N°3 Novembre 2010 d € 5,90 d www.focusstoria.it
SOLDATI E BATTAGLIE NEI SECOLI
LA NASCITA NELLE STEPPE ASIATICHE, L’EPOCA D’ORO DEL MEDIOEVO, LE GRANDI CARICHE E IL LENTO DECLINO
LEGIONE STRANIERA
Origini e modernità di un corpo leggendario
Sped. in A. P. - D.L. 353/03 art. 1, comma 1 NE/VR
Focus Storia Wars n° 2-3
L’EPOPEA DELLA
CAVALLERIA CAPORETTO Fu una disfatta o piuttosto una ritirata strategica?
PROPAGANDA La 2a guerra mondiale a colpi di manifesti
VESTIVANO COSÌ L’armatura del samurai pezzo per pezzo
WARS
SOMMARIO
Una lunga cavalcata fino al cielo Abbiamo scelto di dedicare il dossier di questo numero a un’Arma. E la prima non poteva che essere la più nobile di tutte: la cavalleria. Nobile nel vero senso della parola, perché nel Medioevo i cavalieri costituivano la classe dominante della società (e ancora oggi il titolo di “cavaliere” è conferito in molti Paesi europei come onorificenza). Fu quella l’epoca d’oro della cavalleria: il cavaliere medioevale, armato di lancia e rivestito da una pesante armatura, era il nerbo degli eserciti di quel periodo. E l’etica cavalleresca era un ideale a cui gli uomini del tempo si ispiravano. Ma con l’apparire delle armi da fuoco iniziò un lento declino, che porterà i cavalli a essere sostituiti da autoblindo e carri armati, e i loro cavalieri a inseguire lo spirito di una volta a bordo dei primi aeroplani. Marco Casareto d direttore
Di corsa 1917: dopo Caporetto truppe italiane si ritirano oltre il Piave.
6 CAPORETTO: DISFATTA O RITIRATA STRATEGICA? RILETTURE
Cadorna subì a una disfatta rovinosa, come ci insegna la Storia, o vi sono elementi fino a oggi trascurati che possono farci vedere questa sconfitta sotto una diversa luce? C’è chi sostiene che quel 24 ottobre del 1917 l’esercito italiano fosse pronto a ripiegare secondo un piano preciso...
14 L’ARMATURA DEL SAMURAI VESTIVANO COSÌ
16 ICONFLITTO FILM SUL SECONDO MONDIALE UNA GUERRA AL CINEMA
La guerra più cruenta in una escalation di grandi film, dal D-Day alle Ardenne, dal generale Patton al cecchino sovietico.
RUBRICHE
L’EVOLUZIONE DI UN’ARMA
PAG. 13
APPUNTAMENTI
PAG. 51
LIVING HISTORY TRUPPE D’ÉLITE RECENSIONI
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20 DALLE STEPPE ALLE STALLE LE ORIGINI
Tutto iniziò nelle grandi steppe asiatiche. L’uomo imparò a inforcare un cavallo, a imporgli una direzione e ad apprezzarne la velocità.
26 TI PROCLAMO CAVALIERE L’EPOCA D’ORO
Era questa la formula con cui il signore feudale creava il suo esercito di guerrieri scelti, l’élite di un’epoca: il Medioevo.
34 CAVALCANDO IN GUERRA L’EVOLUZIONE
Molto più di una corazza. Quella dei guerrieri giapponesi era espressione di una filosofia di vita e di un codice etico.
WARS
DOSSIER CAVALLERIA
PAG. 18 PAG. 78 PAG. 80
Razze equine, finimenti, protezioni... Per secoli questi elementi si sono sviluppati di pari passo con l’impiego del cavallo sui campi di battaglia.
40 GRANICO, PAVIA, WATERLOO... LE GRANDI CARICHE
Alessandro Magno iniziò a usare la cavalleria in maniera innovativa, ma altri dopo di lui hanno fatto Storia con cariche vittoriose. O suicide.
46 DAGLI ZOCCOLI ALL’ACCIAIO LA FINE
In pochi decenni, nel XX secolo, le nuove scoperte hanno segnato la fine della cavalleria, decretando il passaggio dalle truppe montate ai reparti meccanizzati.
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WARS
SOMMARIO
Combatti tovarich! Nel 1941 l’Urss spronava i suoi figli in guerra con l’esempio degli eroi russi di ogni tempo.
52 LE ARMI DELLA PROPAGANDA
68 COSÌ SI DIVENTA FRATELLI D’ARMI
60 ORIZZONTI DI SABBIA
76 I CORNUTI
MEMORIE
Messaggi subdoli o scoperti, linguaggio pubblicitario, richiamo agli antenati: sono i manifesti della Seconda guerra mondiale.
CORPI LEGGENDARI
Gli uomini dal kepi bianco, tra leggenda, episodi eroici e bagni di sangue, per saperne di più sul mito del legionario francese.
REPORTAGE
Ecco che succede a chi si arruola oggi nella legione straniera, raccontato dalla prima reporter ammessa nel fortino di Gibuti.
UNIFORMOLOGIA
A noi il nome può apparire bizzarro, ma l’imperatore romano Costantino apprezzava molto questa unità di barbari.
WARS I NOSTRI ESPERTI
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Giorgio Albertini
Andrea Frediani
Stefano Rossi
Milanese, 42 anni, laureato in Storia medievale, illustratore professionista per case editrici e riviste (giorgioalbertini.com).
Romano, 47 anni, medievista, ha scritto vari saggi di storia militare e romanzi storici di successo (andreafrediani.it).
Milanese, 51 anni, già ufficiale degli Alpini paracadutisti e reporter di guerra, collabora con numerose testate.
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In edicola c on
UNA ECCEZIONALE COLLANA DI
e
STORIA MILITARE N el 1862 il famoso generale colo nei cieli, dai brutali corpo a corpo confederato Robert E. Lee affrontati con le armi bianche ai conscrisse: “Quello che è così ter- flitti guidati a distanza con le tecnoribile della guerra è che potremmo tro- logie più moderne. Una straordinavarci ad amarla”. Una frase che ben ria opera enciclopedica, arricchita da definisce le due emozioni contraddit- migliaia di foto di eccezionale qualità, torie che la guerra ha sempre suscitato schemi tattici dettagliati, illustrazioni nell’animo umano: fascino e repulsio- a colori e tavole cronologiche, per cone. Focus Storia e Panorama presen- noscere e capire la guerra, i suoi effettano oggi una straordinaria collana di ti sulla società e sull’economia, le te20 volumi illustrati, unici e spettacola- stimonianze dei protagonisti, i teatri ri, dedicati alle guerre nella Storia, alle operativi, le armi e le strategie. armi usate per combatterle e ai soldati Imperdibile. Il primo volume, dediche ne sono stati protagonisti. cato alla Seconda guerra mondiale, è Inseparabile. La guerra ha infatti in offerta a soli € 4,90 (oltre al prezzo accompagnato l’uomo lungo tutto il della rivista). I successivi 6 volumi delsuo cammino sulla Terra, come me- la collana sono già disponibili in edicotodo violento per risolvere le dispute. la. Gli altri usciranno con cadenza setGià le prime comunità umane com- timanale, come indicato nel riquadro a battevano tra di loro per il possesso destra. Per saperne di più o per acquisti del cibo e il controllo del territorio. Ma da casa: www.mondadoriperte.it, www. le prime guerre tra eserciti organizzati tuttocollezioni.com, tel. 199.152.152.d di cui ci sia giunta traccia furono combattute nel III millennio prima di Cristo tra le città-Stato sumere. Da allora, raramente c’è stata una generazione che, in qualche modo, non abbia conosciuto un conflitto. Tra il 1500 a. C. e il 1860 della nostra era si è calcolato ci siano stati tredici anni di guerra per ogni anno di pace. Dunque si può ben dire che la storia del mondo è essenzialmente la storia della guerra. Il punto di forza di quest’opera, scritta da autorevoli studiosi e meravigliosamente illustrata, sta nel coprire più di 5 mila andel Vietnam La Guerra ni di storia militare – dai Sumeri ai giorni N 58.336 nostri – analizzandone tutti i diversi aspetti. Dal modo in cui sono state vinte e perse battaglie e campagne all’orgaAlcune pagine della nizzazione e all’equipaggiamento de- collana: aerei della II gli eserciti, dai combattimenti per ma- GM, Vietnam, guerre re dell’antichità a quelli dell’ultimo senavali del ’700. 206-207-Seconda
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IL RAID SU AMBURGO
AER EA LA GUE RRA ESC HI Euenti strategici in LI TED destinarono considerevoli forze aeree ai bombardam l’Avro LancaNEI CIE i della RAF era B-24 Lie Stati Uniti dal Comando bombardier i Consolidated Gran Bretagna
Apertura 1290 CV Royce Merlin da Equipaggio 2 Motori 2 Rolls 656 km/h Velocità massima m Lunghezza 12,34 due sotto le ali; kg all’interno e bombe da 225 Armamento 4 da 1800 kg oppure una bomba
Torretta anteriore
P-51D Mustangdi scortare i bombardieri su qualsiasi
Torretta ventrale
Boeing B-17G bombardiere ne limitava Fortezza volante difensivo di questo Il pesante armamento e, in assenza di scorta, non era sufficiente ne il carico utile di bombe nemici. Entro la fine della guerra caccia a tenere lontani i esemplari. furono costruiti 13.000 da 1200 CV Cyclone radiali Motori 4 Wright m Lunghezza 22,8 31,6 m Apertura alare Equipaggio 10 486 km/h Velocità massima .50 pollici; mitragliatrici da Armamento 13 di bombe massimo carico 5800 kg come
Comandante, navigatore, primo operatore radio, motorista di bordo
Torretta del mitragliere centrale
B-24J Liberator di produrne ben 18.500 del Liberator permise furono impiegati La semplicità costruttiva dei quali del conflitto, molti a quella di qualsiasi esemplari nel corso una di un’autonomia superiore possedeva tuttavia nel Pacifico. Dotato guerra mondiale, fuoco altro aereo della Secondain formazione e tendeva a prendere volo veniva colpito. scarsa attitudine al velocemente quando CV o a esplodere molto
Consolidated
1200 Wasp radiali da & Whitney Twin Motori 4 Pratt m Lunghezza 20,5 33,5 m Apertura alare Equipaggio 10 483 km/h Velocità massima .50 pollici; mitragliatrici da Armamento 10 di bombe massimo carico 5800 kg come
Bf 110C-4 Messerschmittsuccesso come caccia di scorta nella battaglia
Il Me 110 non ebbe azioni notturne, in si rivelò efficace nelle e di due cannoncini d’Inghilterra, ma venne dotato di radar l’alto. Entro il 1945 particolare quando che sparavano verso montati dietro l’abitacolo 6000 esemplari. circa ne erano stati prodotti CV Benz da 1475 Motori 2 Daimler m Lunghezza 12,07 16,25 m Apertura alare Equipaggio 3 560 km/h Velocità massima mm; mm e due da 20 cannoncini da 30 Armamento 2 da 7,92 mm 2 mitragliatrici
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T I CONFLI
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Torretta del mitragliere di coda
Avro Lancaster
1942, nel Introdotti nel marzo i Lancaster del corso del conflitto della RAF 609.000 tonnellate Comando bombardieri missioni, sganciando 1800 chilogrammi compirono 156.000 in origine per portare al trasporto di di bombe. Progettato venne in seguito adattato da di bombe, il Lancaster come la “Grand Slam”, una bomba carichi molto maggiori, notturno, il Lancaster eseguì anche 9980 chili. Bombardiere le quali il raid su Augusta, i missioni diurne, tra Cross. Entro il 1945 alcune temerarie meritarono due Victoria allargate, a “stormo dove i suoi piloti si solitamente in formazioni Lancaster volavano di oche”. CV 1460 Royce Merlin da Motori 4 Rolls m Lunghezza 21,18 31,09 m Apertura alare Equipaggio 7 442 km/h Velocità massima .303 pollici; mitragliatrici da Armamento 10 ordinario di bombe massimo carico 6350 kg come
Focke Wulf 190A-8 caccia del conflitto, dotato di un uno dei principali o nella tarda
l’FW 190, il suo debutto in combattiment dello Spitfire V. motore radiale, fece agevolmente le prestazioni cacciabombardiere estate del 1941, superando successo anche come in grado Venne utilizzato con al suolo: in quest’ultimo ruolo era e come aereo da attacco chilogrammi di bombe. di portare fino a 500 CV radiale da 1700 Motore BMW Lunghezza 9 m 10,5 m Apertura alare Equipaggio 1 656 km/h Velocità massima 13 mm; mitragliatrici da Armamento 2 20 mm 4 cannoncini da
A LA GUERR
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Ne
DA LA SECON TI DOPO
PRIMA
condusse Vietnam del 1954 La divisione del quando al conflitto aperto, entro un decennio il paese cercò di riunificare il Nord comunista sotto il proprio governo.
