fosse impegnato a tempo pieno per il bene dell’Italia. Si fece ritrarre in decine di migliaia di istantanee (in realtà meticolosamente selezionate dalla censura) in atteggiamenti che dovevano trasmettere superiorità e competenza: il dittatore con le braccia ai fianchi e il petto in fuori (nella posizione irriverentemente detta “della damigiana”), in versione sportivo, operaio, guerriero, scrittore, padre, aviatore, “messo di Dio in terra”. A commentare le immagini ci pensavano le “veline” (v. riquadro a pag. 46) e l’Agenzia Stefani. Fondata nel 1853 dal giornalista torinese Guglielmo Stefani, era stata ereditata dal regno sabaudo e trasformata in agenzia di stampa ufficiale, della quale era obbligatorio seguire le indicazioni. Un giorno, visitando i poderi di Aprilia (Latina), Mussolini si fece ritrarre a torso nudo mentre trebbiava con i contadini. La Stefani, nel commento alle immagini, non mancò di sottolineare come il duce “non fosse affatto stanco dopo quattro ore di trebbiatura”. E pazienza se in realtà si era limitato a guardare e a fare apprezzamenti. Nel campo della fotografia e della documentaristica, poi, i cineoperatori dell’Istituto Luce (v. a pag. 9) fecero miracoli: allargarono il campo di ripresa, realizzarono gigantografie con le quali tappezzare stadi, città e mercati, ne occultarono i difetti fisici. Anti An tichi fast sti. Se il capo era un eroe senza macchia, il suo popolo non poteva essere da meno. Fu così che per l’Italia fascista del XX secolo Mussolini rispolverò un passato glorioso: quello dell’antica Roma. Il mito della romanità, i cui simboli avevano segnato l’origine e il nome stesso del fascismo (v. riquadro a pag. 8), fu il tormentone del Ventennio. Il movimento introdusse il saluto romano e organizzò i suoi seguaci sullo schema delle legioni. Mussolini si scelse come predecessore nientemeno che Giulio Cesare e fu presto colto dalla smania di erigere monumenti ovunque. Il duce aveva in mente una radicale metamorfosi di Roma per mettere in luce le vestigia ▸ fascismo
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Le parole del duce an nalizzate da un esp perto
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i solito i discorsi dei politici sono scritti da addetti stampa, di cui non conosceremo mai i nomi, ma dei quali si può apprezzare l’oratoria.
L’appello agli ascoltatori segue una semplice regola psicologica: chiunque parli, per quanto dica cose interessanti, dopo un po’ diventa noioso. Il secondo richiamo è come un nuovo inizio: ridesta l’attenzione. Sono evidenti i simbolismi sessuali (nel riferimento alle spade “levate” e all’atto di fecondare) che confermano i caratteri tipici (e ovviamente virili) del leader. La romanità era un elemento di forza della propaganda fascista, qui quasi ridondante. Forse per ribadire la superiorità dell’Italia, le citazioni dell’Impero romano superano quelle dell’Etiopia. Si parla di pace, la guerra è finita. Ma anche di perdita di sovranità dei popoli “associati”. Come oggi, la comunicazione di massa porta alla semplificazione dei concetti politici.
Convincente. La stessa abilità si ritrova nei discorsi di Mussolini, come questo del 9 maggio 1936 che annuncia, con la conquista dell’Etiopia, la nasci-
ta dell’impero. Abbiamo chiesto a Enzo Kermol, psicologo della comunicazione all’Università di Trieste, di analizzare il testo (in colore, le parti commentate).
Ufficiali! Sottufficiali! Gregari di tutte le Forze Armate dello Stato, in Africa e in Italia! Camicie nere della rivoluzione! Italiani e italiane in patria e nel mondo! Ascoltate! [...] Tutti i nodi furono tagliati dalla nostra spada lucente e la vittoria africana resta nella storia della patria, integra e pura, come i legionari caduti e superstiti la sognavano e la volevano. L’Italia ha finalmente il suo impero. Impero fascista, perché porta i segni indistruttibili della volontà e della potenza del littorio romano, perché questa è la meta verso la quale durante quattordici anni furono sollecitate le energie prorompenti e disciplinate delle giovani, gagliarde generazioni italiane. Impero di pace, perché l’Italia vuole la pace [...]. Impero di civiltà e di umanità per tutte le popolazioni dell’Etiopia. Questo è nella tradizione di Roma, che, dopo aver vinto, associava i popoli al suo destino. [...] Ufficiali! Sottufficiali! Gregari di tutte le Forze Armate dello Stato, in Africa e in Italia! Camicie nere! Italiani e italiane! Il popolo italiano ha creato col suo sangue l’impero. Lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi. In questa certezza suprema, levate in alto, o legionari, le insegne, il ferro e i cuori, a salutare, dopo quindici secoli, la riapparizione dell’impero sui colli fatali di Roma. Ne sarete voi degni? Questo grido è come un giuramento sacro, che vi impegna dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini, per la vita e per la morte! [...]
Le “veline”? Non le ha create la tv
P
er il vocabolario Zingarelli, le veline sono “giovani vallette televisive che si esibiscono in abiti succinti”. Striscia la notizia, il programma che per primo le ha lanciate, ne ha due. Ma l’origine delle veline è ben più lontana: inventate dal fascismo nel 1930, e chiamate così per la loro consistenza (erano scritte appunto su carta velina), contenevano gli ordini, pignoli e indiscutibili, agli organi di stampa. Pre parate dal governo e diffuse anche più volte al giorno
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(soprattutto dal Minculpop), stabilivano gli spazi che radio e giornali dovevano dare alle notizie, trasmettevano imposizioni, divieti e censure, fornivano informazioni preconfezionate. Grottesche. La volontà di controllo totale che esprimevano portò a diffondere istruzioni grottesche come queste: “Diminuire le notizie sul cattivo tempo” (1/6/1939), “Il discorso del Duce al popolo italiano può essere commentato. Il commento ve lo mandiamo noi” (23/9/1939).
Più chiaro di così... Roma, 1937: un inequivocabile slogan domina la Mostra del tessile, vetrina di prodotti dell’industria autarchica.
Due esclamazioni indicano la superiorità di chi parla rispetto a chi ascolta (grazie soprattutto al tono dubitativo della seconda). Alla radio il messaggio è verbale e necessita di queste sottolineature per rinforzare il concetto. I termini “volontà”, “potenza”, “certezza suprema”, “giuramento” non lasciano spazio al dubbio, da cui nasce la riflessione e quindi la critica. La fondazione dell’impero “con il sangue” è retoricamente eccessiva: le vittime etiopi superarono di molto quelle italiane (v. a pag. 76). Il giovanilismo, anche oggi comune a molti gruppi politici, significa opporsi all’arretratezza e al “vecchiume” degli altri. Ma qui la proposta è avanzata con molta cautela: “prorompenti” e “gagliardi” va bene, ma soprattutto “disciplinati”, per evitare sorprese poco gradite.
PER LA MOSTRA DELLA RIVOLUZIONE FASCISTA DEL 1932 FURONO STAMPATI 1 MILIONE E 300 MILA MANIFESTI
Lavaggio mentale Dall’alto, saggio ginnico all’Arena di Verona nel 1937; dopolavoristi al Vittoriano: nell’antica Roma i fasci littori erano simbolo di autorità. A sinistra, propaganda murale.
dell’età imperiale, e per dare maggiore visibilità al mausoleo di Augusto o al Colosseo fece abbattere e spostare palazzi, aprendo via dei Fori imperiali e via della Conciliazione. Bavaglio. Il motore del carrozzone promozionale del regime, il ministero della Cultura popolare (detto Minculpop) nato nel 1937 dalla trasformazione del ministero della Propaganda, funzionava adesso a pieno ritmo. Il controllo sulla stampa era assoluto. Già nel 1923 il duce aveva chiesto “la soppressione di alcuni giornali pleonastici” come Epoca e Il Mondo, e ottenuto la rimozione dei direttori sgraditi. Molte testate erano passate sotto il suo diretto controllo e per chi scriveva divenne obbligatorio iscriversi all’Albo dei giornalisti e al Partito fascista. A scuola furono adottati testi unici (v. articolo a pag. 24), le biblioteche passate al setaccio ed epurate. «Ma in un’Italia semianalfabeta» spiega Mimmo Franzinelli, studioso dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione «libri e giornali erano appannaggio di un’élite. Per arrivare a tutti il regime dovette inventare nuove forme di pubblicità». E così, in stampatello e a caratteri cubitali, fin nei più piccoli paesi, sui muri e lungo le strade, comparvero decine di slogan. Lapidari e comprensibili per tutti. Arma segreta. Ma la vera arma segreta fu la radio, sperimentata in Italia tra il 1922 e il 1924. Mussolini ne intuì le potenzialità e la utilizzò per mettere un altro punto a segno: grazie alla radiofonia e agli altoparlanti installati nelle piazze italiane, mobilitò per anni, un sabato dopo l’altro, milioni di uomini e donne, schierati in adunata. Il messaggio era chiaro: “Insieme siamo forti”. Cose del genere, in Occidente, non si erano mai viste: la politica imposta con tecniche commerciali. Eppure, proprio dalla radio Mussolini ricevette lo schiaffo più doloroso. Dalla fine del 1939, quando gli abbonati erano diventati circa un milione, i rapporti dell’Ovra, la polizia segreta (v. riquadro a pag. 133), segnalarono l’intensificarsi dell’ascolto di emittenti estere in lingua italiana, ostili al duce. Prima fra tutte, Radio Londra. “Attenzione, attenzione! Antifascisti di Bari, Trieste, Ancona, Palermo. L’ora è giunta. Il movimento rivoluzionario è alle porte”. Voci esili, notturne. Poi sempre più chiare e seguite. Il governo si rese conto del pericolo e tentò invano di disturbarne le frequenze. L’apparato propagandistico scricchiolò. «L’ideologia e la finzione» conclude Franzinelli «avevano acuito il divario con la realtà: l’Italia efficiente e invincibile, dietro la maschera della propaganda, si rivelò un bluff». Ma fino all’ultimo il regime continuò a simulare. Dopo l’arrivo degli Alleati a Roma, fu allestita una finta radio clandestina, che affermava di trasmettere dall’Italia occupata. Era l’ennesima bufala: Radio Tevere, così era stata battezzata, aveva sede a Milano. ◉ Michele Scozzai e Aldo Carioli
GIUSTIZIA
GLI ITALIANI VIVEVANO DAVVERO PIÙ SICURI DURANTE IL VENTENNIO? ECCO I DATI REALI SUI DELITTI E I FURTI. E IL CASO DEI SUICIDI NASCOSTI
Calma apparente Due attrici posano accanto a un agente di pubblica sicurezza a Roma, nel 1934. Attraverso la censura il fascismo cercò di imporre l’immagine di una nazione sicura e felice, senza criminali.
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S Fascismo
S
i poteva lasciare la porta di casa aperta. I furti, le aggressioni, gli omicidi erano rari. Persino la mafia era sotto controllo. I suicidi poi non esistevano, in una società sana e ottimista. Di che cosa stiamo parlando? Di alcuni lati positivi degli anni del fascismo, oppure di luoghi comuni costruiti ad arte? Soltan nto buon ne notiziie. «La risposta emerge abbastanza chiara considerando le leggi speciali sulla stampa. Volute da Mussolini a partire dal 1926, imponevano di parlare il meno possibile di cronaca nera» spiega il giornalista e scrittore Enzo Magrì. «Venivano diffuse istruzioni dettagliate ai giornali da parte di un regime che aveva come capo un giornalista: ex direttore del quotidiano Avanti!, fondatore del Popolo d’Italia e poi “editore” di una radio, quella Rurale, che puntava a raggiungere tutti gli italiani». Benito Mussolini voleva insomma trasmettere l’immagine di una società pulita, laboriosa, felicemente nazionalista. «Le notizie di suicidi, per esempio» continua Magrì «andavano date con il minimo spazio possibile, e questi dovevano sempre essere descritti come incidenti: un proiettile era partito per sbaglio mentre si stava pulendo un’arma, un piede in fallo o un giramento di testa avevano fatto precipitare da un ponte o da un balcone uno sfortunato italiano, magari un fascista modello». Se poi si trattava di qualche reietto, come il noto editore ebreo An-
Il vero omicida non si trovò Il Messaggero annuncia nel 1927 l’arresto di Gino Girolimoni, “turpe assassino” di bambine. In realtà era innocente, ma la propaganda di regime aveva bisogno di colpevoli.
gelo Fortunato Formiggini, gettatosi dalla torre Ghirlandina di Modena nel novembre del 1938, dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali (v. articolo a pag. 124), la notizia non veniva nemmeno data. Insabbiatori. La cronaca nera era tabù. E se un fatto non veniva divulgato dalla stampa, era come se non fosse mai avvenuto. Diceva per esempio una “velina” (v. riquadro a pag. 46) del 29 agosto 1942 destinata ai direttori di tutti i giornali: “Si ricorda che i furti fanno parte della cronaca nera, che deve essere limitatissima e pubblicata, anche nei casi di maggior mole, con nessun rilievo”. Nello stesso periodo, un’altra nota richiamava all’ordine: “Si ricorda che le notizie relative ai suicidi sono abolite da un pezzo sui nostri giornali e non devono ▸ riaffiorare neppure in forma velata”.
L’uomo dietro lo Stato di polizia
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o Stato di polizia che fu l’Italia fascista ebbe un padre riconosciuto: Alfredo Rocco (foto), giurista e ministro di Grazia e giustizia dal 1925 al 1932. Fu lui a fornire a Mussolini gli strumenti della dittatura, dalle leggi che aumentavano i poteri del capo del governo e dei prefetti all’istituzione del Tribunale speciale. È reato! Quest’ultimo, usato a fini di repressione politica, fra il 1927 e il 1943 condan-
nò per reati contro lo Stato 4.596 persone, per un totale di 27.735 anni di carcere e 42 sentenze di morte (31 delle quali eseguite). Si poteva finire dietro le sbarre anche solo per una parola sbagliata, come accadde alla casalinga Ersilia Palpacelli, condannata a 2 anni e 8 mesi per questa frase: “Gli pigliasse un colpo, al podestà e al duce” (v. anche a pag. 116). Riabilitato? Ad Alfredo Rocco dobbiamo però anche il
nostro Codice penale, detto appunto “codice Rocco”, introdotto nel 1930 e in gran parte ancora in vigore. E oggi molti ne rivalutano le doti di studioso del diritto. Tanto che un antifascista come l’ex presidente della Corte costituzionale Giuliano Vassalli lo ha definito pochi anni fa “un giurista e politico autentico”. Nonostante proprio Rocco avesse riportato in Italia la pena di morte. Aldo Carioli Fascismo
S 49
FRA IL 1931 E IL 1940 NELLE CARCERI ITALIANE ERANO RINCHIUSI IN MEDIA 249.056 DETENUTI. FRA IL 1951 E IL 1960 ERANO SCESI A 90.059 Superprocesso Mafiosi processati a Palermo nel 1928. Furono fatti arrestare dal “prefetto di ferro” Cesare Mori. Buon vicinato.. Ma qual era allora la situazione reale della criminalità comune sotto il fascismo? «La società contadina dell’epoca, grazie al controllo sociale garantito dalla famiglia allargata (e dai vicini di casa) consentiva effettivamente in molti casi di tenere aperte le porte delle abitazioni. Ma ciò avveniva in quegli anni anche nelle democrazie, dove un’urbanizzazione ancora limitata e la vita nelle campagne assicuravano una convivenza civile rispettosa» spiega Magrì. «In più, le guerre coloniali permettevano di avere in patria qualche testa calda in meno». Nonostante ciò, le statistiche (v. riquadro qui sotto) non indicano affatto che la criminalità fosse inferiore durante il fascismo rispetto al dopoguerra. Inoltre la pace sociale “beneficiava” di alcune leggi speciali incompatibili con la democrazia e poco riguardose dei diritti personali. L’istituzione dal 1928 del confino di polizia, per esempio, permetteva, a discrezione dei prefetti, lo sradicamento dal loro ambiente di semplici sospettati. E ciò preveniva episodi di criminalità. Dopo i tre attentati al duce del 1926, fu inoltre ripristinata la pena di morte (che era stata abolita alla fine dell’Ottocento dal governo Crispi). Nel 1928, di conseguenza, venne fucilato Michele Della Maggiora, un disoccupato che aveva ucciso due fascisti del suo paese, Ponte Buggianese (Pistoia). Nel 1931 vennero invece condannati alla pena capitale due anarchici, Michele Schirru e Angelo Sbardellotto, accusati di aver manifesta-
to l’intenzione (ma soltanto quella) di attentare alla vita di Mussolini. a alla mafia. Incontestabile è invece l’aperta Guerra conflittualità fra il fascismo e la mafia. La concorrenza ai poteri dello Stato era inammissibile per il regime. Il 22 ottobre del 1925 si insediò a Palermo il prefetto Cesare Mori, poi soprannominato “il prefetto di ferro”, che ricorrendo a metodi da esercito d’occupazione stanò e catturò più mafiosi nel solo 1927 che in tutti gli altri anni della storia d’Italia. Christopher Duggan, nel suo libro La mafia durante il fascismo (Rubbettino), racconta di saccheggi, violenze sulla popolazione, prese di ostaggi, fra cui donne e bambini: tutti metodi usati dagli uomini del prefetto di ferro per averla vinta sulla mafia. In quel clima, molti mafiosi si rifugiarono negli Stati Uniti, dove ingrossarono le file di Cosa nostra. I pessimi rapporti fra mafia e potere fascista furono all’origine dei movimenti indipendentisti della Sicilia e anche dell’appoggio fornito dalla mafia agli Alleati durante la Seconda guerra mondiale. Legami che proseguirono nel dopoguerra, come dimostra la strage di Portella della Ginestra, vicino a Palermo, dove il 1° maggio 1947 i braccianti riuniti per la festa dei lavoratori furono presi a fucilate (11 morti e 65 feriti) dai banditi di Salvatore Giuliano, alleato della Cia e dei poteri occulti. ◉ Franco Capone
La democrazia vince anche sul crimine
N
egli archivi dell’Istituto nazionale di statistica si può scoprire quanto fosse diffusa la criminalità comune negli anni del fascismo. Dal 1921 al 1930 gli omicidi furono in media 3.119 l’anno. Fra questi potrebbero essere stati inclusi anche quelli politici precedenti la Marcia su Roma (28 ottobre
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1922) ma la frequenza rimane alta anche se si considerano solo i 4 anni dal 1926 al 1930, quando si ebbero mediamente 2.432 uccisioni l’anno. Morti in calo. Una media decisamente superiore a quella degli anni di democrazia dal 1951 al 1960, durante i quali gli omicidi furono mediamente 1.967 l’anno, per scendere
poi a 1.372 fra il 1961 e il 1970. Cioè molto meno anche del decennio 1931-40, in pieno fascismo, quando le uccisioni furono in media 1.901 l’anno. Furti e scassi. Per quanto riguarda i furti, dal 1921 al 1930 ne risultano mediamente 202.395 l’anno. Dal 1931 al 1940 si passa a 231.397. In democrazia, dal 1951 al 1960 i
furti furono, come media annua, 264.765; dal ’61 al ’70, 324.472. Va però considerato che nel frattempo la popolazione era aumentata di diversi milioni di persone, anche perché era diminuita l’emigrazione dei nostri connazionali all’estero. E forse, con la democrazia, si usava di più denunciare i furti.
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VITA QUOTIDIANA
COME SI STAVA ALLA FINE DEGLI ANNI ’30? LE RISPOSTE DELLA STATISTICA
i n a i l a o it t n o r f n o c a Casa e famiglia Matrimoni
1939
Oggi
DEMOGRAFIA
1939
7,2
3,8
Popolazione
42,9
(ogni 1.000 abitanti) 3,2 1
1,4
Telefoni fissi
1,2
40,1
(abbonamenti ogni 100 abitanti) 12%
Densità (abitanti/km2) Speranza di vita alla nascita (anni)
99% Mortalità infantile entro il 1° anno di vita (su 1.000 nati)
(nei centri maggiori) 1
Dato medio del periodo 1934-1936.
1 2
INDUSTRIA E LAVORO Produzione di energia elettrica (milioni di kWh)
di cui idroelettrica di cui termoelettrica
1939
Oggi
18.417
302.062
92%
18%
8%
76%
200
maschi: 53 2
maschi: 79
femmine: 56 2
femmine: 84
100
3,5
1939
Oggi
Percentuale di analfabeti
21% 1
1,1%
Biglietti teatrali
4
Lavoratori industria
27 1
29
(venduti all’anno)
23 1
67
Quotidiani (venduti al giorno)
20 milioni
34 milioni
360 milioni
109 milioni
3,8 milioni
4,5 milioni
(venduti all’anno) Biglietti cinema
(% della popolazione attiva)
141 1
CULTURA E TEMPO LIBERO
50 1
1
60,6
(di cui 4,5 stranieri)
Dato riferito al 1936, anno dell’ultimo censimento in epoca fascista. Dato riferito al 1932, calcolato sulla base del censimento del 1931.
Lavoratori agricoltura (% della popolazione attiva)
Lavoratori commercio e servizi (% della popolazione attiva)
Oggi
(in milioni)
Figli per donna
Appartamenti con bagno
Un “faccia a faccia” di cifre tra due Italie, quella del Ventennio e quella di oggi. L’esperienza fascista è riassunta dai dati del 1939, anno di svolta per il nostro Paese: la catastrofe della guerra mondiale era ormai alle porte.
1
Dato calcolato sulla base del censimento del 1931.
Dato riferito al 1936, anno dell’ultimo censimento in epoca fascista.
ECONOMIA Reddito annuo pro capite Consumo annuo pro capite di carne bovina (kg) Consumo annuo pro capite di pasta (kg) Sportelli bancari
1939
Oggi
3.029 lire 1
17.433 €
9
24
14
26
TRASPORTI
1939
Ferrovie (km)
22.992
16.701
173.022
436.676 1
479
6.629
290.000
37.138.990
Strade (km) Autostrade (km) Automobili circolanti 1
7.049
Oggi
Dato riferito al 2005.
33.356
Fonti: Abi, Aci, Cerm, Fieg, Human development report 2011, Istat, Uniontrasporti. 1
Dato riferito al 1938 (pari, considerata la rivalutazione, a circa 2.070 euro). fascismo
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ECONOMIA
LA BONIFICA DELL’AGRO PONTINO FU UN TRIONFO PROPAGANDISTICO PER IL REGIME. MA NON FU CORONATA DA UN SUCCESSO ANCHE PRODUTTIVO
ALLA CONQUISTA
DELLE PALUDI
▸
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aludosi, malarici, incolti o malcoltivati e con poche migliaia di abitanti, in maggioranza pastori dediti alla transumanza nei pochi mesi salubri dell’anno. Così si presentavano i campi dell’Agro Pontino (nel Lazio Meridionale) nel 1925. Il loro recupero era stato tentato con scarso successo sia dallo Stato Pontificio sia dal Regno d’Italia, ma con la svolta autoritaria imposta al Paese da Mussolini, nel gennaio di quell’anno, il progetto di bonifica integrale delle terre incolte di tutta Italia fu rilanciato come iniziativa del regime. Parten nza stent tata. La bonifica pontina fu avviata nel 1928, ma senza che al risanamento idraulico e sanitario si accompagnasse la colonizzazione del comprensorio. Questo quadro mutò drasticamente nel 1929, quando alla presidenza dell’Opera nazionale combattenti (Onc) giunse il conte Valentino Orsolini Cencelli. L’Onc era un istituto statale fondato nel 1917 per favorire il reinserimento dei reduci. Cencelli propose di utilizzare il patrimonio dell’ente per acquisire e dividere i latifondi dell’Agro Pontino in poderi, e trasferirvi famiglie di ex combattenti dalla sovrappopolata Bassa Padana. Il progetto entrò nella sua fase operativa nel 1930. «Con l’Onc» sostiene Antonio Pennacchi, studioso di agricoltura del Ventennio «si passò a un controllo diretto del regime nelle aree bonificate, con esproprio dei latifondi in vista della nascita di una nuova classe di coltivatori autonomi, chiamati a diventare la colonna vertebrale dell’Italia contadina sognata da Mussolini».
Frequenti controlli Una delle numerose visite di Mussolini allo stato dei lavori. Migliaia di disoccupati affluirono clandestinamente nella zona in cerca d’impiego.
L’operazione partì in salita: lo Stato non aveva soldi, le banche praticavano tassi esosi e Cencelli dovette svuotare il portafoglio dell’Onc. Alla fine però i primi espropri avvennero (a prezzi concordati con i latifondisti) e i lavori poterono cominciare. Contad dini impr rovvisati.. La forza lavoro comprendeva inizialmente 20 mila operai, ma migliaia di disoccupati affluirono clandestinamente nella zona, tanto che si dovettero bloccare le strade agli “elementi estranei”. Nell’ottobre del 1931 giunsero le prime famiglie di contadini; altre ne seguirono, fino a diventare circa 3.200, con una decina di membri ciascuna. La selezione, affidata al Commissariato per le migrazioni interne, avveniva per nuclei minimi di 6 persone, con almeno un ex combattente e due donne. I coloni provenivano in maggioranza dal Veneto, ma anche dal Friuli e dall’Emilia-Romagna. Fra di loro tuttavia, lamentava Cencelli “c’è un po’ di tutto: dal pescatore al muratore, dal segretario comunale al sarto, dall’accattone al portiere, con deficienza proprio dell’elemento fondamentale, che è quello agricolo”. All’arrivo le famiglie venivano accolte dai Fasci femminili con generi di ristoro, prima di essere accompagnate ai poderi assegnati: 10-15 ettari in media, con una casa colonica, un forno, un pollaio, una stalla, attrezzi agricoli, un carro, qualche capo di bestiame e un libretto di risparmio, che avrebbe dovuto consentire, dopo 5 anni, il ▸ riscatto del fondo.
La domenica? S’impara a coltivare i campi
N
el 1933, “al fine di contribuire all’elevazione morale e culturale delle popolazioni rurali”, fu creato l’Ente radio rurale (Err). Il suo programma principale, L’ora dell’agricoltore, era diffuso via radio dall’Eiar (antesignano della Rai) la mattina della domenica e si articolava in 3 parti: 1) Rapporto sulle conquiste del regime, specie in campo agricolo; 2) Favole, proverbi e canzoni tratti dal repertorio (spesso immaginario) della cultura popolare contadina; 3) Temi di tecnica agraria attraverso dialoghi inventati fra personaggi del mondo rurale, soprattutto mezzadri e piccoli proprietari terrieri (mai latifondisti o braccianti).
Contadini in festa nell’Agro Pontino. Poche radio. Pur caratterizzato da una diffusione modesta, data la scarsità di apparecchi radio nelle campagne, nel 1934 l’Err passò sotto il controllo del Partito fascista e del suo segretario, Achille Starace, che nel 1935 aggiunse all’Ora dell’agricoltore
una rubrica di commento ai fatti del giorno, e nel 1937 assunse personalmente la direzione dei programmi. Con la fine della segreteria Starace, nel 1939, l’Err fu prima sottoposto a riforma e poi soppresso nel 1940, poco prima che l’Italia entrasse in guerra. Fascismo
S 53
Esodo verso nuove terre Mille operai e braccianti toscani arrivano a Cisterna di Roma nel 1931: saranno impiegati nella bonifica dell’Agro Pontino.
CONTRATTI DI LAVORO INESISTENTI E CERTIFICATI MEDICI FALSI IMPEDIRONO DI CONOSCERE IL VERO NUMERO DELLE VITTIME DURANTE I LAVORI Tradiz zioni div verse. L’esclusione delle genti locali, considerate inadatte agli insediamenti stabili a causa del loro nomadismo, creò qualche tensione. All’inizio anche la diversa provenienza geografica dei coloni si fece sentire. «Nei primi tempi» ricorda Pennacchi «furono risse, coltellate e persino schioppettate; poi la socializzazione procedette a una bizzarra fusione di tradizioni diverse, con serate nelle stalle ad ascoltare le fole come in Veneto, balli sull’aia come in Emilia-Romagna e sgambate in bicicletta alla maniera ferrarese». I nuovi arrivati portarono, insieme alle loro cose, le proprie abitudini. La polenta “alla cispadana”, dura e da tagliare con il filo, era una novità per i laziali. Di contro, i veneti quasi non sapevano che cosa fosse l’olio d’oliva. Ma sapevano fare il clintòn, il vino – nero come la pece – ottenuto dalla cosiddetta “uva americana” (il vitigno Clinton, appunto). Le ragazze venute dal Nord affascinavano e scandalizzavano: andavano in bicicletta mostrando le gambe e si recavano a ballare anche da sole. Ancora oggi le ferraresi di allora, diventate nonne a Latina o a Sabaudia, ricordano come le loro coetanee del posto le considerassero delle poco di buono. Ma erano universalmente riconosciute come
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Giunti qui da tutt’Italia Mussolini parla agli operai arrivati da ogni parte d’Italia per la bonifica dell’Agro Pontino, nel 1930.
le più carine, perché si truccavano e portavano le calze con la riga dietro. «Alla fine si stabilirono rapporti amichevoli anche fra i coloni (soprannominati “polentoni”) e i locali (“marocchini”)» continua Pennacchi «anche se per arrivare ai matrimoni misti ci vollero parecchi anni». Intanto erano sorti i primi piccoli centri (spesso dove prima erano baraccati gli operai) battezzati coi nomi dei luoghi della Grande guerra: Isonzo, Sabotino, Carso, Piave... Contavano pochi edifici: una chiesa, la caserma dei carabinieri, ambulatorio e dispensario (per il chinino, il farmaco antimalarico), la scuola e gli uffici amministrativi, qualche osteria e una balera (aperta solo di domenica). e d’Africa. Fra il 1932 e il 1935 gli espropri e i poAl sole deri arrivarono a coprire un’area di 70 mila ettari: i risultati agricoli, però, restavano poco soddisfacenti perché www.focusstoria.it
E all’ultimo i nazisti arruolarono le zanzare
F
u un tentativo disperato, quello messo in atto dai tedeschi nell’autunno del 1943 per fermare, o almeno rallentare, l’avanzata delle truppe alleate verso nord. I nazisti affidarono a un esperto di malaria, Erich Martini, il compito di infestare di zanzare-killer l’Agro Pontino, che Mussolini aveva fatto bonificare. Mini-invasori. In pratica, nella zona furono ricreate le condizioni ambientali (tramite l’immissione di acqua di mare nelle ex paludi) per far riprodurre l’Anopheles labranchiae, la zanzara portatrice della malaria. E in effetti gli insetti si moltiplicarono in fretta.
Distribuzione di un antimalarico ai contadini. A destra: pubblicità di un liquore contro la malaria. Ma quale risultato ebbe questa specie di guerra biologica, l’unica combattuta in Europa durante il XX secolo? Zero in strategia. I soldati anglo-americani non se ne accorsero nemmeno, o quasi, perché passarono nella zona molto velocemente e prima del
previsto; erano inoltre forniti di tutte le medicine necessarie. La popolazione civile italiana, invece, fu colpita dall’epidemia e i casi di malaria passarono, fra il 1944 e il 1946, da 1.217 a circa 100 mila, su una popolazione locale di 245 mila persone. (f. m.)
Sagra paesana Gara di corsa nei sacchi nel 1935 a Littoria (oggi Latina) in occasione della festa di San Marco, patrono della città.
un’alta percentuale di assegnatari proveniva sì da zone geograficamente rurali, ma non da una vera tradizione contadina. Molti non sapevano nemmeno quali fossero i momenti più adatti per la semina o il raccolto. Allora si arrangiarono: dissiparono le scorte, si indebitarono, barattarono le sementi con vino, vendettero i concimi chimici per poche lire. Il piano di bonifica procedette così tra euforia e frustrazioni, con ritardi, errori, tensioni, accuse, proteste e rapporti riservati al duce per denunciare soprusi e malversazioni. Nel 1935 scoppiò la Guerra d’Etiopia (v. articolo a pag. 76). Già l’anno prima il duce aveva aggiunto all’“aratro che traccia il solco” la “spada che lo difende”; ora ai contadini chiedeva di “riprendere il fucile, intonando i canti virili della Grande guerra per ingrossare le legioni in Africa”. «Forse» osserva Penwww.focusstoria.it
Sviluppo inatteso 1938: posa della prima pietra per la fondazione di Pomezia, città destinata, come gli altri “borghi rurali”, a un forte sviluppo urbano. nacchi «Mussolini, da buon ex contadino, stava davvero cercando “un posto al sole”: è un fatto che mentre le grandi potenze erano andate a caccia di oro, diamanti e petrolio, noi conquistammo solo terra da zappare». Il sogno della colonizzazione in Etiopia tramontò presto, ma intanto nell’Agro Pontino tutto si era bloccato. E quando le bonifiche integrali ripartirono, il mirino fu puntato soprattutto verso la Puglia e la Sicilia. Nel Lazio, invece, la bonifica vivacchiò fra difficoltà crescenti, mentre le dure condizioni di vita dei coloni davano il via a una triste sequenza di furtarelli tra poveri e piccole ribellioni verso le autorità, qualche volta sfociate anche in astensioni dal lavoro e manifestazioni pubbliche. Finché, nel 1940, anche Mussolini finì per cedere allo sconforto, come risulta da una sua amara nota riservata: “Nella zona di Littoria colture trascurate, grano orribile come quantità e qualità, pieno di erbacce. In certi punti c’era più erba che grano. [...] Il contadino riceve annualmente una certa cifra per sé e per ogni componente della famiglia: va da sé che non si preoccupa affatto del raccolto, al quale non è interessato. Semina e poi Dio ci pensa! È possibile ◉ questo in un regime fascista?”. Sergio De Santis fascismo Fascismo
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PROTAGONISTI
SIAM
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Gerarchi, fiancheggiatori, militari, intellettuali compiacenti; era lunga la lista dei sostenitori del fascio. Aderirono a un regime che li aveva sedotti e convinti, o che aveva consentito loro la scalata sociale e la difesa dei privilegi di casta. A cura di Gianpaolo Fissore
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S Fascismo
Emilioo Dee Bon no
Alffreedo Rocccoo
Gioovannii Gen ntille
1866-1944
1875-1935
1875-1944
Chi erra: militare di carriera, fu il più anziano quadrumviro alla guida della Marcia su Roma. Mussolini si avvalse della sua esperienza per organizzare la milizia fascista e per preparare l’impresa coloniale in Africa. Che cosa a ha fattto: volontario nella Campagna d’Africa del 1887-88, capo di Stato maggiore in Libia nel 1912, durante la Grande guerra fu più volte decorato e diventò nel 1918 generale di corpo d’armata. Dopo la Marcia su Roma, fu per alcuni anni a capo della Pubblica sicurezza e della milizia. Governatore della Tripolitania dal 1925 e ministro delle Colonie nel 1929, elaborò i piani segreti per l’aggressione dell’Etiopia e nel 1935 comandò le fasi iniziali della guerra, portando a termine la conquista di Adua, Axum e Macallè. Sostituito poi da Badoglio, fu nominato maresciallo d’Italia, ma per vari anni non ricoprì più alcun incarico ufficiale. Nel giugno 1940 assunse il comando delle armate del Sud, senza però svolgere alcun ruolo nel conflitto. Già contrario all’entrata in guerra dell’Italia, nella seduta del Gran consiglio del 25 luglio 1943 espresse il primo voto favorevole alla destituzione di Mussolini, dopo quello di Dino Grandi. Nel 1944, al processo di Verona (sotto la giurisdizione della Repubblica sociale italiana), fu condannato a morte dai fascisti di “provata fede” e fucilato.
Chi erra: docente universitario e giurista, fu ministro della Giustizia nei primi anni della dittatura e promotore delle leggi eccezionali che avviarono la costruzione dello Stato totalitario. Porta il suo nome il Codice penale tuttora in vigore e solo parzialmente modificato. Che cosa a ha fattto: giovanissimo insegnò materie giuridiche in vari atenei. Sostenitore dell’intervento nella Prima guerra mondiale e fra i maggiori esponenti del nazionalismo, diresse nel dopoguerra il quotidiano L’Idea nazionale. Nel 1921 fu eletto deputato e nel 1923 sostenne la fusione dei nazionalisti con i fascisti. Nel 1925 fu chiamato a ricoprire il ruolo chiave di ministro della Giustizia e fu artefice delle leggi eccezionali, o “fascistissime”, che prevedevano tra l’altro la soppressione di tutti i partiti e delle associazioni di opposizione, e la chiusura degli organi di stampa avversi al regime. Ebbe un ruolo di primo piano nella stesura della Carta del lavoro, poi culminata nella legge istitutiva delle corporazioni. Partecipò alle trattative con il Vaticano per il Concordato e all’elaborazione della legge che eliminò il carattere elettivo della Camera dei deputati, stravolgendo lo Statuto albertino del 1848. Nel 1930 entrò in vigore il Codice penale indicato col suo nome. Fu rettore dell’ateneo di Roma La Sapienza dal 1932 al 1935.