GUERRA
M
1945-OGG ONDIALE
Fiu m
potere aereo
Hainan
a ago. 1964: nord-vietnamit supposto attacco iere USA. a un cacciatorpedin del Golfo del Tonchino La risoluzione le forze USA porta in guerra mar. 1965: le prime USA forze terrestri 1966 Con Thien sett. arrivano in Vietnam, 1968 di Dai Do apr-mag con il pretesto
Quang Tri Hue
proteggere le basi aeree
Da Nang
A Shau mar. 1966
Dak To
Nov 1967
Pleiku
Kontum
CAMBOGIA Kompong Thom
Tonle Sap
Ia Drang nov. 1965
Ban Me Thuot
Bu Gia Map mag. 1966
Loc Ninh
Phnom Penh
ott.-nov. 1967
Kompong Som
Golfo di
Thailandia
Vietnam del Nord Vietnam del Sud Frontiere nel 1964 Minh Sentiero di Ho Chi
sotto il controllo che il paese cadesse Sud per evitare americane nel Vietnam del che le truppe mandarono truppe e la meno popolare erano posti. Gli Stati Uniti obiettivi che si lunga, la più brutale il fallimento degli guerra fu la più comunista. La loro ritiro e con to, e finì con il abbiano mai combattu e distruzione” nella
missioni di “ricerca Sud controllate dai del aerei di rappresaglia aree del Vietnam bombavano il Nord. del Sud. Gli attacchi navali del Vietnam mentre il presidente le basi al comunisti, contro i porti e le truppe sudel maggio del 1961 un nel marzo del 1965, tutto il conflitto mal del Nord portarono, “Rolling Thunder”, Per John Kennedy mandò speciali il morale basso e ione forze vietnamite, con marginale. lancio dell’operaz contingente delle Sud , ebbero un ruolo di bombardamento nel Vietnam del combattiva comandate l’esercito del Vietnam del della una campagna (“i berretti verdi”), Al contrario, ad abbattere la volontàgli attacchi l’esercito alle tattiche dalla mirante per addestrarne del Nord tramite era preoccupato guerriglia. Kennedycomuniste nel Sud-Est del Vietnam di trasporti, alle difese aeree sistema marines primi crescita delle forze Vietnam del Sud come al suo I il e alle aree industriali. del Sud in marzo, asiatico e vedeva l’espansione. Alla sua sbarcarono nel Vietnam un bastione contro aveva portato il per proteggere le basi da cui decollavano Kennedy mentre le prime morte, nel 1963, inVetnam 16.300 unità. , gli aerei della missione, numero delle truppecomunisti stavano truppe dell’esercito i A metà del 1964 la 173esima Brigata nel Il numero guadagnando terreno aviotrasportata, in di missioni in maggio. Sud e sembravano del arrivarono contro il Vietnam grado di assumerne Le truppe americane, dei velivoli americani ne “Rolling Thunder”. il controllo, a meno a cui si erano aggiunte Nord nell’operazio che gli USA non i da Australia, Nuova loro unità provenient Sud,Tailandia e aumentassero la del Il 2 agosto la USS Zelanda, Corea presenza militare. costantemente di alcune crebbero con Trappole viet cong Filippine, armi semplici. “Maddox” si scontrò amite nel Golfo massimo di 530.000 I viet cong costruirono numero, fino a un do chiodata che torpediniere nord-vietn alle coste del Vietnam uomini nel 1969. Consideran costosa e a Tra queste, una placca nella gamba del Tonchino, vicino Lyndon Johnson e del Nord troppo con la si rompeva per penetrare ione un’invasion veniva fatta detonare del Nord. Il presidente uno scontro e una granata che ottenere l’autorizzaz rischio di provocareamericani preferirono usò l’incidente per in un filo. gli se si inciampava intraprendere i passi Cina e l’URSS, dal Congresso “a fuoco per organizzare l’uso delle forze usare il potere di necessarii, compresosostegno al Vietnam fornire per armate”
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A
Golfo del Tonchino
Khe Sanh gen.-apr. 1965 Hamburger Hill mag. 1969
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usato dagli era un defoliante L’agente Orange la vegetazione in americani per distruggere dai bidoni in cui derivava Vietnam; il nome a strisce arancione. veniva trasportato, crescita induceva una rapida L’agente Orange eliminando dal suolo che uccideva le piante privando così il nemico la densa vegetazione, circa Ne vennero sparsi , della sua copertura. Il composto comprendeva 80.000 metri cubi. per tossiche chimiche però, anche sostanze vietnamiti Dei 4,8 milioni di gli esseri umani. Orange, l’agente con venuti a contatto o rimasero invalidi 400.000 morirono 500.000 mentre nacquero in qualche modo, molti malformazioni. Anche bambini con varie per soffrirono conseguenze soldati americani l’agente. il contatto con
VIETNAM DEL NORD
THAILANDI
Legenda
ti erano combatten Nord e i viet cong ricevevano i loro disciplinati, che armi dai rifornimenti di Minh sentieri di Ho Chi e di Siahnouk attraverso Cambogia la e Laos. Usavano del loro conoscenza territorio e il sostegno della popolazione per colpire di sorpresa gli americani, prima di sparire nella giungla. La loro abilità di che cecchini e le trappole usavanofurono efficaci USA, contro le truppe guerriglia. non avvezze alla del Tet L’offensiva comandante
Le mappe per la
guerra
contenitori ai viet cong questi I cinesi fornirono mappa mostra in per le mappe. Questa del nemico e le dettaglio le posizioni linee di trasporto.
323
Haiphong
Vientiane
NORD IL VIETNAM DEL e di Diem era repressivo Al Sud, il Governo autorizzò il Vietnam del Nord corrotto. Nel 1956 a iniziare una guerra i comunisti del Sud nel Sud quadri per d’insurrezione, inviando nel 1959. Questi organizzare la guerriglia cong. detti viet guerriglieri furono
L’AGENTE ORANGE
NAM DEL VIET
Hanoi
SAM NEUA
LAOS
1954: linea di tra Nord e Sud, demarcazione Ginevra Conferenza di stabilita dalla
IL VIETNAM DIVISO del luglio 1954 misero Gli accordi di Ginevra (vedi pp. francese in Vietnam fine alla presenza Minh prese il paese. Ho Chi 318-319) e divisero Vietnam Democratica del la guida della Repubblica comunista. Ngo Dinh controllo del Nord, sotto il del Vietnam del Sud. Diem prese la guida
TECNOLOGIA
già in edicola
4. Prima guerra mondiale vol. 2
già in edicola
5. L’arte della guerra vol. 1
già in edicola
6. L’arte della guerra vol. 2
già in edicola
7. L’arte della guerra vol. 3
già in edicola
207
DEL 24 LUGLIO
1943
8. Soldati vol. 1
17/11/2010
9. Soldati vol. 2
24/11/2010
10. Armi vol. 1
01/12/2010
11. Armi vol. 2
08/12/2010
12. Battaglie navali vol. 1
15/12/2010
13. Battaglie navali vol. 2
22/12/2010
14. Aerei vol. 1
29/12/2010
15. Aerei vol. 2
05/01/2011
16. Aerei vol. 3
12/01/2011
17. Navi vol. 1
19/01/2011
18. Navi vol. 2
26/01/2011
19. Grandi battaglie vol. 1
02/02/2011
20. Grandi battaglie vol. 2
09/02/2011
os so
1965-69: dai aree controllate USA dagli comunisti bombardate
per
in Vietnam, usati largamente Gli elicotteri furono sia in missioni storia della guerra, la prima volta nella quantità di il trasporto di grandi d’attacco sia per missioni come furono anche le truppe; numerose per i feriti. ambulanze volanti
SUD IL VIETNAM DEL degli Stati 1955 il presidente Nel novembre del inviò 740 uomini Uniti Dwight D. Eisenhower l’Assistenza Militare per del Gruppo Consiglieri dell’esercito del Vietnam come addestratori segnò l’inizio ufficiale del Sud. Il loro arrivo to USA in Vietnam. del coinvolgimen
3. Prima guerra mondiale vol. 1
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Vinh Yen Dien Bien Phu Hoa Binh
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Pianura di Jars
L’indispensabile
NELLA NOTTE
Cupola del sistema radar H2S, sotto la fusoliera
Secondo operatore radio/mitragliere
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322-323.qxp:Layo
già in edicola
DESCRIVENDO SQUADRONE, città, WOOD, DEL XII aeronautiche della delle fabbriche mesi, ma molte della direttiva poiché a tappeto raggiunse o l’obiettivo principale Hammerbrook, altrove dal mibombardamenti su che costituivan La campagna di dove rapidamente dislocate Mi diressi verso 1943, con il raid Pointblank, furono e della scuola fine di luglio del Neppure la proquesta operail suo apice alla i, Albert Speer. nella direzion base stava ancora città tedesca. Per nistro degli armament danni irreparabili. avevamo la nostra era quasi una nuova arAmburgo, la seconda subì cosa. L’aria bombardieri impiegò duzione di U-Boote mi bruciando ogni zione il Comando : al fine di confone le mie ferite codice “Window” irrespirabile DI B ERLINO ma, dal nome in oltre un miliod’inferno. Cadaveri L A BATTAGL IA vennero lanciate Pointblank, di tedeschi, facevano un male per la maggior direttive chiaradar alle dere i gli americani teoria fosse ligio dei bommetalliche (che giacevano ovunque, i vestiti erano a Sebbene in ne di piccole strisce un convinto sostenitore frumento). Grazie nudi, poiché 3 novembre me la pula del tutto Il parte Harris rimase sempre cocalore a “Chaff”co tedesche. del città mavano Alleati riuscirono i a tappeto delle bruciati. A causa va sembrava unisce allo sfornotte del 24 gli er bardament «Se l’USAAF si Window, nella la linea Kammhub ciò che mi circonda 1943 disse a Churchill: ente di sorpresa noi costerà 400a proo. di completam Berlino: gliere incendi radere al suolo essersi ristrett di Beril raid provocò io- zo, possiamo la guerra». La battaglia LanPROPOSITO e le difese di Amburgo; ro le comunicaz DEL FUOCO, A , che interruppe GIOVANE VIGILE 500 aerei, alla Germania LA NOTTE con un raid di 440 HERBERT BRECHT, COLPÌ AMBURGO porzioni devastanti i vigili del fuoco il 18 novembre DI FUOCO CHE DELLA TEMPESTA lino ebbe inizio interi isolati, mentre attacchi sulla capitale 1943 il fuoco. ni e bloccarono DEL 27 LUGLIO primo di 16 importanti battaglia vana contro trattò dell’ulla caster; fu il su altre città. Si combattevano una su 795: questo bombardieri colpì combinati con 19 con i bombarabbattuti 95 velivoli luglio il Comando no nel tedesca, La notte del 27 per cercare di vincere berga, in cui vennero Berlino, duranaerei provocaro della battaglia di timo grande sforzo volta: oltre 700 le 600 determinò la fine città una seconda fuoco che raggiunse nte co- evento avevano ormai raggiunto damenti a tappeto. una tempesta di in un terrifimolto lontano, perenneme raid di te la quale le perdite alleate che un sisettore orientale costretto a riconoscere Dopo i prime ore del mattino, Berlino era un obiettivo fu a nelle difeso. e Harris ben apice Nele Dresda suo il esteso ripetuto a i cac- unità. Perfino non era sostenibile. perto da nubi, troppo che si sarebbe delle operazioni nuove tattiche per cante scenario i suoi bomsi rifugiò in cammile andamento avevano adottato verso le forla possibilità di dotare agosto, i tedeschi Un milione di persone guidati 600 considerò 1945. a nel egli oltre venivano 1944 Tokyo che distrutte, in- l’aprile volando con la protenotturni bimotore abitazioni andarono al suolo. Queste di scorta. Anche stasubì altri cia pagna; 215.000 ri da controllori bardieri da caccia bombardieri britannico oli officine. Amburgo quando gli aemazioni di bombardie Comando il innumerev e particolare agosto in 2 tenebre, del delle fabbriche efficaci, avevano già zione l’ultimo nella notte novazioni si rivelarono che non veniva dilezione che gli americani due bombardamenti, provocarono l’insistema radar SN-2, va imparando una poter colpire il cuore di 730 aerei. I raid rei erano dotati del marzo 1944 il Cogiorno: prima di 30 il del due notte durante la per da una formazione Per appreso la Luftwaffe. ne su Norimsturbato da Window. produzione industriale occorreva sconfiggere terruzione della ri organizzò un’incursio del Terzo Reich mando bombardie i raid Amburgo dopo principali raid dei mesi di luglio sganciate Nel corso dei quattro Amburgo furono e agosto 1943, su bombe. Nonostante un livello 8334 tonnellate di precedenti, la città di devastazione senza a rapidità. si riprese con straordinari
Mosquito come De Havilland in legno e progettato Realizzato quasi interamente era più veloce di qualsiasi il Mosquito bombardiere diurno, venne infatti utilizzato estremamente versatile: in picchiata, la caccia caccia a pistoni ed i bombardamenti la anche per la ricognizione, nto notturno di precisione. Durante notturna e il bombardamecirca 6700 esemplari. costruiti alare 16,45 m guerra ne furono
mitragliere Postazione del G, centrale: nel modello 1943, introdotto nell’autunnoda vetri chiusa essa era spesso
Torretta di coda
2. Seconda guerra mondiale vol. 2
AEREA LA GUERRA
TENENTE PILOTA
divisi tra con i A partire dal 1942 maggiormente impiegato invece equamente potesse essere vinta del 1944 l’aereo americana venivano e perdite alleata che la guerra ropa. Entro la fine dell’VIII Air Force La convinzione subirono pesantissim ster. I compiti operativi le cosiddette “Fortezze volanti”. americani e inglesi diurni e notturni B-17, 1943-1944, quando a opera dei caccia berator e i Boeing a dura prova nel nei cieli tedeschi, periodo solo il 35% strategici fu messa Durante questo bombardamenti della Luftwaffe. poteva aspettarsi i dell’VIII Air Force operative. dei bombardier ciclo di 25 missioni di concludere un
CV Merlin da 1490 Motore Rolls Royce/Packard m Lunghezza 9,83 11,27 m Apertura alare Equipaggio 1 703 km/h kg, Velocità massima bombe da 450 .50 pollici e due mitragliatrici da Armamento 6 le ali da 5 pollici sotto oppure 6 razzi
1. Seconda guerra mondiale vol. 1 già in edicola
era come rgo, era affascinante: andosi ad Ambu di lampi.” “La vista, avvicin un mare di luci e si facesse strada in se un fiume nero
4 DIFENSIVA 1943-194 L’ASSE SULLA
aveva serbatoi Grazie alla capacità continentale poiché 1944 il Mustang obiettivo nell’Europa nella primavera del supplementari sganciabili, guerra aerea. Il P-51D non veniva della abbattere cambiò l’andamento per individuare e scorta, ma anche utilizzato solo come i caccia diurni nemici.
Ecco il piano dell’opera Guerre e battaglie - Armi, soldati, strategie con i temi delle uscite settimanali. Il primo volume è in offerta a € 4,90 (oltre al prezzo della rivista), i successivi a € 14,90.
An Loc Xuan Loc Phan Thiet
Bien Hoa
Can Tho
Ca Mau
Sentiero di Sihanouk o USA con coinvolgiment Principali battaglie 1968 Offensiva del Tet, 1974-75 Offensiva finale,
mar. 1968: famigerato massacro di 300-400da civili sud-vietnamiti USA parte dei soldati a My Lai
Qui Nhon
VIETNAM DEL SUD
Phuoc Long
Mar Cinese Merid.
a nord-vietnamitvengono apr. 1975: l’esercito I civili americani circonda la città.elicotteri dal tetto evacuati con gli . Resa finale dell’ambasciata 300 km 0 300 miglia N 0
Saigon
La Guerra in Vietnam
comunista sotto il governo La guerra per unificare nel Sud, fu combattuta soprattutto attraverso l’intero Vietnam truppe rifornivano le loro con i comunisti che e Cambogia. dei neutrali Laos i sentieri nella giungla nel Nord. bombardarono bersagli Gli aerei americani
del conflitto, nell’intento “vietnamizzazione” del Vietnam del Sud di rafforzare l’esercito con almeno parte e di ritirare le truppeAllo stesso tempo, sulle della dignità intatta. i bombardamenti Nixon aumentò rifornimento dei viet di basi e sulle linee e in Laos. Le truppe cong in Cambogia ite invasero anche USA e sud-vietnam nel 1970, nella to, brevemente la Cambogia le vie di rifornimen speranza di tagliare misure ebbe successo. lanciò ma nessuna di queste il Vietnam del Nordusando A Pasqua 1972 Sud su larga scala, un’invasione del Il numero di soldati americani uccisi oltre un Morirono anche durante la guerra. tra civili e militari. milione di vietnamiti,
e forniti dall’Union carri e artiglieria dapprima fu un il A metà del 1967 pubblica, che avevanon generale Sovietica. L’attacco Nord ottenne il alla Uniti. L’opinione americano nel Vietnam, ora riteneva che no successo e il Vietnam del Sud; poi fu di and, vedeva “la luce sostenuto la guerra, aree del William Westmorel truppe vincerla e aumentaro controllo di ampie e sperava che le fosse più possibile truppe luglio. Il mese seguente, anni. fine del tunnel” chiedeva che le fatto arrestato nel ritirate entro due le proteste di chi crescente tributo di combattente americana potessero essere Il l’ultima divisione bombardamenti no che si sbagliava, tornassero a casa. caduti nel solo 1968 i Gli eventi dimostrarodel 1968 i viet cong lasciò il Vietnam; alla fine di dicembre. vite – più di 14.000 A marzo, Johnson quando nel gennaio del Tet. Furono sul Nord cessarono Stati Uniti e il – fece salire la rabbia. lanciarono l’offensivatutto il Vietnam si sarebbe ripresentatodi Nel gennaio del 1973 gli non che gli in annunciò firmarono Accordi attaccati obiettivi di avviare colloqui Vietnam del Nord una sollevazione alle elezioni e cercò del Nord. I colloqui stabilendo un cessate del Sud per provocareriuscirono anche ad di pace di Parigi, cong pace con il Vietnam americane lasciarono di quell’anno. popolare. I viet il fuoco. Le unità a americana a Saigon. iniziarono a Parigi nel maggio dopo. attaccare l’ambasciat comuniste avessero di Richard Nixon, il paese due settimane la L’amministrazione Sebbene le forze l’offensiva ebbe un 1968, introdusse eletto nel novembre subito pesanti perdite, Stati psicologico negli grande impatto
DOPO
deciso a Parigi prevedeva ma Il cessate il fuoco paese, stati sul futuro del colloqui tra i due anche dopo la partenza le ostilità continuarono degli americani.