Chi erra: docente universitario, filosofo e pedagogista, esponente del neoidealismo italiano, fu l’intellettuale di maggior prestigio fra quanti aderirono al fascismo. Porta il suo nome la riforma scolastica varata nel 1923, che introdusse ordinamenti destinati a restare in vigore per vari decenni anche nell’Italia repubblicana. Che cosa ha fattto: all’inizio del Novecento collaborò a lungo con Benedetto Croce, con il quale fondò la rivista La critica, impegnata nell’affermazione dell’idealismo contro il positivismo. Nel 1922, subito dopo la Marcia su Roma, Mussolini lo chiamò a dirigere il ministero della Pubblica istruzione. L’ anno successivo si iscrisse al Partito fascista e nel 1925 redasse il Manifesto degli intellettuali fascisti celebrando nell’avvento del regime il compimento del Risorgimento e la realizzazione dello Stato etico. Membro del Gran consiglio del fascismo dal 1925 al 1929, ricoprì durante la dittatura importanti cariche politiche e culturali: lavorò alla riforma costituzionale, contribuendo a porre le basi dello Stato corporativo, creò l’Istituto fascista di cultura, fu direttore scientifico dell’Enciclopedia italiana e della Normale di Pisa. Caduto Mussolini, si schierò a favore della Rsi e fu eletto presidente dell’Accademia d’Italia. Fu ucciso a Firenze da un commando partigiano.
Marg gherritaa Sarrfatti
Rodoolffo Grazian ni
Mich hele Biaancchi
Cesaare M. De Veecchii
1883-1930
1884-1959
Chi erra: intellettuale anticonformista, appassionata di arte e letteratura, fu per molti anni ispiratrice, consigliera e confidente di Mussolini. Contribuì a promuovere il mito del “duce” in Italia e all’estero. Che cosa ha fattto: ultimogenita di una ricca famiglia ebrea veneziana, i Grassini, sposata all’età di 18 anni con l’avvocato Cesare Sarfatti, conobbe nel 1913, tramite Anna Kuliscioff, Mussolini, a cui si legò sentimentalmente e non solo. Abbandonando il socialismo, lo seguì nella svolta interventista e nazionalista. Lavorò al suo fianco nella redazione del Popolo d’Italia e lo introdusse nei salotti frequentati dalle avanguardie artistiche e letterarie e in quelli della buona società lombarda. Dopo la Marcia su Roma, fu l’autrice segreta di molti suoi articoli e discorsi. Nel 1925 pubblicò in inglese, e poi in italiano, la biografia Dux, descrivendo Mussolini come uomo della provvidenza, destinato a restaurare la grandezza della Roma dei Cesari. Negli Anni ’30, ormai estromessa dalla cerchia delle favorite, procurò all’ex amante vantaggiosi contratti con il gruppo Hearst per la pubblicazione in esclusiva di alcuni articoli negli Stati Uniti, dei quali continuava a essere lei la vera autrice. Dopo l’emanazione delle leggi razziali, nel 1938, si rifugiò a Parigi e poi in Uruguay, da dove fece ritorno solo nel 1947.
Chi erra: maresciallo d’Italia, operò con spietatezza nelle imprese coloniali. Fu ministro della Difesa nella Repubblica sociale. Condannato come criminale di guerra, scontò pochi anni. Che co osa a ha fattto: decorato nella Grande guerra, alla conclusione del conflitto venne inviato in Libia, dove portò a termine la riconquista della Tripolitania nel 1924 e della Cirenaica nel 1930, deportando oltre 100 mila persone e guadagnandosi la nomina a vicegovernatore della Cirenaica, nonché la fama di “macellaio degli arabi”. Nominato nel 1935 governatore della Somalia, durante la Guerra d’Etiopia guidò le operazioni sul fronte sud, operando anche bombardamenti con gas asfissianti. Succeduto a Badoglio come viceré d’Etiopia, ordinò durissime repressioni nei territori conquistati. Migliaia furono i morti della rappresaglia seguita al fallito attentato di cui fu oggetto nel 1937. Al comando delle forze armate in Africa Settentrionale nella Seconda guerra mondiale, ma rimosso dopo le prime gravi sconfitte, fu richiamato da Mussolini per ricostruire l’esercito della Rsi: sua la firma del bando di condanna a morte per renitenti alla leva e partigiani. Dopo la Liberazione, consegnatosi agli Alleati, fu condannato a 19 anni di carcere. Amnistiato nel 1950, divenne presidente onorario del Movimento sociale italiano.
Chi erra: fra i più stretti collaboratori di Mussolini negli anni che precedettero la nascita del Partito nazionale fascista, ne fu dalla fondazione il primo segretario. Ebbe un ruolo di primo piano nella Marcia su Roma, non solo come quadrumviro, ma anche nel sollecitare Mussolini all’azione. Che cosa a ha fattto: calabrese di origine e universitario a Roma, abbandonò gli studi in legge per diventare nel 1903 redattore del quotidiano socialista Avanti!. Due anni dopo approdò al sindacalismo rivoluzionario: fu segretario delle camere del lavoro di Savona e Ferrara e organizzatore di lotte agrarie. Interventista allo scoppio della Prima guerra mondiale, fu tra i fondatori del Fascio d’azione rivoluzionaria. Convertitosi al nazionalismo, divenne caporedattore del Popolo d’Italia, collaborando con Mussolini, che nel 1919 lo inviò a Fiume per stringere accordi con Gabriele D’Annunzio. Segretario del Fascio di Milano, partecipò alla nascita del Partito fascista, di cui fu segretario generale dal 1921 al 1923. Primo ideatore della legge elettorale maggioritaria che, approvata nell’estate del 1923, favorì nel 1924 la vittoria del listone fascista, ricoprì in seguito vari incarichi ministeriali, ultimo dei quali il dicastero dei Lavori pubblici nel 1929, poco prima della morte causata da una grave malattia.
Chi erra: avvocato e militare, dal 1925 conte di Val Cismon per meriti di guerra (fu decorato al valore nel primo conflitto mondiale), quadrumviro nella marcia su Roma, fu per breve tempo a capo della milizia. Rappresentò l’ala cattolica e filo monarchica del fascismo. Che cosa a ha fattto: di famiglia agiata, aderì nel 1919 al Fascio di combattimento di Torino. Riuscì, dopo alterne vicende, a imporsi come capo locale del movimento, sostenendo, anche in virtù dei suoi stretti rapporti con la Lega industriale, l’opportunità di un’alleanza con le destre dell’economia e dell’esercito. Deputato dal 1921, si distinse come capo degli squadristi, che guidò in numerose azioni violente e che tentò di inquadrare come un vero corpo militare. Dopo la Marcia su Roma, avendo mostrato riserve sulla strategia mussoliniana, fu tenuto lontano dai più importanti incarichi di partito e di governo e nel 1923 fu nominato governatore della Somalia. Nel 1929, dopo la firma dei Patti lateranensi, divenne ambasciatore presso la Santa Sede. Avendo votato il 25 luglio 1943 l’ordine del giorno Grandi sulla destituzione di Mussolini, fu condannato a morte dalla Rsi e si salvò grazie alla protezione dei salesiani. Nel 1947, condannato in contumacia a cinque anni di carcere, riuscì a fuggire in Argentina.
1880-1961
1882-1955
fascismo
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Achillee Sttaracce
1889-1945
Chi erra: segretario del Partito fascista dal 1931 al 1939. Determinato nell’imporre agli italiani uno stile fascista, incarnò con le sue esibizioni in orbace, la divisa nera prodotta con la lana delle capre sarde, l’aspetto più grottesco del regime. Che cosa a ha fattto: ufficiale dei bersaglieri nella Grande guerra, pluridecorato, organizzatore dello squadrismo trentino, partecipò alla fondazione del Partito nazionale fascista (Pnf) e lo diresse negli anni in cui il partito, secondo il principio totalitaristico, occupò la società nel suo complesso, irreggimentando gli italiani in organizzazioni di massa che li coinvolgevano dalla scuola elementare all’università al dopolavoro. Devotissimo al duce, impose la partecipazione – nel corso delle innumerevoli feste nazionali – a cerimoniali coreografici di massa, istituì il sabato fascista, fu il sostenitore dell’uso del “voi” al posto del decadente “lei” e l’inventore del saluto romano in sostituzione della stretta di mano. Nella Guerra d’Etiopia guidò una colonna di miliziani che portava il suo nome. Nel 1938 fu tra i promotori della campagna antisemita. In seguito fu progressivamente emarginato da ogni incarico, anche nella Repubblica sociale. Giustiziato dai partigiani a Milano, il suo cadavere fu esposto a piazzale Loreto accanto a quelli di Mussolini e Claretta Petacci.
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S Fascismo
Robeertto Faarin nacccii 1892-1945
Chi erra: giornalista, ras (ovvero capo della squadra d’azione fascista) di Cremona, fu il massimo esponente dell’ala più intransigente del fascismo e il gerarca più vicino alla Germania nazista. Che cosa ha fattto: avviatosi alla politica tra i socialriformisti, fu un acceso interventista e, come corrispondente locale del Popolo d’Italia, si distinse per la violenza dei suoi attacchi contro pacifisti, cattolici e socialisti. Nel 1919 prese parte alla fondazione dei Fasci di combattimento, mettendosi poi in luce per la violenza delle sue imprese squadristiche e facendo di Cremona un suo feudo. Segretario del partito tra il 1925 e il 1926, ne fu estromesso da Mussolini per le sue posizioni troppo radicali. Il “selvaggio Farinacci”, come lo chiamavano i suoi fedelissimi, tornò in auge quando la dittatura si avviò alle armi. Fu volontario nella Guerra d’Etiopia, dove la perdita di una mano in un incidente di pesca diventò ufficialmente una ferita bellica. Sostenne con vivaci campagne d’opinione l’emanazione delle leggi razziali. Fautore dell’ingresso immediato nella Seconda guerra mondiale, dopo il 25 luglio ’43 fuggì in Germania. Poi, durante la Rsi, tornò a esercitare il potere nella sua Cremona. Venne fucilato dai partigiani nei giorni della Liberazione, dopo essere stato catturato mentre tentava di fuggire in Svizzera.
Telessioo In nteerlaandi
Giu useeppee Botttaai
Chi erra: giornalista antisemita di origine siciliana. Ai vertici della Federazione nazionale della stampa, si adoperò per il pieno asservimento dei giornalisti al regime. Legò il suo nome alla rivista quindicinale La difesa della razza, che fondò nell’agosto 1938, preparando il terreno per il varo delle leggi razziali. Che cosa a ha fattto: partecipò alla Grande guerra, fu redattore alla Nazione di Firenze e all’Impero diretto dallo squadrista Mario Carli. Si affermò soprattutto sulle pagine del giornale Il Tevere, da lui fondato e diretto dal 1924 al 1943. Il quotidiano romano, che diede subito aperto sostegno alle posizioni più intransigenti del fascismo e alla svolta autoritaria del regime, fu finanziato dal 1926 direttamente dal Pnf e dall’ufficio stampa della Presidenza del consiglio, diventando l’organo ufficioso di Mussolini, che usò il giornalista per attaccare anche gli avversari interni. Già segnalatosi per il violento antisemitismo, Interlandi ne fece la sua bandiera attraverso La difesa della razza, il periodico che intendeva sostenere le basi scientifiche del razzismo e in cui fu redattore il giovane Giorgio Almirante. Arrestato dopo il 25 luglio 1943, fu poi liberato dai tedeschi e nella Rsi si occupò della propaganda indirizzata all’Italia liberata. Nel 1946 beneficiò dell’amnistia.
Chi erra: giornalista e intellettuale, espresse l’anima colta del fascismo, sostenendone i valori di “modernità” e auspicando aperture europee. Fu ministro dell’Educazione nazionale dal 1936 al 1943. Che cosa ha fattto: ardito nella Prima guerra mondiale, fondò nel 1919 il Fascio di combattimento di Roma, sua città natale. Dopo l’avvento della dittatura si dedicò in particolare alla riorganizzazione dello Stato in senso corporativo, contribuendo all’elaborazione della Carta del lavoro e all’istituzione, nel 1930, del Consiglio nazionale delle corporazioni. Come governatore di Roma, tra il 1935 e il 1936, promosse la progettazione del quartiere EUR 42, maggior esempio dell’architettura razionale italiana. Scrisse nel 1939 la Carta della scuola, progetto fondato sull’introduzione del lavoro manuale fin dalle elementari e sulla distinzione tra media unica e scuole di avviamento artigianale e professionale. Tra le sue iniziative, i Littoriali della cultura e dell’arte, che ogni anno coinvolgevano migliaia di giovani, e la rivista Primato, alla quale collaborarono anche storici, letterati e artisti antifascisti. Nel luglio ’43 votò l’ordine del giorno Grandi, espatriò e si arruolò nella Legione straniera. Condannato all’ergastolo, rientrò in Italia dopo l’amnistia del 1946, riprendendo l’attività giornalistica.
1894-1965
1895-1959
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Dinoo Graanddi
Itaaloo Balbbo
Galeeazzoo Cian no
Aleesssanddroo Paavoliini
1895-1988
1896-1940
1903-1944
1903-1945
Chi erra: tra i personaggi di maggior rilievo nel fascismo delle origini, ne interpretò, dopo l’avvento della dittatura, la linea moderata, guardando con simpatia all’Inghilterra. Sua la mozione di sfiducia contro Mussolini che decretò la fine della dittatura. Che cosa ha fattto: laureatosi in legge dopo aver combattuto nella Prima guerra mondiale, aderì fin dalle origini al fascismo, divenendo uno dei capi storici dello squadrismo emiliano. Contese, senza successo, la guida del partito allo stesso Mussolini, con il quale si riconciliò nel congresso nazionale del novembre 1921. Dopo l’intransigenza giovanile optò per una politica moderata e legalitaria. Ministro degli Esteri dal 1929 al 1932, fu successivamente per molti anni ambasciatore a Londra, adoperandosi per un avvicinamento all’Inghilterra e osteggiando il progressivo avvicinamento alla Germania nazista. Richiamato in Italia nel 1939, fu presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni e ministro di Grazia e giustizia. Fu lui a redigere l’ordine del giorno che il 25 luglio 1943 provocò la caduta di Mussolini. Dopo l’arresto del duce si rifugiò all’estero. Condannato a morte in contumacia nel 1944 al processo di Verona, soggiornò prima in Portogallo, poi in Brasile e in Spagna, facendo ritorno in Italia negli Anni ’60.
Chi erra: quadrumviro nella Marcia su Roma e maresciallo dell’aria (titolo onorifico), fu tra i gerarchi che godettero di maggiore popolarità in Italia e all’estero. Fu in prima fila nell’organizzazione della neonata aviazione e nella politica coloniale, come governatore in Libia dal 1934 e al comando, dal 1937, delle forze armate in Africa Settentrionale. Che cosa a ha fattto: repubblicano e interventista, combattè nella Prima guerra mondiale ricevendo numerose decorazioni. Segretario del Fascio di Ferrara, la sua città, condusse, con l’appoggio degli agrari, ripetute azioni squadriste. Dopo la Marcia su Roma, in cui guidò la spedizione punitiva contro il quartiere di San Lorenzo, rivestì, fino al 1924, la carica di comandante della milizia. Ministro dell’Aeronautica dal 1929 al 1933, ne incentivò il progresso tecnico-sportivo e lo sfruttamento propagandistico, promuovendo spettacolari imprese aviatorie a cui partecipò egli stesso, come le due crociere transatlantiche di idrovolanti dall’Italia al Brasile (1930) e agli Stati Uniti (1933). Inviato in Libia a organizzare l’offensiva aerea nella Seconda guerra mondiale, morì alla guida del suo velivolo abbattuto dalla contraerea italiana. L’incidente fu attribuito a una fatalità, ma non mancarono i sospetti su Mussolini come mandante.
Chi erra: figlio di Costanzo, potente ministro delle Comunicazioni e fedelissimo di Mussolini, nel 1930 sposò la figlia del duce Edda, diventando uno dei più importanti gerarchi del regime, con una grande influenza sul suocero e vaste relazioni internazionali. Che cosa ha fattto: entrato giovanissimo nel servizio diplomatico, ricoprì vari incarichi consolari a Rio de Janeiro, Buenos Aires e Pechino e fu, nel 1929, addetto all’ambasciata italiana presso la Santa Sede. Tra il 1933 e il 1934 diresse l’ufficio stampa della Presidenza del consiglio, diventando poi ministro della Stampa e propaganda. Nel 1936 raggiunse l’incarico più prestigioso come ministro degli Esteri. Curò i buoni rapporti con la Germania nazista, preparando insieme all’alleato l’espansione nell’area mediterranea e balcanicodanubiana, che si concretizzò nel 1939 con l’occupazione dell’Albania e successivamente, nella logica della guerra parallela alla Germania, con l’invasione della Grecia. Le sue simpatie nei confronti del Reich mutarono di fronte alle sconfitte militari dell’Asse. Retrocesso nel 1943 da ministro ad ambasciatore in Vaticano, il 25 luglio dello stesso anno votò l’ordine del giorno Grandi. Fu fucilato dopo il processo di Verona e a nulla valsero le intercessioni della moglie presso il padre.
Chi erra: giornalista, prolifico autore di scritti letterari e saggi, fu ministro della Cultura popolare dal 1939 al 1943. Tra i più accaniti sostenitori dell’alleanza con la Germania, ricoprì la carica di segretario del Partito nazionale fascista nella Repubblica sociale italiana. Che cosa a ha fattto: di famiglia altoborghese, si iscrisse giovanissimo al Fascio di Firenze, prendendo parte a molte imprese squadristiche e alla Marcia su Roma. Ricoprì vari incarichi negli istituti di cultura e negli organismi giovanili fascisti e collaborò con Giuseppe Bottai all’ideazione dei Littoriali della cultura e dell’arte. Per lunghi anni al Corriere della Sera, partecipò come inviato alla Guerra d’Etiopia facendo parte della Disperata, la squadriglia aerea comandata da Galeazzo Ciano. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale fu posto alla guida del ministero della Cultura popolare, con poteri straordinari sui mezzi di comunicazione ai fini della propaganda bellica: era lui a redigere ogni giorno le cosiddette “veline” del Minculpop. Dopo la caduta di Mussolini fuggì in Germania. Rientrato in Italia, diventò uno dei capi della Rsi, schierato sulle posizioni più intransigenti. Fautore della militarizzazione del partito, creò e comandò le Brigate nere. Catturato il 25 aprile 1945 dai partigiani, venne fucilato a Dongo (Co).
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MEMORIE
Alberto Savinio oltre le apparenze Il vascello perduto (1928) di Alberto Savinio (1891-1952), che col fratello Giorgio De Chirico fu pittore “metafisico”: raffigurava il sogno, il surreale, l’inconscio.
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PITTORI PER UN
DAI FUTURISTI ALLA RETORICA DEL REGIME, DALLA METAFISICA AL REALISMO, UNA SELEZIONE DI ARTISTI DELL’ITALIA FASCISTA
Tullio Crali passione per il volo Incuneandosi nell’abitato (1939) di Tullio Crali (1910-2000) è un esempio di “aeropittura”, una corrente artistica che celebrava il volo e la velocità. fascismo
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o Cambeellottti pittura di regime Duilio Particolare del pannello La conquista della terra (1934), nella prefettura di Latina. Cambellotti (1876-1960) incarnava lo stile retorico dell’arte ufficiale, che qui celebrava la bonifica.
NEL 1922 SI FORMÒ A MILANO IL GRUPPO DI PITTORI “NOVECENTO ITALIANO”, PROMOSSO DA MARGHERITA SARFATTI PER PRODURRE “ARTE PURA ITALIANA” Carlo Carràà il poeta della realtà Del 1926 i Nuotatori di Carrà (1881-1966), che rifacendosi alla tradizione del Trecento e del Quattrocento italiano passò dalla “metafisica” degli Anni ’20 al realismo poetico.
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Mario Sironi artista in prima linea
Anselmo Bucci dal pennello alla scrittura
Uno dei tanti paesaggi urbani dipinti da Mario Sironi (1885-1961), per molti l’artista più importante del Ventennio.
È dedicato al notaio collezionista Peppino Cesarini questo ritratto di Bucci (1887-1955), che fu anche collaboratore del Corriere della Sera.
Leonarrdo Duddrevillee sguardo verista Il gioco è del 1924. Lo stile di Dudreville (1885-1975), che dopo il Futurismo si era volto al verismo, puntava alla semplicità secondo il motto “idee chiare, chiaramente espresse”.
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Luigi Veronesi l’audacia dell’astrazione
Pino Ponti pittore sociale
Composizione, dipinto astratto del 1937 di Luigi Veronesi (1908-1998). In Italia l’astrattismo fu tollerato, al contrario di quanto accadde nella Germania nazista. La prima mostra di arte astratta italiana si tenne a Torino nel 1935.
La passeggiata liberale (1933): signori e mendicanti, così Pino Ponti (1905-1999), pittore attento al sociale, vedeva l’Italia liberale (cioè borghese e di idee moderate) nel 1933.
FILIPPO TOMMASO MARINETTI, IL PADRE DEL FUTURISMO, DIVENTÒ UN ESPONENTE DELLA CULTURA FASCISTA: ESALTAVA GUERRA E NAZIONE Fortun nato Deepero viva la modernità! L’aratura (1926) di Fortunato Depero (1892-1960). Questo pittore appartenne al movimento del Futurismo, che nacque nel 1909 ispirandosi ai miti moderni della macchina e della velocità.
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Felice Casoraati incanto borghese Conversazione alla finestra (1930): una scena di vita in un interno borghese dipinta da Felice Casorati (1883-1963), esponente della corrente pittorica del “realismo magico”.
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REGIME
a t s i c s a f l I o t t e f per Distintivi di i cattiv vo gust to Sono ritornati in circolazione distintivi del Partito di foggie diverse che, a parte ogni altra considerazione, lasciano anche a desiderare dal punto di vista artistico. 28 agosto 1932 Su ul salu uto roma ano Il saluto romano non impone l’obbligo di togliersi il cappello. Tale obbligo è da osservare quando il saluto sia reso in luogo chiuso. 12 giugno 1933
Manifestazione di ardimento
Una moda tramont tata Ricordo che la cravatta nera svolazzante non è consentita. A prescindere da quanto sopra, è una moda ormai tramontata da un pezzo. 7 agosto 1933 Il ri iposo dei ger rarchi Il periodo estivo non deve, in alcun modo, segnare un rallentamento nell’attività dei gerarchi. Riposeremo, se ci sarà consentito, quando non saremo più tali. 16 agosto 1933 Intendersi Inte tend ndersi i sul ll’agg l’ag l’ agge gettivo ttiv tt ivo o Nella corrispondenza fra camerati, anziché “All’Egregio”, “All’Ill.mo” ecc., si scriva “Al Fascista”. Noto però al riguardo che la parola “fascista”, pur essendo di natura aggettivale, quando si adopera come sostantivo, va scritta con la iniziale maiuscola; va scritta invece con la iniziale minuscola quando si adopera come aggettivo di un determinato sostantivo. 11 aprile 1934
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fascismo fascis cismo mo S fas
Achille Starace si esibisce nel salto dentro il cerchio di fuoco, una delle prove ginniche che imponeva anche agli altri gerarchi.
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uando, nel 1931, fu proposta la nomina di Achille Starace a segretario del partito fascista, Leandro Arpinati, sottosegretario agli Interni, obiettò: “Ma Starace è un cretino!”. “Lo so” rispose il duce “ma è un cretino ubbidiente”. E difatti il suo maniacale attaccamento alla causa fascista e al suo capo gli varranno l’appellativo di “mastino della rivoluzione” da parte dello stesso Mussolini, che però alla fine lo scaricherà. Fino al 1939, tuttavia, Sta-
race ebbe modo di redarre – con i suoi “Fogli di disposizioni” diretti a tutti gli organi del partito (e di cui presentiamo qui una selezione) – alcune delle pagine più assurde e grottesche della storia italiana. Star r aciat t e. Il passo romano, il “saluto al duce”, la lotta alle parole straniere (v. articolo a pag. 84), il “sabato fascista”, le frasi di Mussolini scritte sulle facciate delle case sono tutte invenzioni di Starace. Che non si accontentò di pretendere che i panciu-
ACHILLE STARACE, FEDELISSIMO DI MUSSOLINI, FU PER 8 ANNI SEGRETARIO DEL PARTITO. OGGI LE SUE DISPOSIZIONI AGLI ISCRITTI CI FANNO SORRIDERE
Del metter rsi a se edere In questi giorni, nelle cronache, si è fatto largo uso del verbo “insediarsi”, si è scritto abbondantemente di “insediamenti” e simili. Leggendo, si affaccia alla nostra mente, sia pure per assonanza, la sedia, o peggio la poltrona che il Fascismo nettamente respinge, quanto la tendenza alla vita comoda, dalla quale, fatalmente, si precipita nella stasi. Che un gerarca, una commissione debbano, come primo loro atto, dare l’impressione di mettersi a sedere, proprio no. 4 febbraio 1935 C è un solo sa C’ saba b to Da qualche tempo a questa parte si vanno inventando “sabati” di ogni genere. Siamo così al sabato dell’arte, della musica, della primavera, della lettura, coloniale, del lavoratore. Naturalmente si tratta di iniziative non autorizzate. Ricordo che c’è il “sabato fascista”, nel quale rientrano tutte le attività: premilitari, ginnicosportive, culturali, artistiche. 3 marzo 1937 Niente fronzol li La corrispondenza d’ufficio deve essere aggiornata nella forma. Niente “caro camerata”, “caro Tizio o Sempronio”, “gentile eccellenza”, “cara eccellenza”. L’indirizzo in testa o in calce alla lettera è sufficiente. Niente “saluti cordiali”, “saluti fascisti”, o peggio “devoti ossequi fascisti”, “vive e deferenti cordialità fasciste” o altre chiuse del genere, che fanno pensare al saluto romano accompagnato con la riverenza. 13 aprile 1938 An nnunzi dinamici Coloro che insistono nell’annunziare la “posa della prima pietra” dimostrano, in modo evidente, di non essere aggiornati con lo stile del Fascismo. La “posa della prima pietra” ricorda i vecchi tempi, che il Fascismo, giova ripeterlo, ha superato integralmente. Il Fascismo annunzia l’inizio dei lavori o il primo colpo di piccone: annunzio dinamico e concreto. 24 settembre 1938
ti gerarchi sostenessero spettacolari prove ginniche, con salti nel cerchio di fuoco e altre acrobazie, ma arrivò a dettare regole sui particolari più privati e personali del perfetto fascista: come stirare il colletto della camicia nera (senz’amido), di quanto alzare il braccio teso nel saluto romano (170 gradi), che cosa non bere (il caffè)... “Ricordo ai segretari federali le disposizioni già da me impartite per l’abolizione della vecchia usanza, di importazione straniera, dell’albero di Natale” recitava un suo
foglio di disposizioni. Di fronte a tanta pedanteria, persino Galeazzo Ciano, genero di Mussolini e ministro degli Esteri, lo definì “un coglione che fa girare i coglioni”. Allergici alle e rego ole. Se oggi siamo allergici alla retorica e al patriottismo è forse anche a causa di Starace e di quello “spirito da caserma”, ossessivo e formale, ma vuoto e ridicolo, che impose all’Italia negli ◉ anni del consenso. Marco Casareto
Fregar Fr regare are e i nemici nemi ne mici ci I Fascisti e coloro che militano nelle organizzazioni del Regime, validi, non bevano caffè o ne riducano al minimo il consumo. In questo modo fregheremo i Paesi che per vendercelo, anziché prendere in cambio le nostre merci, vorrebbero il nostro oro. 10 maggio 1939 i racco omanda gli eb brei E c’è chi Vieto ai Fascisti di inoltrare raccomandazioni di qualsiasi genere a favore di giudei. 7 giugno 1939 fascismo fascis fas cismo mo
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ECONOMIA Dieci centesimi di dolci Una pasticceria durante il periodo pasquale. Solo la domenica o per le feste si compravano beni “voluttuari”, non essenziali.
LA VITA ERA PIÙ CARA DI OGGI E METTERE DA PARTE QUALCOSA ERA DIFFICILE. MA SUL LAVORO CI FURONO ANCHE PROGRESSI SOCIALI
Dal bottone al divano Sopra, una calcolatrice a manovella dell’epoca. A destra, inaugurazione dei grandi magazzini C.i.m. a Roma, il primo novembre 1942. La grande distribuzione non esisteva, arrivò dopo la guerra.
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A CONTI
w Catena di produzione Operai di un’acciaieria negli anni Trenta. La produzione siderurgica calò dopo la crisi economica mondiale del 1929.
FATTI... Quando c’era la lira Un mercato a Milano, all’inizio degli anni Trenta. Uscire a fare la spesa era uno dei compiti più ambiti dalle “servette”.
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na lira e 60 centesimi per un chilo di pane o di mele (v. tabella di conversione in euro a pag. 72). Due lire per la stessa quantità di riso. Molto più alto il prezzo della “fettina”, quasi 9 lire al kg. Meglio due uova, 45 centesimi l’una, e un bel piatto di pasta al sugo: con poco più di una lira e mezz0 si portavano a casa 5 etti di salsa di pomodoro. Erano questi i prezzi con i quali ci si confrontava a metà degli anni Trenta. A fine mese, tra pane, pasta, riso, uova, un poco di carne e molta verdura, se ne andava la metà dello stipendio medio di un impiegato (oggi la voce “alimentari” incide sul bilancio familiare per circa il 20%). Ora Or a d’aria.. Andare a fare la spesa era uno dei compiti più ambiti dalle “servette”, che potevano così distrarsi qualche ora dai mestieri di casa. A quell’epoca anche le famiglie piccolo-borghesi potevano permettersi una cameriera. In genere le domestiche si accontentavano di 70-80 lire al mese, oltre al vitto e all’alloggio, e di un giorno di libertà ogni 15. La fuliggine da togliere in cucina, la biancheria da lavare al lavatoio pubblico, il parquet del salotto da tirare a lucido con “olio di gomito” rendevano il loro aiuto prezioso. Di solito provenivano da qualche paese di montagna. I loro parenti, più che della retribuzione, si preoccupavano di collocarle in famiglie di provata moralità. Ma per le servette più in gamba, non mancavano le occasioni di arrotondare facendo la “cresta” sulla spesa, dopo aver spuntato uno sconto maggiore con il negoziante di fiducia o aver trovato la stessa merce su qualche bancarella. Anche se per le statistiche il 92% del volume di vendite era in mano ai “commercianti stabili”, esisteva in realtà un sottobosco inestricabile di ambulanti e abusivi. A Torino, per esempio, c’erano 3.600 bancarelle contro 2 mila negozi. A Napoli 1.060 negozianti e un numero tale di ambulanti che era impossibile censirli. Pane Pa ne e fichi hi. D’altronde c’era poco da scialare. «Quando poteva, mia mamma mi dava 5 o 10 centesimi per comperare un panino e un fico secco per fare merenda a scuola» ci racconta Ivone Sandano, 84 anni ben portati. Ma ai bambini si insegnava anche il potere nutritivo dei torsoli. E la rivista dell’Ente nazionale italiano per l’organizzazione scientifica del lavoro, nato nel 1925, pubblicava suggerimenti spiccioli per il risparmio domestico: le bucce di frutta erano ugualmente consigliate come sbiancanti per il lavandino o come aromatizzanti per i dolci. E il sughero dei tappi, dopo un procedimento alquanto macchinoso, poteva ben sostituire il cuoio. Risp Ri sparmi. Mettere via due lire non era facile. Ma chi ci riusciva investiva i propri risparmi in Buoni del Tesoro (“la rendita”, come venivano anche chiamati), in obbligazioni sicure (tipo Ina, Imi o Iri, v. riquadro a pag. 70) o in alcune selezionate azioni (come Bastogi, Edison e società elettriche in genere). Per i contadini c’erano i libretti delle Casse di Risparmio ma, più spesso, ci si accontentava di un nascondiglio sicuro. «Mia madre, quando riusciva a risparmiare qualcosa, metteva i soldi in un fazzoletto sotto il materasso» conferma Anna Maria Manghi, classe 1933. ▸ fascismo
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w Avanguardia di campagna
Occhio al forcone!
Avanguardisti rurali nelle campagne dell’Agro Pontino nel 1932. La “Battaglia del grano” fu lanciata nel 1925, ma si rivelò assai controproducente.
Cartoline diffuse tra contadini e allevatori dalle Casse mutue infortuni agricoli nel 1935. Dovevano servire a prevenire gli incidenti sul lavoro.
LA “GIORNATA DEL RISPARMIO”, ISTITUITA DAL GOVERNO FASCISTA, SI CELEBRA ANCORA OGGI: IL 31 OTTOBRE LA PAG GELLA DE ELLE MANO OVRE ECON NOMICHE DI MUS SSOLINI Abbiamo chiesto a Edoardo Borruso, docente di Storia economica all’Università Bocconi di Milano, un giudizio (in corsivo) sulle principali ACCORD ACCO RDI SU SUL DEBI DE BITO TO DI GU GUERR RA Tra l’estate e l’autunno del 1925 il ministro delle Finanze Giuseppe Volpi ottenne da Usa e Inghilterra la rateizzazione in 25 anni del debito contratto per finanziare il conflitto mondiale. Gli americani, in particolare, ci fecero grandi sconti. Fu una manovra positiva per l’economia. Con questa vertenza risolta, vennero attratti ingenti capitali per sistemare finanziariamente le grandi imprese.
Voto 7
LIR IRA A ““QUO IR OTA 9 90 0” Per stabilizzare il valore della lira sui mercati internazionali, in particolare nei confronti della sterlina, Mussolini impose tra il 1926 e il 1927 una drastica riduzione dei prezzi e dei salari, fino a riportare il cambio con la moneta inglese da
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153-156 lire a 90 lire, cioè ai livelli del 1922 (anno in cui aveva preso il potere). La manovra bloccò l’espansione del ciclo economico: produzione ed esportazioni diminuirono, e i salari scesero più di quanto fosse calato il costo della vita. Ma fu una delle condizioni per attrarre i capitali stranieri, più propensi a investire in Paesi con una 1/ moneta stabile. 2
Voto 5
BATT BA TTAGL GLIA D DEL G GR RANO NO Dal 1925 si combatté la stagnazione agricola con dazi sull’importazione del grano, incoraggiando così la produzione nazionale. Aumentarono le coltivazioni di frumento ma altre, più produttive o competitive a livello internazionale, diminuirono. Pur migliorando la bilancia alimentare nazionale, peggio-
rò le condizioni dell’agricoltura italiana. Inoltre, incentivando questo settore, si rallentò lo sviluppo industriale, bisognoso di manodopera.
Voto 4
BON ONIFIC ICA INT NTEG NT EGR RALE La politica agraria fascista disegnò un piano organico di bonifica delle aree paludose che prevedeva l’utilizzazione delle acque per l’irrigazione e la produzione di energia elettrica, la costruzione di strade per collegare i territori bonificati con i vicini centri abitati e l’utilizzazione dei canali per la navigazione interna. Non raggiunse gli obiettivi fissati. Buoni risultati si ebbero nella valle del Volturno e nell’Agro Pontino. Ma presto le opere di trasformazione fondiaria furono private dei finanziamenti, che vennero destinati alle necessità militari. Così la bonifi-
ca restò parziale. Molti dei miglioramenti ottenuti, inoltre, andarono perduti per incuria.
Voto 5
RIF IFORM MA INDU IN DUST STRIA ALE LE-BA ANC NCA ARI RIA A Tre banche – Comit, Banco di Roma e Credit – finanziavano tutte le grandi imprese del periodo. Ma per evitare che dopo la crisi mondiale del 1929 queste fallissero per l’impossibilità di recuperare i crediti, nel 1931 lo Stato creò l’Imi (Istituto mobiliare italiano) con il compito di sostenere le industrie in difficoltà al posto delle banche. Nel 1933 nacque anche l’Iri (Istituto per la ricostruzione industriale) per accollarsi le quote azionarie delle grandi imprese in perdita per poi risanarle. La riforma risolse il punto debole italiano del rapporto bancaimpresa e fornì una base duratura per la crescita del sistema
Le “favelas” di Mussolini Baracche nei pressi di una borgata alla periferia di Roma, nel 1938. Scene di miseria come questa erano censurate dal regime fascista.
manovre economiche dell’epoca fascista. industriale. L’Imi sopravviverà fino al 1998, fondendosi poi con l’Istituto bancario San Paolo, l’Iri fino al 2004.