UN VIETNAM RIUNIFICATO travolsero i nord-vietnamiti Nel marzo del 1975 mettendo Saigon in aprile e il Sud, prendendo fine alla guerra.
LA CAMBOGIA Khmer Rossi assunsero Nel 1975 i guerriglieri inizio a una Cambogia, dando il controllo della della società; ristrutturazione rivoluzionaria oltre un milione assassinati nel processo furono di frontiera 1978 alcune dispute invase di cambogiani. Nel con il Vietnam, che portarono a un conflitto un governo filola Cambogia installando vietnamita.
LA CINA il LA GUERRA CON contro gli Stati Uniti, Durante la sua guerra sia dell’URSS ebbe il sostegno Vietnam del Nord sempre dal 1978, si schierò che della Cina ma, L’invasione fianco dell’URSS. più nettamente al a una breve Cambogia portò vietnamita della nel da parte cinese, invasione del Vietnam febbraio del 1979.
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Giù dai monti La conquista austriaca di Santa Lucia d’Isonzo, durante l’offensiva di Caporetto.
l 7 giugno del 1916, nel pieno della Grande guerra, il primo ministro italiano Antonio Salandra ricevette, senza forse badarci troppo, una missiva “riservatissima personale” dal capo di Stato maggiore Luigi Cadorna, un quasi settantenne che conduceva da mesi un violento botta e risposta con gli austriaci sul fiume Isonzo, le cui acque smeraldine attraversavano il fronte di guerra e trascinavano nel golfo di Trieste rivoli rosso sangue. Quanto alla missiva, vi era scritto: “Non è da escludersi che la necessità del ripiegamento dall’Isonzo si imponga [...] per avvenimenti a noi sfavorevoli, inaspettatamente incalzanti [...]. In simile frangente ritardare il ripiegamento potrebbe travolgere l’esercito in un rovescio irreparabile”. Cadorna aveva così profetizzato quel che sarebbe accaduto solo un anno, quattro mesi e diciassette giorni dopo: lo sfondamento austro-tedesco sull’Isonzo datato 24 ottobre 1917. Fu quello il giorno in cui iniziò la battaglia di Caporetto (Karfreit per gli austriaci, Kobarid per gli sloveni entro i cui confini si trova oggi), nella quale il nostro esercito si cimentò in una rocambolesca ritirata che in due settimane lo portò indietro di quasi 200 chilometri, fino alle sponde del Piave. «L’evento entrerà nel linguaggio come sinonimo di “disfatta”, ma l’epiteto è un po’ immeritato» precisa Tiziano Bertè, curatore dell’archivio fotografico del Museo storico della guerra di Rovereto e autore del saggio Caporetto: sconfitta o vittoria? (Rossato Editore). «In fondo, per quale motivo Cadorna si sarebbe dovuto far cogliere alla sprovvista da qualcosa che aveva previsto e di cui conosceva i rischi? La risposta sta nel fatto che forse, a Caporetto, non vi fu alcuna rotta dell’esercito, ma una ritirata strategica». Per scoprire se andò così, partiamo da un conteggio numerico e da un documento d’archivio. Tutto previsto? Tra il 1915 (anno dell’entrata italiana in guerra) e il 1916 Cadorna scatenò sull’Isonzo nove offensive che, pur non portando grossi cambiamenti del fronte, costarono la vita a quasi 100 mila soldati. Nella primavera-estate del 1917, il decimo e undicesimo scontro fecero rispettivamente 36 mila e 30 mila morti: per l’Italia fu però una quasi vittoria, ▸
LA CELEBRE BATTAGLIA PASSÒ ALLA STORIA COME UNA DISFATTA. MA FORSE FU SOLO UNA RITIRATA STRATEGICA...
FU
DAVVERO UNA
CAPORETTO? 6
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Perdite italiane I corpi di alcuni italiani caduti presso Cividale del Friuli in seguito all’attacco delle potenze centrali dell’ottobre 1917
Xerit wis at. Giat Ut elesto odolo bore ea faciduip eummy nonse conse cte et adit velit nibh euguero consequis ad dunt iriuscin ulputat veliqui scidunt aci tat illandre tisl ex eniat,
Un mese prima Alcuni comandanti di pattuglia austriaci sul fronte dell’Isonzo nel settembre del 1917.
poiché ne uscì con il possesso dell’Altopiano della Bainsizza. «Di contro, quella che è considerata la madre di tutte le sconfitte, Caporetto, conterà poco più di 10 mila caduti. Un numero modesto, se confrontato con quelli precedenti» chiosa Bertè. Ma torniamo alla lettera con la quale abbiamo iniziato: Cadorna pensava realmente a un “ripiegamento dall’Isonzo” o si trattava di un’ipotesi buttata lì in un momento di sconforto? I documenti d’archivio dell’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito dicono che, ancora sei mesi prima della battaglia, il generale incontrò nel quartier generale di Udine il collega francese Ferdinand Foch (Francia e Inghilterra erano i due principali alleati dell’Italia) e gli parlò dei possibili sviluppi di un attacco
austro-tedesco sull’Isonzo. In tale occasione confermò che non escludeva affatto un prossimo ripiegamento e che meditava di “concentrare le forze italiane dietro il Piave”. Ecco dunque i primi elementi contrari alla “teoria della disfatta”: un epilogo che registra pochi morti (relativamente, s’intende) e un prologo che attesta come, già in tempi non sospetti, Cadorna pensasse a un arretramento del fronte. Rinforzi tedeschi. Gli austriaci dal canto loro, dopo la batosta rimediata sulla Bainsizza, chiesero aiuto agli alleati tedeschi, il cui capo di Stato maggiore, Paul von Hindenburg, inviò il generale Krafft von Dellmensingen a ispezionare il medio fronte isontino. Questi individuò nell’area tra le località di Tolmino (Tolmin, in sloveno) e Plezzo (Bovec) il tallone d’Achille del nostro esercito, che qui vedeva schierata la 2ª Armata guidata dal generale Luigi Capello. Più nello specifico, l’area antistante Tolmino era presidiata dal corpo d’armata di Pietro Badoglio e a Plezzo agiva il corpo guidato da Alberto Cavaciocchi. Più a sud, verso il mare Adriatico, c’era invece la 3ª Armata del duca Emanuele Filiberto d’Aosta, e nella parte interna del fronte, in zona dolomitica (quindi lontano dall’Isonzo) si dava da fare la 4ª Armata di Mario Nicolis di Robilant: un nome da tenere a mente. Da parte austro-germanica le truppe si organizzarono sotto la guida del generale tedesco Otto von Below, esercitandosi in particolare nella “tattica dell’infiltrazione”, che prevedeva l’uso di Luigi Capello Nel 1916 comandò il 6° Corpo d’armata che conquistò Gorizia. Nel 1917, con la 2a Armata, contribuì alla presa della Bainsizza, ma dopo la disfatta di Caporetto fu collocato a riposo. Nel 1925 aderì a un complotto contro Mussolini. Pietro Badoglio Tenente colonnello all’inizio della Grande guerra, all’epoca di Caporetto era diventato per meriti comandante del 27° Corpo d’armata. Capo di Stato maggiore dal 1925, si dimise nel ’40 dopo i primi insuccessi della Campagna di Grecia nella Seconda guerra mondiale. Nel luglio ’43 fu chiamato dal re a sostituire Mussolini e l’8 settembre proclamò l’armistizio con gli Alleati.
Il discusso generale
A destra, il generale Luigi Cadorna durante un’ispezione alle linee nel luglio del 1917 e (a sinistra) in un ritratto.
NUMEROSI INDIZI LASCIANO OGGI PENSARE CHE CADORNA NON FU AFFATTO COLTO DI SORPRESA DALL’ATTACCO NEMICO 8
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formazioni d’assalto (sturmpatrouilen) capaci di muoversi rapidamente tra le linee nemiche con compiti di incursione e sabotaggio, aprendo brecce per il passaggio dei fanti. «Di questa strategia Cadorna probabilmente non era a conoscenza, ma che l’offensiva si sarebbe svolta tra Plezzo e Tolmino lo sapeva eccome» aggiunge Bertè. «Le notizie di un’avanzata nemica proprio in quella zona circolavano da tempo grazie al lavoro svolto dai servizi segreti dell’esercito e alle voci riportate da Radio Scarpa». Alla fine dell’estate la “radio” diceva che erano in corso strane manovre nemiche, il cui scopo fu rivelato l’11 settembre da un disertore, che spifferò l’esistenza di un piano d’attacco austro-tedesco. Sulla difensiva. La Russia, altra grande rivale degli imperi centrali che teneva impegnata gran parte dei loro soldati, si apprestava nel frattempo ad abbandonare il teatro di guerra a causa dei rivolgimenti interni che avevano portato alla deposizione dello zar: temendo un prossimo spostamento di forze avversarie dal fronte russo a quello italiano, il 18 settembre Cadorna ordinò alla 2ª e 3ª Armata di stabilirsi quanto prima su “posizioni difensive”. Inoltre, nella relazione ufficiale dello stesso giorno riferirà che “le forze nemiche allontanano la possibilità di successo. Bisognerebbe ritirarsi su posizioni retrostanti che soddisfino due requisiti essenziali: minima estensione e massima resistenza”. «È chiaro che per soddisfare i suddetti requisiti c’era un solo modo: accorciare il fronte. Per esempio stringendolo lungo il Piave» suggerisce Bertè. L’ordine difensivo di Cadorna fu preso in considerazione dal solo duca d’Aosta, mentre Capello agì di testa sua e schierò la 2ª Armata su un assetto controffensivo. Il 4 ottobre Cadorna si recò a Vicenza per effettuare sopralluoghi lungo il fronte trentino. «Inoltre trasferì ospedali da campo e feriti oltre il fiume Mincio (nella Pianura Padana), ben lontano dal fronte: manovra anomala prima di una battaglia, ma ovvia se ci si voglia invece ritirare» spiega lo studioso. Il 2 ottobre un prigioniero polacco aveva intanto indicato Tolmino quale luogo scelto dagli austro-tedeschi per attaccare, e il giorno 20 un soldato boemo fornì ai comandi italiani nuovi dettagli sul piano nemi- ▸ Radio Scarpa Era il nome che i soldati avevano dato all’insieme di brusii e indiscrezioni che grazie al passaparola rimbalzava ogni giorno lungo il fronte.
I “gassati” di Plezzo
Ripiegheremo in questo modo Due pagine tratte da uno studio commissionato nel giugno 1917 da Cadorna: a sinistra si illustrano le modalità di un eventuale ripiegamento dietro il Piave e a destra si fa una stima del tempo necessario.
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ariegato di cloro e fosgene: fu l’antipasto della battaglia di Caporetto servito dagli austrotedeschi la notte del 24 ottobre 1917, a Plezzo. In 30 secondi volarono in cielo 900 bombe dalle quali si sprigionò una nube inodore che asfissiò quasi mille soldati, morti “come colpiti dal pugno di un fantasma” disse un testimone. La minaccia chimica era stata peraltro prevista, tanto che ai nostri furono distribuite maschere antigas pubblicizzate come “le migliori di tutti gli eserciti”. Purtroppo non bastarono. Ma ancor peggio era andata il 29 giugno 1916 sul monte San Michele, nella sesta battaglia dell’Isonzo. Qui l’esercito austriaco aveva infatti lanciato 6 mila bombe di cloro-fosgene lasciando a terra 6.428 uomini. Incubo Ypres. Nel corso della Grande guerra le armi chimiche fecero vittime anche altrove: nell’ottobre 1914 la Germania usò miscele lacrimogene sul fronte orientale e affinò la tecnica il 22 aprile 1915 a Ypres (Fiandre), dove il cloro tedesco “gassò” a morte 5 mila francesi. L’uso dei gas si diffuse quindi sui vari fronti e nell’estate del 1917 comparve il più temibile di tutti: il solfuro di etile biclorurato. Luogo del battesimo, ancora Ypres, motivo per il quale la sostanza passò alla Storia come iprite.
Prove d’assalto Settembre 1917: una pattuglia d’assalto austro-ungarica durante un’esercitazione.