Voto 8
COR ORPO PORATI TIVI VISM SMO O Attraverso il corporativismo il fascismo cercò una terza via tra capitalismo liberista e socialismo marxista. Questa politica prevedeva una collaborazione obbligata tra le diverse classi sociali, nel superiore interesse dello Stato (una delle conseguenze fu il divieto di sciopero e di serrata). Vennero create le Corporazioni (1934) che raggruppavano nelle diverse categorie sia imprenditori che lavoratori, e avevano il compito di guidare la vita produttiva e risolvere pacificamente i conflitti sociali. Il corporativismo non riuscì a realizzarsi a pieno in quanto non fu mai un reale strumen-
to di organizzazione della società: gli enti creati dal regime, troppo burocratizzati e poco efficienti, ebbero uno scarso impatto pratico.
Voto 5
AUTAR AU RCHIA A La politica autarchica degli anni Trenta, che aveva come obiettivo il raggiungimento dell’indipendenza economica del Paese, consisteva nel consumare solo prodotti nazionali. Con tali stimoli l’industria manifatturiera italiana crebbe tra il 1934 e il 1937 a un tasso medio annuo del 7,5%. Fu una politica velleitaria, per un Paese privo di materie prime come il nostro, ma migliorò la bilancia dei pagamenti e favorì i grandi gruppi industriali italiani: nella chimica la Montecatini, la Pirelli nella gomma, la Fiat per la meccanica.
Voto 6-
Supe Su perminis istro. Eppure, prima dell’avvento del fascismo, le cose andavano anche peggio: «La “fortuna” di Mussolini» dice Edoardo Borruso, docente di Storia economica all’Università Bocconi «fu di salire al potere nel momento in cui l’economia nazionale si stava riprendendo dopo la profonda crisi successiva alla Prima guerra mondiale». Nel 1924 il “superministro” economico Alberto De Stefani, a capo sia delle Finanze che del Tesoro, riportò il bilancio dello Stato in pareggio, grazie a un taglio della spesa pubblica senza eguali nella storia del nostro Paese e all’idea di spingere le imprese a reinvestire i capitali (sostanzialmente emettendo pochissimi titoli di Stato). «Quella manovra fu uno dei fiori all’occhiello del fascismo» che invece in altre occasioni fallì nei propri piani (v. riquadro a destra). In campo pensionistico e assicurativo ci fu un notevole progresso con la costituzione dei vari Istituti nazionali fascisti: della Previdenza sociale (Infps), per l’Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Infail) e per l’Assicurazione contro le malattie (Infam). Che nel dopoguerra, perduto dal nome l’attributo “fascista”, diventarono i noti Inps, Inail e Inam. «Aumentarono anche le tutele economiche a favore dei lavoratori» aggiunge Borruso. «Tra queste la cassa integrazione, gli assegni famigliari, la gratifica natalizia, la liquidazione, l’aumento dell’indennità di disoccupazione. Per non parlare della rivoluzionaria legge sulla tutela della maternità delle lavoratrici» che sanciva il diritto alla conservazione del posto di lavoro e prevedeva un periodo di “licenza” prima e dopo il parto, nonché permessi obbligatori per l’allattamento. Como Co modità. La costituzione di uno Stato assistenzialista, al di là della propaganda, fornì una base solida per lo sviluppo degli anni a venire, mettendo ordine nel marasma precedente l’epoca fascista. Alla sua origine ci furono due motivazioni diverse: da una parte un sincero desiderio di migliorare le condizioni di vita delle classi più umili, dall’altra l’intuizione che l’assistenzialismo potesse essere un formidabile strumento di controllo delle masse. È comunque un fatto che il 16 luglio 1937 il duce scrivesse così al prefetto di Torino: “Comunichi al senatore Agnelli che nei nuovi stabilimenti Fiat devono esserci comodi e decorosi refettori per gli operai. Gli dica che l’operaio che mangia in fretta e furia vicino alla macchina non è di questo tempo fascista. Aggiunga che l’uomo non è una macchina adibita a un’altra macchina”. Mill Mi lle lire a al mese.. Ma quanto guadagnava un operaio? Nel 1935 il suo salario medio era di 500 lire mensili, l’equivalente, oggi, di 545 euro. Comunque sempre meglio delle 9 lire al giorno (10 euro) di un bracciante agricolo, che però spesso riceveva anche una razione di pane e di vino. Un impiegato di buon livello, a fine mese poteva contare in busta paga 850 lire; le “mille lire al mese” della famosa canzone erano invece il traguardo di un funzionario di livello direttivo. Solo generali e professori universitari raggiungevano la cifra, allora quasi astronomica, di 3 mila lire (3.270 euro). La sproporzione numerica tra operai e colletti bianchi era abissale. La fabbrica di cicli ▸ fascismo
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w Operosi e contenti Operai al lavoro nel laboratorio delle calzature di Ferragamo, nel Palazzo Spini Feroni a Firenze.
Il mio è più buono... Gelatai in una pausa del loro “giro”. Gli ambulanti erano all’epoca numerosissimi.
NEL 1940, PER RIFORNIRE DI FERRO L’INDUSTRIA BELLICA, SI ARRIVÒ A SEQUESTRARE PERSINO LE PENTOLE Affitto Affi o di una na cas asa a borrghes bo ese da 200 a 300 lire al mese (€ 170-250) Serv Se rvizio io da ttoele lett tta (bro (b rocca, a, cat atin ino, o orina nale)) da 60 a 250 lire (€ 50-210) Scal Sc aldaba bagn gno oe vasc va sca in ghi hisa sa 1.300 lire (€ 1.100)
ALIMENTARI
CASA
I PRE EZZI MEDI NEG GLI AN NNI 1938 8-39 Farina d Fari di ma mais is 1,2 lire al kg Pane Pa ne 1,6 lire al kg Past Pa sta 3 lire al kg Riso Ri so 2 lire al kg Latt La tte 1,2 lire al litro Burr Bu rro 1 lira all’etto
(€ 1,0) (€ 1,3) (€ 2,5) (€ 1,7) (€ 1,0) (€ 0,8)
(tra parentesi l’equivalente in euro considerata la rivalutazione)
Zucchero Zucc ro 6,5 lire al kg (€ 5,5) File Fi letto di man anzo an 17 lire al kg (€ 14,3) Carn Ca rne di mai aial ale da 10 a 13 lire al kg (€ 8,4-10,9) Trip Tr ippa e con onig iglio 5 lire al kg (€ 4,2) Merluzzo Me zo sec ecco co 2,5 lire al kg (€ 2,1) Tonn To nno so sott’o ’oli lio 14 lire al kg (€ 11,8)
Cipo Ci polle 0,8 lire al kg (€ 0,7) Fagi Fa gioli e lent ntic icchie ie 3 lire al kg (€ 2,5) Pata Pa tate 0,7 lire al kg (€ 0,6) Vino Vi no da a past sto o 1,8 lire al litro (€ 1,5) Caff Ca ffè to tostat ato o in gra ranii ra 3,2 lire all’etto (€ 2,7) Caff Ca ffè su surrog ogat ato (c (cic icoria ia) 1,5 lire all’etto (€ 1,3)
Freschi di stampa Biglietti di cartamoneta “fior di stampa” (cioè mai usati) del Ventennio. Sono parte della collezione Gaglio.
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CULTURA E SVAGO
ABBIGLIAMENTO
Camici Cami cia da u uomo o da 30 lire, in satin, a 95 lire, in seta (€ 25-80) Abit Ab ito da uom omo in om inve vern rnale e 235 lire (€ 200) Cors Co rset etto to con on reg eggi gipett tto o di ffine pi pizzo o 100 lire (€ 84) Mutand Mu ndine e co con re reggic ical alze da 40 lire in su (€ 34) Scar Sc arpe pe iin cu cuoi oio o va vacc cche hetta da 15 a 50 lire (€ 13-42) Capp Ca ppel ellino da 15 a 70 lire (€ 13-59)
Libri Libr (€ 1,7-4,2) da 2 a 5 lire Quotid Qu idiani 0,3 lire (€ 0,25) Bigl Bi gliett tto de dell cine nema ma 1,5 lire (€ 1,3) Ediz Ed izione ne in n 19 dis isch chi dell de ll’Aida da 610 lire (€ 514)
e motocicli Bianchi di Milano contava 1.400 operai e solo 10 impiegati, di cui nessuno laureato. Nelle piccole e medie imprese il rapporto fra operai e impiegati era in media di 50 a 1. In tutta Italia i dirigenti qualificati erano appena qualche migliaio, occupati quasi esclusivamente nella grande industria. Sul lavoro non si tolleravano errori: bastava non accorgersi di una voce errata in una fattura per rischiare il licenziamento o giocarsi la carriera. Anche un ritardo era imperdonabile agli occhi dei direttori del personale, spesso ex militari. I dipendenti potevano essere perquisiti all’uscita dalla ditta, e non di rado venivano controllati anche i cassetti e i cestini della carta straccia. In piena Seconda guerra mondiale le fabbriche furono militarizzate, e anche le questioni disciplinari aziendali divennero competenza dei tribunali militari: per un’assenza ingiustificata si poteva finire in carcere per 6 mesi. Ma la fedeltà alla propria ditta rimase sempre fuori discussione, cambiare lavoro impensabile. Solo i disoccupati rispondevano agli annunci economici. Gli altri li leggevano e basta. Occh Oc chio all lla bollet etta ta. Con quegli stipendi, anche servizi di cui oggi dispongono tutti in abbondanza, come la corrente elettrica, erano un privilegio. «In casa mia le lampadine erano da 40 watt» raccontava qualche anno fa l’ultraottuagenario Angelo Limido a Focus Storia «ma se si accendeva quella della camera da letto, la luce spariva in cucina. Io per leggere usavo la candela». Il ferro da stiro consumava una follia. Qualche ora di troppo con la stufetta a riflessione accesa e il risparmio mensile andava in fumo. L’ondulacapelli e il bollitore elettrici erano “vizi” per le famiglie dei pochi impiegati di livello. Qualche lusso si cominciava però a vedere. Fra il 1922 e il 1926 il numero di automobili in circolazione passò da 40 a 100 mila. Certo non tutti potevano permettersela: nel 1932 la Fiat Balilla, pubblicizzata come “auto per il popolo”, costava di fatto circa 10 mila lire, l’equivalente di dieci mesi di stipendio di un dirigente. Quasi un miraggio era l’Augusta della Lancia, per la quale si doveva spendere praticamente il doppio. Più a portata di mano la prima utilitaria italiana, la leggendaria Topolino: 8.600 lire nel 1936 (8.700 euro di oggi). Le donne, dal canto loro, non rinunciarono a belletti e profumi, nonostante i prezzi. La “dotazione” minima per signore richiedeva nel ’39 circa 50 lire (42 euro): 15 per il rossetto, 25 per la scatola di cipria e 8 per il rosso compresso per le guance, quello che oggi chiameremmo fard. ◉ Isabella Ruschena
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Il regime puntò sull’italica arte di arrangiarsi per rendere indipendente il Paese dalle importazioni.
o t a c r e m l a o c i h c r a t au ST TRA ADE TER RRA ATE E ST Occhiali da motociclista della Lux di Torino, contro la polvere.
bast ta con il fel ltr ro Campagna per l’uso del cappello di paglia, un prodotto che l’Italia rurale poteva fornire.
BE ENZ ZIN NA NO OSTR R AN NA Una pubblicità del carburante italiano Robur (“forza” in latino) della Agip.
a tu utto o gas s Un’auto a gassogeno, la “stufa” sul retro che, a partire da carbone o legna, produceva gas combustibile.
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La sv veg glia a polit tic ca La retorica della superiorità razziale accompagnava gli italiani fin dal risveglio.
per r tip pi du uri Le lamette da barba Mirabilia e Il tabacco trinciato Italia: due tipici prodotti autarchici.
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38 41 14 lu uglio o 193 12 feb febbariio 194 8 genn ennaio o 1944 Viene redatto e pubblicato, A Bordighera, Mussolini incontra il generale Inizia il processo di Verona contro i “traditori” di Mussolini del 25 luglio. Gli imputati, tra cui il sotto la supervisione di Mussolini, Franco, nell’inutile tentativo di convincere genero Galeazzo Ciano, sono condannati a morte. il Manifesto degli scienziati razzisti. la Spagna a intervenire nel conflitto. 31 gen gennai naio 194 44 6 ot ttobre bre 1938 Giugno Giu o 19 942 Approvata dal Gran consiglio del L’Asse attacca in Russia e Nasce il Comitato di liberazione nazionale fascismo la Dichiarazione sulla razza. in Nord Africa, arrivando Alta Italia: resistenza contro i nazifascisti. alla massima espansione. 944 16 dic cemb bre 19 19 gen gennaio o 1939 9 Hitler e Mussolini ora dominano Mussolini pronuncia a Milano il suo primo Soppressione della Camera dei deputati, sostituita l’Europa, eccetto il Regno Unito. e ultimo discorso dalla costituzione della Rsi. dalla Camera dei fasci e delle corporazioni. Parla delle “armi segrete” di Hitler e della 17 dicemb bre 194 42 10 giu giug gno o 194 40 possibilità di mantenere la valle del Po. Dopo l’offensiva sovietica Mussolini dichiara guerra sul Don, l’Armata italiana in ile 194 45 25 aprile alla Francia e all’Inghilterra. Russia comincia a ritirarsi. Il Comitato di liberazione nazionale (Cln) ordina l’insurrezione generale. 943 10 lug glio o 19 Truppe anglo-americane 27 ap prile 1945 5 sbarcano in Sicilia. Mussolini fugge da Milano. Catturato dai partigiani a Dongo (Co), viene fucilato 25 lug glio o 194 43 il giorno dopo insieme a Claretta Petacci. Il Gran consiglio sfiducia Mussolini, che viene fatto 29 aprile ile 194 45 arrestare dal re. Diventa capo I cadaveri di Mussolini e Claretta sono del governo Pietro Badoglio. esposti in piazzale Loreto, a Milano. ettem ett mbre re 19 943 8 sett Viene annunciato l’armistizio con gli angloamericani, firmato cinque giorni prima a Cassibile (Sicilia). Il re e il governo abbandonano Roma.
Un “negozio ariano” dopo le leggi razziali.
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La Liberazione a Milano.
Il duce e Claretta appesi in piazzale Loreto a Milano.
12 set sett tem mbre 194 43 Con un blitz i tedeschi liberano Mussolini, prigioniero a Campo Imperatore (Aq). 43 27 set sett tem mbre 194 Mussolini a Salò (Bs) fonda la Repubblica sociale italiana (Rsi).
Mussolini, Hitler e Ciano nel 1940.
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Discorso ai soldati a Salò.
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Settembre 1939: la Germania invade la Polonia. 19 aprile ile 19 943 Insurrezione del ghetto di Varsavia. Roosevelt e Churchill.
12 m agg gio 1943 Resa delle forze dell’Asse in Tunisia.
10 lugllio 1943 3 Gli Alleati sbarcano in Sicilia e Lo sbarco in Normandia il 6 giugno 1944. giugn no 1941 22 giu cominciano a risalire la Penisola. Le truppe tedesche invadono 6 giug iugno o 1944 4 1 ap prile le 193 39 l’Urss (Operazione Barbarossa). Sbarco in Normandia, è il D-Day: le forze Franco vince la Guerra civile A luglio prende parte all’offensiva alleate approdano sulle spiagge francesi. spagnola, instaura una dittatura anche un corpo di spedizione italiano. militare e reprime gli oppositori. 11 feb febbra aio 1945 13 lug glio 1941 Inizia la conferenza di Yalta (Ucraina) tra Regno Unito e Unione Sovietica stringono un 23 agossto 1939 9 i capi delle tre principali potenze alleate: Trattato di non aggressione fra accordo di aiuto reciproco contro le forze dell’Asse. Roosevelt, Churchill e Stalin discutono Germania e Unione Sovietica 14 ago osto 1941 i piani per la fine della guerra. (Patto Molotov-Ribbentrop). 7 lugl uglio o 19 937 Roosevelt e Churchill sottoscrivono la Carta atlantica, I giapponesi attaccano il 30 ap prile 1945 l’alleanza che lega Stati Uniti e Regno Unito. ettem mbre re 1939 9 Ponte Lugou (Ponte Marco Polo) 1 sett Hitler si toglie la vita sparandosi nel bunker La Germania invade la Polonia. 7 dic cembr mbre 194 41 a pochi chilometri da Pechino. del Palazzo della cancelleria di Berlino, I piloti del bombardiere Enola Gay. Scoppia la Seconda guerra mondiale. L’aeronautica giapponese attacca la base Scoppia la Seconda guerra insieme con la moglie Eva Braun. navale americana di Pearl Harbor (Hawaii). sino-giapponese, che finirà con 10 m agg gio 1940 0 8 ma aggio o 1945 5 Il giorno dopo gli Usa entrano in guerra. la resa del Giappone nel 1945. Si dimette il premier I tedeschi firmano la resa. inglese Chamberlain, che 2 6 ap p rile 1942 2 12 m arz zo 1938 8 aveva sottovalutato Hitler. 6 ago osto 1945 A Salisburgo Hitler e Mussolini pianificano La Germania invade Gli succede Winston Churchill. un’importante offensiva in Nord Africa. Il bombardiere Usa Enola Gay sgancia la prima l’Austria e ne annuncia bomba atomica sulla città giapponese di Hiroshima. l’annessione (Anschluss). tem mbre 1940 17 lu 27 set sett uglio o 194 42 Il 9 agosto un’altra bomba colpisce Nagasaki. Firma a Berlino del Patto Inizia la lunga Battaglia di Stalingrado. 29 set sett tem mbre 1938 Tripartito (detto anche Asse I tedeschi verranno sconfitti 2 sett ettemb bre 19 945 Inizia la conferenza di Roma-Berlino-Tokyo) fra Il Giappone firma la resa incondizionata, dall’Armata Rossa nel gennaio 1943. Monaco con Regno Unito, Italia, Germania e Giappone. è la fine della Seconda guerra mondiale. 23 ottob bre 1942 Francia, Germania e Italia. 5 novembr mbre 194 mbr 40 20 no ovemb bre 19 945 Inizia la Seconda battaglia di El Alamein, Si conclude con l’annessione Franklin D. Roosevelt rieletto in Nord Africa. Finisce il 4 novembre con Si apre a Norimberga (Germania) il processo di parte della Cecoslovacchia presidente degli Stati Uniti. la ritirata della coalizione italo-tedesca. contro i capi nazisti. Durerà fino all’ottobre 1946. al Terzo Reich nazista.
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L’IMPERO Vincitori e vinti A destra, truppe cammellate sfilano a Roma davanti al Vittoriano nel primo anniversario della proclamazione dell’impero (9 maggio 1937). Il sogno coloniale italiano durerà solo 5 anni. A sinistra, bambini somali fanno il saluto romano.
LA VITA DI AGRICOLTORI, FUNZIONARI E AFFARISTI NELLE COLONIE DELL’AFRICA ORIENTALE ITALIANA, NATA NEL 1936 CON LA SANGUINOSA CONQUISTA DELL’ETIOPIA
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l 9 maggio 1936 Mussolini annunciò la “riapparizione dell’Impero sui colli fatali di Roma”. La guerra d’Etiopia era durata poco più di sette mesi. L’Abissinia andava ad aggiungersi alla Libia e alle altre due colonie del Corno d’Africa: Eritrea e Somalia. Nasceva così l’Africa Orientale Italiana (Aoi), amministrata da un governatore generale con il titolo di viceré. L’Aoi, anche se priva di materie prime (come ferro, carbone o petrolio), era però in grado di fornire metalli preziosi (pochi), carne, latte, pelli, cotone, caffè e legni pregiati. Ma soprattutto sembrava finalmente offrire ai contadini diseredati del Sud uno sbocco alternativo alle Americhe, che già avevano assorbito oltre 9 milioni di emigranti. L’obiettivo di questo “colonialismo demografico” era di trasferire in Africa Orientale almeno un milione di italiani. Alla fine il totale non supererà le 200 mila unità. tire. I primi coloni giunsero nel 1937, Terra da spart raggruppati in tre nuclei regionali: “Romagna d’Etiopia”, “Puglia d’Etiopia” e “Veneto d’Etiopia”. Al primo, sponso-
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rizzato da Mussolini in persona, vennero distribuiti 11 mila ettari di terra (ma ne saranno coltivati solo 3 mila); al secondo, sostenuto dal segretario del Partito fascista Starace, ne andarono 5 mila (e ne sarà coltivato un migliaio), mentre il terzo rimase praticamente a bocca asciutta. Assai di più ottennero alcune grandi imprese agro-commerciali, ma anche in questo caso le terre coltivate rappresentarono una percentuale abbastanza modesta rispetto agli obiettivi proclamati. Il progetto della colonizzazione contadina non ottenne i risultati auspicati per problemi di fondo (scarsità di terre libere, difficoltà di ricollocare gli indigeni espropriati, inadeguata conoscenza del terreno, scarsità di attrezzi e mancanza di tecnici agrari) aggravati da alcuni vizi italici, come le occupazioni abusive da parte di “pirati della terra” (spesso in... camicia nera) o le assegnazioni-premio ad alti funzionari, generali ed ex gerarchi. Così alla fine gli ettari acquisiti dallo Stato furono solo 350 mila (ma ne sarà coltivato solo un terzo) e la vita per le famiglie dei ▸
coloni si rivelò assai dura a causa dell’isolamento, dei rapporti spesso difficili con le autorità e della grave ostilità delle popolazioni locali, provocata dalla sconsiderata decisione di utilizzare i contadini italiani quali esattori delle tasse indigene. Grandii opere. Altre migliaia di italiani intanto lavoravano alla costruzione della rete stradale, voluta da Mussolini per motivi sia economici che ideologici, ispirati al ricordo delle “vie consolari” vanto dell’antico Impero romano. Il progetto prevedeva 5 grandi randi arterie asfaltate larghe 7 metri per un totale di 2.850 km, più altri 18 mila km di strade secondarie arie e piste carrozzabili. In meno di due anni furono aperti 3.200 km di strade (di cui 1.800 800 asfaltate) e completate opere grandiose come ome la galleria del Termaber, a più di 3 mila metri di quota. Il bilancio dell’impresa fu però pesante, perché il cemento era coostato 50 volte il prezzo d’origine, mentre gli operai bianchi venivano pagati 70-80 lire al giorno (circa 50 euro di oggi), cosicché le strade asfaltate gravarono sul bilancio coloniale per oltre un milione di lire a chilometro, a fronte delle 350 mila lire standard in Italia. Anche le condizioni di lavoro e ambientali si rivelarono assai gravose, tanto che oltre 2.500 00 operai rimasero vittime di infortuni rtuni o malattie, mentre altre decine dii migliaia dovettero essere rimpatriati. Il loro posto fu f occupato t da d lavoratol t ri indigeni, con un salario pari a un decimo di quello degli italiani. Uno degli obiettivi proclamati dalla propaganda bellica fascista era stato infatti la liberazione dei 300-500 mila schiavi ancora esistenti in Abissinia. Dopo la vittoria il governo coloniale ne aveva decretato sì l’affrancamento, introducendo però la precettazione dei maschi tra i 18 e i 45 anni per eccezionali lavori di pubblica utilità.
Pescecani. Una sola categoria di lavoratori trovò davvero in Aoi la terra promessa: i proprietari di automezzi (i cosiddetti “padroncini”) che riuscivano a guadagnare fino a 600 lire al giorno (a fronte delle 300 mensili di un manovale in Italia) provocando l’indignazione degli stessi funzionari fascisti. Fra il 1937 e il 1938 un paio di decreti intervennero per ridurre le tariffe e introdurre una certa disciplina, ma il “pescecanismo” (come si usava dire allora) non fu mai estirp estirpato e i padroncini continuarono a imperv imperversare sulle strade con un frusto cappellaccio cappell calcato in testa, una pistola al ffianco e una fascio di biglietti di banca banc in tasca. Capit Ca tale d’Afr rica. Il vero palcoscen scenico della vita coloniale era però la capit capitale etiopica, Addis Abeba, che si andò rapidamente occidentalizzando. risiedevano oltre 20 mila italiani, con Vi risied stratificazione sociale assai marcata. una strati vertice c’era una “crema” di militaAl verti gerarchi, diplomatici, funzionari di ri, gera grado elevato, affaristi, grossi imprenditori e professionisti di grido, accompagnati dalle loro famiglie: ville con giardino ereditate dall’aristocrazia etiopica, mobili d’epoca importati dall’Italia e serd’ vizi da tavola con posate d’argenviz to. «Una vita favolosa» come ricorto derà dopo la guerra Teresa Piacende tini, figlia di un diplomatico «con ti almeno due o tre boys abissini, panalm e giacca tipo guru bianca, ttaloni l i all’indiana ll’i più un’alta fascia alla vita di colore diverso per ogni famiglia». E Mario Corsi, figlio del comandante della guarnigione: «Le nostre madri andavano a far compere in centro in calessino o con le automobili di servizio, dall’uso non consentito ma tollerato. Nel pomeriggio si riunivano per interminabili partite di bridge, con sfoggio di toilettes e largo consumo di whisky». Gli stipendi erano al- ▸
La via d’accesso alla casa padronale di una piantagione italiana vicino a Merca, nella Somalia Meridionale.
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Dalle Alpi al Corno d’Africa Cartina murale con l’estensione (in chiaro) dei possedimenti coloniali dell’Italia fascista. A sinistra, parte di un bottino di guerra: gli abiti e la spada di un capo abissino.
7 DICEMBRE 1935 DISPOSIZIONI ALLA STAMPA Non pubblicare, nell e corrispondenze, noti zie dei bombardamenti dei no st aerei nell’Africa Or ri ientale.
IL BILANCIO DELLA GUERRA D’ETIOPIA: 4 MILA MORTI TRA ITALIANI E ÀSCARI, 250 MILA ETIOPI UCCISI DAI BOMBARDAMENTI A TAPPETO E DAI GAS
Il traghetto dell’Isola Alessandra sul fiume Giuba, che nasce nell’altopiano etiopico e si dirige nel Sud della Somalia. www.focusstoria.it
Visita di Maurizio Rava, governatore della Somalia, alla piantagione di un possidente del nuovo impero. Fascismo
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La “quarta sponda” italiana: fatti e misfatti in terra di Libia
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uando Mussolini prese il potere, nel 1922, la Libia era colonia italiana ormai da un de-
cennio, ma di fatto l’occupazione era circoscritta alla Tripolitania e alla fascia costiera della Cirenaica.
Pestare sodo. Le direttive del duce si limitarono a due sole parole: “Pestare sodo”. L’uomo che si incaricò di portare a compimento la cosiddetta “riconquista” sid fu un giovane colonnello, Rodolfo Graziane ni. La Terza guerra di ni Libia durò sino al 1933, Lib con esecuzioni somco marie, stragi di civili, m depor tazioni di massa d e impiego di are largo l Una cartolina da Tripoli, spedita nel 1940.
ti i negozii di lusso ti, l numerosii e le l feste f t del d l viceré i é affollate. ff A un livello più basso, Addis Abeba era abitata da una piccola borghesia di impiegati, modesti funzionari e piccoli commercianti. Per molti di loro la prima residenza era stata una casa con un tetto di lamiera e mobili di fortuna, ma poi l’Istituto nazionale case impiegati statali cominciò a costruire villette e piccoli condomini. E l’Opera nazionale dopolavoro (v. articolo a pag. 90) mise a disposizione anche per loro campi da tennis, calcio e pallacanestro. Guerriiglia. Su tutta l’Etiopia gravava però un incubo: quello della sicurezza. La guerra del 1935-36 era stata infatti vinta rapidamente utilizzando anche metodi spietati (come i gas), ma l’impero era tutt’altro che pacificato. Di fronte alle titubanze del primo viceré, Pietro Badoglio, Mussolini affidò l’incarico di governare con pugno di ferro all’altro protagonista della Campagna d’Etiopia, Rodolfo Graziani, che già aveva dato prova della sua efferatezza durante la cosiddetta “riconquista della Libia”, negli Anni ’20 (v. riquadro qui sopra).
La contessa Lalli sorride mentre sbarca a Obbia, in Somalia. L’Italia aveva acquistato il protettorato di Obbia nel 1892.
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mi chimiche. La scena cambiò solo il 1° gennaio 1934, con la nomina di Italo Balbo a governatore e il richiamo in patria di Graziani. Paternalista. Balbo governò da despota illuminato, con spirito paternalistico e ambizioni faraoniche. S’insediò nella rocca di Tripoli, che riempì di statue romane e fontane illuminate. Ma al tempo stesso liquidò i campi di concentramento e svuotò le prigioni. Poi, in soli 12 mesi, portò a termi-
ne la costruzione della strada litoranea a lui intitolata (la cosiddetta “via Balbia”) che si stende per 1.822 km dal confine tunisino a quello egiziano. E nel 1937 varò un piano di colonizzazione intensiva della Libia che facesse affluire 20 mila coloni l’anno, modificando l’orientamento precedente che privilegiava le grandi concessioni di terra a poche imprese private. Ma la Seconda guerra mondiale pose fine a ogni ambizione.
La guerriglia però continuò fino al 1939, minacciando non solo gli isolati insediamenti dell’interno ma anche la stessa capitale, e scavando un solco profondo fra colonizzatori e colonizzati. In realtà gli italiani erano giunti in Africa con una mentalità carica di luoghi comuni sulla barbarie abissina e sul proprio ruolo di dominatori. Erano pochi i coloniali che la pensavano come Ciro Poggiali, che annotava (ma soltanto nel suo diario): “Fa ridere sentir parlare di prestigio della razza. Se togli il colore della faccia che differenza c’è fra certi nostri scalcinatissimi connazionali e i contadini etiopici?”. Molti erano invece quelli che condividevano l’atteggiamento del funzionario Vincenzio Ambrosio, che in una lettera scriveva: “Tutti gli indigeni, anche le donne, al passaggio degli italiani devono salutare rispettosamente: se no botte da orbi”. Barrie ere fra co omunità. È in questo spirito che il ministro delle Colonie Alessandro Lessona impartì al neo viceré Graziani le prime direttive per instaurare una sorta di apartheid, con quartieri separati, nessuna familiarità fra ▸
Sfilata di trattori a Genale, località sul fiume Uebi Scebeli in Somalia, in occasione della visita di re Vittorio Emanuele III. www.focusstoria.it
Verso il fronte Napoli, 24 agosto 1935: soldati italiani si imbarcano alla volta dell’Africa, alla vigilia della guerra etiopica.
UNA DISPOSIZIONE ALLA STAMPA DEL 1936 ORDINAVA DI ASTENERSI “DALLE SDOLCINATURE” VERSO LE ABISSINE E DI EVITARE OGNI FRATERNIZZAZIONE
Una fucilazione ad Addis Abeba. Il plotone di esecuzione è di truppe indigene, gli àscari (a destra, in un disegno), ), agli ordini degli italiani. www.focusstoria.it
5 GIUGNO 1936 AMPA DISPOSIZIONI ALLA ST si scrive con ca ri Ricordiamo che Af con due. Addis una sola “f” e non ritta e pronunciata Abeba deve essere sc a ultima “a”. senza l’accento sull
Cotone steso sull’aia in un podere della Somalia. A lavorare erano molto spesso le donne indigene.
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In partenza per le sabbie Coloni lasciano Venezia per la Libia, nel 1939. L’anno successivo, gli italiani nelle colonie saranno 425 mila.
Un colono italiano si approvvigiona di carne con la caccia all’antilope nei pressi del fiume Uebi Scebeli (Somalia) nel 1929. www.focusstoria.it
NELLE COLONIE AFFLUÌ ANCHE UN GRAN NUMERO DI SBANDATI “AFFETTI DA TARE, ALCOLISMO, PRECEDENTI PENALI O SCARSA VOGLIA DI LAVORARE” le due comunità ed esclusione della popolazione di colore dai ritrovi pubblici frequentati dai bianchi. La segregazione andò ancora più accentuandosi con il divieto di promiscuità nei trasporti, il divieto ai proprietari di automezzi di impiegare autisti neri, l’introduzione di sportelli separati negli uffici pubblici e di posti distinti nei cinema. Guer Gu erra al se sesso. La separazione investì sin dall’inizio e con particolare veemenza la sfera dei rapporti sessuali. Al tempo della Guerra d’Etiopia la canzone forse più popolare in Italia era stata Faccetta nera, la “bella abissina” che – come scriverà più tardi Leo Longanesi – aveva fatto sognare “una sterminata selva di seni turgidi e puntuti” a una generazione di giovani italiani. Ma questo implicito appello alla promiscuità non era piaciuto al regime, che oltre a tentare (con scarso successo) di mettere in un cassetto la canzone, aveva promosso una campagna di rettifica per la condanna sia dello “sciarmuttismo”, ovvero la frequentazione di prostitute locali (dette “sciarmutte”, dall’amarico) sia del “madamismo”, cioè della convivenza more uxorio con donne etiopi. Data la scarsità di donne bianche in Aoi (in totale circa 10 mila) la questione si presentò però assai spinosa sul piano pratico. Tanto che il governo, fallito un primo penoso esperimento per l’importazione di prostitute francesi da
Marsiglia, decise di affrontare direttamente il problema: prima legalizzando temporaneamente uno “sciarmuttismo domiciliare”, con bandiere di vario colore sui tetti dei tucul (gialle per ufficiali, verdi per truppa e civili, nere per le truppe indigene), poi provvedendo all’invio dall’Italia di un adeguato numero di “signorine” da smistare nelle tre case chiuse di Addis Abeba e in quelle di tutte le altre città principali. Tram Tr amonto r razzista. a. Con il varo delle leggi razziali, alla fine del 1938 (v. a pag. 124), la faccenda assunse un risvolto drammatico con la lotta contro la cosiddetta “piaga del meticciato”, capace – secondo Lessona – di trasformare “questo nostro magnifico popolo di pionieri, colonizzatori, navigatori ed eroi in una stirpe di ibridi”. Battaglia che condusse all’introduzione del reato di “Lesione del prestigio di razza” e a un crudele tentativo di squalificare quali indigeni tutti gli oltre 10 mila piccoli mulatti dell’Aoi. Ma la Seconda guerra mondiale era ormai alle porte e nel 1941 ebbe inizio la riconquista dell’Aoi da parte delle forze armate britanniche. Sull’onda della loro avanzata vittoriosa, il 5 maggio 1941 il negus Hailé Selassié arrivò in vista di Addis Abeba: dal giorno del trionfale ingresso delle truppe italiane nella capitale erano passati esattamente 5 anni.◉ Sergio De Santis
Niente sesso, preserviamo la “stirpe”. E invece...
N
el 1936 fu pubblicato un Decalogo del lavoratore fascista in Africa Orientale Italiana: 10 frasi lapidarie (tra cui “Sii disciplinato”, “Cura l’igiene”, “Risparmia”) seguite da un breve commento ideologico. Non mescolarti. In particolare il regime insistette sul 4° comandamento, Difendi la stirpe: “[...] Tu sei in Etiopia alfiere di civiltà. Tuo primo dovere è di non dare alla Patria una degenere discendenza: e tu non la darai!”. Una direttiva governativa del 5 agosto 1936 suggeriva di organizzare “case di tolleranza, anche ambulanti, con donne di razza www.focusstoria.it
bianca”. Ma le raccomandazioni non riuscirono a frenare i rapporti con le “faccette nere”, a buon mercato per gli italiani. Sedotti. Dopo la “contaminazione”, il di-
sprezzo si riversava però su quei corpi di cui non si riusciva a fare a meno. “Carni dure queste veneri dai fianchi d’ebano, rimani scomodo come su un copertone d’automobi-
le, senza riuscire a trasfondere nulla del tuo calore” commentava l’ufficiale della milizia Paolo Cesarini. E Alessandro Ferrara, ufficiale dell’esercito,
scriveva addirittura: “Di quella femmina si era elevata solo la forma esteriore, il resto era bestia ancora”.
Sopra, la strada delle “sciarmutte”, le prostitute, a Mogadiscio (Somalia). A destra, una bellezza abissina, la cosiddetta “faccetta nera”. Fascismo
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boia chi m PROPAGANDA
NOMI STRANIERI ITALIANIZZATI, MOTTI E PAROLE D’ORDINE. L’ARROGANZA DEL POTERE ARRIVÒ A MODIFICARE ANCHE LA LINGUA QUOTIDIANA Grida al vento
CHI
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FINO ALLA VITT
Benito Mussolini durante uno dei suoi discorsi alla folla, il 7 luglio 1939.
boia FINO ALLA VITTOR
CHI osa
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O con noi o con 84
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molla osa vince U
n regime fondato sulle parole, è stato detto del fascismo, di cui si ricordano spesso gli aspetti plateali e ai nostri occhi ridicoli: il bluff degli “otto milioni di baionette” o dello “spezzeremo le reni alla Grecia”, le parole d’ordine “Tireremo diritto”, “Chi si ferma è perduto”, “Credere, obbedire, combattere”, gli slogan “Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se muoio vendicatemi”, “Meglio un giorno da leone che cent’anni da pecora”. Più originali, e alcuni coniati proprio da Mussolini, i modi per schernire nemici e “disimpegnati”: panciuti, panciafichisti, bracaioli, pantofolai, borghesoidi. Ma l’offesa preferita era “mezza cartuccia”, sopravvissuta nella lingua corrente. Primo bersaglio fu nientemeno che Vittorio Emanuele III: “Non ho colpa io se il re è fisicamente una mezza cartuccia” disse il duce al genero Galeazzo Ciano “è naturale che lui non potrà fare il passo romano senza essere ridicolo”. Ma la lingua quotidiana dei cittadini fu davvero cambiata dal fascismo? Fino a un certo punto. Mi d dia del v voi! I principali cambiamenti della lingua, nel Ventennio, riguardarono la sostituzione del “lei” di cortesia con il “voi”, le parole straniere e i nomi propri. La campagna in favore del “voi” risale al 1938 e fu voluta dal segretario del Partito nazionale fascista, Achille Starace (v. a pag. 66). Mussolini approvò immediatamente: il “lei” era straniero (fatto peraltro non vero), borghese e snob, dunque antifascista. Andava rimpiazzato, così come il saluto romano doveva sostituire la stretta di mano “per temprare il carattere degli italiani”. Per non correre rischi, persino la rivista femminile Lei (in questo caso pronome personale femminile) cambiò la testata in Annabella. Non ci fu mai una vera legge (solo una disposizione limitata agli uffici pubblici) e il “voi” ebbe fortuna soprattutto tra i ceti medio-bassi, sia per cieca obbedienza, sia perché ▸
ne frego!
TORIA
Quan ndo il pu ulllma an si chiam mava a torrpedo one
E
cco come il regime fascista propose di italianizzare alcune parole straniere. Gli adattamenti più ridicoli furono presto dimenticati, ma altri sono giunti fino a noi:
alcool
alcole
bouvette
mescita
boy-scout
giovane esploratore
buffet
rinfresco o tavola fredda
champagne
sciampagna
cognac
arzente
cotillons
cotiglioni
croissant
bombolone
flirt
amoretto
gangster
malfattore
garage
rimessa
garçonnière
giovanottiera
ouverture
overtura
papillon
cravattino
parquet
tassellato
chi molla RIA
a vince
ntro di noi
pied-à-terre
fuggicasa
plaid
scialle da viaggio
playboy e viveur
vitaiolo
pullman
torpedone o autocorriera
pullover
maglione o farsetto
sandwich
tramezzino
smoking
giacchetta da sera
soubrette
brillante
tennis
pallacorda
water-closet whisky
sciacquone
acquavite o spirito d’avena
zar e zarina
cesare e cesarina
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emmeno i nomi propri o d’arte si salvarono dalla furia “italianizzante”: l’attore Renato Rascel divenne Rascele e la diva Wanda Osiris perse la “s” finale e cambiò la “W” in “V”. Al cinema, i vari John, Mary e Clark dei film americani si chiamarono, nei doppiaggi, Giovanni, Maria e Carlo. Queste sono altre tra le più buffe traduzioni:
Benny Goodman Beniamino Buonomo Buenos Aires
Buonaria
Chamberlain
Ciamberlino
Churchill Louis Armstrong
Ciorcil Luigi Braccioforte
Washington
Vosintone fascismo
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PER LA SQUADRA DEL MILAN (UFFICIALMENTE MILAN FOOTBALL AND CRICKET CLUB) FU PROPOSTO “MILANO GIOCO DEL CALCIO E PALLAMAGLIO” in molti dialetti italiani, specie al Una scena del Sud, già si usava correntemente. film Accadde Ma a molti diedero fastidio la peuna notte (1934), tulanza e l’arbitrarietà immotivacon Clark Gable. Nei doppiaggi ta di quell’imposizione. Benedetsi traducevano to Croce, che da buon napoletaanche i nomi no aveva fin lì usato il “voi”, paspropri. sò immediatamente al “lei”. E un altro risultato fu la diffusione del “tu”, che non era proibito. Tass Ta ssati. La battaglia per il purismo della lingua italiana non fu un’esclusiva dei fascisti, che però la fecero propria. Le insegne con termini stranieri non furono vietate, ma tassate già a partire dal 1923. Furono penalizzate in particolare quelle di cui era disponibile un sinonimo italiano. Coiffeur, bar, garage, hotel caddero sotto imposta maggiorata. Tram, rhum, the ne furono esentati. Ma nel 1926 anche “bar” fu dispensato: il corrispondente “taverna” risultò inadeguato. Nel 1937 si arrivò a colpire le
Quel Petaccione del duce
C
ome spesso accade nel caso dei dittatori, il popolo si sbizzarriva nel coniare per Mussolini epiteti sia devoti – il Capo, lo Zio, il Vecchio, il Padrone di casa, il Figlio del fabbro o, semplicemente, Lui (Isso nel Sud) – sia offensivi: i nomignoli di Provolone e Crapùn gli furono affibbiati per sbeffeggiarne la forma della testa e la “pelata”. Petaccione,
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invece, alludeva alla sua più nota impresa amorosa, la relazione con Claretta Petacci (foto). Naticone. Lo stesso fecero alcuni intellettuali. Negli scritti di Carlo Emilio Gadda (1893-1973), l’autore del celebre romanzo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, si contano oltre 70 nomignoli e definizioni del duce, in parte raccolti dalla viva voce del popolo. Eccone una scelta: Batrace, Caciocavallo, Ciuco Maramaldo, Facciaferoce, Giuda in bombetta, Gran Pernacchia, Mascella d’asino, Minchiolini, Nullapensante, Profeta Forlimpopolo, Pulcinella finto Cesare, Scipione Affricano del due di coppe e Naticone Ottimo Massimo.
scritte esotiche con imposte 20 volte maggiori (quota minima 750 lire, quasi 700 euro di oggi). Il dizionario commissionato da Mussolini alla Reale accademia d’Italia per “estirpare la mala pianta dell’errore e dell’esotismo” non si realizzò mai. Ma i linguisti lavorarono sodo per formulare le loro ipotesi (v. riquadro alla pagina precedente) e i cittadini vennero coinvolti dai giornali. Alle campagne del Popolo d’Italia per il purismo della lingua, si affiancò nel 1932 la torinese Gazzetta del Popolo, pubblicando 300 schede quotidiane per “ripulire la nostra lingua dalla gramigna delle parole straniere che hanno invaso e guastato ogni campo”. Poco prima il periodico Scena illustrata aveva animato un dibattito con i lettori per scegliere l’equivalente italiano del francese chauffeur. La rissa filologica portò, banalmente, ad “autista”. Il quotidiano romano La Tribuna bandì un concorso in piena regola (primo premio: mille lire). Il gioco cultural-patriottico riguardava 50 esotismi. Vinse, come traduzione di dancing, “sala da ballo” (bocciati: ballerìa, danzatorio, caffè-ballo e... ballatoio). Per tabarin, “tabarino” (scartati: ritrovo notturno, veglioncello, tavola-danza e puttanambolo!). Per taxi, “tassì” (niente autopubblica, tassauto e publiauto). Per café-chantant, “caffè-concerto”. Ma per bar la giuria respinse ogni proposta (espresso, barra, bibitario, bevitoio, mescita): come bazar, era ormai accettabile. Anche di fronte a cocktail ci si arrese, dopo il tentativo di chiamarlo “arlecchino”. Menù Me nù sgrad adito. Lo stesso Mussolini intervenne di persona, per esempio, contro la scritta Majestic Soda Parlor in via Veneto a Roma e contro un ristorante di Bologna che esponeva in vetrina il menu (“Dire di togliere il ‘menu’ e di mettere una ‘lista’”). E si preoccupò di dirimere alcune controversie. Nel caso di bidet ordinò di lasciare le cose come stavano: dare spazio a una pubblica disquisizione sul tema non era confacente al regime. Che invece si spese, sul versante dei nomi dei Comuni, per sostituire quelli che parevano imbarazzanti e quelli stranieri. Nel Lodigiano, Cazzimani divenne Borgo Littorio (oggi Borgo S. Giovanni); nel Trevigiano, Melma fu ribattezzato Silea; nel Forlivese, Scorticata cambiò in Torriana. In Valle d’Aosta tutti i toponimi furono italianizzati: Quart divenne Quarto Pretoria, La Thuile Porta Littoria e Courmayeur Cormaiore. Nacquero ex novo Littoria (oggi Latina) e Mussolinia di Sardegna (oggi Arborea). www.focusstoria.it
E il coiffeur pagò pegno Finalissima del concorso per parrucchieri a Roma, nel 1937. Chi voleva mantenere sulla propria insegna la scritta “coiffeur” doveva pagare una supertassa.
14 GIUGNO 1940 DISPOSIZIONI ALLA ST AMPA Usare la parola “ted eschi” e la parola “germanici” nella proporzione del 70 e del 30 per ce dire più spesso “ted nto: cioè eschi”. Via del Litt Vi ttorio. Accanto a città e paesi, cambiarono nome strade e piazze. Dei simboli del fascismo, il littorio ebbe la maggior fortuna. Ancora oggi, in una dozzina di Comuni, sopravvive una via del Littorio. Mussolini avversò invece l’intitolazione a sé o ai propri familiari di vie (e di istituzioni, edifici ecc.). Nel 1934 ordinò ai prefetti di far sostituire il proprio nome con quello di Caduti in guerra o con le date 23 marzo (fondazione dei Fasci di combattimento), 21 aprile (il Natale di Roma), 24 maggio (dichiarazione di guerra all’Austria, nel 1915), 28 ottobre (Marcia su Roma), 4 novembre (anniversario della Vittoria). Peraltro una legge del 1927 vietava d’intitolare luoghi pubblici a viventi. “Pia “P iacere, It Italimpera ra”. ”. Quanto ai nomi di battesimo, genitori zelanti provvidero a onorare la loro fede laica, come del resto era già costume tra i socialisti e gli anarchici. Al duce e famiglia furono dedicati tanti Benito nonché Bruno, Vittorio e Romano (i figli maschi di Mussolini). Altri nomi s’ispirarono ai simboli e alle parole del regime, da Allarmi a Guerriero, da Ardito ad Ariano. Altri all’impero e alle imprese in Africa: Makallé, Tripolina, Endertà, Addis-Abeba, Derna Italiana, Impero o Italimpera, Natale Romano e ovviamente Roma. Con perfino qualche composto del tipo Vittoria Itala Germana, Benito Vittorio Umberto o Edda Benita Galeazza. ◉
Grido di battaglia
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ja, eja, alalà!”. Così si esultava e si brindava, ci si incoraggiava e talvolta ci si salutava. Ma quel curioso grido di giubilo, la cui invenzione si attribuisce a Gabriele D’Annunzio (nell’agosto del 1917, durante il bombardamento di Pola), era in realtà la combinazione di due esclamazioni antiche. “Eja” era legata al mondo romano e fu tramandata dai crociati. “Alalà” era il grido di guerra dei Greci: Achille ci aizzava i cavalli. Poetico. Di “eja” si trovano tracce in racconti e poesie, da Boccaccio a Pascoli. E sempre Pascoli fu il primo a recuperare, nei Poemi conviviali, il grido “alalà”. L’esclamazione, che doveva so-
stituire il barbarico “hip, hip, urrah!”, venne fatta propria dagli aviatori e poi dai fascisti, che la gridavano nelle adunate e la inserirono nei loro canti, primo fra tutti il rifacimento di Giovinezza: “Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza, della vita nell’asprezza il tuo canto squilla e va. E per Benito Mussolini: eja, eja, alalà!”.
Mondine “firmate”.
Enzo Caffarelli www.focusstoria.it
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SOPRAVVIVENZE
SCRITTE INNEGGIANTI A MUSSOLINI, FASCI LITTORI, SIGLE E NOMI AUTARCHICI. NON È L’ITALIA DEL 1932, M QUELLA MA Q DEL 2012
a s o c l a u q o t s a m i r è
Un passa ato in ngombr mbrant mbr ante L’obelisco del Foro Italico (ex Foro Mussolini) Mussol a Roma. Fu eretto nel 1932, 10° anno (nel particolare) dell’“era fascista”. È alto 17,5 metri e pesa 350 tonnellate. sopra c’è scritto “Mussolini dux”.
a St tato o e Chi Chiesa a Tra un pilone del viadotto delle ferrovie vaticane (circa 1 km), costruite nel 1929: le otto arcate recano il fascio littorio.
La caduta del fascismo non ha cancellato tutti i simboli materiali di quel tempo. Oltre a istituzioni economiche, edifici, città e intere province, ci sono vie, scritte e persino grandi magazzini che sono lì ome eravamo ottant anni fa. a ricordarci come ottant’anni
Il Vaticano? Un’eredità del Ventennio
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11 febbraio 1929, nel palazzo apostolico del Laterano, furono firmati tra Mussolini e la Santa Sede i Patti lateranensi, sui quali si fondano ancora oggi (con alcune varianti) i rapporti tra Stato italiano e Chiesa. Ora di religione. Da quegli accordi (il più noto dei quali è il Concordato) nacque la Città del Vaticano, lo “Stato del papa”. I Patti istituirono anche l’insegnamento della religione nelle scuole, obbligatorio fino alla
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revisione degli accordi, avvenuta nel 1984. Oggi sposi. Persino nelle nozze c’è un po’ di Ventennio. Il matrimonio cattolico concordatario (basato appunto sul Concordato) vale anche ai fini civili. Il sacerdote vi svolge infatti la funzione di ufficiale dello stato civile. Per questo, ancora oggi, davanti agli sposi che scelgono questo rito, il celebrante legge gli articoli del codice civile relativi ai diritti e ai doveri dei coniugi.
Qu ui no on c’è ’è più mol lto Via del Littorio a Roccasecca (Fr). La targa è ormai illeggibile, ma la via c’è ancora, come in altri 14 comuni italiani.
C’e C’era una vo olta ta... Affresco con lo stemma regio e il fascio littorio (a sinistra) sulla facciata dell’ex municipio di Malesco (VB), in Piemonte.
benzin ben zina a nost ostr ra un Manifesto del 1930 dell’Azienda generale italiana petroli (Agip), voluta da benito Mussolini e rilanciata nel 1953.
viale via le bip bipart tisan n A Vèroli (Fr) c’è un viale dedicato alla marcia su Roma (28 ottobre 1922). ma lungo la stessa strada c’è anche la targa “viale della Repubblica”.
Sot tto i nost ostri ost ri piiedi Un tombino di Roma. La scritta Spqr (“Il senato e il popolo romano”) fu ereditata dall’antichità e “riciclata” dal fascismo.
Un “du “dux”” di abe abeti l’abetaia piantata nel 1939 sul monte Giano, presso Antrodoco (Ri). La “D” ha un’area di oltre 22 mila metri quadrati, la “U” 14 mila e la “X” 18 mila.
Upim e Standa nacquero proprio in quegli anni
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el 1928 a Verona aprì il primo negozio di abbigliamento a prezzo unico in Italia. Il suo nome era appunto Unico prezzo italiano Milano, cioè Upim. Nel giro di pochi anni furono aperti decine di altri punti vendita della catena, i cui proprietari erano gli stessi dei grandi magazzini milanesi La Rinascente (un nome ideato da Gabriele D’Annunzio nel 1917, dopo che il precedente edificio era stato distrutto da un incendio). Il prezzo è giusto. L’idea era semplice: permettere anche ai ceti meno abbienti, attraverso la politica del prezzo unico, di comprarsi abiti confezionati. Quelli della Rinascente, infatti,
erano troppo costosi per la maggior parte delle persone. Magazzino autarchico. Anche un altro marchio storico della grande distribuzione italiana fu fondato durante il Ventennio: la Standa, attualmente presente solo in Sicilia e Calabria. Nacque nel 1931 come Società anonima magazzini Standard, dove Standard stava per “Società tutti articoli nazionali dell’abbigliamento e arredamento”. L’attuale denominazione fu la conseguenza delle leggi che limitarono la diffusione di insegne commerciali contenenti parole straniere (v. a pag. 84). Così la Standard diventò la più nostrana Standa. fascismo
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VITA QUOTIDIANA
QUANDO NON C’ERA IL
“WEEKEND” Estate in Romagna Foto-ricordo scattata a Rimini negli Anni ’30. Le vacanze al mare, nel Ventennio, erano riservate a pochi fortunati.
SONO TRASCORSI POCO PIÙ DI 70 ANNI, MA I NOSTRI NONNI PASSAVANO IL (POCO) TEMPO LIBERO IN MODO ASSAI DIVERSO DA NOI. ECCO COME
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Sabato al luna park Sopra e a destra, due delle attrazioni della Fiera di Porta Genova, a Milano, nel 1939: l’ottovolante e l’autopista. Sotto, un punching-ball al luna park, nel 1928.
a giornata di lavoro è finita: stanco, il capofamiglia torna a casa, si infila ciabatte e vestaglia, si sdraia in poltrona. Ma manca qualcosa: il televisore non c’è. E neppure Internet, il digitale terrestre, i dvd e il telefono cellulare. Non rimane che ascoltare la radio: quella del vicino benestante, naturalmente, se si ricorderà di aprire la finestra per far arrivare la musica anche ai dirimpettai. Sembra preistoria, ma non siamo andati poi molto indietro nel tempo: era così, infatti, che i nostri nonni e i loro genitori passavano le serate negli Anni ’30. Eppure, anche senza televisione, durante il Ventennio fascista gli italiani sapevano bene come trascorrere il tempo libero. E quando non lo sapevano, era il regime a procurare loro le idee. Con il dopolavoro, il sabato fascista, i treni popolari e le colonie balneari. Dopo Do pocena in n città. A parte la lettura serale del giornale o l’osteria dopo cena, il lavoratore di città, durante la settimana, non aveva né tempo né soldi per divertirsi. «Dal lunedì al venerdì eravamo assillati dai problemi familiari o di studio» ricordava pochi anni fa Enrico, classe 1916, con alle spalle la Seconda guerra mondiale e una medaglia da partigiano. «Ma il sabato era un giorno particolare, che ognuno utilizzava a seconda delle proprie possibilità economiche: io con gli amici giocavo a ramino, a bocce, a scala quaranta e a mercante in fiera. Non sempre si poteva andare a teatro o al cinema, perché costavano, così ci riunivamo in casa a ballare con i dischi che andavano per la maggiore (v. riquadro a pag. 94)». Operai e impiegati, poi, avevano il dopolavoro. L’Opera nazionale dopolavoro (Ond) fu istituita nel 1925 per prendere il posto delle associazioni ricreative spazzate via dagli squadristi fascisti. Quando, negli Anni ’30, l’Ond (che dipendeva dal partito) assunse il monopolio del tempo libero italiano, i suoi membri raggiunsero i 4 milioni e mezzo, organizzati in 25 mila circoli. «Si trattava di strutture ricreative per adulti» spiega Fiorenza Tarozzi, docente di Storia contemporanea all’Università di Bologna e autrice del libro Il tempo libero. Tempo della festa, tempo del gioco, tempo per sé (Paravia). «C’era il caffè per chiacchierare, lo spazio per giocare a bocce e fare ginnastica, le aule per le lezioni serali. Ma erano anche uno strumento di controllo usato dal fascismo per acquisire consensi». Vegl Ve glia seral ale. Ben diversa la situazione nelle campagne, dove la natura dettava i ritmi del lavoro e dove, a dispetto dei luoghi comuni, i contadini non andavano affatto a letto con le galline. D’estate si ballava sull’aia, d’inverno, invece, soprattutto in Lombardia, Emilia e Toscana, si “andava a veglia”: uomini, donne, vecchi e bambini si riunivano cioè dopo cena nelle stalle o nelle grandi cucine, i luoghi in genere più caldi, dove gli adulti pensavano alle piccole riparazioni, le madri cucivano, i più anziani raccontavano storie. E non si ascoltavano solo favole: la veglia era l’unico modo di conoscere gli avvenimenti ▸ fascismo
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Camping avanguardista
Pedalata di tutto riposo
Ragazzi in gita nel 1940. Il fascismo organizzava campeggi per i giovani, che si sfidavano in prove atletiche.
Un’uscita organizzata da un Dopolavoro di Milano nel 1941. Sopra, una tessera dell’Opera nazionale dopolavoro.
Viva lo sport! Sciatori del 1940. Gli sport invernali erano apprezzati dal duce.
Tutti al mare... Bellezze al bagno a Viareggio nel 1930. A Marina di Massa nel 1933 fu realizzata la Colonia marina Edoardo Agnelli.
del giorno, dal momento che la televisione non esisteva e, nonostante la campagna per la diffusione della radio nel mondo rurale, quasi nessuno poteva permettersela. Anche in città questi apparecchi non erano poi così diffusi (il milione di abbonati fu raggiunto solo nel 1938). Pertanto alle otto di sera, quando iniziavano i programmi musicali, ci si riuniva nei cortili o nelle case di chi una radio la possedeva: c’era chi sistemava l’apparecchio sul tavolo della cucina vicino alla finestra aperta e chi predisponeva le sedie per gli ospiti in giardino o in salotto, davanti a un liquorino. La piccola e media borghesia si lasciò conquistare dall’opera, dall’operetta, dai concerti e dal radiodramma. «Ma per alcuni giovani» ricordava Enrico «le trasmissioni preferite erano quelle di politica, nazionale e internazionale. Solo che la radio trasmetteva soprattutto musica leggera: c’erano due orchestre che si alternavano, sul primo e sul secondo programma. La mia preferita era la Angelini, era lei che ci mandava a letto». Forse per il costo (430 lire per la “popolare” Radiobalilla, circa 370 euro di oggi), forse perché i primi apparecchi si surriscaldavano facilmente lasciando nell’aria un odore di pentola bruciata, la radio conobbe una diffusione lentissima. Nonostante ciò, nel 1927 l’Ente italiano audizioni radiofoniche (Eiar, la futura Rai) decise di trasmettere in diretta le cronache delle partite di calcio. Fu allora che i responsabili del dopolavoro nelle zone rurali tentarono con ogni mezzo di ottenere un apparecchio in dono e l’esenzione dal canone: “I nostri giovani non hanno mai udito la voce del Duce” si giustificavano. Saba Sa bato in ne nero. Tra le poche occasioni in cui i giovani italiani praticavano in prima persona qualche sport, c’erano i sabati fascisti. «Nel 1938 avevo 16 anni» è la testimonianza di nonna Lea, 14 tra nipoti e pronipoti. «Amavo lo sport e nel periodo fascista le maggiori soddisfazioni si raccoglievano proprio sui campi sportivi. Abitavo a Roma e ricordo il sabato fascista con il saggio ginnico e le gare nel Foro Italico di fronte a Mussolini e alle autorità: non c’erano premi, si gareggiava perché ci piaceva. Io lanciavo il giavellotto, facevo la corsa a ostacoli, nuotavo e sciavo. Ma ricordo ancora il dolore quella volta che, saltando un ostacolo, inciampai infilandomi nel ginocchio i chiodi della suola delle scarpette da corsa; quel sabato fui costretta a passarlo in ospedale». I ragazzi, intruppati a seconda del sesso e dell’età, partecipavano alle adunate tra le 14:30 e le 16 e, affidati com’erano alle cure del partito, non c’era pericolo che tornassero a casa all’improvviso. Una pacchia per i genitori, che in quel paio d’ore potevano godersi un po’ di intimità. La domenica, invece, si trascorreva nel segno della bicicletta. «Ero un appassionato della gita domenicale» ricordava Enrico. «In estate, con gli amici, pedalavamo lungo tutta la circumvesuviana da Nola a Napoli per raggiungere ▸
TRA LE LETTURE C’ERANO I GIALLI MONDADORI. COSTAVANO 2 LIRE (1,7 EURO) E VENDEVANO IN MEDIA 40 MILA COPIE L’UNO
In gita con il treno Sopra, un “carro della neve” del Dopolavoro Fiat. Reclamizza la stazione di sport invernali del Sestriere, raggiungibile anche in Littorina. Chi non poteva permettersela, ripiegava sui treni popolari (a sinistra).
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Il suono dell’impero Fonovaligia in cartone della Durium, ditta che produceva anche i dischi con l’etichetta “La voce dell’impero”.
Guardare la radio Negli studi dell’Eiar, la radio pubblica, si recitava come se il pubblico fosse presente (sotto). A sinistra, un rumorista.
È qui la festa?
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e festicciole tra amici, i cosiddetti “tè danzanti” del Ventennio, non somigliavano molto ai party di oggi. Si svolgevano prevalentemente la domenica pomeriggio, tra i giovani della media borghesia. A turno si sceglieva la casa dell’una o dell’altra famiglia per riunirsi a mangiare, chiacchierare e, soprattutto, ballare. Fonovaligia. Protagonista principale era il grammofono a valigetta, che funzionava a molla, recente so-
stituto del fonografo. Chi lo manovrava, di norma il proprietario, aveva ben poco dei moderni dj: necessariamente escluso dalle danze, ogni due o tre minuti, non appena le note della canzone cominciavano a distorcersi, doveva ricaricare la molla girando di buona lena la manovella.
Stasera mi butto Un’orchestrina di campagna formata da contadini e impiegati.
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Sconsigliabile Un ritrovo danzante negli Anni ’20-30. Per il fascismo il ballo era decadente e borghese.
le spiagge di Posillipo». Per molti la domenica era infatti il giorno dedicato alla gita fuoriporta: i treni popolari (v. articolo a pag. 30) trasportavano folle di cittadini verso le località balneari e le città d’arte. Più spesso, si organizzavano giri in carrozza, una variante più allegra della passeggiatina festiva. Bagn Ba gni, strus uscio e qu quat attro sa saltii in baler era. Queste erano anche, per la maggioranza, le uniche forme di vacanza che ci si potesse permettere. Se i benestanti passavano l’agosto in villeggiatura nelle località alla moda (il Lido di Venezia, Taormina, la Riviera ligure, la Versilia, il Lago Maggiore) tutti gli altri, se privi di parenti al mare o in montagna, in occasione delle ferie (mai più di una settimana) dovevano accontentarsi di località raggiungibili in giornata con i mezzi pubblici. Ai più piccoli, invece, ci pensava il regime: nel 1936, ben 772 mila bambini furono ospiti delle colonie estive (v. articolo a pag. 24). Le famiglie che nei giorni festivi rimanevano in città si radunavano intorno ai tavolini dei caffè per un gelato: il cremino ai piccoli e la coppa per le signore, alle quali era vietato, per decoro, il cono da passeggio. I giovani invece si davano a divertimenti più moderni, come il ballo e il cinema. Nelle sale da ballo, le ragazze erano rigorosamente accompagnate da madri o zie: toccava agli uomini invitarle per un valzer o per un tango, ben più pudico di quello argentino. Nelle balere si radunavano invece gli estimatori del più popolare ballo liscio, delle polche e delle mazurche, eseguite da orchestrine di fisarmoniche. Erano questi gli unici momenti in cui ragazzi e ragazze avevano la possibilità di sfiorarsi (v. articolo a pag. 98). Tutt Tu tti al cin ine. Ma la vera passione degli italiani era il cinema, che negli Anni ’30, grazie ai film americani, diventò un fenomeno di massa. Il prezzo era abbordabile (12 lire, poco più di 1 euro) e nel 1939 furono venduti 360 milioni di biglietti, contro i circa 110 milioni del 2011. Nelle campagne, invece, arrivava l’“autocinema” (l’Istituto Luce ne aveva 32), un furgone attrezzato con un proiettore sul tetto. «Ho iniziato a 6 anni a frequentare il cinema» ricorda Giovanna, ultranovantenne di Milano. «Quando sentivo che qualche adulto ci andava – capitava una volta alla settimana – mi accodavo. Prima del film proiettavano il cinegiornale del Luce, che era seguito da tutti. Era come il telegiornale di oggi». E sullo spettacolo aggiunge: «Non c’erano tante réclame come adesso. Mi ricordo che al cinema Orfeo, finito il film, una voce diceva in milanese: “Signori, adess che gh’è finì ’l dramma, andé al Pozzi a mangiar la panna”. Pozzi era una gelateria fuori dal cinema». ◉
IL PRIMO SUCCESSO RADIOFONICO DI MASSA FU UN PROGRAMMA COMICO TRASMESSO TRA IL 1934 E IL 1937: LA PARODIA “I 4 MOSCHETTIERI” Sono solo canzonette A sinistra, le locandine di due operette del 1929 e del 1924 e (qui sotto) la copertina dello spartito di una canzonetta di successo del 1940.
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CULTURA
LA FABBRICA DEI IL REGIME VOLEVA BATTERE LA SUPREMAZIA DEI FILM DI
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erché l’Italia fascista diffonda nel mondo più rapida la luce della civiltà romana”. Così si leggeva sul manifesto che nel 1937 annunciava la nascita degli studi di Cinecittà, che – almeno nelle intenzioni del duce – proprio per questo era stata fondata. Il 28 aprile di quell’anno Mussolini aveva partecipato alla cerimonia d’inaugurazione degli studi sulla via Tuscolana, alle porte di Roma, dove un suo motto campeggiava a caratteri cubitali: “La cinematografia è l’arma più forte”. Ma, soprattutto, il cinema piaceva agli italiani. Pass Pa ssione. All’inizio degli Anni ’30 più della metà degli incassi di tutti gli spettacoli (comprese le manifestazioni sportive) veniva dalle sale cinematografiche, dove fino al 1932 i film erano muti. E il cinema, dove si proiettavano obbligatoriamente i cinegiornali (v. articolo a pag. 9), formava l’opinione pubblica. Anche per questo, fin dal 1931, lo Stato fascista si era interessato, finanziandola, a quell’industria ormai in crisi. Erano infatti lontani i tempi
dei fasti dei primi kolossal (Quo vadis?, del 1913, e Cabiria, del 1914) quando Torino era la capitale mondiale dei cineasti. La nuova Mecca del cinema era Hollywood e la concorrenza da battere quella americana. In pochi anni Greta Garbo, Marlene Dietrich, Gary Cooper e Jean Harlow avevano conquistato gli italiani. Anche quelli al potere. «L’atteggiamento del regime verso il cinema americano» spiega lo storico del cinema Gian Piero Brunetta nel suo libro Cent’anni di cinema itaLa locandina del film liano (Laterza) «fu favorevole, per la sua qualità narrativa e il suo carattere di in- Condottieri (1936) di Luigi Trenker. In alto a sinistra, trattenimento». Bastava sforbiciare qua la rivista Cinema (1939). e là le “pellicole” (“film” era un termine straniero e quindi bandito) e vigilare attentamente sui doppiaggi. Ma si poteva andare oltre: imparare dagli americani e fare da soli. Se gli Usa avevano Hollywood, l’Italia doveva avere i suoi teatri di posa. Rina Ri nascita. Così, sulle ceneri di un incendio tanto misterioso quanto provvidenziale che nel 1935 aveva distrutto gli stabilimenti della Cines (i più importanti dell’epoca) nacque Cinecittà. Dapprima fu gestita da un privato, Carlo Roncoroni, ma alla sua morte (due anni dopo l’inaugurazione) gli eredi cedettero gli studi allo Stato fascista, che li affidò al fedele Luigi Freddi, giornalista e squadrista.
Grazie a un conte nacque il primo festival Made in Italy
Amedeo Nazzari (1907-1979) era il divo per antonomasia: fu interprete di successo di molti film degli Anni ’30, tra cui Luciano Serra pilota.
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ra le eredità del Ventennio c’è anche la Mostra del cinema di Venezia. Inaugurata il 6 agosto 1932 in occasione della Biennale d’arte, che all’epoca aveva già 39 anni di vita, fu il primo festival del cinema al mondo. Il conte ministro. L’idea di una rassegna cinematografica inter-
nazionale l’aveva avuta Luciano De Feo, direttore dell’Istituto Luce (v. articolo a pag. 9) e fu appoggiata dal conte Giuseppe Volpi di Misurata, ministro delle Finanze dal 1925 al 1928. Il conte, che era diventato ricchissimo grazie anche alle concessioni sulle coltivazioni di tabacco in Montewww.focusstoria.it
La Battaglia di Zama rifatta a Sabaudia con gli elefanti e circa 6 mila comparse per il film Scipione l’Africano (1937).
Isa Miranda fu l’unica diva italiana esportata con successo a Hollywood.
Totò e Titina De Filippo in San Giovanni decollato (1940). Era il terzo film di Totò.
HOLLYWOOD CON UNA PRODUZIONE TUTTA ITALIANA Le pellicole girate nella città del cinema nel 1937 furono 20. Tra queste c’era Scipione l’Africano, kolossal in costume di Carmine Gallone, che proponeva un improbabile parallelo tra Guerre puniche e Campagna d’Abissinia, e tra Scipione e Mussolini. Nel film abbondano i discorsi (in uno si cita persino la “battaglia del grano”, v. riquadro a pag. 70) e le scene di massa. E qua e là si vedono pali del telegrafo e persino un orologio al polso di un legionario. Ma questo era il tipo di spettacolo che aveva in mente il regime, che voleva vicende eroiche, come quella di Luciano Serra pilota (1938, di Goffredo Alessandrini), storia di un aviatore sul fronte etiopico. Il film ebbe la supervisione di Vittorio, secondogenito del duce, e vinse la Coppa Mussolini per il miglior film italiano al Festival di Venezia. Ma nonostante gli sforzi, gli Usa continuavano a vincere al botteghino. «Ancora nel 1938, il 73% degli incassi andava alla produzione americana» conferma Brunetta. Evidentemente, era ora di passare a misure più drastiche. Quell’anno un decreto assicurò all’Ente nazionale industrie cinematografiche il monopolio della distribuzione su tutto il territorio. Le major americane si ritirarono dal mercato italiano, e nel 1939 i film importati dagli Usa scesero da 161 a 60, mentre la produzione italiana passò in quattro anni da 45 a 171 film. Per lo più usciti da Cinecittà. Star St ar di casa sa nostra. a. Lo stop imposto ai film stranieri aprì le porte ai divi nostrani. La “fidanzata d’Italia” divenne Alida Valli, che aveva raggiunto la fama intonando
nella commedia Mille lire al mese l’omonima canzone, ma l’unica ad avere successo anche all’estero fu Isa Miranda. Il “lui” che incarnava l’uomo nuovo italiano aveva invece il volto di Amedeo Nazzari. Tra i registi, Alessandro Blasetti firmò film storici conditi di retorica, ma è ricordato più per il primo nudo del cinema sonoro italiano: nella Cena delle beffe (1941) mostrò a tutti il seno di Clara Calamai. Mentre Mario Camerini, che aveva lanciato la stella di Vittorio De Sica (Gli uomini, che mascalzoni..., 1932), raccontò il mondo piccolo-borghese, anticipando alcuni aspetti del cinema neorealista del dopoguerra. Il posto dei comici americani venne preso da una generazione di grandi attori, tra cui Totò e i De Filippo. E il pubblico? Come reagì, una volta rimasto orfano dei divi a stelle e strisce? «Si adattò a un black-out che sperava temporaneo» spiega Brunetta. «Ma la luce di Hollywood alimenterà, per tutti gli anni di guerra, sogni, speranze e desideri di milioni di italiani». ◉ Aldo Carioli
della settima arte: la Mostra del cinema di Venezia negro, voleva infatti rilanciare le fortune del Lido di Venezia. Quasi libera. Benché il suo scopo fosse valorizzare le pellicole italiane (nel 1937 fu premiato Scipione l’Africano), negli Anni ’30 la mostra rappresentò l’unica occasione di vedere film di generi diversi, tra cui autentici capolavori www.focusstoria.it
del cinema straniero, opere americane, sovietiche, francesi mai proiettate in Italia. Oscar italico. La prima edizione non prevedeva premi, ma dal 1934 fu istituita la Coppa Volpi per i migliori interpreti maschile e femminile. Un “Oscar” italiano che si assegna ancora oggi.
Non ci sto Alida Valli (1921-2006). La diva italiana nel 1943 si nascose per evitare di recitare in film di propaganda fascista.
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Pagamento di una prostituta all’interno di una casa chiusa.