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UNA COMMISSIONE D’INCHIESTA FU ISTITUITA NEL 1918 PER INDAGARE SULLE MODALITÀ DEL RIPIEGAMENTO co. Ventiquattro ore dopo, due disertori rumeni confermarono che l’attacco era imminente. Sfondamento. Il 23 ottobre Cadorna scrisse al ministro della Guerra che “l’offensiva si dovrebbe sviluppare [...] con preponderanza di sforzo tra la conca di Plezzo e la testa di ponte di Tolmino”. «Mai una battaglia fu prevista con tanta precisione. Di Caporetto si può dire tutto, ma non che ci colse di sorpresa» è il commento di Bertè. Alle 2:30 di notte del 24 ottobre le artiglierie austro-tedesche diedero inizio all’offensiva con una lunga pioggia di granate e gas (v. riquadro a pag. 9): le linee telegrafiche (non interrate) smisero di funzionare impedendo le comunicazioni, mentre la nebbia, accompagnata da pioggia e neve in quota, ostacolò l’uso di segnalatori luminosi. Le fanterie nemiche si incunearono nel fondovalle e, sfondata l’area tra Plezzo e Tolmino, già all’ora di pranzo giunsero nei pressi di Karfreit-Caporetto. Da qui sarebbero poi dilagate nella pianura travolgendo tutto. “Ahi quanta gente venir giù / lasciare il tetto poi che il nemico irruppe a Caporetto”: è con queste parole che l’anno seguente la canzone La leggenda del Piave ricorderà quei momenti. Dopo il tracollo isontino, il 26 ottobre Cadorna diede l’ordine di ritirata sul fiume Tagliamento. «Ma il vero obiettivo era il Piave, dove non a caso fece inviare le artiglierie di medio e grosso calibro e oltre il quale trasferì il Comando supremo (che da Udine passò a Treviso)» aggiunge Bertè. Ripiegare! La disposizione generale data da Cadorna ai soldati fu quella di “salvare il maggior numero di artiglieria, interrompere strade e ponti [...] incendiare magazzini e baraccamenti”. «L’intenzione era quella di accorciare il fronte in maniera sistematica; se poi la ritirata risultò caotica, la colpa va forse cercata altrove» riprende lo studioso. Per esempio nel comportamento
Ritirata precipitosa Due auto mitragliatrici Ansaldo (armate con tre Maxim-Wichers da 6,5 mm) abbandonate a Polcenigo (Pn) dagli italiani in ritirata.
della 4ª Armata di Mario Nicolis di Robilant, al quale il 27 ottobre Cadorna aveva ordinato di lasciare l’area dolomitica e ripiegare verso il Piave per assestarsi sul monte Grappa. Ma questi, sicuro di resistere all’urto nemico, impiegò quasi una settimana per schiodare dalle sue posizioni. «Così la 2ª e la 3ª Armata dovettero ritardare il ripiegamento per coprire la discesa degli uomini del Robilant e sostarono più del dovuto sul Tagliamento. Questo tergiversare risultò fatale e causò la perdita inutile di migliaia di soldati» spiega Bertè. Infine, il 3 novembre gli austro-tedeschi oltrepassarono il fiume e sei giorni più tardi la coda della ritardataria 4ª Armata fu agganciata a Longarone (Bl) dalle avanguardie tedesche guidate dalla futura “volpe del deserto” Erwin Rommel. Ma, giunta sulle pianure davanti al Piave, l’avanzata nemica si affievolì grazie al graduale ricompattamento del nostro esercito, che il 12 novembre era ormai schierato al completo sul nuovo fronte. I requisiti della “minima estensione” e della “massima resistenza” erano soddisfatti; ma ciò non valse a salvare Cadorna. Destituito. Il generale pagò a caro prezzo la ritirata, che assunse gli aspetti di una disfatta in quanto coinvolse la popolazione civile (si contarono centinaia di migliaia di profughi) e toccò territori inviolati fino a quel momento. In ogni caso, il 9 novem- ▸ Mario Nicolis di Robilant Comandante del 4° Corpo d’armata e poi della 4a Armata stanziata sul Cadore. Dopo Caporetto vinse la prima battaglia del Piave e nel 1918 passò a guidare la 5a Armata. Dal febbraio 1917 era senatore del Regno.
1917: DALLA BAINSIZZA AL PIAVE Nessuna sorpresa La missiva del 23 ottobre con la quale Cadorna informava il ministro della Guerra dell’imminente offensiva nemica.
17-31 agosto L’undicesima sanguinosa battaglia dell’Isonzo tra austriaci e italiani vede gli uomini della 2a Armata italiana guidati dal generale Capello conquistare l’Altopiano della Bainsizza. Per gli austriaci è un duro colpo, che li induce a chiedere l’aiuto tedesco. 2-6 settembre In seguito alla richiesta di Sos austriaca, giunge in Italia il generale tedesco Krafft von Dellmensingen per effet-
tuare un sopralluogo sul fronte dell’Isonzo. La missione individua nel settore tra Plezzo e Tolmino il punto debole del nostro schieramento. 18 settembre Temendo un imminente spostamento di forze austro-tedesche dal fronte russo a quello italiano, Cadorna ordina alla 2a e 3a Armata di stabilirsi su posizioni difensive. Il duca d’Aosta obbedisce, ma Capello fa orecchie
Gli austro-tedeschi irruppero a est da Plezzo e da Tolmino. In previsione della penetrazione da nord (avvenuta poi a fine 1917) gli italiani spostarono la 4a Armata verso il monte Grappa, con la 2a e la 3a a coprirle le spalle.
11ª ARMATA
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14ª ARMATA Plezzo CAPORETTO Tolmino
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4ª ARMATA
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linea del fronte prima di Caporetto (24 ottobre) linea del fronte dopo Caporetto (12 novembre) temuta penetrazione austro-tedesca direzione di penetrazione austro-tedesca ritirata delle armate italiane
AU ST R I A
Belluno
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La carta delle manovre
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Sul Piave A sinistra, militari italiani schierati sulla linea del Piave. A destra, le nostre truppe attraversano lo stesso fiume, dopo una ritirata di 200 km.
da mercante rimanendo su un assetto controffensivo. 24 ottobre Le truppe austro-tedesche, senza risparmiare l’uso di gas, sfondano il fronte dell’Isonzo e si incuneano in direzione di Caporetto grazie a una “tattica dell’infiltrazione” che spiazza i nostri soldati. La battaglia ha inizio. 26 ottobre Cadorna ordina ai suoi uomini di ritirarsi in direzione del fiume Tagliamento. Alla 4a Armata
di Robilant viene invece comandato di muovere verso il Piave, dove vengono inviate anche molte artiglierie. 27 ottobre Inizia la ritirata italiana, mentre il nemico dilaga verso le pianure occupando Cividale del Friuli e, il giorno dopo, Udine. 30 ottobre Mentre i soldati italiani si affannano a resistere lungo il Tagliamento, si forma a Roma il nuovo governo del presidente Vit-
torio Emanuele Orlando, in seguito alle dimissioni di Paolo Boselli. 3 novembre Gli austro-tedeschi riescono a oltrepassare il corso del Tagliamento e Cadorna ordina il definitivo ripiegamento sul Piave. 9 novembre Nella battaglia di Longarone le avanguardie tedesche colpiscono la 4a Armata, che aveva accumulato un pesante ritardo. Lo stesso giorno, Cadorna viene sostituito dal generale Armando Diaz.
12 novembre Le truppe italiane riescono a schierarsi completamente lungo il Piave. Questa nuova linea risulterà molto più compatta e difendibile della precedente, tanto che nella battaglia “del solstizio” dell’estate 1918 ci sarà la prima rivincita italiana sugli austriaci. Il definitivo riscatto arriverà nell’autunno dello stesso anno presso Vittorio Veneto, scenario della battaglia conclusiva del nostro fronte. S
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I FRUTTI DELLA RITIRATA SUL PIAVE FURONO COLTI L’ESTATE SUCCESSIVA, NELLA BATTAGLIA “DEL SOLSTIZIO” bre, per volere del neo premier Vittorio Emanuele Orlando, Cadorna venne sostituito dal generale Armando Diaz. «A conti fatti, però, quella di Cadorna non era stata una vera sconfitta» suggerisce Bertè. «Uno spostamento di oltre un milione di uomini, con i nemici alle calcagna, che costi la vita a un numero limitatissimo di individui è, anzi, un fatto quasi straordinario». Eppure qualche errore vi fu, come per esempio quello di Badoglio, che mancò ingenuamente di proteggere la riva destra dell’Isonzo e offrì il fianco agli austriaci (qualcuno insinuò persino che fosse in combutta con loro). Ma, più in generale, fu tutta la 2ª Armata di Capello a tenere un assetto squilibrato. Non meno grave fu l’errore del Robilant, la cui ritrosia a muoversi mise a rischio i suoi uomini e quelli delle altre armate. Non a caso la commissione d’inchiesta allestita nel 1918 lo inserì nella “lista dei cattivi” con Cadorna, graziando però Badoglio (la diceria è che quest’ultimo si fosse accordato con il presidente Orlando, che avrebbe fatto sparire le carte che attestavano le sue responsabilità). Misteri a parte, una certezza c’è: il fronte italiano si ritrovò d’improvviso più compatto e solido. E quando nel giugno 1918 giunse l’ultima grande offensiva austriaca (la battaglia “del solstizio”) la nuova disposizione permise di annientare quei nemici che pochi mesi prima parevano invincibili. «A prescindere dagli errori commessi, si può affermare che se l’Italia uscì vincente dal conflitto ciò fu forse dovuto proprio alla “ritirata” di Caporetto, con la quale perdemmo sì una battaglia, ma ci mettemmo in condizione di vincere la guerra» sostiene Bertè. Come a dire che, senza Caporetto, la La leggenda del Piave non si sarebbe potuta concludere con la celebre strofa “sul patrio suolo vinti i torvi Imperi / la Pace non trovò né oppressi né stranieri!”.d
SAPERNE DI PIÙ Caporetto: sconfitta o vittoria?, Tiziano Bertè (Rossato Editore). Un rilettura della dodicesima battaglia dell’Isonzo. Corrispondenze da Caporetto, Arnaldo Fraccaroli (Rizzoli). Le lettere riservate di un inviato di guerra al suo direttore.
Matteo Liberti
Armando Diaz Capo del Reparto operazioni presso il Comando supremo allo scoppio della guerra, nel 1917 diresse il 23° Corpo d’armata sul Carso. Dopo Caporetto divenne capo di Stato maggiore al posto di Cadorna. Nell’autunno 1918 guidò l’offensiva finale contro l’esercito austriaco. Senatore, fu ministro della Guerra nel primo governo Mussolini e Maresciallo d’Italia nel 1924.
Profughi e prigionieri Sopra, i nostri soldati catturati ammassati in piazza Vittorio Emanuele II a Udine. Sotto, profughi italiani in fuga dall’invasione austro-tedesca.
LA BOMBA A MANO A cura di Stefano Rossi
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opo l’invenzione della polvere nera e la sua applicazione alle armi, attorno al XV secolo, ogni esercito cercò di dotare i propri soldati di ordigni esplosivi che potessero essere agevolmente gettati a mano contro il nemico; i primi esemplari, rudimentali, erano in terracotta, legno od ottone, caricati con polvere pirica e pallette di piombo (o di ferro) o pezzi di vetro. La tipica “granata”, nome in uso fino al XIX secolo, poi soppiantato in Italia dal termine “bomba a mano”, si diffuse a partire dalla fine del Cinquecento: era una sfera di ghisa pesante quasi 2 kg, caricata con circa 200 grammi di polvere nera e dotata di una miccia. Ordigni di questo tipo furono impiegati con alterne fortune, legate al mutare delle tattiche di guerra, fino all’Ottocento, quando riapparvero in discreto numero durante la Guerra di secessione americana. Il vero boom. Fu però nella Prima guerra mondiale, la tipica guerra di trincea, che se ne registrò la massima diffusione: da tutti i contendenti ne furono sviluppati e usati centinaia di modelli – tra i più famosi la Stielhandgranate mod. 15 tedesca, con il manico di legno – sia per uso offensivo negli assalti, sia difensivo (da lanciare dietro ripari). Ve n’erano di deflagranti, incendiarie, a frammentazione, con esplosione a tempo o all’impatto. Nella Seconda guerra mondiale queste bombe ebbero ancora un ampio uso, affiancate da modelli più moderni o di nuovo impiego, come quelle anticarro o fumogene. Fabbricate con nuovi materiali, le bombe a mano di oggi sono più leggere (alcuni modelli pesano poco più di mezzo chilo) e di dimensioni ridotte (stanno nel palmo della mano), ma soprattutto sono più sicure. Fanno ancora parte integrante delle dotazioni del singolo militare o, come nel caso di quelle lacrimogene o stordenti (flashbang), delle forze di polizia. d
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Una delle bombe a mano più famose: la MKII a frammentazione, della Seconda guerra mondiale. Per il suo aspetto fu ribattezzata “ananas”.
La Stielhandgranate mod. 15 della Prima guerra mondiale. Aveva l’accensione a strappo, tramite una cordicella che era nel manico, e una piattina metallica per portare la bomba alla cintura.
Una pesante granata di ghisa in uso nel XVII secolo caricata a polvere nera: era dotata di miccia esterna, a lenta corsa, che la faceva esplodere dopo 10 secondi.
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S La visiera (mabisashi) era spesso placcata d’oro
Yodare-kake: protezione per la gola
Sode: era il pannello che ricopriva la spalla. Ogni singolo elemento poteva essere indossato senza aiuto, a differenza delle armature occidentali
Ressei mempo: era la maschera di protezione con l’espressione furente
L’armatura Il samurai aveva bisogno di un’armatura (yoroi) che gli permettesse i movimenti garantendo la massima copertura difensiva. Più leggera delle armature medioevali europee, recava i colori e i vessilli distintivi del clan di appartenenza.
do, somma di regole di vita, precetti religiosi e disciplina militare. In cima alla piramide dei valori del samurai c’erano il dovere e l’onore, regolato sul filo della lama della spada tradizionale, la katana, a cui una particolare forgiatura garantiva resistenza e affilatezza. Col tempo l’armatura crebbe di complessità, fino a raggiungere il suo culmine nella tosei gusoku del XVI secolo. d
el Giappone medioevale diviso in innumerevoli piccoli potentati, i daimyō, signori dei feudi, chiamarono a difesa dei loro possedimenti una casta di militari, i samurai, che per centinaia di anni, fino al XIX secolo, costituirono gli eletti di una società retta da leggi arcaiche. Questi guerrieri si erano dati un codice di condotta, il bushi-
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SAMURAI
iuscipisit euipis adiamet utat. Am in enisit
Lo shikoro proteggeva il collo
Decorazione di crine di cavallo
Il manico della katana (tsuka), lungo 25 cm, era di legno ricoperto di pelle di razza e fettuccia di cotone o seta
A cura di Lidia Di Simone
L’elmo (il kabuto) era dotato di ali protettive rivestite di pelle (fukigayeshi)
Oltre alle frecce, si usava anche una lancia (yari), che si estraeva da un un anello posto sull’armatura dietro la schiena
Suigyu-no-wakidate: ornamento di legno dorato a forma di corna di bufalo
SPADE AFFILATISSIME E MASCHERE TERRIFICANTI. ERA IL CORREDO DEL...
VESTIVANO COSÌ
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Il corpo centrale della corazza (do) era un pezzo unico oppure era costituito da placche di ferro rivestite d’oro e tenute insieme con nastri di seta
Bande di legatura
Kusazuri: protezione dei fianchi, appesa al busto
La katana (la spada lunga) e il wakizashi (la spada corta) formavano insieme il daishō e costituivano le armi principali del samurai. Con il tantō rappresentavano anche il suo onore, il potere e la classe sociale.