CORTEGGIAMENTI A DISTANZA, MATRIMONI DI MASSA, MADRI PROLIFICHE, AMANTI FISSE E PROSTITUTE: L’AMORE E IL SESSO DURANTE IL VENTENNIO
DAL FOCOLARE
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li uomini di qua e le donne di là: per chi era giovane durante il Ventennio, gli approcci con l’altro sesso erano decisamente meno agevoli di oggi. Perché, fin da piccoli, ragazzi e ragazze conducevano vite rigidamente separate: divisi a scuola (i bidelli sgridavano i bambini che rivolgevano la parola alle bambine), non si incontravano neppure fuori, perché le fanciulle, tenute in casa, uscivano raramente da sole. I primi contatti erano vissuti nella completa clandestinità, con il timore di essere scoperti e la paura di apparire troppo sfacciati agli occhi dell’altro. Nelle sale da ballo – uno dei pochi luoghi di incontro – invitare troppo spesso la stessa ragazza equivaleva a una dichiarazione d’amore. Ma la necessità aguzzava l’ingegno. E così, mezzo secolo prima del telefono cellulare, per comunicare con l’amata si ricorreva all’antenato dell’sms: il bigliettino consegnato all’amica, con la speranza che la messaggera di turno non lo buttasse o ne modificasse il contenuto. Chi voleva spendere qualche lira si affidava al “segretario galante”, che i bigliettini li scriveva su commissione per chi era un po’ debole di penna. Organii fascistii. Stabilito il contatto, la possibilità di uscire da soli non era nemmeno contemplata: fino al fidanzamento ufficiale, i due colombi si incontravano soltanto in presenza di un’amica o della sorella della ragazza. Ed essendo proibito baciarsi in pubblico, gli innamorati potevano al massimo tenersi teneramente per mano. ▸
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Belle in carne Una “donnina” fotografata nella seconda metà degli anni Venti. Il gusto dell’epoca prediligeva le donne formose. A sinistra, Susanna, un dipinto di Felice Casorati del 1929. fascismo fascismo
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Eppure il regime incoraggiava i matrimoni in ogni modo. E lo faceva per raggiungere gli obiettivi di una delle campagne alle quali Mussolini teneva di più: quella demografica, annunciata nel 1927. L’anno dopo Mussolini scriveva: “Il tasso di natalità non è soltanto l’unica arma del popolo italiano, ma è anche quello che distinguerà il popolo fascista, in quanto indicherà la volontà di tramandare la sua vitalità nei secoli”. Achille Starace Stara Starace, dal 1931 segretario del Partito fascista (v. artic a articolo a pag. 66), traduceva per la plebe: “Tutti ggli organi del partito funzionano. Devono perciò funzionare anche gli organi genitali”. fu Alla fine degli anni Venti, la popolazione italiana contava circa 40 milioni di abitanita ti: Mussolini voleva portarla a 60. I provvedimenti furono numerosi. Si istituì una tassa d ime scapoli con più di 25 anni (solo per gli uomisugli sca ni, perché si supponeva che le zitelle fossero rimaste tali contro la loro volontà, v. distintivo a sinistra), mentre ai giovani sposi furono concessi assegni e prestiti. Vennero date agevolazioni a chi faceva figli e le madri prolifiche che ne avevano almeno 7 venivano premiate con un assegno di 5 mila lire e una polizza assicurativa. Con solennità venivano celebrati matrimoni di massa: il 30 ottobre del 1933, a Roma, in un solo giorno ben 2.620 coppie si scambiarono le fedi (v. foto in alto a destra). Le madri in difficoltà e gli orfani venivano assistiti dall’Opera nazionale della maternità e dell’infanzia (Onmi) che, fra le altre cose, provvedeva a dare un tetto e un’istruzione ai bambini senza genitori e organizzava corsi di puericoltura per le mamme. Aspett tative del luse. “La campagna demografica fu l’unica iniziativa del regime a penetrare nella vita coniugale per essere attentamente valutata, prima di essere disattesa” ha scritto in un suo saggio il giornalista Gian Franco Venè. Dal 1922 al 1941 il tasso di natalità scese infatti da 28,3 a 23,6 nati per mille abitanti. A farlo crollare sotto i 20 fu però la guerra, tornata a sconvolgere per la seconda volta in un secolo i territori della Penisola. Sembra, quindi, plausibile che gli italiani si affidassero a qualche forma di contraccezione. accezione. Il controllo delle nascite ricadeva spesso sulle donne, che praticavano clandestinamente l’aborto o (un crimine, secondo la legge,, fino al 1978) con purganti, infuusi di prezzemolo o ferri da calza. a. «Un’inchiesta svolta sulle lavoraatrici torinesi del Ventennio moostra che l’aborto non era consisiderato un atto immorale, ma un evento fisiologico, proprio come me il parto» spiega Concetta Brigadeadeci, studiosa di storia delle donne. ne. I preservativi invece erano visti più come una barriera contro le malattie veneree che come un metodo todo per non avere figli. Nel 1923, a Bologna, aveva aperto la prima fabbribbri-
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Biglietti, prego Una sposa scende dal tram per andare in chiesa. La foto è stata scattata a Milano in tempo di guerra.
ca italiana, la Hatù. La pubblicità era vietaeta ata, ma i preservativi erano venduti nelle lle farmacie che esponevano un’insegna a forrma di termometro, con la scritta Hatù. Eraano di caucciù, grossolani e poco scorrevoli. i. E costavano circa il doppio di adesso: per una na bubu stina da tre del modello standard si sborsavano avano 5 lire e mezza (pari a 5 euro di oggi), 14 lire e 80 centesimi per una confezione da sei della serie “oro”. Gli acquirenti aspettavano che la farmacia fosse vuota per entrare, e nessuno avrebbe mai osato chiederli a una commessa donna. Anche perché farlo significava confessare un’abitudine tanto diffusa quanto imbarazzante: la maggior parte dei preservativi, infatti, veniva usata nei bordelli. Tre lir re la mar rchetta.. Le case del piacere aprivano alle 10 del mattino e, con una pausa per il pranzo e una per la cena, lavoravano fin fino a notte inoltrata. La clientela variava a seconda dell’orario: al mattino erano eran frequentate da vecchi e contadini, tadini scesi in città per il mercato. Al pomeriggio, nei bordelli di prima capomer tegoria, tegori arrivavano i professionisti, i gerarchi e gli ufficiali. Nelle ore segerar rali, soprattutto nei giorni di paga, le case cas si riempivano anche di operai e impiegati. All’ingresso la guardiana dian (di solito un’ex prostituta che nessuno più voleva e che viveva di ness mance) si faceva consegnare borman se, ombrelli e bastoni, che erano vietati all’interno, e controllava le ▸ vie Un romanzo di Pitigrilli, autore di testi “piccanti”. www.focusstoria.it
Sposi intruppati La Sagra della Nuzialità, celebrata a Roma il 30 ottobre 1933. Quel giorno si sposarono 2.620 coppie.
CONSIDERATI “CATTIVI ITALIANI”, I CELIBI ERANO PER LA POLIZIA POTENZIALI RESPONSABILI DI ATTI OSCENI IN LUOGO PUBBLICO, OPPURE OMOSESSUALI Nozze su due ruote Durante l’autarchia, una coppia romana ha scelto per sposarsi il tandem. Il corteo degli invitati li segue in bicicletta. A sinistra e nelle pagine successive, alcuni distintivi dell’epoca con frasi ironiche sul matrimonio.
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Il tutore degli italiani Sopra, una confezione di preservativi Hatù, la prima fabbrica italiana di profilattici. Il nome fu considerato l’abbreviazione di Habemus tutorem (“Abbiamo un protettore”). Sotto, operaie addette al controllo qualità.
carte di identità dei più giovani, che potevano frequentare i bordelli solo a partire dai 18 anni. Nelle sale affollate, fra i divanetti umidi, le “signorine” vestite di veli adescavano i clienti e se li portavano nelle camere, poste in genere al piano superiore. La contrattazione cominciava appena chiusa la porta e la tariffa era calcolata in base al tempo: l’unità di misura era la “marchetta”, ovvero i cinque minuti. Costava 3 lire nei bordelli di infimo ordine, ma poteva salire anche oltre 20 in quelli più lussuosi. Scaduto il tempo, la ragazza, che teneva per sé la metà di quanto guadagnava, accompagnava il cliente alla cassa. Difficilmente si sarebbero rivisti, perché le signorine si fermavano nello stesso posto soltanto per due settimane. Per questo la loro pattuglia era chiamata “la quindicina”. Amant ti fisse e violenze e impunite e. I bordelli non erano malvisti dalle mogli, anzi, molte consorti pensavano che in questo modo gli uomini si sarebbero astenuti dal farsi un’amante fissa, mettendo a rischio l’unità della famiglia. Spesso però il calcolo si rivelava sbagliato. L’esempio veniva da Mussolini in persona che, come raccontò più tardi il suo cameriere “rispetto alla donna era veramente come il medio uomo borghese italiano, che ama le avventure ggalanti rapide e non compromettenti e che, a una certa erta età, età non può fare a meno di prendersi un’amante fissa sssa e un appartamento fuori casa”. L’amante fissa, a partire dal 1936, fu una na a delle sue tante ammiratrici, Claretta Pee-tacci, che gli rimase fedele fino alla morte. tee. Prima di lei, però, le donne che Mussolini ni aveva ricevuto a Palazzo Venezia erano state moltissime. lti i Gli uomini, del resto, avevano poco da temere dalle leggi che punivano il concubinato (il termine “adulterio”, sanzionato con pene maggiori, si riferiva solo ai tradimenti commessi dalle donne). Infatti chi avrebbe dovuto perseguirli era anche ben disposto a chiudere un occhio di fronte a fatti che non testimoniavano nulla più che la virilità di chi li aveva commessi. Il reato, inoltre, era perseguibile solo su denuncia della moglie, e raramente le scappatelle dei mariti facevano sgretolare il matrimonio. Ma in caso di separazione (il divorzio non sarà contemplato fino agli Anni ’70) una volta accertata la colpa di lui «le donne avevano diritto di ricevere gli alimenti per i figli» spiega Piero Meldini, autore del libro Sposa e madre esemplare (Guaraldi). «In questo come in altri casi, le leggi del fascismo tutelavano la donna, ma solo nel suo ruolo di moglie e madre». Sulla stessa linea, il codice Rocco, entrato in vigore nel 1931 (v. riquadro a pag. 49) «distingueva fra il reato di vio-
ALLA NASCITA DEL SECONDO FIGLIO SI USAVA APPENDERE ALLA CULLA CARAMELLE E MANDARINI DESTINATI AL PRIMOGENITO, PERCHÉ NON S’INGELOSISSE www.focusstoria.it
olenza sessuale a scopo di libidine e quello a scoa, po di matrimonio» spiega Meldini. «In pratica, venivano punite soltanto le violenze commesse se su donne già sposate. Negli altri casi, un matririmonio riparatore salvava l’onore della ragazza ed estingueva il reato». Come appestatii. Il codice Rocco non prevedeva eva va invece, nella sua stesura finale, misure contro l’omosessualimosessuali tà. Un articolo specifico era stato elaborato in una versione precedente, ma poi si era deciso di eliminarlo perché “per fortuna e orgoglio dell’Italia, il vizio abominevole non è così diffuso tra noi da giustificare l’intervento del legislatore” si legge nel testo della commissione guidata dal giurista Giovanni Appiani, incaricata di discutere il progetto di legge. Piuttosto che affrontare un tema scomodo e che poteva dare scandalo, il fascismo preferì negare il fenomeno. Alla polizia tuttavia furono date ampie possibilità di manovra omosessuali birono pestaggi restrizionovr no vra a e gl glii om omos oses essu sual alii ch chee su sub bir iron ono o pe pestag ggi g e restrizio
ni della propria libertà personale furono numerosi. «La misura più severa, il confino, fu commina a un centinaio di loro» racconta Giovanni nata D Dall’Orto, giornalista e saggista esperto di tema ati matiche dell’omosessualità. «Non servivano prove: era ssu sufficiente che in paese “si dicesse” che la persona era ra omosessuale». o Le donne invece venivano emardal società e spesso bollate come isteriche e maginate dalla late di mente. «Conosco un solo caso di una lesbica inviata al confino» dice Dall’Orto. Le testimonianze sono crude. Ricorda Vittorio G., omosessuale confinato a Carbonia, in Sardegna: «Stavo in miniera con altri come me e alcuni comunisti. Il peggio fu quando arrivò un certo Calascione. Questo tipo ci odiava. Ci mise alcuni campanelli ai polsi e alle caviglie, credo in segno di scherno, dicendo: “Così la gente quando vi sente ◉ arrivare scappa: siete peggio degli appestati”». Margherita Fronte Mar Marghe gherit rita a Fron F ronte te
7 DICEMBRE 1940 DISPOSIZIONI AL LA STAM PA Sensibilizzare con fotografie, interviste, ecc. i viaggi delle coppie prolifiche per essere ricevute a Ro ma da l Duce.
Figli per la patria La numerosa famiglia di un ufficiale dell’esercito nel 1935. Il regime incoraggiava con premi in denaro e altri benefici la prolificità delle coppie.
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fa cis fas fascismo c smo cismo
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SCIENZA Autarchia Un chimico esamina al microscopio un nuovo tipo di inchiostro, per evitare l’importazione di prodotti stranieri.
IL CONTRIBUTO DEL “GENIO ITALICO” AL FASCISMO, TRA NUOVI COMBUSTIBILI (DAL SORGO), INVENZIONI MANCATE (IL RADAR) E INCOMPRESE (L’ELICOTTERO)
GLI SCIENZIATI
DEL DUCE rrivato al potere nel 1922, il fascismo non aveva certo tra le sue priorità quella del rilancio della ricerca scientifica. «Se nel 1923 fu creato il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), destinato nonostante tutto a diventare il motore della ricerca italiana» dice Raffaella Simili, docente di Storia della scienza all’Università di Bologna «fu solo perché lo richiedevano gli accordi internazionali, ai quali il capo del governo era in quel momento molto sensibile». Del resto Mussolini, all’inizio, non sapeva neppure che cosa chiedere agli scienziati. «Fino al 1930» conferma Roberto Maiocchi, massimo esperto di scienza del periodo fascista «era stato persino in dubbio se sopprimere il Cnr e puntare tutto sulla neonata Accademia d’Italia,
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creata per soppiantare quella dei Lincei, che si era dimostrata un covo di antifascisti». Grano littorio o. Il duce, che puntava più sull’agricoltura che sull’industria, si intendeva invece bene con Nazareno Strampelli, titolare di una “cattedra ambulante di Granicoltura”. Mussolini fece leva su di lui per la “battaglia del grano”, lanciata nel 1925 e clamorosamente vinta nel 1931, quando si giunse a produrre in casa tutti gli 81 milioni di quintali di grano necessari per dare pane agli italiani. Le nuove varietà prodotte per ibridazione da Strampelli avevano dato un contributo essenziale, che valeva secondo il regime un premio Nobel, che invece non venne. Si gridò all’ingiustizia e alla discriminazione (Strampelli era iscritto al partito e
La sccomparssa del fisiico che sapeeva tropp po el marzo del 1938 Ettore Majorana (foto), uno dei più geniali allievi di Fermi, sparì. Sulla sua scomparsa sono state avanzate varie ipotesi: di recente alcuni testimoni hanno raccontato di averlo conosciuto a Buenos Aires, dove viveva sotto un altro nome. Secondo lo scrittore Leonardo Sciascia, Majorana si era ritirato segretamente in connvento dopo aver compreso che le ricerche del gruppo di Fermi avrebbero generato un ordigno di potenza distruttiva inaudita. Secondo altri si sarebbe suicidato, gettandosi dal ponte della nave che da Palermo lo riportava a Napoli. Ma c’è anche chi, come Umberto Bartocci, matematico dell’Università di Perugia, ipotizza che sia stato eliminato dai servizi segreti americani per impedirgli di svolgere ricerche per conto dei fascisti o dei nazisti. Filofascista? Per Bartocci, l’idea della bomba atomica era già ben chiara nella mente di Majorana, ma anche in quella di Fermi e di Emilio Segrè, che aveva rapporti con i servizi segreti statunitensi. Il viaggio da Napoli a Palermo sarebbe stato fatto da Majorana proprio per convincere il collega, che lì insegnava, a non mettersi al servizio degli americani.
N Veduta notturna di un’industria chimica nel 1940, prima dei coprifuoco antiaerei. Turbine industriali in uscita da una fabbrica vicino a Brescia negli Anni ’20.
diede ad alcuni dei suoi grani i nomi dei figli del duce) ma nel 1933 Mussolini rimise le cose a posto decretando allo scienziato, che era già stato fatto senatore, solenni onoranze nazionali. Arrang giarsi. La battaglia del grano, che storici ed economisti hanno poi giudicato improvvida (v. riquadro a pag. 70), servì comunque a Mussolini per mettere meglio a fuoco l’uso che il regime poteva fare della scienza: renderla lo strumento chiave per il raggiungimento dell’autarchia, vale a dire la completa autosufficienza economica del Paese (v. articolo a pag. 74). Per produrre autonomamente la ghisa e l’acciaio necessari all’industria, la nazione aveva bisogno di ferro, carbone e petrolio (che venivano importati per il 60%). Mancavano poi rame, cotone e cellulosa. E in generale difettavano i combustibili per far funzionare tutto il sistema produttivo. Erano carenze enormi, che Mussolini e il suo governo pensarono di risolvere con scelte strategiche (come quella, inattuabile, dell’elettrificazione dell’aratura) e con l’aiuto della chimica, che fu in effetti la protagonista della vita scientifica del Ventennio.
nti! I chimici italiani risposero entusiasticaPresen mente all’appello. Mentre Nicola Parravano, membro influente del direttorio del Cnr, delineava la figura dello “scienziato fascista” come “uomo di cultura, tecnico applicatore e individuo etico e politico”, Giovanni Battista Bonino, pioniere della chimica quantistica, proponeva di trasformare i chimici in “una grande e speciale milizia agli ordini del regime fascista”. «Ma nonostante l’impegno» spiega Maiocchi «i chimici riuscirono a raggiungere solo in parte gli obiettivi e l’autarchia nel suo complesso fu un fallimento». La messa a punto di un forno elettrico che consentiva di riciclare le ceneri di pirite permise di produrre solo la metà dell’acciaio necessario al Paese. La produzione di alluminio (il “metallo nazionale” che doveva sopperire alla scarsità di ferro e rame) a partire dalla leucite risultò anti-economica. La Montecatini non fu in grado di soddisfare il bisogno di fertilizzanti azotati per l’agricoltura né di nitrati per gli esplosivi (ma in compenso le nostre truppe ebbero a disposizione 500 tonnellate di gas tossici da usare in Etiopia, v. articolo a pag. 76). ▸ Fascismo
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Al lavoro in laboratorio A sinistra, il fisico Enrico Fermi (futuro premio Nobel) nel suo laboratorio di Chicago, dove aveva trovato asilo dopo la promulgazione in Italia delle leggi razziali. A destra, un’industria farmaceutica. L’impiego dei gas nella Prima guerra mondiale portò allo sviluppo della tossicologia.
Per produrre poca e costosissima gomma artificiale, la Pirelli pretese la copertura totale dei costi da parte dello Stato. E neppure gli sforzi di grandi chimici come Domenico Marotta, Francesco Giordani e lo stesso Nicola Parravano servirono a mettere a punto un metodo efficiente ed economico per sostituire il cotone con la canapa (il cosiddetto cafioc). ri ad alco ol. Nel settore dei combustiMotor bili, furono realizzati sistemi di produzione di alcol etilico e metilico a partire da prodotti vegetali come la barbabietola e il sorgo. Ma la produzione fu insufficiente, l’industria boicottò la costruzione di motori adatti e si constatò che quelli tradizionali rendevano meno con benzine miscelate ad alcol, anche solo in minima parte. Né fu praticabile l’idea di ricavare “nafta nazionale” a partire da rocce asfaltiche e bituminose. Persino l’utilizzo del petrolio albanese risultò problematico e costoso per la sua scarsa carsa qualità. «A conti fatti» conclude Maiocchi occhi «il contributo dei chimici all’autarchia archia fu deludente. Gli obiettivi erano o troppo impegnativi e non ci furono organizzazione e coordinamento». Sicuicuramente effetto di questa disorgaganizzazione fu il mancato sviluppo po del radar da parte degli italiani e dei tedeschi, che pure erano parrtiti avvantaggiati rispetto agli Allleati (v. riquadro a destra). Fedelii al duce e . Nell’agosto o del 1931 un regio decreto impoose a tutti i docenti universitari ri di giurare fedeltà “al re, ai suoi rea”. ali successori e al regime fascista”. Dei 1.225 titolari di cattedra, soolo 12 si rifiutarono, e di questi soolo due erano scienziati: il mateematico Vito Volterra e il chimico co
PERSINO PARECCHI SCIENZIATI EBREI ADERIRONO AL FASCISMO. FRA QUESTI, IL MATEMATICO FEDERICO ENRIQUES E SUO FRATELLO PAOLO, GENETISTA
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Giorgio Errera. A essi va aggiunto Michele Giua, che allora era solo un assistente: venne allontanato dal Politecnico di Torino nel 1933, quando rifiutò di iscriversi al partito. Il consenso del mondo scientifico al fascismo fu dunque pressoché totale, anche se non sempre convinto ed entusiastico. «In generale però» commenta lo storico della matematica Giorgio Israel «anche chi avrebbe potuto starsene dignitosamente in disparte, come i matematici Mauro Picone e Francesco Severi, si M sbracciò indegnamente per offrire al regime ind “matematica fascista” da mettere al seruna “mate vizio del Paese». Pa Pr rot ototipi. In questo clima era difficile valut valutare lucidamente priorità e proposte. Il duce, che si aspettava dal genio dell della radio Guglielmo Marconi un miraco racoloso “raggio della morte”, liquidò sbrigativamente il prototipo di elisbr cottero proposto nel 1930 da Corradicot no D’Ascanio: “Non ho soldi per questi pr progetti né tempo da perdere”. S Sembra invece che non si possa imp putare a ottusità né a disorganiz-
Celebrato dal regime Celeb La famiglia famig di Guglielmo Marconi, padre della de radio. A destra, una pubblicità della Montecatini. pubb www.focusstoria.it
Un’applicazione post-bellica del radar: dal tetto dei laboratori della Bell, a New York, si trasmettono telefonate.
Lo strum mento chee cambiò ò le sorti della gueerra aerea a l più clamoroso fallimento della scienza fascista fu la sconfitta nella corsa alla costruzione del radar, nonostante il notevole vantaggio tecnico degli italiani. Era ancora il 1922 quando Marconi aveva cominciato a lavorare a un rivelatore radio destinato
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a evitare le collisioni in mare. L’ostacolo più difficile da superare era quello della focalizzazione: il raggio emesso dal radar deve essere stretto, altrimenti l’eco rinviata dal suolo può mascherare quella (più debole) del bersaglio. Questo problema fu risolto del tut-
zazione la mancata comprensione dell’enorme potenzialità della ricerca di base portata avanti da Enrico Fermi sulla fissione dell’atomo. Che dall’energia così liberata si potesse ricavare un nuovo potentissimo ordigno bellico lo intuì forse, e ne rimase terrorizzato, Ettore Majorana, uno degli allievi di Fermi (v. riquadro a pag. 105). Fuga dii cervell li. Fu però sicuramente responsabilità del regime se quella potenzialità venne sfruttata altrove: con l’emanazione delle leggi razziali, nel 1938 (v. articolo a pag. 124), anche in Italia cominciò la “fuga dei cervelli”. Si è calcolato che, dei 37 scienziati più illustri dell’epoca, ben 13 emigrarono all’estero (tra cui 3 futuri premi Nobel: lo stesso Fermi, Emilio Segrè e Salvador Luria). Il generale clima di consenso aveva infatti prodotto gli effetti peggiori tra i biologi e gli antropologi, che avevano abbracciato l’applicazione razzista della genetica mendeliana arrivando a sostenere, con il Manifesto degli scienziati razzisti pubblicato il 14 luglio del 1938, il principio dell’esistenza biologica di una “pura razza italiana”. D’altronde la convinzione che l’idea di razza, per quanto umanamente indegna, avesse un fondamento genetico, era all’epoca ben radicata nella cultura scientifica internazionale, anche in quella americana. Verrà www.focusstoria.it
to solo nel 1940, con la messa a punto del magnetron (un generatore di microonde) da parte del gruppo di ricerca inglese di John Turton Randall. Sorpassati. In Italia Nello Carrara aveva iniziato la sperimentazione sul magnetron già nel 1935, presso la società
privata Fivre, ma a causa dello scarso coordinamento tra le molte strutture impegnate nella ricerca, l’implementazione e il perfezionamento dell’apparecchio erano proceduti troppo lentamente, dando il tempo agli inglesi di recuperare lo svantaggio.
26 DICEMBRE 1936 iabbandonata solo all’iniDISPOSIZIONI ALLA ST zio degli Anni ’70, soprat-AMPA Non interessarsi ma tutto in virtù degli studii i di nessuna cosa che del genetista Luigi Cavallii riguardi Einstein. Sforza. Il colore della pel-le, il taglio degli occhi,, siano tutte le caratteristiche che pensiamo si distintive delle “razze umane” dipendono da un numero piuttosto ridotto di geni. Più importanti, e numericamente molto maggiori, sono invece le differenze genetiche tra individui, come il gruppo sanguigno o la suscettibilità a certe malattie. Prese nel loro complesso, le differenze genetiche fra due popolazioni considerate di razze diverse sono inferiori a quelle che si riscontrano fra due individui di una stessa popolazione. Avantii i mediocri. Albert Einstein ripeteva spesso che non si possono fare scoperte su ordinazione, né tantomeno a pagamento. Pensare che la creatività scientifica possa essere politicamente imbrigliata e condizionata è un errore comune anche alle democrazie moderne, ma sotto il fascismo – nonostante il clima di mobilitazione tipico delle dittature – questa logica fu ancor più controproducente, perché riuscì a coinvolgere soprattutto gli scienziati più docili o fanatici, che non erano necessariamente i migliori. Ne è una prova il fatto che tra i 180 firmatari del Manifesto sulla razza vi fossero, accanto al patologo Nicola Pende, noto come “il Marconi della medicina”, solo altri 5 accademici di rilievo. ◉ Federico Di Trocchio Fascismo
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SALUTE Il sole in una stanza Bambini sottoposti a elioterapia artificiale, che con le lampade riproduceva l’esposizione ai raggi solari. Si pensava che il sole curasse molte malattie, infatti all’epoca nacquero le colonie estive per prevenire il rachitismo infantile.
IL TEMPO DEI LE CONDIZIONI SANITARIE DEI NOSTRI NONNI, TORMENTATI DAL FREDDO E MINACCIATI DA TISI, MALARIA E SIFILIDE Ti dono il sangue e... Una trasfusione diretta. Con il sangue potevano però trasmettersi molte malattie, come le epatiti e la sifilide.
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Prodotti curativi La pubblicità di un ricostituente per signore a base di ferro. Sotto, un angelo soccorre una malata di malaria, nella pubblicità di un farmaco.
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l wc in casa era un miraggio, figurarsi la vasca da bagno! Si mangiava poco, e si soffriva il freddo. La malaria uccideva nelle campagne, la sifilide in città e le malattie infettive ovunque. A dispetto di chi, anni dopo, avrebbe continuato a dire che “si stava meglio quando si stava peggio”, nel periodo fra le due guerre mondiali gli italiani non stavano poi così bene di salute. Poche cose erano democratiche, ma fra queste vanno di sicuro annoverati i geloni. Favoriti dalle carenze vitaminiche, e scatenati dal freddo patito anche nelle case più agiate, i geloni colpivano le signore borghesi così come le serve, gli operai quanto i contadini. Si annunciavano con un po’ di prurito sull’orlo superiore dell’orecchio e poi dilagavano su mani, piedi, ginocchia. Contro di loro c’era ben poco da fare, tanto che al medico il problema veniva sottoposto raramente. Facevano insomma parte della vita, proprio come la nascita, la morte, il duce e... la mancanza del bagno. Quest’ultima, per la verità, era già meno democratica. Un censimento del 1931 rivela che erano dotati di bagno 12 appartamenti su 100: si trattava delle case dei benestanti. Per tutti gli altri, di notte c’era il pitale e di giorno lo stanzino comune ricavato sul ballatoio, con la turca. Chi voleva si portava dietro la carta, spesso riciclando quella dei giornali o del macellaio, robusta e assorbente. Il bagno fu una conquista post bellica: quando si ricostruirono le case distrutte dai bombardamenti, i nuovi appartamenti furono finalmente dotati di una stanza apposita. Sci e muta Sc tandoni. Eppure Mussolini l’aveva capito: per guadagnare consensi e fare in modo che il popolo italiano lavorasse e fosse più produttivo, le malattie andavano debellate. Per questo il regime avviò diverse campagne per incentivare l’igiene (per esempio promosse la costruzione di bagni pubblici). E in tempi di ristrettezze economiche fece in modo che gli italiani si adattassero a fare di necessità virtù. I veri fascisti dovevano andare incontro ▸
Ausilio per disabili Un invalido a spasso per le vie del centro di Roma su un calessino trainato da un cane, nel 1928. fascismo
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Camerati in camerata L ’ospedale di Vercelli. Il ricovero era gratuito per chi possedeva il “certificato di povertà”.
al freddo e alla neve col sorriso sulle labbra, gli sci ai piedi e i mutandoni sotto i pantaloni. E se il pane non bastava, gli italiani dovevano rallegrarsene, perché i medici consigliavano di seguire, per mantenersi in salute, una dieta ipocalorica. Se poi, nelle case più borghesi, si eccedeva con il cibo, si poteva sempre ricorrere a un cucchiaino di “Magnesia Bisurata – Prodotto di fabbricazione italiana”. Mentre per le “affezioni intestinali da fermentazioni anormali” c’era l’Enterosil, per via orale. Le medicine, per la verità, erano inadeguate. Quando Mussolini salì al potere l’Aspirina aveva poco più di vent’anni. «Le malattie del cuore si curavano con la canfora, la digitalina e lo strofanto, estratti da piante» spiega Giorgio Cosmacini, storico della medicina e docente all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. «Alla fine degli anni Venti arrivò l’insulina per curare i diabetici e gli estratti di fegato per le anemie». Contro le malattie infettive c’era invece poco da fare, perché i sulfamidici giunsero solo nel 1939 e gli antibiotici dopo la guerra. Medi Me dico e con onfessor ore. Per chi si ammalava la figura di riferimento era il medico condotto, pagato dal Comune. A lui, come a un confessore, non bisognava nascondere nulla. Mussolini sottolineava: “Il medico è come il sacerdote; accompagna l’uomo dal principio alla fine. Il sacerdote tutela la nostra anima e il medico ci protegge la salute e il corpo”. «Il rapporto, stretto e confidenziale, era anche il risultato della mancanza di quegli strumenti ed esami che oggi sono usati per fare le diagnosi» riprende Cosmacini. «Per individuare una malattia i medici avevano a disposizione solo il loro intuito e la loro abilità. Raccogliere il maggior numero di informazioni possibile sul malato e sulla sua famiglia era quindi cruciale». In mancanza di medicine adeguate, i malati venivano seguiti in modo più assiduo durante tutto il decorso della malattia. L’assistenza del medico e il ricovero in ospedale erano gratuiti per chi riceveva il “certificato di povertà”. «Per questo» dice l’esperto «anche chi non ne avrebbe avuto diritto cercava di infilarsi nella lista dei poveri». Gli ospedali erano organizzati in padiglioni, in cui i malati venivano ricoverati in base al tipo di malattia (una divisione che favorì la nascita delle diverse specializzazioni mediche). Sulla scia dei tentativi già portati avanti dai governi che l’avevano preceduto, il fascismo volle estendere l’assistenza sanitaria al maggior numero di persone possibile. Con questo obiettivo furono istituiti i primi enti mutualistici, le casse mutue per i lavoratori, che venivano finanziate per metà dai datori di lavoro e per metà da chi godeva dell’assistenza. «Alcune casse, come quella dei tranvieri di Milano o quella dei giornalisti, funzionavano bene» sottolinea Cosmacini. «Il sistema però era molto disomogeneo, perché ogni ente aveva le sue regole e spesso le prestazioni risultavano inadeguate».
COME RICOSTITUENTE SI CONSIGLIAVA L’ISCHIROGENO, A BASE DI “FOSFORO, FERRO, CALCIO E STRICNINA” Una carie? Bazzècole Dal dentista si andava fuori dall’orario di lavoro, perché il mal di denti non era considerato una malattia.
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Geerm mania a e Italia a divisee dalle siga arette u un punto la politica sanitaria italiana fu diversa da quella di Hitler: il fumo. In quegli anni i danni di pipe, sigari e sigarette iniziavano a diventare evidenti e i medici tedeschi avevano già rilevato un legame tra fumo e cancro ai polmoni. Per Hitler, il fumo era un vizio che corrompeva la razza. E per limitarlo, in Germania furono prese misure drastiche: in mol-
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te città era proibito fumare anche per strada. Fasci in fumo. In Italia una campagna simile sarebbe stata impossibile, perché il fumo era diffusissimo. Mussolini aveva smesso (pare per via della sua ulcera). Ma i fascisti della prima ora ricordavano di aver infilato una sigaretta fra le labbra delle loro vittime morte valorosamente.
Guer Gu erra all lla a malari ria. a. Tre erano gli spettri che si aggiravano per l’Italia di allora: la malaria, la tubercolosi e la sifilide. Queste malattie non erano ai primi posti nelle cause di morte (polmoniti, infezioni alimentari e malattie cardiache uccidevano di più) ma su di loro si concentrarono gli sforzi del regime. Le campagne contro la malaria iniziarono nei primissimi anni dell’“Era fascista”, in continuità con le iniziative già intraprese nel periodo liberale. Alla cura dei malati con il chinino si aggiunsero le opere di bonifica degli ambienti paludosi in cui si riproducevano le zanzare che trasmettono il parassita causa della malattia. Il risultato fu che dagli oltre 4 mila morti denunciati nel 1922 si passò a meno di mille nella seconda metà degli anni Trenta. «Ma le cifre rivelano anche un’altra realtà» spiega Cosmacini. Fra il 1935 e il 1940 l’88% dei morti di malaria si registrò nel Sud e nelle isole. «La malaria, anche se in arretramento, contribuì più che mai a fare la differenza tra le due Italie. Regredita e quasi scomparsa nel Centro-Nord, rimase, anche se più contenuta del passato, nel profondo Sud». Sana Sa natori-car arcere. La lotta contro la tubercolosi ebbe una svolta nel 1927, quando fu istituita l’assicurazione obbligatoria contro questa malattia e furono adottate misure per limitare il contagio. Per esempio, poiché la tisi si trasmette con la saliva, fu istituito il divieto di sputare per
La virilità si misurava dal colore giallo che le sigarette lasciavano sulle dita. Chi non poteva permettersele (un pacchetto da dieci, negli anni Trenta, costava da 1,60 a 2 lire) riciclava le cicche usate, raccogliendo il tabacco che veniva rollato nelle cartine vendute appositamente, oppure nella carta di giornale.
Un’elegante fumatrice in un’illustrazione del 1925.
terra, un’abitudine piuttosto in voga all’epoca: ancora oggi, il cartello “Vietato sputare” è affisso in alcuni edifici e sui mezzi pubblici più vecchi. Ma, soprattutto, si volle favorire il riconoscimento precoce dei malati e il loro ricovero (gratuito) nei sanatori, fatti costruire apposta. Le rigide regole disciplinari facevano sì che nelle strutture destinate alle classi meno abbienti la vita si svolgesse un po’ come in un carcere. Come ha scritto lo storico della medicina Domenico Preti, si trattava spesso «di una vera e propria reclusione, dominata da mille paure, resa ancor più penosa dalla segregazione sessuale». Al contrario, i sanatori destinati ai ricchi erano più simili ad alberghi che a ospedali. I risultati, amplificati dalla propaganda fascista, furono che, se nel 1929 i morti di tubercolosi erano oltre 37 mila, tre anni più tardi erano scesi a circa 32 mila e continuarono a calare negli anni successivi, per poi tornare a impennarsi durante la Seconda guerra mondiale. Pros Pr ostitute “garant ntite” e”. La campagna contro la sifilide, che prevedeva controlli medici periodici obbligatori per le prostitute, ottenne invece scarsi risultati: la mortalità per questa malattia, trasmessa per via sessuale, calò nella seconda metà degli Anni ’20, ma nel 1938 era tornata ai valori del 1924. A sconfiggere la sifilide, negli anni a venire, sarà la penicillina. ◉ Margherita Fronte
Ambulanze risciò Alcuni mezzi di soccorso pronti a intervenire in aiuto dei feriti durante gli scontri che si verificarono a Milano in occasione di uno sciopero nel 1922.
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VITA QUOTIDIANA
SULLE TAVOLE DEL VENTENNIO REGNAVA LA PENURIA. MA ANCHE L’ARTE DI ARRANGIARSI
NIENTE CARNE, Raccolto meneghino Milano, estate 1943: mietitura del grano in piazza Duomo. Nel periodo bellico, piazze e giardini furono convertiti in orti di guerra, cioè in aree coltivabili, per far fronte alla crisi alimentare.
Regime ideale Una piccola italiana in campeggio. Di fronte ha un menù-tipo dei dietologi fascisti: pasta e pane.
Menù promozione Tre manifesti pubblicitari di generi alimentari degli Anni ’20 e ’30: il “prezioso” cacao, l’italica pasta all’uovo e il salutare brodino.
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a carne ingrassa e può portare alla sterilità” si diceva. Oppure: “La vita frugale contribuisce alla robustezza del corpo e alla conservazione della salute”. Ma anche: “La parsimonia alimentare è in ogni tempo una virtù; nei tempi di costrizione essa è un dovere civico”. E poi: “Si muore più facilmente di indigestione che di fame”. Tutti motti (e falsi miti) della propaganda fascista alle prese con l’educazione alimentare. E con la penuria di cibo. Pane Pa ne e latte te. «Si sapeva da tempo che una dieta equilibrata è composta da carboidrati e vitamine, ma anche da proteine della carne» spiega Alberto Capatti, storico dell’alimentazione. «Tuttavia il regime promosse i prodotti nazionali – ortaggi, riso e pesce – per ridurre i consumi di quelli d’importazione, come appunto la carne». Il risultato fu una dieta a base di zuppe di verdura, frittate, minestroni, formaggi (come il patriottico formaggio Roma), riso (diffuso al Nord, ma poco amato al Sud), polenta e pesce secco. L’alimento principe era però il pane. Con lo zucchero e il burro diventava la merenda dei bambini, con un filo d’olio uno spuntino. Ma poteva anche essere la base
di un piatto unico: pane e pomodoro, pane e formaggio, pane e baccalà, e soprattutto pane e latte. Buon Bu ona dome menica. La carne faceva capolino solo la domenica. I macellai aprivano un paio di volte la settimana (comunque sempre il sabato), perché i prezzi troppo alti avrebbero tenuto alla larga i clienti negli altri giorni. Così il pranzo domenicale diventò un rito sia per le famiglie della piccola borghesia che per quelle contadine. Anche se tavole e menù erano diversi. «Le differenze tra i ceti erano grandi» spiega Paolo Sorcinelli, docente di Storia sociale all’Università di Bologna. «Un detto popolare dell’epoca recitava: “Se un povero mangia una gallina, o è ammalato il povero o è ammalata la gallina”». Nelle sale da pranzo delle famiglie in cui il papà era capoufficio o ufficiale la tavola domenicale si apparecchiava con il servizio buono. Si cominciava con la minestra, portata in tavola dalla servetta con tanto di grembiulino di madapolàm (un tessuto fine di cotone) e crestina. Ingredienti: brodo di carne (in realtà di dado), zucchine, un po’ ▸
Qua ando nelle pia azze si colltivava a il grano on l’entrata in guerra dell’Italia (1940) il cibo iniziò a scarseggiare e anche i più benestanti rischiarono di patire la fame. Il regime decise così di razionare gli alimenti e distribuì a ogni cittadino una tessera annonaria.
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Tesserati. Bambini, vecchi, professionisti e contadini consegnando un bollino ricevevano in cambio l’alimento corrispondente. Il sistema, però, per le difficoltà negli approvvigionamenti, non funzionava sempre al meglio e il merca-
to nero cominciò a prosperare. Quello che non si trovava con la tessera, infatti, spuntava da sotto il bancone del droghiere o in qualche via secondaria, ma a prezzi talvolta anche dieci volte superiori a quelli del mercato legale.
Città arate. Per combattere la carenza di ortaggi e frumento lo Stato promosse anche la realizzazione nelle città degli “orti di guerra”. Al posto di piazze, aiuole, giardini e terrazzi apparvero campi di grano, patate, mais e girasoli. fascismo fascismo
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di burro, cipolla affettata e tre cucchiaini di olio d’oliva. A volte si aggiungeva anche un po’ di riso o di pasta. La seconda portata era la tanto agognata carne: la si lessava e se ne mangiava solo un po’ e, nei giorni successivi, con il brodo si cucinava il risotto. Si comprava la “polpa-famiglia” (7 lire al chilo, circa 6 euro di oggi), un taglio di manzo di seconda scelta. Insaporita con pezzetti di lardo o rari dadini di prosciutto, veniva cotta e avvolta nella gelatina, e infine servita sotto l’occhio attento della padrona di casa. In alternativa c’era la “cucina del quinto quarto”, cioè quel che restava della bestia (come la lingua e la trippa), o la carne trita d’asino o cavallo, i conigli (in città si allevavano sui balconi) e i piccioni. In campagna si mangiava anche il capretto insaporito con le erbe, come la menta raccolta nei campi. A fine pasto arrivava il caffè, quello vero, non la “ciofeca”, il surrogato autarchico che si beveva durante la settimana (v. articolo a pag. 74). Autentico caffè dall’esotico nome di Guatemala, Santo Domingo o Santos. I pranzi della domenica erano questo: ingredienti semplici elaborati con fantasia e serviti con un tocco di ostentazione. I veri lussi del dì di festa erano il dolce comprato la mattina dal pasticciere, la cioccolata autarchica (con farina di castagne al posto del cacao), il gelato dell’ambulante con il carretto a forma di nave. Pole Po lenta re regina. La domenica di operai e muratori era invece a base di verdure, polenta, baccalà, uova al tegamino, patate e pane. Quando andava proprio di lusso, un piatto di pasta al pomodoro e un polpettone di manzo. I contadini, specie i braccianti, se la vedevano ancora più grigia. «Il raccolto veniva in parte pagato con il grano stesso» ricorda Ivone Sandano, 84enne veneto. «Veniva portato al mulino, dove periodicamente andavamo a ritirare il pane o facevamo preparare il “panbiscotto”: un pane condito con strutto e seccato, che veniva tenuto in casa (per la gioia dei topi). Il cibo era poco, mangiavamo principalmente polenta, che veniva accompagnata a latte, fa-
Addio polenta Una famiglia di coloni veneti riunita prima della partenza per l’Africa, nel 1939. Piatto unico: polenta.
gioli o pancetta; poi minestra con lardo e verdure raccolte nei prati. Solo quand’era festa grande, a Natale e a Pasqua, si mangiava carne. Allevavamo qualche gallina per le uova, da mangiare o da barattare con zucchero, burro o sapone». E anche il vino (spesso di produzione casalinga) era riservato alla domenica. «Quelli che mangiavano peggio erano i piccoli contadini del Sud, le famiglie rurali delle valli alpine e appenniniche e i lavoratori precari» conferma Alberto de Bernardi, docente di Storia contemporanea all’Università di Bologna. Sulle Alpi, nelle campagne venete o in Sicilia i commensali si riunivano a volte attorno al tavolo con un’aringa affumicata appesa a una corda. Vi veniva strofinato sopra il pane o un pezzo di polenta perché si insaporisse. Ed era tutto. Virt Vi rtù dome mestiche. Il denominatore comune delle tavole del Ventennio era il riciclo. I cibi si susseguivano secondo una precisa catena di avanzi: il lesso della domenica diventava polpettone il lunedì, si trasformava in polpette il martedì e in ravioli ripieni (più che altro di formaggio) il mercoledì. Le bucce dei piselli servivano per il passato di verdura e i noccioli di ciliegia finivano nei liquori. Le massaie più apprezzate non erano quelle che sapevano cucinare bene, ma quelle che con poco riuscivano a mettere insieme un pasto completo. Il volume L’arte di utilizzare
Ma aniccaretti al risparm mio:: i consig gli di Petron nilla a lla radio, sui giornali e nelle librerie molti titoli di programmi, rubriche e libri suonavano così: L’ora della massaia rurale, Mangiar bene e spendere poco, Ricette autarchiche. Nel 1929 fece la sua comparsa La cucina italiana, il primo periodico dedicato alla gastronomia.
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Ai fornelli. Seguitissima era poi la rubrica di Amalia Moretti Foggia, in arte Petronilla, che dal 1927 apparve sulla Domenica del Corriere. Dal bon ton alle ricette, dall’economia domestica ai suggerimenti per la spesa, Petronilla dispensò consigli per tutto il Ventennio. Ecco un saggio del suo stile pedagogico:
“Cos’ha detto, il vostro maritino, della minestra di riso e zucchette che vi ho insegnato ad ammannire? Ch’era veramente squisita? Ebbene, eccomi allora ad indicarvene un’altra che, come quella, è stagionale, lesta a fare, di spesa assai limitata e che, come quella, verrà di certo definita veramente squisita”.
Specialissima. Al termine della ricetta non mancava la “morale”: “Niente di speciale, si dice? Molto di specialissimo, invece; giacché una buona minestra rappresenta per tutti noi, Italiani, la base indispensabile e sempre sommamente gradita d’ogni nostro giornaliero desinare”. Se lo diceva Petronilla...
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18 GIUGNO 1936 DISPOSIZIONI AL LA STAM PA Pubblicare un arti colo consigliante un li mitato consum o della carn e du rante l’estate.
Riso, pane e uva Una sagra dell’uva promossa dal Dopolavoro. A destra, mondine in Piemonte.
I RICETTARI RACCOMANDAVANO DI NON SPRECARE L’ACQUA DI BOLLITURA DEI LEGUMI. POTEVA SERVIRE PER PREPARARE OTTIME ZUPPE E SALSE gli avanzi della mensa, di Olindo Guerrini (1845-1916), divenne in quegli anni un best-seller. L’altra virtù era saper risparmiare. Il burro si faceva in casa sbattendo una bottiglia piena di latte per intere mezz’ore, compito di solito assegnato ai più piccoli. Anche pane, focacce e torte salate venivano impastate in casa e poi portate al panettiere, che a pagamento metteva a disposizione il suo forno per cuocerli. Disp Di spensa. Ma come si riforniva la dispensa? Si faceva la spesa, al mercato o nelle botteghe, tutti i giorni, perché conservanti e frigoriferi non esistevano. Solo le famiglie agiate possedevano la ghiacciaia, una credenza di legno e zinco che conteneva grossi pezzi di ghiaccio venduti dagli ambulanti. In alcune città anche il latte si comprava a domicilio, dal lattaio itinerante che lo vendeva a misurini: un quarto, mezzo litro... I prodotti confezionati quasi non esistevano. Il riso, la farina, i legumi e il sale si acquistavano a peso e si portavano a casa impacchettati in fogli di giornale. Lo zucchero era invece avvolto in un involucro di carta blu, da cui il colore “blu carta da zucchero”. La grande distribuzione ovviamente non esisteva (i primi supermercati alimentari apparvero in Italia negli Anni ’50). Così al Sud la bresaola era sconosciuta e al Nord la mozzarella di bufala non arrivava. Si beveva l’acqua del rubinetto o del pozzo e il vino si comprava in osteria, in fiaschi da 2 litri. Quanto al ristorante, era roba da ricchi e fu poi bollato dal regime come un vezzo esterofilo. Per fortuna c’erano le trattorie che servivano i piatti “italici”, come la pasta e fagioli e la trippa. ◉ Paola Grimaldi www.focusstoria.it
Panetteria autarchica Il panettiere di una scuola professionale impasta alcune “vere pagnotte italiane”.
REGIME
e t e p a s la ? a m i t l l’u U
na battuta, una caricatura, una barzelletta sul duce: tanto bastava, sotto il fascimo, per finire in galera o al confino. Lo racconta Alberto Vacca nel libro Duce truce (Castelvecchi), frutto dello studio di centinaia di rapporti inviati dai prefetti al ministero dell’Interno per segnalare offese all’indirizzo di Mussolini. A denunciare gli autori – spesso ubriachi, poveracci o giovani incoscienti – non erano solo gli organi di polizia, ma tanti livorosi vicini di casa, solerti passanti o colleghi invidiosi, che approfittavano di un passo falso altrui per mettersi in mostra col regime o liberarsi di un avversario. Non si scherza a. La creazione del consenso attorno al fascismo passava infatti anche attraverso un’implacabile e minuziosa repressione del dissenso. Nel dicembre del 1925 fu introdotto il reato di “offesa all’onore del capo del governo”, che veniva punito con la reclusione da sei mesi a due anni e mezzo e con una severa multa. La pena fu aumentata nel 1930 (da 1 a 5 anni di reclusione) e poi ancora nel 1941 (da 3 a 12 anni). Dei circa 5 mila denunciati per offese al duce nel periodo 1926-1943, circa 300 furono condannati alla reclusione e 1.700 inviati al confino, mentre gli altri se la cavarono con un’ammonizione o una diffida. Il maggior numero di offese al duce si registrò tra i tavoli di osterie e trattorie, dove non era difficile alzare troppo il gomito e straparlare. Numerosi furono anche i casi riscontrati nelle sedi del Dopolavoro, in cui ci si riuniva per giocare a carte o a bocce, si beveva, si conversava e si scivolava spesso in discussioni di carattere politico. In mut tande. Tra le offese al duce rientravano anche le battute di spirito e le barzellette dissacratorie, come quelle riportate in queste pagine. Molte barzellette descrivevano Mussolini come ladro e sfruttatore del popolo, altre ne irridevano le capacità di comandante delle forze armate. Come si vede, l’odio manifestato nei confronti del duce era determinato, più che da ragioni politiche, da motivazioni economico-sociali. E con l’entrata in guerra dell’Italia le critiche al regime si fecero sempre più numerose e manifeste, a causa degli insuccessi militari e delle privazioni e distruzioni a cui fu sottoposta la popolazione. ◉ Marco Casareto
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«Benito veglia, Vittorio dorme e l’Italia ha fame»
«Sapete qual è la differenza tra Il “Popolo d’Italia” e Mussolini? La differenza è che Mussolini ha i pieni poteri, e il popolo d’Italia ne ha i coglioni pieni»
«Il duca d’Aosta è sepolto a Redipuglia, Vittorio a Redipaglia e il duce a Redipiglia»
«Mussolini si recò un giorno da un dentista per farsi estirpare un dente che gli faceva male. Dopo l’operazione chiese quanto doveva e il dentista pretese la somma di lire mille. Mussolini protestò per il caro prezzo, ma poi finì col pagare; però, nel consegnare il denaro, disse: “Queste sono le mille lire, ma guardi che sono rubate”. Il dentista rispose: “Non ne dubito”»
«Una volta un operaio comprò della frutta, ma essendosi accorto che era stata avvolta in un giornale dove vi era l’effigie del duce, disse di cambiare la carta altrimenti si mangiava anche la frutta»
«mentre una persona stava per annegare, una voce le domandò: “chi sei?”. “Sono il duce” rispose l’interpellato. “salvalo” soggiunse l’altro “perché se beve come mangia poveri noi”»
DURANTE IL VENTENNIO ANCHE RACCONTARE UNA BARZELLETTA O FARE UNA BATTUTA POTEVA COSTARE CARO, SE IL BERSAGLIO ERA IL DUCE
«hai la foto del duce in tasca? no. ma allora dove sputi?»
«Ai figli del duce, che avevano confessato al papa di aver rubato qualche centinaio di lire ai genitori, era stato ordinato come penitenza di fare due giri intorno al Vaticano. Incontratili il duce, e saputo il motivo della penitenza, disse: “Allora io vado a prendere l’aeroplano”»
«Sapete perché sono sorti gli orti di guerra? Perché la guerra si vince col cavolo!»
«Se allorché fu concepito il duce Rosa illuminata da divina luce avesse dato al fabbro predappiano anziché la fica, il deretano, l’avrebbe avuto in culo solo lei e non tutto il popolo italiano»
«sai, al duce è stata conferita la medaglia d’oro con la seguente motivazione: solo e inerme, ha messo fuori combattimento l’esercito italiano»
Permaloso Mussolini fa lo spiritoso parlando ai lavoratori di una fabbrica di munizioni a Genova, l’8 maggio 1938. Ma su di lui non si poteva scherzare.
«Vi è stato un tale che, esasperato di dover fare sempre la coda inanzi a negozi per l’acquisto di generi, decideva di recarsi a Roma per uccidere il duce. ma, giunto alla capitale e fermato dagli agenti di Ps che gli richiesero chi fosse e cosa volesse, rispose che s’era recato colà per attuare il suo proposito omicida. Al che gli agenti di Ps avrebbero risposto: “Ebbene, mettetevi in coda”» fascismo
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SPORT
MIGLIAIA DI NUOVI IMPIANTI E UNA PLETORA DI ASSOCIAZIONI SPORTIVE. IL DUCE LI VOLEVA ATLETI, MA GLI ITALIANI PREFERIRONO DIVENTARE TIFOSI
il fascio campo
Donne con le palle Le Giovani italiane in un saggio all’Arena di Milano per la festa del 24 maggio, che ricordava l’entrata dell’Italia nella Prima guerra mondiale.
Prima del riscaldamento Roma 1940, si gioca Italia-Romania: prima del match la nazionale allenata da Vittorio Pozzo fa il saluto romano. A destra, alle Olimpiadi del 1928 l’Italia littoria conquistò solo 19 medaglie: meno di Svezia e Finlandia.
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vrei un’opinione, eccellenza: credo che sia una questione di razza”. La chimera di un’Italia di nuotatori, corridori e guerrieri, di un popolo di atleti forgiati nel fisico per esserlo nella mente, si disperse in una battuta. Le Olimpiadi di Amsterdam del 1928, la ribalta delle “Pavesine”, le piccole ginnaste di Pavia che avevano conquistato il pubblico con la loro età (17 anni la più grande, 11 la più piccola) avevano deluso il duce. Sette medaglie d’oro (pugilato, scherma, canottaggio e ciclismo: “titoli francescani” li avrebbe definiti il famoso giornalista sportivo Gianni Brera) e, soprattutto, il podio mancato nell’atletica, erano un risultato troppo scarno per un regime che anche nelle palestre stava investendo la propria immagine. La giustificazione di Lando Ferretti, capo della spedizione azzurra, non bastò, e il massimo sostenitore dello sport per tutti (per educare e formare gli animi) dovette lasciare la presidenza del Coni ad Augusto Turati, segretario del partito. Da lì a poco il fascismo avrebbe abbandonato l’idea di far diventare sportivi tutti gli italiani e imboccato la strada del divismo, scegliendo di puntare sulla creazione di pochi campioni, eroi da coccolare e mostrare. E gli italiani avrebbero scoperto la loro vera vocazione: quella di un popolo di spettatori e tifosi (neologismo, quest’ultimo, entrato non a caso nel dizionario di Alfredo Panzini nel 1935).
Spor Sp ort di m massa. Fino al primo conflitto mondiale, lo sport era rimasto una faccenda per pochi. Lo Stato liberale non se n’era mai interessato e gli impianti si contavano sulle dita delle mani. La trasformazione del Paese, a partire dagli Anni ’20, e la riduzione dell’orario di lavoro incentivarono momenti di svago e aggregazione. Mussolini per primo intuì la portata del fenomeno e ne seppe sfruttare le potenzialità anche politicamente, facendo diventare lo sport un mezzo di propaganda internazionale e di controllo sociale. Imitato dal Terzo Reich, dalla Francia, dall’Ungheria, dalla Spagna, il duce fece costruire piscine, palestre e stadi: dal Giovanni Berta di Firenze (l’attuale Artemio Franchi) allo stadio Littorio di Palermo (oggi Renzo Barbera). Nel 1930 erano già 2.405 i nuovi campi sportivi gestiti dai comuni. Per coinvolgere i giovani, si fondarono istituzioni parascolastiche dove “la primavera sana, pura, ardita della nostra razza si prepara a tutti i primati e a tutte le vittorie”. Gli iscritti, vincolati al giuramento del partito (“Obbedire al Duce, servire la rivoluzione”), alternavano ciclismo e atletica leggera, nuoto e pugilato. Abnegazione, disciplina, una gerarchia di valori basata sulla supremazia del più forte: ogni esercizio, ogni allenamento, ogni incontro erano una metafora della vi▸ ta e della società fascista. fascismo
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Un popolo su due ruote
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ra lo sport povero per eccellenza: quello dei garzoni, dei fattorini e dei portalettere, che ogni giorno macinavano per lavoro chilometri in bicicletta. In un’Italia dove le auto erano ancora poche migliaia, le due ruote accomunavano giovani e anziani, gente di città e di campagna: per assistere alle gare bastava una passeggiata che, a differenza dello stadio, non costava nulla. Uova per vincere. Erano gli anni di Attilio Pavesi, oro a Los Angeles nel 1932, e di Learco Guerra, la “locomotiva umana”. Ma erano anche, e soprattutto, gli anni di Alfredo
Binda, Fausto Coppi e Gino Bartali. Conquistarono Mondiali, Giro d’Italia, Tour de France, esaltarono e divisero la nazione, fecero discutere persino la politica. Testardo e potente, nel 1926 Binda si bevve 34 uova fresche e, sfidando una tempesta di vento e pioggia, stravinse il Giro di Lombardia. Il ciclista di Dio. Tra Coppi e Bartali fu subito leggenda: quest’ultimo, “il ciclista di Dio”, “il perfetto atleta cristiano”, divenne il modello che la Chiesa oppose agli “eccessi del materialismo sportivo” del fascismo.
Sopra, nel 1940 la Gazzetta festeggia il vincitore del Giro d’Italia Fausto Coppi (qui in una foto degli Anni ’50).
Punt Pu nto sul vivo. I Guf, i Gruppi universitari fascisti (55 mila iscritti nel 1931), fra le tante organizzazioni furono quelli dove le esaltazioni ideologiche di Mussolini ebbero meno presa. I racconti e le cronache dei Littoriali, i campionati nazionali ai quali partecipavano ogni anno migliaia di studenti, lo dimostrano. «All’inizio» dice lo scrittore Remo Bassetti, autore di Storia e storie dello sport in Italia (Marsilio) «l’attività sportiva dei Guf fu seria e organizzata, ma con il passare degli anni i Littoriali divennero una chiassata». Impregnata di goliardia, con bidelli e amici che si fingevano matricole per scendere in campo, la manifestazione si trasformò in una parodia di se stessa. Una volta, a Bologna, alle automobili dei gerarchi venuti per assistere alle gare fu sostituita la benzina con acqua e vino. Un’altra, a Padova, un drappello di studenti riuscì a pungere sul sedere con uno spillone da signora il segretario del partito, Achille Starace, mentre parlava alla folla. Se da un lato lo sport italiano, trascinato dall’ideologia fascista, fece passi da gigante, dall’altro non si era anco-
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Tifosi in fez e camicia nera Partito da Roma, il vincitore della gara di marcia “Coppa del Duce” taglia da solo il traguardo al Lido di Ostia, nel giugno del 1934.
ra, e mai si arriverà, a una sportivizzazione della nazione. Nel 1930 i tesserati del Coni erano circa 600 mila, ma a dire il vero più della metà erano cacciatori. E anche i dopolavoro non potevano certo essere considerati fucine di campioni: sebbene contassero, nel 1935, quasi 16 mila sezioni sportive e 1,6 milioni di praticanti, i circoli aziendali proponevano gare di pesca, bocce, tamburello o, tutt’al più, tiro alla fune. Non è sullo sport di massa, dunque, che il regime puntava, ma sui talenti. E i risultati gli diedero ragione. Negli Anni ’30, con la presidenza del Coni assegnata ai vertici del Partito nazionale fascista, l’Italia sportiva spopolò in Europa e nel mondo. «A Starace, alla generazione degli adulatori e dei carrozzoni propagandistici, ciò che serviva era un manipolo di grandi campioni, come il pugile Primo Carnera, capaci di ottenere traguardi importanti» dice lo studioso Andrea Bacci, autore del libro Lo sport nella propaganda fascista (Bradipolibri). «A un popolo di praticanti si preferì una massa di spettatori e gli italiani, che per tradizione non sono mai stati protagonisti, si adeguarono in fretta». Aggiunge Bassetti: «Se in altri Paesi lo sport era nato come un fenomeno individualistico e di libertà, in Italia era un momento collettivo di ordine forzato: la gente partecipava alle parate perché doveva, ma si stancò di tutto il resto. Così, alla fine, preferì assistere». E assistette a un crescendo di affermazioni. Arri Ar rivano le e medagl glie. Alle Olimpiadi di Los Angeles, nel 1932, gli azzurri vinsero 12 medaglie d’oro e furono secondi solo agli Stati Uniti. Non fu da meno il football, subito ribattezzato “calcio” per fingerne “una sana origine itawww.focusstoria.it
liana”. Raccontata da Nicolò Carosio, la voce più popolare della radio, la nazionale si aggiudicò i mondiali del 1934 e del 1938, e i vari Monti, Cesarini, Piola, Meazza divennero i nuovi eroi, i nuovi idoli. Ad atleti come Luigi Beccali, il re dei 1.500 piani (“l’espressione e la perfezione di una razza”), o Romeo Neri, ginnasta d’oro in America, a piloti, ciclisti e pugili, “ai loro muscoli e al loro spirito”, Mussolini affidò “l’onore e il prestigio” della nazione. Ne fece gli ambasciatori del Ventennio: i loro successi erano, prima di tutto, i suoi successi, i successi del fascismo. Le gigantesche statue allo Stadio dei marmi di Roma altro non erano che un ammonimento per il popolo, il modello cui adeguarsi. “Anziché seminare con serietà l’amore per lo sport, il regime ne esaltò solo i valori” commentò Vittorio Pozzo, commissario tecnico della nazionale di calcio due volte campione del mondo. Le ffal alse imp mprese del el d duce. A torso nudo o in divisa, anche il duce indossò più e più volte i panni dell’atleta, coraggioso e tenace. Proprio lui che atleta non era, che si era lasciato appassionare dal pugilato senza mai indossare i guantoni, che si faceva ritrarre con gli sci ai piedi senza essere in grado di avanzare di un solo metro o che giocava di nascosto a tennis (troppo borghese e troppo poco italiano) senza mai aver provato un rovescio “perché noi italiani” chiarì al suo allenatore “tireremo sempre diritto”. Criticato dalla Chiesa, che con lo scioglimento della Federazione sportiva cattolica si era vista privare di uno dei principali canali di reclutamento, ma censurato anche da ▸ www.focusstoria.it
MUSSOLINI GIOCAVA A TENNIS, MA DI NASCOSTO, PERCHÉ QUESTO SPORT ERA CONSIDERATO BORGHESE E POCO ITALIANO
I pugni del fascio Sopra, i giornali esaltano le vittorie del campione dei pesi massimi Primo Carnera (a lato). fascismo
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IL CAMPIONATO DEL 1929-30, IL PRIMO GIOCATO A GIRONE UNICO (“ALL’ITALIANA”), FU VINTO DALL’INTER alcune riviste ed esponenti fascisti (come lo stesso Lando Ferretti), il divismo sportivo divenne uno dei maggiori veicoli di consenso del regime, contrapposto all’inettitudine della classe liberale. I giornali, ai quali fu spesso proibito di pubblicare le foto delle sconfitte, cantavano le gesta di calciatori e corridori d’automobile e il pubblico applaudiva, si esaltava, s’inorgogliva. Tra il 1924 e il 1934 nacquero più di cento testate sportive, in un dilagare di retorica: chi correva lo faceva “rabbiosamente” e “si impegnava con ogni energia”, ogni evento era “uno spettacolo di grazia e di forza”, ogni risultato “superbo”, in campo non si giocava ma “si combatteva”, possibilmente per “vincere nel nome dell’Italia”. Fumetti, figurine, album illustrati, documentari e qualche film fecero dello sport uno dei soggetti preferiti: Ondina (come Valla, la lepre degli 80 metri a ostacoli), Tazio (come Nuvolari, v. riquadro qui a lato) e persino Nearco (come il cavallo che, con “garibaldino impeto italico”, fu condotto al trionfo al Grand Prix di Parigi del 1938) divennero nomi di battesimo comuni. La p prima gra rande Ju Juve ve. Il volto dei campioni, vezzeggiati dal regime, gratificati con stelle al merito e medaglie al valore sportivo (lo scudetto nacque nel 1924 e dal 1927 fu affiancato dal fascio littorio), entrò nella pubblicità, facendo muovere i primi passi al professionismo: nel 1928, sotto la guida della famiglia Agnelli, la Juventus inaugurò la stagione del calcio-spettacolo e ingaggiò l’oriundo Raimundo Orsi. Lo stipendio: 8 mila lire al mese e una Fiat 509. Privilegiati e ben pagati, dipendenti di aziende private o enti pubblici, gli atleti – quelli veri – partecipavano a parate e cerimonie, si allenavano due volte al giorno e, naturalmente, erano esentati dall’andare in ufficio. Gli italiani, come oggi, li adoravano. E per vederli, più che per imitarli, spendevano 40 milioni di lire all’anno. ◉ Michele Scozzai
6 GENNAIO 1939 STAM PA DISPOSIZIONI AL LA e partite Nelle cronache dell enti su l mm di calcio e nei co ere” tt Ca mpionato non “sfo gli arbitri.
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Il leggendario Tazio Nuvolari (nel riquadro) impegnato in una delle sue corse nel 1937.
L’asso che seminò i bolidi nazisti
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ato a Castel d’Ario (Mantova) nel 1892, Tazio Nuvolari fu uno dei maggiori ambasciatori di un’Italia all’avanguardia nella tecnica e nei motori. Lascia perdere. A 13 anni prese di nascosto l’automobile del padre e, nottetempo, fece un giro per il paese. Piuttosto basso e di corporatura esile, durante la Grande guerra guidò camion e ambulanze. Un giorno finì fuori strada e un ufficiale gli consigliò di “lasciare perdere l’automobile”. Invece diventò professionista e, fra il 1923 e il 1924, arrivarono le prime di una lunga serie di vittorie. Davanti a tutti. Vinse la Mille Miglia nel 1930 e nel 1933. Due anni dopo, partito sfavorito al Gran pre-
Calcio spettacolo Guaita segna il 2 a 1 in Roma-Torino, il 17 marzo 1935. A destra, la vittoria dell’Italia ai Mondiali del 1934 sulla copertina della Domenica del Corriere.
mio di Germania, annegò nella polvere gli squadroni della Mercedes e dell’Auto Union, i bolidi di Hitler. La sua fu definita una “vittoria impossibile”, “clamorosa”. E, soprattutto, politicamente significativa. Talento unico. Non fu da meno il trionfo di New York, l’anno dopo, alla Coppa Vanderbilt. A metà percorso, lo speaker annunciò che erano stati messi in palio mille dollari per chi fosse riuscito a rimanere per almeno un minuto davanti al campione italiano. Il premio non fu mai pagato. Nuvolari, che Ferdinand Porsche aveva definito “il più grande pilota del passato, del presente e del futuro” morì nel 1953 per i postumi di un ictus.
presenta
CARDINALI E CORTIGIANE Avventure galanti e complotti politici all’interno delle corti e dei Palazzi del Vaticano, intrighi e scandali che mettono in luce protagonisti senza scrupoli: dai Borgia del Rinascimento alle “papesse” del Seicento fino ai vescovi dell’Ottocento.
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STORIA DELLA TORTURA I supplizi medievali e quelli dei regimi totalitari, i metodi dell’Inquisizione e quelli dei moderni servizi segreti: la storia delle tecniche più crudeli per estorcere confessioni.
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FRATELLI LA DISCRIMINAZIONE DEGLI EBREI L FU F U SSOLO COLPA DEL FASCISMO? OPPURE IL GERME DELL’ANTISEMITISMO IIN N IITALIA T TROVÒ UN TERRENO FECONDO?
26 MAGGIO 1943 AMPA DISPOSIZIONI ALLA ST il divieto li Si rinnova ai giorna licità ebraica, d’inserzione di pubb anche se mortuaria.
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n colpo non meno vigoroso è stato inflitto agli ebrei dal Consiglio dei ministri nella tornata del 2 settembre”. Parole di Goebbels? No, di Civiltà Cattolica, rivista dei gesuiti, da sempre interprete del pensiero della Chiesa sulle questioni politiche e sociali. L’occasione: il varo delle leggi razziali nel 1938. “Vediamo attuarsi quella terribile sentenza che il popolo deicida ha chiesto su di sé e per la quale va ramingo per il mondo”. Un inquisitore medioevale? No, padre Agostino Gemelli, fondatore dell’Università cattolica del Sacro Cuore, in appoggio a quelle leggi. Nel 1924, per la morte di un intellettuale ebreo, aveva scritto: “Ma se insieme con il positivismo, il socialismo, il libero pensiero e con il Momigliano morissero tutti i giudei che continuano l’opera dei giudei che hanno crocifisso nostro Signore, non è vero che al mondo si starebbe meglio?”. Poi, per giustificarsi, padre Gemelli rincarò la dose: era stata una “reazione alle brutture che ogni giorno si vedono: sono ebrei che ci hanno regalato il comunismo, la massoneria, il dominio delle banche e mille altre stregonerie di questo genere”. Insomma, ce n’è quanto basta per chiedersi legittimamente se in Italia l’antisemitismo fosse già ben vivo prima delle leggi razziali approvate dal regime fascista. E come queste furono accolte dagli italiani.
Causa di ogni male. Secondo gli storici l’antisemitismo di massa, diffuso da secoli nell’Europa Centro-Orientale o in Francia, in Italia non c’è mai stato. Non ci furono mai, come in Germania, in Austria, in Ungheria, movimenti politici o religiosi antisemiti. Rari nella storia i pogrom, i massacri di ebrei, abituali invece in Russia, Polonia, Ucraina. Due i motivi principali: lo scarso numero di ebrei presenti sul territorio italiano, mai più di 40-45 mila, e la riconosciuta parità di diritti con gli altri sudditi, sancita da Carlo Alberto di Savoia nel 1848. Gli ebrei aderirono con entusiasmo al Risorgimento, accettando poi senza riserve il nuovo Stato italiano, e in gran parte persero progressivamente i tratti esteriori della religiosità per un ebraismo più laico e personale. “Ebrei di complemento” li definiva lo scrittore Primo Levi. Ci furono, agli inizi, anche molti ebrei fascisti. Difficile quindi, per la propaganda religiosa o politica, eccitare fanatismi contro di loro. C’erano però gli antisemiti, i portatori dell’antigiudaismo teologico, l’antico odio del cristianesimo per gli ebrei accusati della morte del Cristo, responsabili di orrende pratiche sacrileghe, da rinchiudere nei ghetti (v. riquadro a pag. 129). Sulla stampa cattolica o nelle prediche, già dalla fine dell’Ottocento si ripeteva fino alla nausea che gli ebrei ▸
In fuga verso la libertà Ebrei italiani in preghiera a bordo del transatlantico Conte di Savoia in viaggio verso gli Usa, nell’aprile del 1940.
Italiani brava gente? Il cartello affisso subito dopo la promulgazione delle leggi razziali (1938) da un negozio nei pressi del ghetto ebraico di Roma. Fascismo
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Gli strumenti dell’odio Due numeri del quindicinale La difesa della razza, uscito dal 1938 al 1943. Sotto, fumetto antisemita pubblicato ato sul Balilla, settimanale della Gioventù italiana del littorio.
erano causa della Rivoluzione francese, del Risorgimento, del capitalismo e del socialismo. Dopo il primo conflitto mondiale divennero colpa degli ebrei anche la guerra e la Rivoluzione russa. E all’antigiudaismo cattolico si affiancò quello politico dei nazionalisti e dei fascisti più accesi. Per loro, imbevuti di futurismo, culto della bellezza e della violenza, gli ebrei erano pacifisti, borghesi privi di spirito di avventura e di qualsiasi altro valore che non fosse il denaro. Fra i più attivi vi fu il giornalista Giovanni Preziosi, con la rivista Vita italiana, al quale si unì un prelato, Umberto Benigni. Il loro cavallo di battaglia furono i Protocolli dei savi anziani di Sion, un falso confezionato all’inizio del XX secolo dalla polizia zarista per avallare la tesi di un piano ebraico di conquista del mondo. Il seme e dell’od dio. Antigiudaismo cattolico e antisemitismo nazionalista rimasero a lungo fenomeni marginali. Ma, come ha spiegato il massimo storico del fascismo, Renzo De Felice “ciò non toglie che alcune gocce del veleno antisemita si spargessero in quasi tutti gli ambienti”. L’Italia non divenne antisemita, ma gli italiani “fecero in un certo senso l’orecchio e si abituarono inconsciamente a certi argomenti” convincendosi che, in fondo, qualcosa di vero dovesse pur esservi.
Rastrellamento nel ghetto Un camion di ebrei rastrellati dalle SS nel ghetto di Roma il 16 ottobre 1943. Oltre mille romani finirono così nei campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau: fecero ritorno solo in 17, tra i quali una donna. Ma nessuno dei 221 bambini deportati.