Le lame del mito
Il sune-ate era il para-stinchi a protezione della parte bassa delle gambe
Il tantō, pugnale lungo fino a 30 cm, veniva tenuto dietro la schiena
Tekko: protezione della mano
Seppa (spaziatore)
Kote: protezione del braccio
La spada corta (wakizashi) era quella usata nella cerimonia del seppuku o harakiri (taglio del ventre), il suicidio rituale dei samurai
La tsuba, l’elsa della spada, era riccamente decorata e indicava il rango del samurai. È oggetto di culto tra i collezionisti
La katana veniva impugnata con la lama verso l’alto, a due mani o con la tecnica a due spade (con impugnatura singola)
UNA GUERRA AL CINEMA IL GIORNO PIÙ LUNGO (1962)
BASTOGNE (1949)
Fu il primo film prodotto dopo la guerra a dare un volto umano e vulnerabile ai soldati americani. Basato sui ricordi dello sceneggiatore, ritrae la durezza dei combattimenti sul fronte belga delle Ardenne nell’inverno del ’44, con la 101a Divisione aviotrasportata impegnata a difendere Bastogne dalla controffensiva della Wehrmacht.
Nel D-Day gli Alleati dilagano sulle spiagge normanne. Dal romanzo di Cornelius Ryan, una ricostruzione davvero spettacolare, oscar alla fotografia e agli effetti speciali. In uniforme nientemeno che John Wayne, Richard Burton, Henry Fonda, Robert Mitchum, Rod Steiger e Sean Connery.
IL CONFLITTO LA SECONDA GUERRA MONDIALE È LA NOSTRA GUERRA. NOI L’ABBIAMO FATTA (E SUBITA), VISSUTA IN FAMIGLIA E POI RIVISTA SUL GRANDE SCHERMO
LA BATTAGLIA DEI GIGANTI (1965)
Grandiosa ricostruzione in Panavision e Technicolor dell’offensiva delle Ardenne con i divi Charles Bronson, Henry Fonda, Robert Shaw. In Belgio, nel dicembre del ’44, i tedeschi in difficoltà stanno studiando un contrattacco veloce, ma sono a corto di benzina. Taglio epico e scene di battaglia da antologia.
PATTON, GENERALE D’ACCIAIO (1970)
“In tutta la mia vita ho sempre desiderato un combattimento all’ultimo sangue!”
LA CROCE DI FERRO (1977)
Sul fronte russo i tedeschi si difendono con valore, ma gli equilibri saltano con l’arrivo di un capitano blasonato. Sam Peckinpah mostra drammi personali che intervengono nel conflitto epocale. Nel cast James Coburn (foto). Famose le battute: “Ti farò vedere come combatte un ufficiale prussiano”. “E io ti farò vedere come ci si guadagna la croce di ferro”.
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Dopo la vittoria in Tunisia, la 7a Armata americana passa alla guida di Patton e sbarca in Sicilia. Oscar al protagonista George C. Scott nel ritratto di un leader militarista, violento e allucinato. Al film (tratto dall’autobiografia dello stratega) vanno 6 statuette, una delle quali alla sceneggiatura di Francis Ford Coppola, futuro regista di Apocalypse now.
IL GRANDE UNO ROSSO (1980)
Una pattuglia della 1a Divisione di fanteria americana (Big red one) attraversa fronti e fasi della guerra, fino ai lager nazisti. I sopravvissuti sono anti-eroi (come Lee Marvin), uomini segnati dagli orrori visti e commessi. La versione ricostruita del film recupera i tagli fatti dalla produzione e mostra la grandezza del regista Samuel Fuller.
“Signori, la guerra la incominciamo da qui”
I CANNONI DI NAVARONE (1961)
Su un’isola greca un commando inglese sta per evacuare i suoi, ma deve prima neutralizzare i cannoni costieri tedeschi scalando l’erta scogliera e penetrando nel forte nemico. Film mozzafiato con tempeste e imprese alpinistiche, oscar per gli effetti speciali. Nel cast Anthony Quinn, David Niven e Gregory Peck.
PIÙ GRANDE L
a produzione cinematografica sulla Seconda guerra mondiale è sterminata e parte dalla fine degli Anni ’40 per arrivare ai giorni nostri. Qui abbiamo tralasciato le battaglie aree,
il conflitto in Africa e nel Pacifico, la guerra sottomarina, la Resistenza e lo spionaggio per presentare una scelta dei film memorabili sulla guerra in Europa. Eccoli, dalla visione eroica delle prime
pellicole fino agli ultimi titoli, che hanno aggiunto il taglio critico ed effetti ancor più speciali. d
Lidia Di Simone
QUELL’ULTIMO PONTE (1977)
Richard Attemborough gira un «atto d’accusa contro la stupidità degli alti comandi» sull’operazione Market garden con cui nel settembre 1944 Montgomery perse 8 mila uomini (molti su quell’ultimo ponte sul Reno ad Arnhem, in Olanda). Il bello del film sta nel realismo: carri armati (veri) che bruciano e mortai davvero funzionanti. Cast stellare (fra cui Robert Redford).
SALVATE IL SOLDATO RYAN (1998)
Spielberg si guadagna l’oscar alla regia (il film ne prende altri 4, uno per il sonoro, davvero impressionante) rielaborando la storia vera del salvataggio del sergente Fritz Niland della 101a Divisione aviotrasportata, che nel conflitto aveva perso tre fratelli: nomination a Tom Hanks, che nel film si sacrifica per la causa.
“Come facciamo a superare il ponte? Con entrambi i piedi!”
IL NEMICO ALLE PORTE (2001)
Stalingrado sta per cadere in mano tedesca. La città ha bisogno di un eroe, lo trova nel cecchino Zajcev (Jude Law, foto). Annaud omaggia Sergio Leone filmando come un western il duello tra i cecchini rivali, che qui finisce 1 a 0 per l’Urss, ma in realtà non fu mai confermato da fonti ufficiali. La guerra diventa dramma interiore. S
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LA LEGIO X RITORNA A cura di Riccardo Tonani
Alle armi Sopra, alcuni reenactors della Legio Decima schierati con le insegne: si vedono a destra un centurione e a sinistra un optio. Qui a fianco, la ricostruzione di una balista. A destra, scontro tra Celti e legionari. Sotto, un centurione si prepara alla battaglia.
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i chiama S.P.Q.R. Legio Decima ed è un’associazione culturale nata a Roma nel 2004 con lo scopo di far rivivere spaccati della vita romana del I secolo d. C. In particolare l’associazione si propone di descrivere le attività dei reparti che formavano la Legio X Gemina “Pia fidelis domitiana” – la decima legione al tempo dell’imperatore Domiziano (51-96 a. C.) – ma ha anche altre aree di interesse, tra cui i combattimenti gladiatori, ricostruiti da atleti e attori della “scuola di gladiatura” Ludus Magnus, le danze dell’epoca, la vita delle vergini vestali e dei senatori. Inoltre, grazie al supporto di archeologi e studiosi, gli associati riproducono modelli (di dimensioni reali e perfettamente funzionanti) di alcune tormenta, le antiche armi d’assedio, come la balista, l’onagro e lo scorpione. romani in tunisia. Legio Decima, che è membro del Consorzio europeo di ricostruzione storica, si avvale della consulenza di un comitato scientifico composto da docenti universitari e studiosi. Partecipa alla rievocazione di eventi storici organizzati in diverse località italiane ed europee e supporta l’attività di documentaristi ed enti culturali. Di recente,
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per esempio, l’associazione ha collaborato alla rievocazione dell’assedio portato ad Alesia, in Francia, dai Romani guidati da Giulio Cesare ai Galli di Vercingetorige; inoltre ha fornito la sua consulenza a un ente tunisino per la realizzazione, presso la località di El Djem, di un parco archeologico nel quale sorgerà una vera arena per ospitare la ricostruzione di combattimenti gladiatori. Uno dei prossimi progetti in programma è quello di ricreare alcuni reparti della legione di epoca repubblicana, ai tempi delle spedizioni galliche di Cesare. spedizione tra i banchi. Parte dell’attività dell’associazione, infine, riguarda l’aspetto divulgativo: il gruppo incontra periodicamente gli studenti delle scuole romane e del Lazio per spiegare gli aspetti noti e meno noti della civiltà romana. Ma la grossa novità arriverà a breve: una web-tv “a tema” che inizierà a trasmettere entro fine anno. • Associazione culturale S.P.Q.R. Legio Decima
•
indirizzo: via Montiglio, 9 - 00166 Roma telefono: 335.1535878 e-mail:
[email protected] • web: www.legiodecima.it • www.focusstoria.it
DOSSIER
LA CAVALLERIA A FARE IL LAVORO SPORCO IN BATTAGLIA SONO STATI I FANTI, MA IL FASCINO E LA GLORIA SONO SEMPRE STATI DEI CAVALIERI, CHE TANTE VOLTE HANNO AVUTO IL MERITO DELLA VITTORIA E IN ALCUNI CASI HANNO SCRITTO LE PAGINE EPICHE DEL SACRIFICIO L’EPOCA D’ORO I SIGNORI DEL MEDIOEVO
LE ORIGINI I PRIMI CAVALIERI
pag. 20 L’EVOLUZIONE BARDATURE E FINIMENTI
pag. 26 LE GRANDI CARICHE DAL GRANICO A WATERLOO
pag. 40
pag. 34 LA FINE ZOCCOLI D’ACCIAIO
pag. 46 S
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CAVALLERIA LE ORIGINI
COME FU CHE, DOPO AVERLO CACCIATO PER MILLENNI, L’UOMO CAPÌ CHE IL CAVALLO POTEVA ESSERGLI PIÙ UTILE IN BATTAGLIA CHE A TAVOLA
DALLE STEPPE ALLE STALLE
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uardare un cavallo correre e immaginare di condividere con lui l’impeto del suo slancio, la gioia di quella velocità, dev’essere stato comune a molti cacciatori che tra Paleolitico e Neolitico cercavano le loro prede nelle pianure europee o nelle steppe asiatiche. Parecchi animali corrono con forza e potenza, ma nessuno eguaglia il cavallo, anche quando si tratta di quei tozzi cavallini selvaggi che agli occhi di noi moderni sembrerebbero più pony che purosangue. Selvatici e prelibati. La ragione per cui gli uomini dell’Età della pietra seguivano le mandrie di cavalli era però tutt’altro che estetica: la carne equina era parte integrante della dieta umana durante i lunghi secoli dell’ultima glaciazione. Tanto apprezzata che circa 12 mila anni fa il cavallo si estinse nel Nord America e nell’Europa Occidentale, anche 20
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se forse non solo per colpa dell’homo sapiens, ma probabilmente anche per le mutate condizioni climatiche. Il cavallo sopravvisse solo nelle infinite steppe tra i Carpazi e l’Asia Orientale, dove, grazie alla sua vista che copre un campo visivo di oltre 300 gradi, poteva scorgere un predatore anche a grande distanza. E dove aveva a disposizione per il suo sostentamento un illimitato mare d’erba. Non era in grado di percorrere distanze troppo lunghe per raggiungere fiumi e laghi, ma tra le basse colline di quelle regioni poteva galoppare da una fonte d’acqua all’altra indisturbato e libero, avendo come unico limite le pendici nevose del▸ le montagne che si stagliavano all’orizzonte. Carpazi Sistema montuoso che disegna un arco di 1.300 km attraverso Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia, Ucraina e Romania.
L’esercito cinese Alcuni cavalieri di terracotta trovati nella tomba di Liu Bang, imperatore cinese della dinastia Han (III-II secolo a. C.).
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NELL’ ANTICHITÀ IL CAVALLO, PER LA SUA FORZA E VELOCITÀ, ERA CONSIDERATO UN ANIMALE DIVINO Da cacciatori ad allevatori. Non sappiamo esattamente quando il concetto di allevamento si fece strada nelle abitudini dei piccoli gruppi di cacciatori delle praterie caucasiche tra il Mar Nero e il Mar Caspio, ma possiamo dire che questa idea rivoluzionaria era nota e praticata ben prima del 3000 a. C., quando la maggior parte della carne equina consumata dagli abitanti della steppa proveniva ormai da cavalli d’allevamento, come dimostra l’abbondanza di ossa equine ritrovate nelle fosse dei rifiuti dei siti archeologici della fine del IV millennio. La pratica dell’allevamento arrivava da sud, da quelle terre al di là dei monti, tra gli altopiani iranici e le valli alluvionali del Tigri e dell’Eufrate, dove si iniziavano ad addomesticare bovini e ovini, ma anche gli equini di quelle aree, ossia asini e onagri che, oltre a fornire alimento, erano utili per il trasporto dei pesi o per il loro trascinamento su slitte. Intorno al 3500 a. C. sempre in quella zona ha origine di un’altra scoperta rivoluzionaria: la ruota. Un’idea che lentamente si propagò verso il resto dell’Asia e l’Europa, portata da pesanti carri con le ruote di legno pieno trainati da buoi. I mercanti che andavano a nord introdussero anche nelle pianure caucasiche questa nuova tecnologia, che dal 2500 a. C. si trova diffusa nelle tombe di quell’area. Gli allevatori del Caucaso non riuscirono a utilizzare il cavallo come animale da traino fino all’invenzione della ruota a raggi – avvenuta intorno al 2000 a. C. – ma da quel momento le cose cambiarono. Anche se domare un cavallo richiedeva molto tempo, i vantaggi erano enormi: attaccando gli animali a un carro leggero si poteva viaggiare a velocità mai raggiunte prima. Inizia il nomadismo. La rivoluzione del carro fu tale da cambiare completamente la vita di quelle culture. Gli abitanti della steppa conquistarono la piena libertà di movimento, come quella delle mandrie di cavalli che i cacciatori preistorici guardavano correre all’orizzonte. Nuovi spazi potevano essere conquistati, molto più bestiame allevato, molte più risorse potevano sostenere tante più persone. Un’esplosione demografica Onagro (Equus hemionus): è un asino selvatico originario delle fasce desertiche che vanno dalla Siria al Tibet, di dimensioni maggiori rispetto all’asino comune.
indusse quei popoli ad adottare una vita nomade o semi-nomade per non esaurire le risorse di pascolo. Questa piccola spinta innescò i grandi movimenti migratori che, fino al Medioevo, coinvolsero le aree ai confini delle steppe: Europa e Cina. Il carro non fu solo un mezzo di trasporto eccezionale, si scoprì presto che poteva costituire anche una carta in più in guerra, fungendo da arma difensiva. Infatti, come le mura che cingono una città, il carro protegge il guidatore dagli assalti dei guerrieri appiedati e gli permette di raggiungere velocemente punti diversi in un campo di battaglia. Grazie a questo vantaggio il cavallo fu reintrodotto in quei territori dai quali era scomparso migliaia di anni prima, e la potenza di questo binomio si propagò dalle foreste del Nord Europa fino alle ricche civiltà del Sud, dove l’agile animale divenne un simbolo di potere. Finalmente a cavallo! Dall’allevarli, usandoli come forza trainante dei carri, al montarli il passo non fu però breve. Certo fin dagli albori dell’allevamento equino, tra V e IV millennio, non sarà mancato qualche temerario che avrà tentato di cavalcare per gioco o per spavalderia qualche vecchia giumenta. Ma utilizzare l’animale come arma ed estensione del proprio corpo era un’altra È la velocità media di un cosa. Le prime esperienze di equicavallo in km/h, che può tazione avvennero sicuramente in essere sostenuta per Mesopotamia durante la seconda 40 km. La velocità di punta metà del III millennio a. C., quandel ghepardo, l’animale più veloce della Terra, è di 115,2 do la presenza del cavallo non avekm/h, ma per brevi tratti. va assunto ancora dimensioni di rilevanza storica e quest’esperienza riguardava asini e onagri. Bisognerà giungere alla fine di quel millennio prima di trovare una rappresentazione di un uomo chiaramente in groppa a un cavallo. Le raffigurazioni di questi primi cavalieri, sotto forma di statuette, sigilli e bassorilievi, ci sono di grande aiuto nel ricostruire l’evolversi dell’equitazione. Le tecniche utilizzate inizialmente per montare gli equini erano, infatti, tanto ingegnose quanto inadatte ad avere un reale controllo dell’animale. I
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I primi popoli a
A Guerrieri laziali
Le “terrecotte volsche” di Velletri (VI secolo a. C.) raffigurano guerrieri volsci montati: la posizione è anteriore, e la briglia consente di condurre bene l’animale.
ll’inizio dell’Età del ferro si affacciarono alla Storia alcuni popoli che legarono il proprio nome alle scorrerie equestri. Cimmeri e Sciti furono tra i primi a usare il cavallo per compiere razzie. Gli storici dell’antichità, soprattutto Erodoto, ce li descrivono come cavalieri originari della Crimea che dilagarono nel Vicino Oriente tra VIII e VII secolo a. C. con azioni particolarmente crudeli ed efferate. Molto probabilmente le cronache riconducono a questi due “etnonimi” (popoli) le predazioni che www.focusstoria.it
Egizi a cavallo
Arcieri provetti
Attività equestre in un bassorilievo del XII secolo a. C. Il cavaliere monta in posizione molto arretrata, sulle natiche della bestia.