Gli effetti si videro con le leggi per la difesa della razza promulgate a partire dal settembre 1938. Per la Chiesa avevano “alcuni lati buoni”. “Discriminare e non perseguitare” fu la posizione più o meno ufficiale. Ma “la discriminazione era persecuzione, la più barbara e la più ingiusta che da secoli la terra italiana avesse conosciuta” ha scritto De Felice. Anche se talvolta le amministrazioni applicarono con scarso zelo le normative razziali, per la preoccupazione di bloccare interi settori commerciali tradizionalmente in mano agli ebrei, in pochi mesi migliaia di persone persero il lavoro. Emma Terracina raccontava che il marito, meccanico specializzato all’azienda tranviaria di Roma, nel giro di tre giorni «fu allontanato dal lavoro, come altri ebrei che lavoravano con lui, senza ricevere alcun compenso per il mancato preavviso e nessuna solidarietà da parte dei colleghi». Rovina ati. Molti, vivendo solo di stipendio, finirono sul lastrico o dovettero subire odiosi ricatti. «Mio padre fu licenziato dalla compagnia di assicurazioni per la quale lavorava e iniziammo a peregrinare da Torino a Milano a Roma, alla ricerca di chi gli desse un lavoro qualsiasi, sempre clandestino e precario» ricorda Lia Levi, oggi scrittrice. I professionisti dovettero chiudere gli studi, professori ▸
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asi di Bugàra (Libia), 20 marzo 1937: 2.600 cavalieri arabi celebrano il duce che, a cavallo, riceve la “Spada dell’islam”. Erano gli anni in cui l’Italia cercava di scalzare il dominio anglofrancese in Africa del Nord: «Dietro allo slancio del duce verso il mondo arabo ci fu sempre la voglia di esercitare un ruolo di potenza mediterranea» dice Manfredi Martelli, autore del libro Il Fascio e la Mezzaluna (Settimo Sigillo). «Dagli Anni ’30 l’Italia intrattenne rapporti stretti con i movimenti nazionalisti arabi e indiani, fornendo loro armi e denaro e sostenendone la battaglia irredentista». Simpatia reciproca. Soprattutto in Egitto, nacquero organizzazioni arabe d’ispirazione fascista. Formazioni paramilitari dalle divise colorate (le Camicie azzurre, le Camicie verdi) che del fascismo ammiravano l’aspetto militaristico, la volontà di rivalsa
sulle potenze occidentali, l’oscillare fra tradizione e progresso. Si arrivò fino all’affermazione di un’affinità dottrinale tra fascismo e islamismo. Superiorità araba. Certo il crescente antisemitismo italiano generò qualche confusione (gli arabi sono semiti come gli ebrei). Per rassicurare, la stampa parlò di “superiorità della razza araba” rispetto non solo agli ebrei ma anche agli altri popoli di colore. Intanto s’intensificarono le iniziative di penetrazione culturale e ideologica: la Fiera del Levante dal 1930, i convegni a Roma degli studenti asiatici nel 1933 e nel 1934, le trasmissioni in arabo di Radio Bari dal 1934. Dal punto di vista militare, nel 1942 si tentò di costituire una Legione Araba, ma fu un fallimento. In tutto questo la religione c’entrò poco. «L’integralismo religioso» dice Martelli «arrivò dopo. Sorse dalle ceneri delle continue mortificazioni dell’aspirazione dei popoli arabi a una piena indipendenza». (i. r.)
La spada dell’islam Il duce con la spada d’oro donatagli dai libici. In realtà fu forgiata in Italia.
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e studenti ebrei furono espulsi dalle scuole. «Quando fui cacciato avevo appena iniziato la prima elementare e non riuscivo a capire quale colpa avessi commesso» testimonia Renato Astrologo. «Ricordo molto bene la rabbia e la vergogna provata». Persero la licenza perfino venditori ambulanti, tassisti e osti. «Per continuare a lavorare, mio padre dovette cedere a un prestanome “ariano”, ma pagandolo, la sua licenza di tagliatore di diamanti. Mio zio, commerciante, dovette trasformarsi in garzone di merceria» aggiunge Luciano Tas, giornalista. Divietii tra il tr ragico e il ridicol lo. Tra le tante norme vessatorie imposte dal regime, anche il divieto di possedere radio, di figurare negli elenchi telefonici, di raccogliere lana per materassi, di gestire scuole da ballo, di accedere alle biblioteche pubbliche, di pilotare aerei, di allevare colombi viaggiatori, di appartenere a club sportivi e di avere domestiche “ariane”, perché “la razza ‘superiore’ non poteva fare servizi a quella cosiddetta inferiore” spiegava De Felice. Chi poté, emigrò; altri si fecero battezzare, nella vana speranza di sfuggire alle persecuzioni; nelle famiglie miste si crearono tragiche lacerazioni. Se la responsabilità maggiore fu del fascismo, ribadiva De Felice, è anche vero che “l’antisemitismo, dopo che superò
il primo momento di resistenza degli italiani, fu da moltissimi di questi accolto come qualcosa di meno grave di quanto fosse sembrato in un primo momento”. I giornali si riempirono di attacchi e calunnie sempre più personali e dirette ad avvocati, medici, attori e perfino sportivi ebrei. Partì la caccia al cognome ebraico, quasi sempre in base a criteri malamente orecchiati. Si diffusero le denunce anonime e le estorsioni. Peggio ancora fece il mondo della cultura: per scrittori, docenti, giornalisti fu l’occasione per mettersi in mostra, fare carriera, denaro, per sfogare rancori, per prendere il posto tolto al collega ebreo. Solo con il crollo del fascismo e l’occupazione tedesca si comprese la vera natura delle leggi razziali e il Paese mostrò il meglio, e purtroppo anche il peggio, di sé: da una parte i molti che, rischiando la deportazione o la fucilazione, salvarono la vita a migliaia di ebrei nascondendoli nei conventi, nelle chiese, nelle soffitte, nei fienili, fornendo loro documenti falsi. Dall’altra tutta una serie di collaboratori, volenti o nolenti, che i tedeschi trovarono tra gli italiani per la realizzazione dei loro piani di sterminio. È un fatto, secondo De Felice, che “polizia, carabinieri e militari, tranne casi sporadici, eseguirono passivamente gli ordini dei comandi tedeschi, compiendo arresti, rastrellamenti, traduzioni
I LORO DOCUMENTI AVEVANO LA DICITURA “RAZZA EBRAICA”. MA IL PASSAPORTO NO, PER SPINGERE A EMIGRARE Precettati per decreto Ebrei al lavoro sul greto del Tevere, a Roma. Nel 1942 fu decretato il lavoro coatto per uomini e donne ebrei: furono destinati ai lavori pesanti.
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di ebrei”. Lia Levi e la sua famiglia furono avvertiti in tempo e sfuggirono alla razzia del 16 ottobre 1943 nel ghetto di Roma. Mussolini era caduto, destituito dal Gran consiglio del fascismo nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943, ma la tragedia per gli ebrei italiani cominciava proprio allora. La famiglia di Luciano Tas spese fino all’ultimo centesimo per procurarsi documenti falsi e corrompere le guardie confinarie fasciste nella fuga verso la Svizzera. Tutti i beni mobili e immobili appartenenti agli ebrei furono confiscati. Nelle città della Repubblica sociale le spoliazioni non si fermarono neppure davanti agli oggetti di uso domestico: il mobilio, gli attrezzi da cucina, la biancheria personale, persino i vasi da notte furono requisiti. Attegg giamento o ambigu uo. La Chiesa ufficialmente tacque, pur appoggiando l’opera dei religiosi a favore degli ebrei. Ma non rinunciò del tutto alle sue posizioni. Quando il governo Badoglio decise di abolire le leggi razziali, nell’agosto del 1943, un incaricato del Vaticano, padre Pietro Tacchi-Venturi, comunicò al maresciallo d’Italia che la legislazione razziale “secondo i principi e le tradizioni della Chiesa cattolica, ha bensì disposizioni che vanno abrogate (quelle sui convertiti e i matrimoni misti) ma ne contiene pure altre meritevoli di conferma”. ◉
E l i Esclusi da tutto Sopra, manifesto sulle leggi del novembre 1938, 8, che escludevano gli ebrei ei dagli uffici pubblici. A destra, una circolare del Club alpino italiano che limitava l’iscrizione ai soli “ariani” e una lettera della Siae che bandiva gli autori ebrei.
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L’
idea di confinare gli ebrei in quartieri chiusi, per separarli dai cristiani, venne a papa Paolo IV nel 1555. In Italia i ghetti furono decine, da Firenze a Ferrara, da Modena a Venezia (foto sopra), da Ancona a Mantova, da Trieste a Gorizia. Tartassati. Per tre secoli la vita nei ghetti fu segnata da ogni possibile vessazione: pagare le guardie interne, esercitare due soli mestieri (commerciare stracci e prestare denaro, quest’ultimo perché vietato ai cristiani), portare un segno distintivo, assistere alle prediche conversionistiche, mantenere la casa dei catecumeni (gli ebrei convertiti). Le restrizioni variavano a seconda
degli umori dei papi, delle circostanze politiche o economiche, dei rapporti tra Stati e Chiesa. In alcune città, come Milano, un ghetto non ci fu mai perché agli ebrei era vietato soggiornarvi. A Livorno, invece, i Medici concessero agli ebrei ogni libertà perché con i loro commerci arricchivano la città. Espulsi. Nel 1569 Pio V ordinò agli ebrei dello Stato della Chiesa, salvo quelli di Roma e Ancona, di lasciare le loro terre. Molti emigrarono negli Stati vicini, altri si rifugiarono nelle due città e nei loro nomi rimase il ricordo di quella espulsione: Di Cori, Di Nepi, Ravenna, Modena, Tagliacozzo. L’ultimo ghetto, a Roma, fu abolito nel 1870.
REGIME
LA VITA
COME SE LA PASSAVA CHI NON ADERIVA AL FASCISMO? E QUEI POCHI CHE VI SI OPPOSERO APERTAMENTE? MENTE?
re sostenitori: istanti. Non ostili, ma neppure urante il fascila gran parte degli italiani, durante smo, subì il regime in maniera passiva. Compressa tra i (pochi) sostenitori ri e gli (ancor meno) antifascisti, la maggioranza si adeguò eguò tentando di evitare le conseguenze peggiori. Un rapporto pporto riservato della polizia dopo la grande parata del 1932 per il decennale della Marcia su Roma segnalava che, anche tra quanti vi parteciparono, il sentimento prevalente nei confronti del fascismo era un interesse molto tiepido. In Italia, insomma, i più avevano la tessera era del partito in tasca semplicemente perché non averla rla significava complicarsi la vita. «Mio padre era di idee socialiste, ma non n si interessava di politica» ricorda l’ultranovantenne Vladimiro, figlio del proprietario di un negozio nel centro tro di Milano. «Subivamo pressioni continue, ma blande. e. Ci chiedevano di iscriverci al partito fascista o di abbonarci bbonarci al loro giornale. Venivano in negozio, insistenti nti ma mai aggressivi. L’unico vero spavento lo prese mia ia sorella: aveva 18 anni e i guanti rossi. Venendo in negozio gozio incontrò una manifestazione di fascisti e la insultarono tarono pesantemente perché aveva un po’ di rosso addosso. dosso. Tornò a casa terrorizzata e piangente». L’apparenza era fondamentale. «Anche chi non era fascista portava il distintivo, sennò lo prendevano ndevano a cazzotti. E non solo nei primi anni del regime» me» raccontava fino a pochi anni fa un altro testimone dell’epoca, ell’epoca, Angelo Limido, nato nel 1912. La tesssera del pane. Dal 1926 chi non era ra fascista ebbe molte difficoltà a intraprendere la carriera riera diplomatica. E tre anni dopo, 40 prefetti sprovvisti isti di tessera furono sostituiti da altrettanti colleghi iscritti al partito. A partire dai primi Anni ’30, per i dipendenti pendenti pubblici (dai funzionari agli impiegati delle Poste, dai ferrovieri agli insegnanti) l’iscrizione al Partito tito nazionale fascista (Pnf) divenne l’unico modo di salvare lvare il posto. La tessera fascista fu ribattezzata “la tessera sera del pane” e la sigla Pnf venne declinata come “Per necessità ecessità familiari”. In pubblico, la prudenza suggeriva a di non parlaiedi e levare il re di politica e di ricordarsi di alzarsi in piedi e. cappello quando alla radio parlava il duce. e persone nor«La vita quotidiana era molto dura e le vivere» spiega mali erano per lo più impegnate a sopravvivere» ntemporanea Agostino Giovagnoli, docente di Storia contemporanea
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Senza futuro Confinati politici a Lipari nel 1927. Un anno dopo uno di loro, un muratore comunista, si suicidò dopo aver saputo che gli negavano il permesso di andare a Vercelli a trovare la madre malata.
SCOMODA all’Università Cattolica di Milano. «Que «Questo non favoriva di certo l’adesione convinta al fascio» fascio». In alcuni casi i neoiscritti approfittaron approfittarono della tessera Gioper lucrare soldi e favori. Per arginare il fenomeno, f vanni Giuriati, segretario del partito fra il 1930 e il 1931, un’epurazione che bloccò i nuovi ingressi e diede il via a un’e mila. L’opera di boportò gli iscritti da un milione a 660 mila Starace, succenifica durò poco: con l’arrivo di Achille S duto a Giuriati (v. a pag. 66), le porte si rriaprirono, così milioni e mezzo. che nel 1939 gli iscritti erano risaliti a 2 m sulle masse esigeCroce contro fascio. Il controllo sull annientare ogni tiva anche azioni più decise, volte ad anni fascio avevo dieci po di opposizione. «Quando è salito il fas ricordo i pestaganni» raccontava Angelo Limido. «Mi ric circolo operaio, di gi e l’olio di ricino. Abitavo sopra un circ annunciarono che stavano fronte ai pompieri. Quando annunciaron arrivando i fascisti, i pompieri si misero a difesa del ciravvicinati li avrebbero colo con le pompe: se si fossero avvicina annegati. Tutti i circoli milanesi furono bruciati. Noi invece ci salvammo». delle società opeMa la chiusura delle sedi sindacali, del che non fossero ▸ raie di mutuo soccorso e dei partiti ch
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el 2005 Focus Storia raccolse la testimonianza di Vittorio Foa (19102008), esponente del movimento antifascista (condannato nel 1935 a 15 anni di carcere) e uno dei padri costituenti della Repubblica. Ecco che cosa ci disse a proposito della sua esperienza. Che cosa la spinse a opporsi al regime rischiando il Tribunale speciale (v. riquadro a pag. 49) e la vita? «Un fortissimo senso di ribellione alle prevaricazioni. Come quando nel 1923 Mussolini, al potere
da pochi mesi, fece bombardare Corfù per ritorsione contro l’uccisione di alcuni italiani in Grecia: una reazione sproporzionata, un atto di barbarie. O come quando, nel 1925, iniziò la repressione contro i Senussi, una confraternita musulmana della Libia. Il duce ordinò l’impiccagione pubblica a Bengasi del loro capo spirituale, Omar al-Mukhtar, solo per mostrare la propria forza. Episodi così, ripresi da tutti i giornali, erano molto diffusi e suscitavano in me, anche se ero ancora un ragazzino, un’intensa reazione emotiva».
Come viveva viv chi faceva questa quest scelta? «Era una scelta difficile, fatta da d pochi. L’antifascismo degli Anni ’30, che ho vissuto da giovi vane, fu un u periodo di solitudine. solitudin Non si poteva parlare. E questa parl necessità di tenere le proprie idee id per sé era una forma form di solitudine profonda». profonda E com’erano i rapporti com’er con chi invece aveva i aderito al a fascismo? «Io ho odiato il potere od per la sua arroganza, ma non le persone che lo sope stenevano. stenevan Alcuni erano stati miei mie amici e cercavo di capirli. cap Volevano essere come com gli altri». (a. c.) fascismo
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L’OVRA SPIAVA ANCHE GLI AVVERSARI INTERNI AL PARTITO. I GERARCHI CADUTI IN DISGRAZIA FINIVANO AL CONFINO quello fascista, non portò a un incremento dell’affluenza nelle file del fascio, ma solo al rilancio di altri luoghi di aggregazione, prime fra tutti le parrocchie. Così, dopo gli anni della grande fuga verso i partiti anticlericali – quello socialista in testa – le chiese tornarono a riempirsi e divennero i primi centri dell’antifascismo. Infatti, se da un lato i cattolici plaudivano al regime per aver firmato nel 1929 il Concordato con lo Stato del Vaticano, dall’altro condannavano la sua concezione totalitaria. Non a caso, anche dopo il ’29 la Chiesa e le organizzazioni cattoliche furono prese di mira e ostacolate in quanto unico baluardo rimasto alla fascistizzazione della società. Deport tati in pa atria. La mano del regime perdeva però ogni moderazione nei confronti degli antifascisti che cercavano di opporsi in maniera decisa. La polizia non si risparmiava contro chi finiva nelle liste nere e, per sanzionarli con più forza, nel 1927 entrò in funzione il Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Fino al 1943 davanti ai giudici speciali furono deferiti 15.806 antifascisti (fra cui 748 donne), si celebrarono 5.619 processi e furono comminate 160 mila ammonizioni (che limitavano la libertà personale). La pena più dura, ovvero il confino, fu decisa in 12.330 casi nei confronti di antifascisti attivi politicamente. Attraverso viaggi durissimi, sottoposti a umiliazioni e violenze, i confinati – veri e propri deportati in patria – raggiungevano le isole destinate a fare da Cayenna italiana. Un idraulico di Modena, Sergio Golinelli, partito dall’Emilia in ottima salute, arrivò a Ponza dopo 26 giorni, con una “febbre altissima e probabile paratifo”
Satira Da sinistra, una caricatura sul Concordato, visto come un tentativo di mettere a tacere i cattolici, e una vignetta del 1920 sull’Avanti!: il fascismo è figlio della Grande guerra.
Botte ai rossi La sede del sindacato dei braccianti di Bologna distrutta dai fascisti nel 1921.
I boy y-scou ut ch he disssero o no
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el 1927 il regime soppresse lo scoutismo a favore dell’Opera nazionale balilla, costringendo anche papa Pio XI a sciogliere i reparti di boy-scout cattolici. Tutti balilla, allora? No, anche qui ci fu chi si ribellò. Al-
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cuni gruppi continuarono a riunirsi clandestinamente, tra cui quello milanese delle Aquile Randagie, così chiamati perché non avevano un ritrovo fisso e comunicavano tempi e luoghi degli incontri usando messaggi in codice.
Opere buone. Dopo l’8 settembre 1943 le Aquile Randagie fondarono l’Opera scoutistica cattolica aiuto ricercati, che favorì l’espatrio in Svizzera dei perseguitati dal nazifascismo. Tra loro, anche Indro Montanelli. (i. m.)
Gli agentti seg gretii del ducee
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Ovra fu la polizia segreta del regime. Istituita nel 1927, fu incaricata di reprimere ogni dissidenza interna, in primo luogo quella comunista. L’azione dei suoi circa 400 agenti, che si avvalevano di migliaia di informatori, restò sempre avvolta nel mistero e la sigla stessa non fu mai chiarita. Per alcuni significava Organizzazione di vigilanza e repressione dell’antifascismo, per altri Organo per la vigilanza
sui reati antistatali. Si dice che fu Mussolini stesso a inventarne il nome quando, davanti a un rapporto di polizia sull’irruzione in un covo antifascista, cancellò la parola polizia e la sostituì con Ovra. Tentacolare. Non è escluso che il duce, che era stato giornalista, abbia giocato sull’assonanza della sigla con il termine “piovra”, per significare la capacità tentacolare di raggiungere ovunque i nemici del regime.
Dissidenti all’estero 1936: Mussolini invia truppe in appoggio al colpo di Stato del generale Franco in Spagna. Alcuni italiani espatriati in Canada manifestano contro la sua decisione.
Fede assolutaa Una tessera del partitoo con il giuramento: “Giuroo di eseguire senza discuteree gli ordini del Duce...”..
1932: una seduta del Tribunale speciale per la difesa dello Stato.
si legge nei documenti ufficiali. Aveva 21 anni e morì due settimane dopo in ospedale, accanto alla madre chiamata ad assisterlo. E non mancavano, per i deportati, vessazioni e aggressioni fisiche da parte dei fascisti di guardia. A Lipari, le squadracce pestarono a sangue i confinati che osarono reagire. Temendo le critiche internazionali, il fascismo tentò di accreditare il confino come una sorta di vacanza, una “villeggiatura”. L’idea venne da Arturo Bocchini, efficientissimo capo della polizia, che convinse Mussolini che inviare i confinati sulle più belle isolette italiane avrebbe giovato all’immagine del regime. Nel settembre del 1929 il giornalista Mino Maccari, di ritorno da Lipari e Ponza, scrisse una serie di articoli in cui le due isole venivano descritte come luoghi ameni dove i confinati godevano, in maniera immeritata, delle bellezze della natura e dell’ospitalità degli abitanti. Ricomiincio dal l tricicl lo. Né, al ritorno dai luoghi di detenzione, la vita poteva ricominciare come prima. Perché chi era stato in carcere o al confino per motivi politici trovava tutte le porte sbarrate. È esemplare il caso di Angelo Aliotta, classe 1905, arrestato nel 1927 e condannato a tre anni di reclusione perché sorpreso a partecipare a una riunione segreta del partito comunista. «Quando lasciò il carcere di Asti, scontati altri due anni di libertà vigilata, non riuscì a trovare lavoro» racconta il figlio Gianfranco. «I fascisti gli avevano fatto terra bruciata intorno: nessuno osava assumerlo. Alla fine si n ccomprò un furgoncino, una speccie di grosso triciclo a pedali, e ccon quello girava tutti i mercati per vendere maglieria». Dopo l’8 p ssettembre 1943 entrò nella Resisstenza nell’Oltrepo, ma fu catturrato e fucilato. Come molti altri g giovani. ◉ Davide Parozzi fascismo
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I GRANDI
PROTAGONISTI
Chi era contro dovette scappare, nascondersi o affrontare la rabbia della maggioranza nera. Mettendo sul piatto della bilancia la dignità del libero pensiero e la propria vita. A cura di Gianpaolo Fissore
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S fascismo
Fillipppo Tu uraatii 1857-1932
Chi erra: considerato il padre del socialismo italiano, sostenne con coerenza la vocazione riformista e l’opposizione al fascismo e alla corrente massimalista del Partito socialista. Che co osa a ha fattto: abbandonò l’esercizio dell’avvocatura per la militanza politica. Determinante in questa scelta fu il legame con Anna Kuliscioff, esule russa approdata dall’internazionalismo anarchico al socialismo scientifico. Tra i fondatori nel 1892 del Partito socialista, non si sottrasse, in età giolittiana, al dialogo con lo statista piemontese, pur rifiutando di entrare al governo. Allo scoppio della Prima guerra mondiale sostenne una linea di neutralità relativa, ammettendo il principio della difesa della Patria se attaccata. Nel 1922 fu alla guida dei riformisti che, separandosi dai massimalisti, diedero vita al Partito socialista unitario. Tra i protagonisti nel 1924 della secessione dell’Aventino (la forte protesta in parlamento per la scomparsa di Giacomo Matteotti), nel 1926 si sottrasse all’arresto, grazie anche all’aiuto di Carlo Rosselli. In Francia, dove visse i suoi ultimi anni, fu il maggior artefice della Concentrazione antifascista. Si adoperò per la riunificazione socialista, individuando le cause della dittatura nella crisi dello Stato liberale e nella risposta inadeguata delle sinistre, che avevano coltivato il mito della Rivoluzione russa.
Beneedettto Crrocce
Gaettano Saalvvem min ni
Chi erra: filosofo, storico, critico letterario, fu protagonista della vita culturale della prima metà del Novecento. Principale rappresentante dello storicismo italiano e della reazione contro il positivismo, nel secondo dopoguerra fu tra i fondatori del ricostituito Partito liberale. Che cosa a ha fattto: ministro della Pubblica istruzione dal giugno 1920 al luglio 1921, nell’ultimo governo Giolitti, prese più nettamente le distanze dal fascismo dopo il delitto Matteotti. Al manifesto di Giovanni Gentile di adesione al fascismo contrappose nel 1925, su invito di Giovanni Amendola, il Manifesto degli intellettuali antifascisti, divenendo il più prestigioso intellettuale di riferimento dell’opposizione alla dittatura. Nelle sue opere storiche spiegò il fascismo come frutto di “una malattia morale” prodotta dalla tragedia della Prima guerra mondiale, considerandolo però una parentesi transitoria nella concezione della Storia come progressiva realizzazione della libertà. Dopo la caduta di Mussolini tentò di salvare la monarchia, proponendo, senza successo, la rinuncia al trono di Vittorio Emanuele III e dell’erede Umberto di Savoia. Ministro senza portafoglio nel secondo governo Badoglio e nel primo governo Bonomi, fu presidente del Partito liberale fino al 1947.
Chi erra: docente universitario e storico di fama internazionale, interpretò in modo originale il pensiero socialista, dedicando particolare attenzione alla cosiddetta “Questione meridionale”. Che cosa a ha fattto: fautore di un’alleanza del movimento operaio con i contadini del Sud, all’inizio del ’900 si batté per il suffragio universale e per l’organizzazione federalista dello Stato. Ferocemente antigiolittiano, denunciò il malcostume dell’Italia del tempo nell’opuscolo Il ministro della malavita. Interventista democratico nella Grande guerra, nel 1919 fu eletto deputato in Puglia in una lista di ex combattenti, da cui prese le distanze quando questi si avvicinarono al dannunzianesimo e al nazionalismo. Nei confronti di Mussolini all’inizio non fu apertamente ostile, ma ne divenne oppositore intransigente dopo il delitto Matteotti. Collaboratore del giornale clandestino Non mollare, nel 1925, dopo il carcere, fu costretto all’esilio. Nel 1929 fu tra i fondatori del movimento clandestino Giustizia e libertà. Nel 1933 si stabilì negli Usa, dove insegnò ad Harvard e portò avanti la denuncia del regime. Nel dopoguerra tornò a insegnare a Firenze e a battersi contro l’arretratezza del Mezzogiorno, contro i monopoli e per la laicità dello Stato, diventando un punto di riferimento per la sinistra liberal-democratica.
1866-1952
1873-1957
Alccidde Dee Gasspeeri
Gioovannii Ameenddola
Giaacoomo Mattteeotti
Pieeroo Callam manddrei
Chi erra: fra i principali esponenti del Partito popolare negli anni dell’avvento del fascismo, fu il massimo rappresentante della Democrazia cristiana nel Comitato di liberazione nazionale (Cln). Presidente del Consiglio negli anni della ricostruzione, è considerato uno dei padri della Repubblica. Che cosa a ha fattto: nato nel Trentino ancora parte dell’Impero austro-ungarico, giornalista e deputato al Parlamento austriaco dal 1911, si affermò dopo la fine della guerra come uno dei leader del Partito popolare, alla cui guida succedette a Luigi Sturzo nel 1924. Inizialmente favorevole a una collaborazione con Mussolini, dopo il delitto Matteotti ne divenne uno strenuo oppositore. Fu arrestato nel 1927 per tentato espatrio clandestino e scontò 16 mesi di carcere. Poi lavorò per molti anni alla Biblioteca vaticana, dove poté mantenere i contatti con gli antifascisti cattolici. Nel Cln divenne l’interlocutore privilegiato degli Alleati. Dal dicembre 1945 al 1953 guidò 8 governi: 3 di unità nazionale, con i principali partiti antifascisti, e 5 di centro, dopo la rottura con le sinistre e la vittoria elettorale del 18 aprile 1948. Proprio lui fu l’artefice di questo successo, che diede alla Dc la maggioranza assoluta in parlamento. De Gasperi, infine, fu un convinto sostenitore dell’Alleanza atlantica e dell’integrazione europea.
Chi erra: giornalista e politico, collaboratore dei giornali Leonardo, La Voce, Il Resto del Carlino e il Corriere della Sera, fondò il quotidiano Il Mondo. Antigiolittiano e nazionalista, ebbe come costante riferimento i valori liberali. Fiero oppositore di Mussolini fin dall’inizio, più volte preso di mira dagli squadristi neri, morì in esilio in Francia, in un ospedale di Cannes, in seguito alle lesioni riportate dopo due violente aggressioni subite nel 1925 a Roma e a Montecatini (Lucca). Che cosa a ha fattto: fautore dell’intervento nella Grande guerra, partì volontario per il fronte, fu ferito e decorato al valore. Eletto deputato nel 1919, ministro delle Colonie nel governo Facta, sostenne la necessità di una politica di riforme sociali, opponendosi alla crescente illegalità fascista e divenendo, dopo la Marcia su Roma, il capo dell’opposizione liberale. Fu tra gli organizzatori della secessione aventiniana, pubblicando su Il Mondo l’esplosivo memoriale difensivo di Cesare Rossi, il capo ufficio stampa di Mussolini coinvolto nel delitto Matteotti. Nel novembre 1924 fondò l’Unione democratica nazionale, un movimento che si proponeva di riunire le forze liberali e democratiche su una piattaforma di opposizione al fascismo e promosse con Benedetto Croce il Manifesto degli intellettuali antifascisti.
Chi erra: segretario dal 1922 del Partito socialista unitario, si qualificò come irriducibile avversario del fascismo. Della sua eliminazione Mussolini si assunse piena responsabilità con il discorso in parlamento del 3 gennaio 1925, che segnò il definitivo passaggio alla dittatura. Che cosa ha fattto: socialista fin da giovane, dopo la laurea in legge si dedicò alla politica, prima in ambito locale e dal 1919 come parlamentare, aderendo all’ala riformista del partito. Dinanzi all’insorgere dello squadrismo nelle campagne, fu tra i primi a individuarne la pericolosità, sottolineando il carattere di classe del fascismo e animando la resistenza delle organizzazioni contadine nel Polesine, sua terra d’origine. Già vittima di una feroce aggressione nel marzo 1921, fu rapito e assassinato mentre si recava in parlamento il 10 giugno 1924, pochi giorni dopo aver pronunciato alla Camera una durissima requisitoria contro le violenze compiute dai fascisti in occasione delle elezioni politiche. “Io il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me” disse profeticamente alla fine dell’intervento. Il delitto, maturato in ambienti vicini al capo del governo, ebbe una vasta eco in tutto il Paese, segnando il più alto momento di crisi nell’ascesa di Mussolini al potere.
Chi erra: insigne giurista fiorentino, letterato e politico di formazione mazziniana, fu tra i fondatori nel 1942 del Partito d’azione. Dopo la Liberazione fu uno dei padri della Costituzione italiana. Che cosa a ha fattto: volontario nella Prima guerra mondiale, nel dopoguerra si avvicinò alla politica, mosso dall’avversione al fascismo. Collaborò con Gaetano Salvemini, firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce e strinse rapporti con il gruppo della rivista clandestina Non mollare. Con il consolidarsi del regime si dedicò all’avvocatura e all’insegnamento universitario a Firenze, coltivando anche interessi letterari. Prese parte ai lavori che portarono alla formulazione del nuovo Codice di procedura penale. Nel 1941 aderì al movimento Giustizia e libertà e partecipò alla Resistenza. Tra i più autorevoli membri dell’Assemblea costituente e della Commissione dei 75, incaricata di stilare il progetto della carta costituzionale, ne rimarcò sempre il legame con la Resistenza. Celebri le parole conclusive di un suo discorso ai giovani studenti nel 1955: “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati”.
1881-1954
1882-1926
1885-1924
1889-1956
fascismo
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Antoonio Grram mscci
1891-1937
Palm miro Tog gliattti
Sanddro Perrtin ni
Chi erra: approdato al Partito socialista nel primo dopoguerra, ne divenne una figura chiave negli anni del fascismo. Segretario del Psi dopo la Liberazione, fu per lunghi anni uno dei politici di maggior prestigio dell’Italia repubblicana. Che cosa ha fattto: di origini contadine e di fede repubblicana, partecipò con Mussolini nel 1911 alla “settimana rossa” e fu arrestato con lui. Interventista e volontario nella Grande guerra, aderì nel 1921 al Partito socialista. Direttore del giornale Avanti! dal 1923, fuggì nel 1925 in Francia dove si adoperò per la fusione tra le varie anime del socialismo, e nel 1933 fu nominato segretario del Psi. Durante la guerra civile in Spagna svolse le funzioni di commissario politico nelle Brigate internazionali. Sempre favorevole al fronte comune con i comunisti, dal 1941 operò clandestinamente nella Francia di Vichy lavorando per ricucire l’unità antifascista fra i due partiti, messa in crisi dalla firma del Patto Molotov-Ribbentrop. Arrestato nel 1943 dalla Gestapo, fu trasferito in Italia e inviato al confino. Liberato alla caduta di Mussolini, assunse nuovamente la direzione del Psi durante la Resistenza. Nei primi decenni del dopoguerra fu il principale artefice delle politiche che segnarono l’evoluzione del partito, dall’alleanza con i comunisti nel Fronte popolare al centrosinistra.
Chi erra: con Gramsci fu il principale esponente del comunismo in Italia. E quando Gramsci fu arrestato, nel 1926, Togliatti assunse la direzione del centro estero del Pci. Da allora e fino alla morte fu il leader indiscusso del Partito comunista. Che cosa a ha fattto: iscritto al Psi nel 1914, laureato a pieni voti in giurisprudenza, nel 1919 fondò, insieme a Gramsci, la rivista Ordine Nuovo. Dopo l’avvento del fascismo trascorse 18 anni in esilio, principalmente in Unione Sovietica, affermandosi come uno dei capi dell’Internazionale comunista. Sostenne al VII congresso del 1935 la linea dei fronti popolari, cioè l’alleanza con i socialisti contro il fascismo, e partecipò alla Guerra di Spagna. Arrestato nel settembre 1939 in Francia, fu liberato nel febbraio 1940. Rientrato in Italia nel marzo 1944, fu il protagonista della cosiddetta “svolta di Salerno”, grazie alla quale il Pci e gli altri partiti antifascisti accettarono di collaborare con la monarchia in nome della lotta contro i tedeschi, rinviando la questione istituzionale al dopo Liberazione. Ministro di Grazia e giustizia nei primi governi del dopoguerra, collaborò attivamente alla stesura della Costituzione. Dopo la sconfitta elettorale del 1948, guidò il Pci, schierandolo sempre all’opposizione, alla ricerca di una “via nazionale al socialismo”.
Chi erra: giornalista e politico, ufficiale nella Prima guerra mondiale, nel 1918 si iscrisse al Psi. Negli anni del fascismo conobbe l’esilio, il confino, la prigionia. Nell’Italia repubblicana divenne, dopo una lunga militanza socialista, il più popolare presidente della Repubblica. Che cosa ha fattto: già condannato dal fascismo, nel 1926 fu tra gli organizzatori della fuga in Francia di Filippo Turati. Nell’esilio si adattò a ogni mestiere, dal muratore alla comparsa cinematografica. Rientrato in Italia nel 1929, fu arrestato e condannato a 11 anni di carcere poiché rifiutò di sottoscrivere la domanda di grazia inoltrata al duce dalla madre. Dopo il 1935 fu confinato a Ponza, alle Tremiti e a Ventotene, dove fu rinchiuso nel carcere di Santo Stefano. Liberato nel 1943, partecipò alla rifondazione del Psi. Nuovamente arrestato e condannato a morte a Roma dai tedeschi, evase dal carcere di Regina Coeli, raggiungendo il Nord Italia per entrare nel Comitato di liberazione nazionale (Cln). Guidò l’insurrezione di Milano e firmò la condanna a morte di Mussolini. Segretario del Psi nei primi mesi del dopoguerra, sostenne l’autonomia del partito, pur nell’ambito dell’unità d’azione con il Pci. Presidente della Camera dal 1968 al 1976, fu eletto nel 1978 presidente della Repubblica con un larghissimo consenso.
1891-1980
Chi erra: politico e intellettuale, elaborò, sull’esperienza dei consigli di fabbrica, la concezione di un partito rivoluzionario che seguisse l’esempio di quello bolscevico in Russia. Fra i fondatori nel 1921 del Partito comunista d’Italia, i suoi scritti sono considerati tra i più originali del pensiero marxista. Che cosa a ha fattto: approdato come studente universitario a Torino dalla natìa Sardegna, fondò la rivista Ordine Nuovo, giornale dei consigli di fabbrica nel “Biennio rosso” (1919-1920) e poi quotidiano del neonato Partito comunista. Tra il 1922 e il 1924 svolse attività anche all’estero, presso l’Internazionale comunista, a Mosca e a Vienna. Rientrato in Italia, fondò L’Unità e divenne segretario del partito, sostenendo la necessità di un’alleanza tra la classe operaia e i contadini del Mezzogiorno contro il fascismo. Arrestato nel 1926, fu inviato al confino e quindi processato dal Tribunale speciale. “Per vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare” fu la conclusione della requisitoria del pubblico ministero. La lunga detenzione, in effetti, minò irrimediabilmente le sue condizioni di salute. Le riflessioni gramsciane su temi come la rifondazione del materialismo storico, i rapporti tra Stato e società civile, la funzione degli intellettuali furono pubblicate con il titolo Quaderni del carcere.
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Pieetrro Neenn ni
S fascismo
1893-1964
1896-1990
www.focusstoria.it
Carloo Rossseellii
Teressa Nocce
Pieeroo Gobbetti
Alttieero Spin nellli
Chi erra: militante politico in seguito a una radicale scelta di opposizione al regime, sostenitore di un socialismo liberale, fu tra i fondatori e il maggior animatore del movimento antifascista Giustizia e libertà. Morì assassinato in Francia. Che cosa a ha fattto: cresciuto a Firenze in un’agiata famiglia ebraica, interventista e combattente negli ultimi mesi della Grande guerra, si avviò dopo la laurea in giurisprudenza all’insegnamento universitario. Nel 1924, all’indomani del delitto Matteotti, aderì al Partito socialista unitario, testimoniando così la volontà di una nuova generazione di militanti che voleva promuovere un rinnovamento profondo della tradizione socialista italiana, in raccordo con gli ideali del liberalismo. Nel 1925 diede vita al primo foglio antifascista clandestino, Non mollare. Arrestato e confinato a Lipari, fu protagonista con Emilio Lussu e Fausto Nitti di una clamorosa evasione. Si rifugiò in Francia, dove con Lussu, Nitti e un gruppo di altri oppositori al regime fondò nel 1929 Giustizia e libertà. Allo scoppio della guerra civile spagnola organizzò la prima colonna di antifascisti italiani, in collaborazione con l’anarchico Camillo Berneri. Fu ucciso in Normandia, insieme al fratello Nello, suo compagno di lotta, da estremisti di destra francesi, su mandato dei vertici politici italiani.
Chi erra: di origini poverissime, aderì al Partito comunista fin dalla sua fondazione. Con il nome di battaglia di Estella fu una figura di primo piano nell’organizzazione della rete dei fuoriusciti antifascisti. Nel dopoguerra fece parte della direzione del Pci e diresse il sindacato dei tessili. Che cosa a ha fattto: costretta a lavorare fin da bambina, sartina e operaia in una Gioventù senza sole, come recita il titolo del suo primo romanzo autobiografico, fu un’assoluta autodidatta. Sposata nel 1923 con Luigi Longo, futuro dirigente del Pci, divenne una rivoluzionaria di professione, emblema di una vita interamente dedicata alla politica e all’ideologia. Nel 1926 fuggì all’estero. Soggiornò a Mosca e a Parigi, compiendo anche numerosi viaggi clandestini in Italia. Fedele interprete della linea del Partito comunista, combatté in Spagna nelle Brigate internazionali. Rientrata in Italia durante la guerra per partecipare alla lotta clandestina, venne arrestata e internata nel 1943 nel lager di Ravensbrück. Dopo la Liberazione fu tra le 21 donne elette alla Costituente, e da parlamentare e sindacalista si impegnò nella legislazione a tutela delle madri lavoratrici. Nel 1954, dopo la separazione da Longo, si ritirò a vita privata. Nel 1974 pubblicò l’autobiografia Rivoluzionaria professionale.
Chi erra: politico e scrittore, promosse iniziative culturali a cui collaborarono i più importanti intellettuali del suo tempo. Di formazione liberale, ma sensibile ai fermenti di rinnovamento di cui erano espressione le lotte degli operai torinesi durante il “Biennio rosso”, sostenne una rivoluzione liberale aperta alle istanze sociali. Alle sue idee si richiamarono i fondatori del movimento Giustizia e libertà. Che cosa ha fattto: il quindicinale Energie nuove fu la prima rivista da lui fondata e diretta, a soli 17 anni. Vi collaborarono firme autorevoli come Luigi Einaudi, Antonio Gramsci, Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Nel 1922 diede vita a Rivoluzione liberale. Reca lo stesso titolo anche il libro che scrisse nel 1924, in cui espose il nucleo del suo pensiero politico individuando nel fascismo la conseguenza dell’incancrenirsi di mali tradizionali della società italiana, quali l’invadenza del cattolicesimo e la demagogia del liberalismo giolittiano. Individuato da Mussolini come uno dei suoi più pericolosi avversari, fu arrestato il 6 febbraio 1923 con l’accusa di complotto contro lo Stato. Più volte vittima di aggressioni squadriste che ne minarono gravemente la salute, si rassegnò a emigrare in Francia solo nel febbraio 1926. Morì a Parigi, pochi giorni dopo l’arrivo, a seguito di una violenta bronchite.
Chi erra: politico e intellettuale, si allontanò dal Partito comunista d’Italia negli anni dei sanguinosi processi staliniani. Al confino durante la dittatura fascista, si distinse per l’elaborazione teorica di un progetto di Europa federale. È considerato per questo fra i padri dell’Unione europea. Che cosa a ha fattto: influenzato dalle idee socialiste del padre, si avvicinò giovanissimo al marxismo iscrivendosi nel 1924 al Pcd’I, con il fascismo ormai al potere e i comunisti costretti alla clandestinità. Arrestato nel 1927, quando era studente di giurisprudenza all’Università di Roma, fu condannato dal Tribunale speciale a 10 anni di carcere. Trascorse il restante periodo della dittatura al confino, a Ponza e a Ventotene, dove, espulso dal Pcd’I, si avvicinò a Giustizia e libertà e, insieme a Ernesto Rossi, redasse il Manifesto per un’Europa libera e unita. Dopo aver partecipato alla Resistenza nelle file del Partito d’azione, fondò nel dopoguerra il Movimento federalista europeo e animò molte battaglie a favore della costituzione di organismi comunitari. Eletto eurodeputato nel 1979, alla nascita del Parlamento di Bruxelles, fu particolarmente attivo nella stesura del progetto di unità europea con marcate caratteristiche federaliste, che venne poi adottato nel 1984 e costituì la base per il trattato dell’Ue.
1899-1937
www.focusstoria.it
1900-1980
1901-1926
1907-1986
fascismo
S 137
MEMORIE
Un monte di macerie Agosto 1943, la Galleria Vittorio Emanuele, nel cuore di Milano, è distrutta. La città subì danni gravissimi. Il Monte Stella, la collinetta oggi nel quartiere QT8, fu “costruito” con le macerie.
IL TRAGICO EPILOGO DI VENT’ANNI DI FASCISMO, FRA LE BOMBE DEGLI ALLEATI E LE MINE DEI TEDESCHI
Tagliare i rifornimenti Le bombe Usa cadono su una raffineria a Livorno. La città fu obiettivo di raid che fecero oltre 1.300 vittime. Gli sfollati furono 20 mila. Vennero distrutti il duomo, il porto, la stazione e la zona industriale.
O I C S A F S LO fascismo
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PER LA PRIMA VOLTA GLI ITALIANI PROVARONO SULLA PROPRIA PELLE GLI EFFETTI DEVASTANTI DELLE INCURSIONI AEREE SULLE CITTÀ
29 APRILE 1943 STAM PA nostri DISPOSIZIONI AL LA cu rsioni aeree sui in e ll su li to ti i Ne o ttere in prim o pian ro centri abitati, me nt co io od e su scitar ali in tutto quanto possa im cr , hi cc ta eschi at nt ga ri (b co mi ne il ie, gangster ecc.). aggressioni, barbar
140 S Fascismo
Ritirata distruttiva Il Ponte Santa Trinità a Firenze distrutto dalle mine tedesche nell’agosto del 1944. Per frenare l’avanzata delle truppe alleate verso nord, furono fatti saltare in aria tutti i ponti della città, tranne Ponte Vecchio.
Salvare il salvabile Una donna cerca di recuperare qualche oggetto frugando fra le macerie della sua casa distrutta, a Milano. I bombardamenti sulla città furono una sessantina.
Conseguenze chimiche Alcuni pompieri tentano di spegnere le fiamme nel porto di Bari dopo il bombardamento tedesco del 2 dicembre 1943, che sprigionò anche sostanze tossiche.
In fuga dalle bombe Donne e bambini sfollano dal loro piccolo paese semidistrutto. Nel 1951 il mondo contava ancora 2 milioni di esuli di guerra che non avevano più case.
Aggrapparsi alla fede Donne in preghiera in ciò che restava del Duomo di Livorno nel 1947. Anche prima che l’edificio fosse ricostruito, i livornesi non smisero mai di tornare lì a pregare.
Un sorriso fra le rovine Due bimbi sulle macerie della loro casa distrutta dai tedeschi mostrano i dolciumi ricevuti dai soldati americani. È il 9 gennaio del 1944 e uno ha la forma di Babbo Natale.
suolo italiano L’ultima azione bellica sul ve ad aiutare la Resisteno stop alle operazioni belliche sul suolo italiano nell’ambito del secondo conflitto mondiale fu sottoscritto a Caser ta il 29 aprile 1945, con la resa dei nazifascisti agli Alleati (divenuta operativa dal 2 maggio). Nei giorni precedenti, molti fascisti della Repubblica sociale italiana, affiancati da milizie naziste, ave vano tentato la fuga verso
L
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nord, trovandosi di fron te par tigiani e alleati. Probabilmente l’ultima vera azione bellica si verificò nei pressi di Parma, almeno a detta della locale Associazione nazionale partigiani (Anpi). Ritirata. A par tire dal 25 aprile (giorno della Liberazione), fascisti e tedeschi in ritirata si scontrarono con formazioni par tigiane lungo la via Emilia, do-
za c’erano i reparti del Corpo di spedizione del Brasile (entrato in guerra nell’agosto 1942 con gli Alleati). Nella notte tra il 26 e il 27 aprile, sul fiume Taro (un affluente del Po), tra Collecchio e Fornovo, brasiliani e par tigiani, suppor tati da mezzi Usa, aprirono il fuoco per impedire ai nemici l’accesso alle pianure del Nord.
Insaccati. Gli scontri continuarono il 28 aprile, il giorno della morte del duce, finché i tedeschi, chiusi in una “sacca” (l’episodio è noto come “Sacca di Fornovo”), accettarono la resa. Le armi tacquero all’alba del 29, e il cammino italiano verso la libertà poté proseguire con la liberazione delle ultime città del Nord.
Matteo Liberti
SI STIMA CHE LA II GUERRA MONDIALE ABBIA CAUSATO 55 MILIONI DI MORTI. LE VITTIME ITALIANE FURONO CIRCA 400 MILA (150 MILA CIVILI)
Terra bruciata La Posta centrale di Napoli, distrutta da un ordigno a orologeria piazzato dai tedeschi prima di abbandonare la città partenopea, nell’ottobre del 1943.
LE ORIIGINI Le oriigini dell’iddeolog gia fasscistaa Emilio Gentile (il Mulino) Un celebre storico, basandosi sulla vasta pubblicistica dell’epoca, delinea il complesso di idee, miti e programmi in cui la nascente ideologia fascista trovò espressione.
IL REGIME Camiccia neera Silvio Bertoldi (Bur) Lo squadrismo, il colpo di Stato del 3 gennaio 1925, l’impero, Salò, piazzale Loreto. Ma anche il sabato fascista, le associazioni giovanili, le canzonette del tempo, l’editoria piegata al regime. I 23 anni dell’Italia in camicia nera, tra fatti e misfatti, tra piccoli racconti sociali e grandi, tragici avvenimenti. Brevee storiia del fascissmo Renzo De Felice (Mondadori) Una sintesi delle ricerche nel campo effettuate dal massimo storico italiano del fascismo. Una lettura fondamentale per gli amanti della grande Storia e per chi si accosti alla materia per la prima volta. Il fasccismoo in tree capittoli Emilio Gentile (Laterza) Una guida essenziale e chiara, scritta da uno studioso di fama internazionale, per conoscere la storia e le interpretazioni del fascismo. Fascissti Giordano Bruno Guerri (Mondadori) L’Italia e gli italiani tra il 1922 e il 1945 in un saggio divulgativo e di sintesi diventato ormai un classico.
LA PROPAGANDA Le veline del ducce Riccardo Cassero (Sperling & Kupfer) Quando c’era Lui, le cose sì che andavano bene: treni puntuali, niente crimini, un nuovo Impero di Roma. In realtà, l’immagine di un Paese fittizio era creato dai solerti funzionari del Minculpop, che inviavano
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ai giornali ordini di stampa e foto acconce da pubblicare. Questo saggio raccoglie una selezione delle più significative veline del duce, con fotografie e manifesti d’epoca. nti Plagiaati e conten Noris De Rocco (Mursia) Il sottotitolo di questo libro è A scuola con i bambini del duce. Attraverso temi, pagelle, registri di classe e note degli insegnanti viene infatti ricostruito un anno scolastico “ideale”. E subito salta agli occhi che ogni evento della vita quotidiana dei piccoli diventava uno strumento per plasmare le loro ingenue menti infantili. Con l’obiettivo di cambiare un’intera generazione. Il ducce proiibito M. Franzinelli e E. Marino (Mondadori) Il capo supremo doveva essere inimitabile e ricoprire tutti i ruoli possibili e immaginabili. Quindi le immagini “approvate” per la pubblicazione si riducevano a un pugno di stereotipi: la posa plastica, la folla acclamante, la superiore competenza in ogni campo. Il resto veniva scartato recisamente dalla censura. Sono queste, dunque, le fotografie che troverete nel libro: piazze mezze vuote, prodezze mancate, militanti che sbagliano il saluto romano, uomini più abili o più eleganti troppo vicini al duce. Il cultto del littorrio Emilio Gentile (Laterza) Viaggio nel continente simbolico del fascismo. Fra riti e monumenti di un movimento politico che volle imprimere negli animi degli italiani i dogmi di una nuova religione, la divinità della patria, grazie alla costruzione di una formidabile macchina del consenso.
VITA QUOTIDIANA L’Italia in camiciia neraa (1919-25) L’Italia littoria (1925-336) L’Italia dell’Assee (19366-40) L’Italia della disffatta (1940--43) Indro Montanelli (Bur) Le vicende del Ventennio raccontate in quattro volumi da un grandissimo giornalista, che era giovane ai tempi del regime.
Otto milion ni di biciclettte Romano Bracalini (Mondadori) Come si viveva ai tempi del duce? Quanto guadagnava un operaio o un impiegato? Che cosa si poteva comprare con le celebri “mille lire al mese”? Come ci si divertiva, quali erano le abitudini e gli svaghi, che cosa si vedeva al cinematografo e a teatro? Viaggio nella società dell’epoca littoria, che il regime pervase in modo capillare e in ogni aspetto.
ARCHITETTURA Il raziionalismo nell’arrchitetturaa italiana deel prim mo Novvecento Rosario De Simone (Laterza) Una carrellata sulle origini, i caratteri, la diffusione e i principali edifici realizzati dal movimento che iniziò a metà degli anni Venti. Fascioo e maartelllo. Viagg gio peer le ciittà deel ducee Antonio Pennacchi (Laterza) L’autore ha visitato le città di fondazione littoria nell’Agro Pontino, in Puglia, in Sicilia, in altri luoghi d’Italia e in Libia. Alla ricerca di una vera e propria epopea edificatrice.
MODA Vestirre il Venten nnio S. Grandi e A. Vaccari (Bononia university press) Tutte le curiosità sui diversi look nell’era fascista. Dalla giacca sahariana al taglio di capelli alla garÇonne, dai colli di volpe bianca alle calze di nylon e rayon. Già, perché in tempo di guerra la seta serviva per i paracadute... Una giornaata mooderna. Modaa e stilli nell’’Italiaa fascista M. Lupano e A. Vaccari (Damiani) Un libro visuale che mostra una vastissima selezione di immagini tratte da riviste femminili, film, eventi mondani, archivi fotografici, cataloghi commerciali e di mostre, libri di design e di architettura, riviste aziendali e persino organi governativi.
IL FASCISTA PERFETTO Achille Staarace e il vaddemecum dello stile fascissta Carlo Galeotti (Rubbettino) Una rassegna degli scritti staraciani, i “fogli di disposizioni”. Alcuni sono ripetitivi, altri ridicoli, altri ancora attuali e illuminanti. Con un glossario utile alla comprensione. Dizionario del faascism mo A. De Bernardi e S. Guarracino (Bruno Mondadori) Disponibile in una nuova edizione, la ricostruzione del Ventennio in 1.250 voci. Con una minuziosa cronologia e voci dedicate a tutte le più importanti cariche dello Stato, del partito e dell’esercito: un perfetto who’s who del Fascio.
COLONIE Gli itaaliani in Afrrica Orrientaale Angelo Del Boca (Mondadori) Ancora oggi quest’opera in 4 volumi è la più completa e accurata monografia sul colonialismo italiano nel Corno d’Africa. Oltrem mare.. Storiia dell’eespanssione colon niale ittalian na Nicola Labanca (Il Mulino) L’autore ripercorre le vicende della conquista dell’impero fascista, descrive con sincero realismo la società coloniale d’oltremare e dimostra che l’impresa non portò gli attesi risultati economici. Nonostante i proclami della propaganda.
L’AMORE Claretta Peetaccii. La doonna che morì per am more di Musssolin ni Roberto Festorazzi (Minerva) L’ultima pubblicazione sulla donna che amava Mussolini da quando era ragazzina. E per lui superò l’ostilità
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della moglie Rachele e dei figli, la gelosia per le molte altre amanti e la paura di morire. Perché per Claretta la vita senza “Ben” non era tale. Telefooni biaanchii. Amori nerri Marco Innocenti (Mursia) Nel corso del Ventennio, dai momenti del massimo consenso al tempo della Repubblica di Salò, la storia di quattro coppie celebri e tragiche: Doris Duranti e Alessandro Pavolini, Edda Mussolini e Galeazzo Ciano, Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, il duce e la sua eterna amante, Claretta Petacci. ggio Bordeelli miilanessi. Viag nei lu uoghi della prostiituzione Luigi Inzaghi (Meravigli) L’itinerario all’interno delle case chiuse milanesi tocca un periodo che si chiude nel 1958, con l’entrata in vigore della legge Merlin. Ma inizia ben prima e abbraccia anche il Ventennio, periodo in cui a frequentare i bordelli erano tutti: travet, borghesi, miliziani e alti gerarchi.
SCIENZA Scien nza e fa fascism mo Roberto Maiocchi (Carocci) La compromissione degli scienziati italiani con il fascismo fu elevata. Se gli economisti lavorarono allo sviluppo dell’autarchia, chimici e ingegneri parteciparono alla preparazione della guerra, mentre genetisti e antropologi giustificarono il mito della razza. Ma, sorpresa, fu in questo clima che nacque il Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche). Preferirei di no Giorgio Boatti (Einaudi) Le storie dei dodici professori universitari, gli unici su migliaia di cattedratici, che pur differendo per origini, carattere, modi di pensare e
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attitudini sociali, si rifiutarono di giurare fedeltà al regime fascista.
PERSONAGGI Galeaazzo Ciano Giordano Bruno Guerri (Bompiani) Un libro che si avvale anche di documenti inediti per avvicinare il lettore a una delle personalità più complesse del regime, restituendo, accanto alla figura pubblica di Ciano, anche la dimensione privata di un uomo che pagò le sue scelte con il prezzo più alto: la vita. 101 sttorie su Musssolini che non ti hann no maai raccontatto Marco Lucchetti (Newton Compton) Il duce in 101 schede, con episodi e curiosità inedite. Dalle origini, con i suoi difficili rapporti in famiglia e a scuola, fino alla meschina fuga travestito da anonimo soldato tedesco. Il tutto raccontato attraverso microstorie divertenti, sconosciute, stravaganti: una serie di aneddoti che di solito non si trovano nei libri storici. Staraace Antonio Spinosa (Mondadori) La vita pubblica e privata del gerarca che inventò lo stile fascista, dagli esordi (il giovane Achille ingaggiò la prima rissa nel 1914 a Milano, contro pacifisti con il fazzoletto rosso al collo) sino all’epilogo tragico: l’ex segretario del Pnf fu processato in un’aula del Politecnico milanese, fucilato e poi appeso a testa in giù in piazzale Loreto, insieme ai cadaveri di Mussolini, della Petacci e di altri gerarchi. Letteere ai figli Antonio Gramsci (ed.it) Una raccolta delle missive che Gramsci scrisse agli amati figli Delio e Giuliano, dal 1929 al 1937. Le lettere furono spedite sia dal penitenziario di Turi (Bari) dove fu recluso dal 1928 al 1933, sia dai vari luoghi di cura in cui si trovava, in stato di detenzione e poi in libertà con-
dizionata (1934-1937). E ci svelano il Gramsci padre, che vuol sapere tutto della crescita dei suoi ragazzi e a loro racconta i ricordi da bambino, le passioni e gli ideali, la vita in cella e l’amore per i fiori. Un itaalianoo diveerso. Giacoomo Matteootti Gianpaolo Romanato (Longanesi) Questo libro è la prima biografia del deputato socialista brutalmente assassinato dai fascisti nel 1924. Una biografia politica ma anche umana, basata su documenti inediti e sulla lettura dell’epistolario con la moglie Velia Titta. Un ritratto completo di una straordinaria figura dell’antifascismo.
SUL WEB www..storiaaxxissecolo..it/ fascissmo/ffascism mo.httm Sito curato dall’Anpi di Roma sul periodo fascista, dai Fasci di combattimento alla presa del potere, fino alla Repubblica sociale. Ma anche antifascismo e Resistenza. www..laseccondaaguerraamon ndiale.. com Panoramica, arricchita da documenti, lettere e foto sulla Seconda guerra mondiale, dallo scoppio alla resa. Ampia sezione dedicata all’ingresso dell’Italia nel conflitto e alla guerra in Africa. www..museeoshooah.it Una mostra digitale sulla persecuzione degli ebrei italiani, a partire dal 1938, con documenti originali dell’epoca.
www..museeodifffusotoorino.iit Il Museo diffuso di Torino offre online un tour virtuale tra i luoghi della memoria e una sezione aggiornata su convegni e i più importanti eventi internazionali.
www..archiiviolu uce.com m L’archivio dell’Istituto Luce con oltre mille cinegiornali dell’epoca, centinaia di documentari e immagini di repertorio dell’Italia fascista. www..cesarr-eur.iit Sito del Centro studi architettura razionalista che promuove la conoscenza del patrimonio architettonico del Ventennio di Roma e non solo.
FILM E DOCUMENTARI Il fedeerale di Luciano Salce, con Ugo Tognazzi e Georges Wilson (1961) Nel 1944 un miliziano fanatico arresta un filosofo oppositore del regime e lo deve condurre dall’Abruzzo a Roma. Sullo sfondo, un’Italia ormai in rovina e allo sbando. mo atto Mussolini. Ultim di Carlo Lizzani, con Rod Steiger e Lisa Gastoni (1974) L’azione parte alcuni giorni prima dell’esecuzione di Mussolini. E ci mostra gli stati d’animo del duce nel viaggio verso la morte. Una giornaata paarticollare di Ettore Scola, con Marcello Mastroianni e Sofia Loren (1977) L’incontro tra un’infelice “madre fascista” e un omosessuale durante la trionfale visita di Hitler a Roma. gacy Fascist leg di Ken Kirby (1989) Un documentario della Bbc che ricostruisce i crimini di guerra italiani in Libia e i campi di concentramento istituiti in Iugoslavia. Vinceere di Marco Bellocchio, con Giovanna Mezzogiorno e Filippo Timi (2009) Nel passato di Mussolini c’era un segreto: una prima moglie e un figlio riconosciuto e poi negato.
fascismo
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Gruner+Jahr/Mondadori ndadori S.p.A. via Battistotti Sassi, 11/a - 20133 Milano
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Amministratore Delegato e Direttore Generale Fabienne Schwalbe Direttore del Personale, Affari Legali e Societari Francesca Castellano Chief Operating Officer Roberto De Melgazzi Direttore Controllo di Gestione Paolo Cescatti Direttore Produzione e Logistica Franco Longari Web Publisher Enrico Ciampini Focus Storia Collection: Pubblicazione semestrale registrata presso il Tribunale di Milano, n. 54 del 3/02/2012. Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica sono riservati. Il materiale ricevuto e non richiesto (testi e fotografie), anche se non pubblicato, non sarà restituito. Direzione, redazione, amministrazione: Via Battistotti Sassi 11/a, 20133 Milano. Tel. 02/762101; e-mail:
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146 S Fascismo
Codice ISSN: 2280-1456
COPERTINA: Publifoto/Olycom. SOMMARIO: pag. 3 (as) Corbis, (c, dall’alto) Realy Easy Star, Publifoto/Olycom, Fototeca Gilardi; pag. 4 (c, dall’alto) Photoservice Electa/AKG, Luce/Alinari, Fototeca Gilardi, Alinari, Corbis. VIVEVAMO ALLA FASCISTA: pag. 6-7 Farabola; pag. 7 archivio; pag. 8 Olycom. L’ERA DEI CINEGIORNALI: pag. 9 Luce/Alinari (2). SCENARI DI MARMO: pag. 10 Alamy; pag. 10-11 C. Cassaro/Sime Photo; pag. 11 Getty Images; pag. 12 S.Pipia/Realy Easy Star; pag. 12-13 D. Donadoni/ Marka; pag. 13 D. Donadoni/Marka; pag. 14 (a) A3/ Contrasto, (b) A. Rizzi; pag. 15 A. Rizzi (2); pag. 16-17 D. Monteleone/Contrasto; pag. 17 A. Rizzi. MAESTRO DI DITTATURA: pag. 18 M. Evans/ Alinari; pag. 19 Luce/Alinari; pag. 20 (as, cs) Farabola, (b) Alinari; pag. 20-21 Farabola; pag. 22 (as) Luce/Scala, (cs) Farabola; pag. 23 (a) Farabola, (cd) Fototeca Gilardi. GIOCHI DA BALILLA: pag. 24 (bs) Fototeca Gilardi; pag. 24-25 Publifoto/Olycom; pag. 25 (ad, bd) M. Chiodetti/coll. A. Brisone, (cd) C. Piovesana; pag. 26 da G. F. Venè* (2); pag. 27 (as) Leemage, (ad) M.Ranzani/Alinari, (bs, bd) Publifoto/ Olycom, (bc) da G. F. Venè*; pag. 28 (as, cd) da G. F. Venè*, (ad) cortesia V. Bottini, (cs) cortesia A. Lepore, (bs, bd) Publifoto/Olycom; pag. 29 (c, bs) cortesia A. Bottini, (bc) Publifoto/Olycom. CAVALLI, BINARI, ELICHE E PEDALI: pag. 30-31 Farabola; pag. 31 (ad) Publifoto/Olycom, (cd) Alinari (2), (bd) Publifoto/Olycom; pag. 32 (ad, cd) Farabola, (bs) Museo Fisogni-Palazzolo Milanese; pag. 32-33 Farabola; pag. 34 (as) Archivio Priuli & Verlucca (coll. Museo dell’automobile Carlo Biscaretti di RuffiaTorino foto E. Formica) (b) Fototeca Gilardi; pag. 35 (as) da G. F. Venè*, (cs, bs) Farabola, (cd) archivio. VÈSTITI, USCIAMO: da pag. 36 a pag. 41 servizio C. Buccolieri e S. Anselmo; pag. 38 (bs, bc) Fototeca Gilardi, (bd) Farabola; pag. 39 Farabola; pag. 40 (as) Fototeca Gilardi, (b) da G. F. Venè* (2). LA MACCHINA DEL CONSENSO: pag. 42-43 Luce/Alinari; pag. 43 Fototeca Gilardi; pag. 44 (as, ad, c) Luce/Alinari; (bs) GBB/Contrasto, (bd) M. Chiodetti/coll. V. Bogni (3); pag. 45 Farabola, (b) M. Chiodetti/coll. V. Bogni (2); pag. 46 archivio; pag. 46-47 Farabola; pag. 47 (as, c) Farabola, (cs) Fototeca Gilardi. I CRIMINI INVISIBILI: pag. 48 da G. F. Venè*; pag. 49 (ad) archivio, (bs) Publifoto/Olycom; pag. 50 Corbis. ALLA CONQUISTA DELLE PALUDI: pag. 52-53 Luce/Alinari; pag. 53 Luce/Scala; pag. 54 (a) Farabola, (b) Fototeca Gilardi; pag. 55 (as) TCI/Contrasto, (ad) Fototeca Gilardi, (cs) A3/Contrasto, (cd) Farabola. SIAM FASCISTI!: pag. 56 (da sinistra) archivio, Olycom, archivio; pag. 57 (da sinistra) Scala, GBB/ Contrasto, Olycom, archivio; pag. 58 (da sinistra) GBB/Contrasto (2), archivio (2); pag. 59 (da sinistra) archivio (2), Getty Images, archivio. 11 PITTORI PER UN VENTENNIO: da pag. 60 a pag. 64 Photoservice Electa (9); pag. 64 Alinari; pag. 65 Photoservice Electa. IL FASCISTA PERFETTO: pag. 66-67 A. Bruni/ Alinari. A CONTI FATTI: pag. 68 (a) da G. F. Venè*, (c) archivio, (b) Publifoto/Olycom; pag. 69 (a) Fototeca Gilardi, (b) Farabola; pag. 70 (a) Farabola, (as, ac) Fototeca Gilardi; pag. 71 Farabola; pag. 72 (a) Alinari, (b) da G. F. Venè* (3); pag. 72-73 Publifoto/ Olycom; pag. 73 da G. F. Venè* (3). AL MERCATO AUTARCHICO: pag. 74 e lato interno inserto: M. Gusmeroli (9), Realy Easy Star (11), Fototeca Gilardi (4), C. Balossini (1), Archivio Museo dell’Automobile “Bonfanti-Vimar” – Romano d’Ezzelino (Vi) (1). IL VENTENNIO FASCISTA: pag. 75 e lato esterno inserto, da sinistra: Getty Images, Scala, Getty Images 82), Corbis, Getty Images, Corbis, Alinari, Corbis, Scala (2), Getty Images, Getty Images (6) Corbis, Getty Images (2). UN POSTO AL SOLE: pag. 76 Luce/Alinari; pag. 76-77 Luce/Alinari; pag. 78-79 Corbis; pag. 78 (c) M.
Chiodetti/coll. A. Brisone, (b) cortesia A. Beltramini; pag. 79 (b) cortesia A. Beltramini; pag. 80 (as) cortesia P. Zavattoni, (b) cortesia A. Beltramini (2); pag. 81 Farabola, (bs) Alinari, (bd) cortesia P. Zavattoni; pag. 82 (a) Corbis, (b) cortesia A. Beltramini (2); pag. 83 (bc) Fototeca Gilardi, (bd) Luce/Alinari. PAROLE IN FASCISTESE: pag. 84-85 Corbis; pag. 86 (a) Corbis, (bs) Alinari; pag. 87 (a) Farabola (b) Olycom. QUALCOSA È RIMASTO: pag. 88 R. Caccuri/ Contrasto (3); pag. 89 (as) GBB/Contrasto, (bc) R. Caccuri/Contrasto, (bs) D. Vittimberga, (ad) Fototeca Gilardi, (cd) P. Chiuppi. QUANDO NON C’ERA IL WEEKEND: pag. 90-91 Farabola; pag. 91 (as, cs) Farabola, (bs) Alinari; pag. 92 (as, b) TCI/Alinari, (ac) Farabola, (ad) cortesia E. Borsari; pag. 93 (a) TCI/Alinari, (b) Farabola (2); pag. 94 (as) M. Chiodetti/coll. A. Brisone, (ad, c) Publifoto/Olycom; pag. 94-95 da G. F. Venè*; pag. 95 (a) Alinari, (b) Fototeca Gilardi (3). LA FABBRICA DEI SOGNI: pag. 96 (as) GBB/ Contrasto, (bs) Alinari, (cd) Photoservice Electa; pag. 97 (as) Luce/Alinari, (ac) Everett/Contrasto, (ad) Farabola , (bd) Corbis. DAL FOCOLARE AL BORDELLO: pag. 98 (as) Fototeca Gilardi, (bd) Photoservice Electa/AKG; pag. 99 Alinari; da pag. 100 a pag. 103 icone da Italia in camicia nera (Rusconi) coll. A. Brusore, pag. 100 (a) Publifoto/Olycom, (b) archivio; pag. 101 (a) Alinari, (b) Farabola; pag. 102 (as, bs) Alinari; pag. 103 Farabola. GLI SCIENZIATI DEL DUCE: pag. 104 Alinari; pag. 105 (as, c) Corbis, (ad) Publifoto/Olycom; pag. 106 (as, bc) Corbis, (ad) Fototeca Gilardi; pag. 107 (a) Corbis, (b) Fototeca Gilardi. IL TEMPO DEI GELONI: pag. 108 Publifoto/ Olycom; pag. 108-109 Publifoto/Olycom; pag. 109 (as, c) Fototeca Gilardi, (b) Farabola; pag. 110 (a) Alinari, (b) Fototeca Gilardi; pag. 111 (a) Fototeca Gilardi, (b) Farabola. NIENTE CARNE, SIAMO ITALIANI: pag. 112 Publifoto/Olycom; pag. 113 (as) Publifoto/Olycom, (ad, c) Fototeca Gilardi, (ac) Photoservice Electa; pag. 114 Farabola; pag. 115 Publifoto/Olycom (3). LA SAPETE L’ULTIMA?: pag. 117 Getty Images. IL FASCIO VA IN CAMPO: pag. 118 Farabola; pag. 119 (a) Luce/Alinari, (cd) Scala; pag. 120 (cs) Getty Images, (c) Fototeca Gilardi; pag. 120-121 Farabola; pag. 121 (bc) Fototeca Gilardi, (bd) Farabola; pag. 122 (ad, bs) Farabola, (c) Getty Images, (bd) Fototeca Gilardi. FRATELLI D’ITALIA: pag. 124-125 Farabola; pag. 125 Luce/Alinari; pag. 126 (a) Fototeca Gilardi, (bs) Museo del fumetto e della comunicazione Franco Fossati; pag. 126-127 Luce/Alinari; pag. 127 Luce/Alinari; pag. 128-129 Luce/Scala; pag. 129 (a, c) Leemage, (b) immagini tratte dal Catalogo della mostra Dalle leggi antiebraiche alla Shoah. Sette anni di storia italiana 1938-1945 (Skira) a cura della fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea CDEC, Roma, 10/2004-01/2005 (2). LA VITA SCOMODA: pag. 130-131 DEA/Alinari; pag. 132-133 Corbis; pag. 132 Fototeca Gilardi (3); pag. 133 (ad) Publifoto/Olycom, (b) cortesia E. Borsari (2). I GRANDI ANTIFASCISTI: pag. 134 (da sinistra) GBB/Contrasto (2), archivio; pag. 135 (da sinistra) A3/Contrasto, archivio, GBB/Contrasto, archivio; pag. 136 (da sinistra) GBB/Contrasto, Getty Images, GBB/Contrasto (2); pag. 137 (da sinistra) archivio (2), GBB/Contrasto, archivio. LO SFASCIO: pag. 138 Farabola; pag. 139 Corbis; pag. 140-141 Corbis; pag. 141 (ad, c) Fototeca Gilardi, (b) Corbis; pag. 142 Corbis (2); pag. 143 Magnum/Contrasto. BIBLIOGRAFIA: pag. 144 e 145 archivio (6). *Gian Franco Venè, La vita quotidiana degli italiani durante il fascismo (Mondadori). L’editore è a disposizione degli eventuali detentori di diritti che non sia stato possibile rintracciare.
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Alle prime luci del 9 settembre 1943, ad armistizio appena proclamato, il re abbandona la Capitale a bordo di una Fiat 2800 nera per fuggire al sud, lontano dalla vendetta tedesca…
Nel 1964 Luigi Barzini, tentò di intercettare la nostra identità descrivendo l’Italia della civiltà immortale e quella delle sciagure nazionali, senza dimenticare l’Italia amata dai turisti…
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STORIA DELLA PIRATERIA Dai vichinghi del nord Europa ai corsari inglesi, dai bucanieri ai predoni del nord America, una lettura che si lancia all’inseguimento e alla scoperta di questi criminali ed esploratori dallo spirito libero.
“
Gli uomini passano ma gli ideali restano e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini.
”
Giovanni Falcone
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FOCUS STORIA BIOGRAFIE LE VITE PIÙ APPASSIONANTI VISTE SEMPRE PIÙ DA VICINO. Come morì il grande scienziato Archimede? Chi ispirò la favola di Barbablù? Come erano gli italiani agli occhi di Charles Dickens? Cosa avvenne nei giorni degli attentati in cui morirono i magistrati Falcone e Borsellino? Cosa brevettò Hedy Lamarr, attrice famosa per il primo nudo del cinema? Chi era Giulio Ricordi e come contribuì al prestigio dell’opera lirica italiana? Scopritelo con Biografie, il magazine che dà ragione a chi disse “La storia non è altro che la biografia dei grandi personaggi”.