I soldati a cavallo del re assiro Assurbanipal attaccano gli Elamiti nel 635 a. C. Montano agilmente, già in posizione anteriore.
cavalieri appaiono aggrappati con entrambe le braccia al collo della bestia e seduti in posizione eretta sul garrese oppure all’amazzone, o molto più spesso seduti in groppa in posizione molto arretrata, sulla punta delle natiche dell’animale. Quest’ultimo modo di cavalcare doveva essere molto diffuso, dall’Egitto agli altopiani iranici, ed era un chiaro retaggio dell’utilizzo dell’asino. Ai nostri occhi non pare molto elegante, ma permetteva una certa stabilità tenendosi con una mano a una cinghia sottopancia che stringeva l’equino lì dove oggi è posizionata la sella, mentre con l’altra mano si controllava un anello nasale collegato a un pezzo di fune. Questi primi cavalieri sono sempre raffigurati privi di armi e in genere nudi, un tipo di iconografia che ci fa pensare più a un utilizzo “sportivo” e ludico dell’animale piuttosto che militare. Lo scopo vero poteva dunque essere la velocità, confermato dai documenti che in termini sumerici denominano il cavallo letteralmente “asino veloce”. I cavallerizzi, per quanto spericolati, non erano ancora pienamente padroni della cavalcatura e, più che essere loro a guidare, si lasciaGarrese Il punto più alto del dorso dei cavalli, corrispondente alla zona di incontro tra collo e scapole. All’amazzone Cavalcare seduti sul dorso con tutte e due le gambe sullo stesso fianco del cavallo.
cavallo: Cimmeri e Sciti gruppi di saccheggiatori a cavallo perpretarono in Anatolia e in Medio Oriente nel corso di quei secoli, muovendo dal Caucaso e dall’Iran Nord-Occidentale armati di archi e spade. Dammi lo scalpo. In particolare i Cimmeri “che mungono cavalle”, come li definiva il poeta greco Callimaco, assaltavano i propri nemici con un esercito “fitto come sabbia” piombandogli addosso con forza, colpendoli prima da montati, poi smontando, per finirli tagliando loro teste e scalpi, presi come trofei. www.focusstoria.it
I loro attacchi giunsero a mettere a ferro e fuoco Sardi, capitale del regno di Lidia, e le ricche città greche della costa anatolica, ma rappresentarono una seria minaccia anche per il potente regno assiro. Evitavano lo scontro aperto per concentrarsi sull’assalto a sorpresa di villaggi non fortificati. Scorrerie più riconducibili alla storia del crimine che a quella militare, che gettano una luce infausta sulla faticosa conquista delle tecniche ippiche.
Ben stretto Balsamario di ceramica etruscocorinzia (VI secolo a. C.): la monta è a pelo e la posizione è raccolta sul davanti, con le cosce strette.
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vano trasportare dall’animale, in un’atpassate in groppa si iniziò a fare uso di tività priva di ogni finalità concreta. imbottiture di un certo spessore, giunPunto di svolta. Determinante per gendo presto all’introduzione della selil pieno controllo degli equini fu l’introla e alla definitiva posizione anteriore. duzione del morso, una tecnologia che Le rappresentazioni iconografiche di consiste in un’imboccatura collegata a quegli anni, dal IX al VII secolo a. C., due montanti attraverso cui il condutestimoniano questa rivoluzione equecente può fermare o indicare all’animastre: il rapporto cavallo-cavaliere era le la direzione da prendere. Venne pridefinitivamente mutato e l’uomo aveva ma associato alla guida dei carri e in un acquisito il pieno dominio dell’animasecondo tempo legato all’affinarsi della le. Da una posizione goffamente ragtecnica ippica. Proprio questo è il nodo gomitolata sul dorso del cavallo monessenziale dei progressi dell’equitaziotato a pelo si giunse al cavaliere a suo ne: dal cavallo vissuto come gioco alla agio sulla groppa. Anche il rapporto pratica venatoria e militare passarono con l’animale si rafforzò, instaurando L’equilibrio in battaglia cinquecento anni, durante i quali venuna fiducia seconda solo a quella tra Su questo pettine del V-IV secolo a. C. l’arte ne scoperta la ruota e la si applicò a un cane e padrone. orafa degli Sciti mostra un cavaliere in mezzo di locomozione. In quel lasso di Stile di vita. Con l’acquisizione di battaglia. La staffa è ancora da inventare. tempo il carro conobbe il suo apogeo e un disinvolto controllo, si cominciò a si perfezionarono le abilità che fecero dell’equitazione un’arte. utilizzare il cavallo nel lavoro, nella caccia e in guerra. SopratAll’inizio del I millennio a. C. gli aurighi, i conducenti dei cartutto i popoli delle steppe caucasiche, che per primi avevano ri, dovevano essere sempre pronti a montare sui cavalli da tiaddomesticato il cavallo, fecero dell’equitazione un’arte e un ro nell’eventualità che il mezzo subisse gravi danneggiamenti modo di vivere. Raggruppare le mandrie e condurle per quele dovesse essere abbandonato in battaglia, e fu in quelle occale distese in un rapporto quasi “alla pari” divenne l’abilità pesioni che si testò la stabilità data dal morso. Negli anni oscuri culiare di quelle genti, e i piccoli archi dei cacciatori, capaci di tra la fine dell’Età del bronzo e la prima Età del ferro la predoscoccare una decina di frecce al minuto, divennero la naturale minanza dei carri (testimoniata dai reperti archeologici) ceestensione offensiva del binomio uomo-cavallo. dette il posto alle cavalcature, non ancora sellate, ma pienaUna tecnica che si sviluppò in quegli anni e che mostra tutto mente controllate con i finimenti a morso metallico. Con l’aul’affiatamento tra i due è il cosiddetto “tiro parto”, ossia girarsi mentare dell’abilità dei cavalieri e con il moltiplicarsi delle ore con il busto mentre la cavalcatura si allontana dal nemico, ber-
ANNIBALE, CHE SI SERVÌ DEI CAVALIERI NUMIDI PER BATTERE I ROMANI A CANNE NEL 216 A. C., FU TRA I PRIMI A CAPIRE L’IMPORTANZA DEL CAVALLO IN GUERRA
CAVALIERE CAUCASICO
CATAFRATTO PARTICO
CAVALIERE UNGARO
La velocità di spostamento, accompagnata alla destrezza nell’utilizzo dell’arco, è la forza dei primi cavalieri delle steppe.
Negli eserciti persiani la cavalleria diventa pesante, sia il cavallo che il cavaliere si coprono di metallo. La velocità cede il posto alla potenza d’urto.
Le popolazioni delle steppe che invadono l’Europa nell’Alto Medioevo portano una nuova tecnologia, la staffa. D’ora in poi il cavaliere potrà ergersi ritto sulle gambe.
VIII SECOLO A. C.
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I SECOLO A. C.
IX SECOLO D. C.
COM’È CAMBIATA NEL
Equitazione, sport sconveniente
A
differenza del carro da guerra, che ebbe il predominio come mezzo di trasporto veloce per tutta la tarda Età del bronzo (1700-1200 a. C.), l’equitazione venne considerata per lungo tempo solo una pratica sportiva. Nonostante l’inadeguatezza tecnica, l’elegante galoppo del cavallo doveva attirare il compiaciuto
interesse di molte persone rispetto al caracollare di asini e onagri. Inoltre, la velocità del cavallo era sbalorditiva a quei primi sguardi. Ci voleva coraggio per salire sulla sua groppa lanciandosi in una corsa sfrenata. Ma il coraggio era la virtù per eccellenza degli antichi. Al tempo di Hammurabi, nella Babilonia del XVIII secolo a. C., il sovrano
stesso dava prova del proprio valore montando i cavalli più potenti. Tuttavia quella era una pratica ritenuta troppo frivola, quasi da esibizione circense, per essere degna di un re. Mulo regale. In un’iscrizione del 1750 a. C. il consigliere di palazzo del sovrano di Mari lo esortava a evitare di apparire in pubblico montando un cavallo
sagliandolo così a distanza di sicurezza. Questa specialità si affinò nelle pianure caucasiche e la potenza di tiro di questi primi cavalieri fu sostenuta dalla repentina possibilità di passare allo scontro corpo a corpo. Ci si lanciava alla carica, si tempestava il nemico di dardi e al momento propizio si sguainava la spada per finirlo. Una tale rapidità di movimento permetteva di compiere azioni di razzia. Le prime bande di cavalieri si specializzarono proprio nel saccheggio. Temutissimi nei primi secoli della loro affermazione, vennero presto inglobati negli eserciti delle potenze di quel periodo. Il ruolo dei cavalieri divenne quello di unità di supporto, i cui compiti erano inseguire i nemici, finirli e razziare i loro accampamenti. La storia della cavalleria militare era cominciata. Ma per quanto determinanti fossero gli arcieri iranici, le cavallerie pesanti persiane e i cavalieri ellenistici, nell’antichità il ruolo del guerriero a cavallo fu sempre secondario e meno decisivo di quello dei fanti. Erano i soldati a piedi a sostenere l’impeto dei nemici, determinando l’esito di una battaglia. Si dovrà arrivare al Medioevo e all’introduzione della staffa, tra VIII e IX secolo, per invertire tale supremazia. d
nelle raffinate città accadiche, proprio per non esporsi a critiche e derisione. Il re veniva invitato a spostarsi su un carro o, se proprio lo desiderava, a montare un mulo. Con il suo placido incedere l’asino era ritenuto un mezzo più consono a preservare la dignità regale.
Bronzo iberico Il guerriero di Moixent (Spagna, V-IV secolo a.C.) è un ex-voto iberico che mostra in bell’evidenza il morso del cavallo.
Giorgio Albertini
CAVALIERE RINASCIMENTALE
DRAGONE SVEDESE
CAVALLEGGERO TEDESCO
Nel Rinascimento l’armatura diventa più protettiva: dalla cotta di maglia si passa alle pesanti corazzature. Poi le armi da fuoco cambiano tutto.
Anche la cavalleria si adegua alle armi da fuoco. Archibugieri a cavallo sfruttano la velocità animale per spostarsi sul campo di battaglia, ma combattono a piedi.
La cavalleria è ormai al crepuscolo, anche se cerca di adeguarsi ai tempi. La lancia e il cavallo, di stampo antico, si associano alle più moderne maschere antigas.
XV SECOLO
XVII SECOLO
PRIMA GUERRA MONDIALE
TEMPO LA CAVALLERIA
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CAVALLERIA L’EPOCA D’ORO
ti proclamo
CAVALIERE La devozione dei prodi Miniatura tratta dai Cantigas de Santa Maria, canzoniere spagnolo del XIII secolo, documento importante per ricostruire vita e armamenti dei cavalieri medioevali. A destra, una spada tedesca da cavalleria del 1150, con lama a doppio taglio, e un grande elmo “a staro” del XIII secolo.
NEL MEDIOEVO NACQUE UNA CASTA DI GUERRIERI ▸ CON I SUOI ARISTOCRATICI CODICI E LE SUE REGOLE, L’ÉLITE DEL TEMPO IN CUI SI CANTAVANO “LE DONNE, I CAVALLIER, L’ARME, GLI AMORI, LE CORTESIE, L’AUDACI IMPRESE”
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CON LA CAVALLERIA NACQUE ANCHE L’ARALDICA, PER CLASSIFICARE GLI STEMMI E RICONOSCERLI IN BATTAGLIA
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oi coprite i vostri cavalli di seta; voi indossate sulle vostre corazze chissà quali orpelli fluttuanti; voi imbrattate di colori le vostre lance, i vostri scudi, le vostre selle; voi incastonate oro, argento e pietre preziose sui morsi e gli speroni [...]. Vi lasciate crescere i capelli, che vi cadono sugli occhi e vi impediscono di vedere; voi inciampate nelle pieghe delle vostre lunghe tuniche; voi seppellite le vostre mani tenere e delicate sotto lunghe maniche ondeggianti”. Questa invettiva contro i cavalieri è opera di una delle più titaniche figure dell’Occidente medioevale, Bernardo di Chiaravalle. Lo stesso san Bernardo che, nell’Elogio della nuova cavalleria, legittimava l’ordine dei Templari affermando che “il cavaliere di Cristo dà la morte in tutta sicurezza e la riceve con assicurazioni ancora maggiori. Se muore, è per il suo bene, se uccide, è per Cristo [...]. Uccidendo un malfattore egli non commette un omicidio ma, se oso dirlo, un malecidio”. Da un lato, dunque, la fatuità, la frivolezza dei cavalieri che inseguono solo onori e gloria, dall’altro nuovi cavalieri che associano le virtù del monaco a quelle del guerriero, il cui operato è perfettamente lecito perché sono soldati del Signore. In mezzo a questi due estremi, c’è il mondo medioevale della cavalleria secolare, perennemente in bilico tra la ricerca della gloria militare e la consacrazione agli ideali della Chiesa, l’imposizione della forza sui più deboli e il rispetto dell’etica cavalleresca. È questa l’epoca d’oro della cavalleria, con il cavaliere all’apice della società. In principio era il comitatus. All’inizio i guerrieri a cavallo costituivano lo stato maggiore, le guardie del corpo, i più stretti sodali e i compagni di baldoria del re o del signore. Non c’era in questo alcuna continuità con la cavalleria romana, che non aveva un carattere tradizionale od onorifico né il culto per la guerra e per le armi dei popoli barbarici, alcuni dei quali arrivavano a inumare i cavalli nelle tombe dei principi. Semmai, un legame con la tarda romanità lo si può rintracciare nell’uso, da parte degli ultimi nobili dell’impero, di
circondarsi di guardie del corpo barbariche a cavallo, i bucellarii, cosiddetti dalla galletta che costituiva il loro rancio. Il feudalesimo. Dai regni romano-barbarici all’impero carolingio, fino all’impero germanico, l’Occidente impiegò mezzo millennio per emergere dalle macerie dell’Impero romano e perfezionare un nuovo sistema sociale, il feudalesimo, che cristallizzava le gerarchie e delineava una piramide sociale al vertice della quale si trovavano il re, i signori e i loro vassalli diretti: tutti cavalieri, senz’altra etica, almeno all’inizio, che quella di trarre il massimo vantaggio e potere dal proprio ruolo. Anche per chi, come i cavalieri subalterni, doveva solo rispondere alla chiamata del proprio signore. Gli obblighi vassallatici si definirono meglio nell’XI-XII secolo. Un esempio: in cambio delle terre ricevute da Guglielmo il Conquistatore dopo la conquista dell’Inghilterra (v. Wars n° 1, pag. 38) i baroni normanni erano tenuti a prestare servizio di cavalleria per due mesi all’anno in tempo di guerra, per 40 giorni in tempo di pace. Oltre i termini stabiliti, il servizio era retribuito o volontario. Sotto Carlo Magno. Il mestiere delle armi rendeva liberi, nell’accezione comune. Fin dall’epoca carolingia, grazie alla diffusione della staffa, la cavalleria assunse un ruolo tattico importante nelle battaglie, con manovre a tenaglia e cariche a ranghi serrati. Si trattava di cavalleria pesante, corazzata, la cui tecnica venne perfezionata nei secoli immediatamente successivi dai Normanni. Tra gli uomini liberi, solo i più ricchi potevano permettersi un cavallo, il costo dell’equipaggiamento e il tempo libero per l’addestramento. Il ▸ solo usbergo costava quanto due o tre cavalli da guerra. Usbergo Lunga cappa di maglia ad anelli di ferro che proteggeva fino alle gambe, evoluzione della più antica e ridotta cotta di maglia. Cavallo da guerra Era un animale poderoso, in grado di sopportare il peso di 120 kg (si calcolava che il cavallo potesse reggere un quinto del proprio peso, e quindi un destriero doveva pesare almeno 600 kg). Il suo costo equivaleva a quello di parecchi buoi.
La lancia (ovvero l’arma)
I In combattimento Duello tra Lancillotto e Tristano (miniatura del XIII secolo). In alto, una lancia medioevale.
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l cavaliere medioevale poteva combattere con la spada, l’ascia, la mazza di ferro, l’azza, il martello d’armi, ma la sua arma principale restava la lancia. Un’appendice micidiale – ed è questa la novità introdotta in particolar modo dai Normanni – non più usata come arma da getto, in affondo o, in mischia, come un arpione, bensì come arma d’urto. Un testimone musulmano, il principe siriano Usama ibn Munqidh, descriveva così la tecnica di combatti-
mento: “Assicurare la lancia contro il fianco, dopo averla stretta saldamente sotto il braccio, spronare il cavallo, afferrarsi a lui e lasciargli fare il resto”. Questione di tecnica. In altri termini, l’asta andava tenuta stretta sotto l’ascella destra oltre i tre quarti della sua lunghezza e indirizzata orizzontalmente, sorretta dall’avambraccio e impugnata dalla mano destra. La lancia andava indirizzata obliquamente verso sinistra, appena sopra il collo del
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Rinforzi decisivi La cavalleria francese sorprende gli inglesi nella Battaglia di Formigny (1450), episodio cruciale della Guerra dei cent’anni.
La lancia (ovvero i compagni d’arme)
cavallo. Il punto naturale dell’impatto era quindi la parte sinistra, il che determinò, con l’evoluzione della tecnica di combattimento, una certa asimmetria nelle armature, che vennero maggiormente rinforzate da un lato. Più peso, più potenza. La forza dell’impatto non dipendeva da quella del colpo, ma dalla velocità e dalla solidità del sistema cavallo-cavaliere. Per questo le aste delle lance – di legno di frassino, di melo o di quercia – si andarono
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allungando, nel corso del tempo, da due metri e mezzo fino a tre metri e mezzo e oltre, e si appesantirono fino a 20 chili. Talvolta, vicino alla punta c’era uno stendardo con una punta a doppio filo, recante l’insegna del cavaliere. Per evitare il rinculo l’asta venne dotata di una rondella d’arresto per la mano e, nel XV secolo, fu introdotto addirittura un gancio sull’armatura, per ancorare la lancia alla corazza e alleggerire così il braccio.
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uando tra cavalieri si parlava di “lancia” non si intendeva solo l’arma, ma un gruppo di individui che facevano da contorno al combattente pesante vero e proprio. Si trattava di valletti, scudieri, paggi, montati anche su ronzini o muli. Sono sopravvissute dozzine di “condotte”, contratti stipulati tra un committente e il capo mercenario, o il semplice cavaliere, detto anche uomo d’arme, che stabilivano nei dettagli il numero di componenti di una lancia, arma-
mento e cavalcature. Si arrivava anche a 6 uomini oltre al cavaliere; ma in generale la tendenza era di 2 uomini e 2 cavalli nel XIV secolo, 3 in quello successivo. La codifica del Temerario. La lancia venne istituzionalizzata, tra gli altri, da Carlo il Temerario, duca di Borgogna, nel suo regolamento militare del 1475: “l’uomo d’arme [...] dovrà avere un’armatura completa, con celata e baviera o barbuta, una gorgiera, uno stocco lungo, rigido e leggero, un coltello tagliente appeso
al lato sinistro della sella e una mazza a destra, un cavallo munito di frontale e di barda in grado di correre e di rompere la lancia; lo scudiero indosserà una brigantina o un corsetto alla maniera tedesca, una celata, una gorgiera, dovrà avere gambe e braccia protette, una partigiana [...], una buona spada e una lunga daga tagliente da ambo i lati”. A essi dovevano aggiungersi un paggio con cavalcatura e, volendo, un quarto cavallo per il bagaglio. S
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LA CONQUISTA DELLA TERRASANTA, ERA QUESTO NEL XII Ben presto i cavalieri più ricchi e più vicini al signore finirono per costituire l’aristocrazia, la nobiltà. E nel XIII secolo l’identità nobiltà-cavalleria sembrò pressoché acquisita, anche se non necessariamente un nobile era anche un cavaliere, né un cavaliere doveva essere per forza nobile. Certi aristocratici trovavano talmente gravosi i costi della cavalleria da rinunciare all’investitura e pagare al proprio signore, piuttosto, lo scutagium, la tassa con cui ingaggiare cavalieri stipendiati. Molti figli di nobili non erano cavalieri ma detenevano il titolo di donzelli, oppure erano scudieri o sergenti. QueDonzello Dal latino dominicèllus, diminutivo di dominus, signore, nome che nel XII e XIII secolo si dava a un giovane nobile che non era ancora stato ordinato cavaliere.
All’arma bianca Da sinistra, mazza medioevale con testa di bronzo e azza da cavallo del XVI secolo, molto usate dai cavalieri.
sti ultimi sono solo una delle tipologie di combattenti a cavallo non nobili: gli eserciti erano pieni di cavalieri armati alla leggera, come gli hobelars inglesi, gli jinetes spagnoli, gli stradioti veneziani, la gens de cheval guascone e lombarda, i cranequiniers, ovvero i balestrieri, e gli stessi arcieri montati. Quel che è certo è che la cavalleria costituiva una professione prestigiosa, una categoria di guerrieri d’élite, che l’aristocrazia tese a trasformare in una corporazione. Non a caso l’imperatore Federico II, nelle Costituzioni di Melfi, stabilì che solo i figli di cavalieri potevano diventare a loro volta cavalieri. Tutta scena? Eppure, appare ormai evidente come il ruolo della cavalleria sia stato piuttosto sopravvalutato nelle fonti medioevali. Le battaglie campali, è assodato, nel Medioevo erano assai rare, ed è probabile che molti cavalieri non ne abbiano mai combattute. E quando accadeva, l’attenzione degli autori delle cronache, spesso chierici in cerca di benevolenza presso i signori, o essi stessi appartenenti a famiglie nobili, erano più interessati alle gesta dei cavalieri che a quelle della povera soldataglia, Hobelar Cavaliere leggero o fante a cavallo, nato nel XIII secolo in Irlanda. Eccelleva nelle attività di ricognizione e pattugliamento. Jinete (dal berbero zeneta, tribù nomade delle pianure del Maghreb): cavaliere leggero abile nelle azioni rapide e nelle scaramucce. Stradiota Era il mercenario greco o albanese che tra XV e XVI secolo formava le unità di cavalleria della Serenissima. Abile nella tattica del “colpisci e scappa”. Costituzioni di Melfi o Liber augustalis, vennero promulgate nel 1231 dall’imperatore Federico II di Svevia per limitare e rivedere i titoli e i privilegi di cui godeva la feudalità.
In nome di Cristo Battaglia fra crociati e musulmani tratta da una miniatura francese della chanson de geste su Goffredo di Buglione, il duca di Lorena che liberò il Santo sepolcro (1099).
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SECOLO IL GRANDE OBIETTIVO DEL CETO CAVALLERESCO che il celebre cronista del XIV secolo Jean Froissart non esitava a definire, senza tanti giri di parole, “merdaille”. Questo non significa che la cavalleria non rivestisse importanza nelle operazioni belliche. Negli assedi le sortite dei cavalieri erano frequenti e talvolta devastanti per gli assedianti. Le scorrerie, le cosiddette “cavalcate” in territorio nemico, furono la caratteristica principale della Guerra dei cent’anni (13371453). Ma proprio perché le occasioni di distinguersi erano tanto rare, i cavalieri s’industriavano a creare occasioni di scontro anche in altri contesti. In torneo. Da questa esigenza nacquero le prime sfide, talvolta a singolar tenzone, talaltra in forma di battaglie simulate. Si trattava di ordalie, i “giudizi di Dio” per stabilire chi avesse ragione in una disputa, o di duelli d’onore o, più semplicemente, di una manifestazione coreografata della concezione ludica che caratterizzava la guerra cavalleresca. Perfino in battaglia, infatti, i cavalieri dei due opposti schieramenti erano più interessati a superarsi che a uccidersi, anche perché non era raro che avessero già incrociato le loro lance in una giostra. La profusione di tornei cui si assiste nelle pellicole hollywoodiane sul Medioevo rispecchia con accettabile correttezza l’atmosfera festiva e ludica che caratterizzava tali eventi, che sancivano il trionfo dell’ideologia cavalleresca. L’imprecisione più evidente è la presenza delle barriere tra i due contendenti, che non sembra abbia fatto la sua comparsa prima del XV secolo. Corretta invece è la presenza degli araldi che annunciano i partecipanti: si trattava, in origine, di semplici giullari che, a furia di studiare i blasoni sem-
Solenne cerimonia
L’investitura del cavaliere (da una miniatura del Codice Metz, 1290) era fatta secondo la formula di rito: “In nome di Dio, di san Michele e di san Giorgio ti proclamo cavaliere. Sii leale, forte e generoso”.
Gerusalemme libera Cavalieri templari davanti alle mura di Gerusalemme (miniatura del XIV secolo). La scena si riferisce alla conquista della città nella Prima crociata (1095-1099).
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Orlando, Lancillotto & company
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Eroe cortese La morte di Orlando a Roncisvalle in una miniatura del XV secolo.
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ello specchio della letteratura la società cavalleresca si contempla, o piuttosto essa guarda e ammira l’immagine che vuol dare di sé» asserisce lo storico Jean Flori. La chanson de geste, genere letterario nato e fiorito nell’XI secolo, ne è l’esempio più precoce: si tratta di lunghi poemi rimati in endecasillabi, recitati da giullari per celebrare epiche gesta e perpetuarne il ricordo. La pietra miliare del genere è senza dubbio la Chanson de Roland, che narra dell’imboscata dei Mori alla retroguardia dell’esercito di Carlo Magno, condotta dal paladino Orlando, nel 778. Il protagonista è il primo modello ideale
di cavaliere, che preferisce immolarsi pur di non chiamare i rinforzi. Oh, mia Ginevra! I poemi successivi introducono l’elemento sentimentale: «L’amore non è sempre esistito; è un’invenzione francese del XII secolo» ha scritto Denis de Rougemont. E così nasce la figura del cavaliere che corteggia un dama sposata di rango più elevato, perché, si pensava allora, il vero amore non può esistere nel matrimonio, ma solo al di fuori, perché non si può amare ciò che si possiede di diritto. Ecco dunque affiancarsi nei romanzi medioevali, accanto ai fatti d’arme, gli amori fra Tristano e Isotta, o tra Lancillotto e
Ginevra. Quest’ultimo rientra nel mito arturiano diffuso a partire dai romanzi bretoni di Chrétien de Troyes. Suo è il ciclo di poemi al quale più si deve la definizione dell’etica cavalleresca. Parsifal il puro. Proprio per questo, la Chiesa si affretta a “cristianizzare” il mito della tavola rotonda e il mondo arturiano. Il cavaliere perfetto (Parsifal o sir Galahad) e la ricerca del Santo Graal (divenuto, da generico bacile profano qual era nel ciclo bretone, la coppa in cui era stato raccolto il sangue di Cristo in croce) sono i temi più ricorrenti nelle opere del tedesco Wolfram von Eschenbach e del francese Robert de Boron.
IL RE DI FRANCIA ENRICO II MORÌ NEL 1559 PER LA FERITA RIPORTATA IN UNA GIOSTRA CAVALLERESCA Protezione totale Elmo a bacinetto, con visiera detta a “becco di passero”, di fabbricazione germanica (1390).
pre più articolati dei cavalieri, finirono per assumere un ruolo specifico. Corretta è anche la grande abbondanza di insegne e araldiche: il corazzamento sempre più accentuato dei cavalieri, protetti da elmi completamente chiusi, li rendeva di fatto irriconoscibili se non mediante i simboli della loro casata. Si vuol far risalire l’origine dei tornei a una battaglia simulata organizzata, già in pieno IX secolo, da Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico. Ma per andare sul sicuro bisogna guardare dopo il Mille: una cronaca riferisce che nel 1063 morì un tale Goffredo di Preuilly, “che inventò i tornei”. Sulle prime, in realtà, la competizione veniva definita conflictus gallicus, il che ne colloca incontestabilmente l’origine in Francia. Fin dai suoi esordi, questo genere di manifestazioni incontrò un grande consenso. Le autorità le favorirono, sia per indurre i signorotti a sfogare così le loro turbolenze, sia perché costituivano occasione di addestramento per i combattenti. Il pubblico le apprezzava, grazie a campioni come Guglielmo il Maresciallo, premiato e onorato sotto i Plantageneti. Le dame le consideravano un’occasione per trovar marito. I cavalieri poveri vi vedevano la possibilità di arricchirsi, anzi, per molti i tornei erano la principale fonte di reddito: lo stesso Guglielmo il Maresciallo ricordò, sul letto di morte, di aver vinto 500 cavalieri e di averne trattenuto armi e cavalli. Erano i gradi dell’angolo Gli incidenti e i decessi erano rarische la lancia di un cavaliere simi: si tendeva a disarcionare l’avdoveva avere rispetto alla versario, più che a fargli del male. traiettoria di corsa del D’altronde, le armature diventavacavallo per ottenere la no sempre più robuste: se prima la maggior forza d’urto senza rompere l’arma. maglia ad anelli ricopriva buona parte del busto e degli arti, in seguito su-
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In singolar tenzone Un re (indossa la corona sopra l’elmo) disarciona il rivale in un episodio de Les quatre fils Aymon, chanson de geste del XII secolo.
bentrarono le placche metalliche, che finirono per estendersi a ogni parte del cavaliere, con la cosiddetta “armatura bianca”. Per aumentare il grado di sicurezza, poi, venivano introdotte armi smussate e lance dette “di cortesia” (v. riquadro a pag. 28) la cui punta era costituita da una corona a tacche. In missione per conto di Dio. I tornei “cortesi” diventarono lo specchio della letteratura “cortese” (v. riquadro a sinistra), nella quale i cavalieri assunsero un ruolo morale, svolgendo uno speciale incarico per preservare l’ordine cosmico di fronte al caos. La missione dei cavalieri era ben definita nelle parole di Giovanni di Salisbury: “La funzione della cavalleria regolare consiste nel proteggere la Chiesa, nel combattere la malvagità, nel difendere i deboli dalle ingiustizie, nel far regnare la pace nel Paese e, come insegna l’origine del giuramento, nel versare il sangue per i propri fratelli e, se necessario, nel dare la vita per loro”. Questo era il cavaliere che la Chiesa avrebbe voluto cooptare, il combattente sul quale aveva messo gli occhi fin dagli anni successivi al Mille, promuovendo un movimento pacifista per limitare, almeno in Europa, i danni prodotti dalle continue lotte per la supremazia tra signori. Fu così che nacquero le crociate, spedizioni che convogliavano l’aggressività delle classi dominanti verso l’infedele. Nacquero anche gli ordini monastico-militari, come i Templari, gli Ospitalieri, i Teutonici, dapprima semplici confraternite per la difesa dei pellegrini, poi veri e propri Stati militari e commerciali i cui fratelli-cavalieri diventarono tra gli esponenti più influenti della cristianità. E già prima, in Occidente, erano state istituite le Tregue di Dio, che imponevano ai cavalieri di non combattersi almeno in certi periodi dell’anno. La “clericalizzazione” della cavalleria, anche di quella regolare, si rispecchiò nelle progressive modifiche dell’adoubement, la vestizione che, col tempo, finì per assumere gli stessi tratti della cerimonia con cui un vescovo incoronava un sovrano. www.focusstoria.it
Inizialmente limitata alla sola benedizione delle armi, diventò poi una vera cerimonia liturgica. Così lo storico Philippe Contamine ne riporta un esempio, tratto dal Pontificale del vescovo Guglielmo Durand: «Il pontefice prende la spada nuda dall’altare e dice, stringendo con l’altra mano la destra del cavaliere: “Ricevi questa spada, in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e servitene per la difesa tua e per quella della Santa Chiesa di Dio e della fede cristiana e della corona del Regno di Francia, a confusione dei nemici della croce di Cristo”. La spada viene riposta nel fodero; il futuro cavaliere la cinge, indi la sfodera di nuovo e la brandisce per tre volte, virilmente. Il pontefice può allora segnare del “carattere cavalleresco” il richiedente dandogli il bacio della pace e dicendogli: “Sii un cavaliere pacifico, prode, fedele e devoto a Dio”. Segue un buffetto alle guance accompagnato dalle seguenti parole: “Risvegliati dal sonno della malizia e veglia nella fede di Cristo, per guadagnare una fama degna di lode”. I nobili presenti impongono quindi gli speroni al neo-cavaliere che, infine, riceve lo stendardo dalle mani del pontefice». È solo verso la fine del Medioevo e l’inizio dell’Era moderna che il rituale torna a semplificarsi, a “laicizzarsi”. Cavalieri si diventa durante una giostra, prima o dopo la battaglia, senza veglia d’armi, giuramento, bagno purificatore, ma solo attraverso adoubement collettivi, con tre leggeri colpi di piatto con la spada sulle spalle del candidato. Ma è anche l’inizio del declino della cavalleria. d Andrea Frediani
Adoubement Nel Medioevo era la cerimonia d’investitura durante la quale si veniva consacrati cavaliere del re. Ogni uomo di alto lignaggio poteva diventare cavaliere dopo essere stato prima paggio (intendente del cavaliere) e poi scudiero (il gentiluomo che portava il suo scudo). Di solito, all’età di 7 anni il bambino veniva affidato a un méntore, un padrino che lo preparava alla missione.
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CAVALLERIA EVOLUZIONE
Testiera con guanciale: era la parte della barda destinata a proteggere la testa e il muso del cavallo
Barda del cavallo di fabbricazione tedesca (XVI secolo). Questo è il guardacollo
Nella parte centrale la barda si suddivide in fiancale destro e sinistro. Sopra si collocava una sella d’arme con le staffe
Sopragroppiera con guardacoda
Pettiera: solitamente veniva arricchita con medaglioni e decorazioni a sbalzo o cromatiche
La barda posteriore si chiama groppiera. Poteva anche essere imbottita di velluto rosso, lo stesso che rivestiva la sella
CAVALCANDO RAZZE EQUINE, FINIMENTI, PROTEZIONI... PER SECOLI QUESTI ELEMENTI SI SONO SVILUPPATI DI PARI PASSO CON L’IMPIEGO DEL CAVALLO SUL TERRENO DI GUERRA
“
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l mio regno per un cavallo!” invocò il re d’Inghilterra Riccardo III prima di essere ucciso sui campi di Bosworth, il 22 agosto 1485: parole che esprimono il legame indissolubile che per secoli ha unito l’uomo con l’animale che lo ha portato in battaglia, aiutandolo a creare e conquistare Stati e imperi e a creare civiltà. I primi cavalli domesticati erano pony, e le dimensioni e il loro uso non erano poi molto diversi da quelli dell’asino, ma la velocità sì! Il cavallo ha spontaneamente tre andature (passo, trotto e galoppo), risponde ai comandi del condut34
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tore ed è meno testardo del suo parente da soma: tutte caratteristiche che lo rendono particolarmente affidabile nel mezzo di una battaglia. È inoltre un luogo comune che nell’antichità i cavalli fossero tutti di bassa statura e di piccola costituzione. Intanto, con la domesticazione e l’allevamento si erano evoluti due tipi di pony: uno, originario del Nord-Ovest dell’Europa, assomigliava all’attuale pony Exmoor mentre l’altro, di struttura più grande e pesante, proveniva dal Nord dell’Eurasia ed era simile al pony Highland. Esistevano poi un cavallo vero e proprio, di struttura slan- ▸
Nel ’500 Questo modello di bronzo in scala ridotta riproduce un’armatura equestre tedesca del XVI secolo, del tipo a piastre, e la “panoplia”, ovvero l’insieme delle armi del cavaliere.
IN BATTAGLIA ▸
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CON L’USO DEL MORSO SI TRASFERISCE ALLA BOCCA DEL CAVALLO LA TENSIONE APPLICATA SULLE REDINI
ciata e leggera, adatto ai climi caldi, e un cavallo un po’ più piccolo, precursore della razza Caspian. Diversificazione. Nel corso dei secoli, l’incrocio e la selezione di queste tipologie fece sì che l’uomo avesse a disposizione cavalli adatti ai vari tipi di cavalieri e di combattimenti equestri: pony piccoli e resistenti per i cavalieri delle steppe armati di arco; cavalli leggeri per gli arcieri e i lancieri del Nord Africa e dell’Asia Minore; cavalli grossi e robusti per i catafratti (v. a pag. 24) con lancia e armatura pesante. Se gli eserciti greci e romani lasciarono alla cavalleria solo compiti di esplorazione e di assistenza, con l’avvento del Medioevo il cavallo divenne l’elemento essenziale in guerra, grazie alla definitiva adozione della staffa e della ferratura. Nel XIII-XIV secolo un cavaliere doveva possedere innanzitutto uno stallone grosso, forte e vigoroso
Ussaro inglese del 10° Rgt. “Prince of Wales”, 1808 Lanciere austriaco del 1° Rgt. ulani, 1809
LE SPECIALITÀ DI CAVALLERIA L
Cavalleggero francese del 1° Rgt. cacciatori a cavallo, 1809
A cura di Giorgio Albertini
a cavalleria si è distinta per specificità tattiche fin dall’antichità dividendosi, nei primi millenni della sua storia, sostanzialmente in cavalleria leggera e cavalleria pesante. La prima svolgeva soprattutto compiti ausiliari come esplorazione (scouting), fiancheggiamento, inseguimento e razzia; la seconda serviva come forza d’urto per sbaragliare le fanterie nemiche. Tra XVII e XVIII secolo le specialità
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di cavalleria si diversificarono ulteriormente per meglio affrontare le nuove necessità strategiche dei campi di battaglia. Durante le guerre napoleoniche si raggiunse l’apice della specializzazione.
Ussari Con i cacciatori, costituivano la specialità di cavalleria leggera più comune. Di origine incerta, ma senza dubbio orientale, gli ussari erano presenti negli eserciti europei
fin dalla fine del XVII secolo. Famosi per il loro abbigliamento sgargiante nei colori e nella foggia, portavano allacciata alla spalla una giacca dai vistosi alamari detta “dolman”. Armati di sciabola e fucile corto, erano utilizzati per l’inseguimento delle truppe in ritirata o per compiere scorrerie. Cacciatori I cacciatori a cavallo erano una specialità di cavalleria
leggera utilizzata soprattutto per azioni di disturbo e di schermaglia. Erano armati di un fucile corto che veniva sospeso a una bandoliera e di una sciabola curva. Lancieri Nei lancieri risiedeva l’antico spirito della cavalleria: armati di lancia si gettavano sulle linee nemiche nel tentativo di sopraffarle, ma la cosa non era affatto semplice. Dopo l’avvento delle armi da fuoco
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con cui caricare il nemico, chiamato “destriero” perché era condotto con la mano destra dallo scudiero; c’erano poi il palafreno, o cavallo da corsa, con il quale spostarsi normalmente, e il ronzino, o cavallo da sella. Pesante e leggera. Con l’inizio dell’Età moderna la cavalleria riprese il suo ruolo di supporto e di esplorazione e non si parlò più di cavalieri ma di cavalleggeri. Venne distinta in pesante (corazzieri, dragoni, lancieri) e leggera (ussari, cacciatori) in funzione dello specifico impiego in battaglia e del tipo di cavallo montato, di struttura pesante per la prima, più rapido e leggero per la seconda. L’addestramento dell’animale si fece più duro, per far sì che in battaglia, nonostante i rumori, i pericoli e l’agitazione, cavallo e cavaliere agissero in perfetta coordinazione. Si insegnava
all’animale a combattere impennandosi, scalciando, mordendo, scartando il nemico. Anche i finimenti si evolsero col passare dei secoli. Tra questi la sella, le staffe, la testiera, le redini e il morso. Le redini primitive erano una semplice striscia di cuoio o di corda legata alle estremità del morso, e tali rimarranno – con poche modifiche (come le fibbie per regolarne la lunghezza) – fino alla fine del XVIII secolo e al periodo napoleonico; in quell’epoca divennero più sofisticate, con l’introduzione delle briglie doppie che usano contemporaneamente due imboc- ▸ Finimenti Gli accessori indossati da un cavallo addomesticato per permettere all’uomo di cavalcarlo. Testiera L’insieme di cinghie che abbracciano la testa del cavallo e che, mediante un’imboccatura, la collegano alle redini.
Gendarme a cavallo francese, 1805 Corazziere francese del 14° Rgt. corazzieri, 1810
queste formazioni sparirono nell’Europa Occidentale, ma continuarono a operare nell’Europa Orientale distinguendosi per le loro tipicità etniche. I più famosi erano i lancieri polacchi, così impressionanti che Napoleone volle reintrodurre la specialità anche nella Grande armée. I lancieri erano la specialità più leggera della cavalleria pesante. In Austria, Prussia e Russia venivano chiamati ulani (uhlan) dal nome dell’élite dei cavalieri mongoli.
a piedi, ed erano considerati unità di cavalleria media. Nell’esercito inglese esistevano anche i dragoni leggeri.
Dragoni I dragoni costituivano la specialità più antica. Già alla fine del XVI secolo venivano utilizzati nella loro funzione di archibugieri a cavallo. Combattevano prevalentemente con l’arma da fuoco sia montati che
Gendarmi Cavalleria pesante utilizzata come guardia del corpo dell’imperatore. Armati di sciabola lunga e carabina, erano, insieme a carabinieri e granatieri a cavallo, le unità d’élite dell’esercito francese.
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Corazzieri La cavalleria pesante per eccellenza. Combattevano coperti di corazza caricando i nemici con lunghe e pesanti sciabole che utilizzavano soprattutto di punta. Erano insuperabili nel corpo a corpo all’arma bianca, ma erano dotati anche di pistole.
Dragone bavarese del 1° Rgt. dragoni, 1807
Reggimenti a colori
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el XVII secolo nacque l’uniforme così come la intendiamo oggi, e anche il cavallo “indossò” la sua. Basta con animali dai manti diversi: ogni reggimento aveva cavalli con lo stesso colore del pelo, possibilmente scuro. Alcuni reggimenti famosi presero addirittura il nome dal colore dei propri cavalli, come gli “Scots Greys” (2nd Royal dragoons) che montano ancora oggi solo animali grigi, o i “Queen’s Bays” (2nd Dragoon guards) che montano bai scuri. Per distinguersi. Unica eccezione si faceva per il trombettiere, che montava un cavallo di colore diverso da quello della truppa (bianco quando il colore dei cavalli reggimentali era scuro e viceversa) per poterlo distinguere immediatamente in mezzo alla battaglia, dal momento che in cavalleria gli ordini erano dati mediante squilli di tromba.
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LA STAFFA DIVENNE DI USO COMUNE SOLO NEL IX SECOLO, CON L’AUMENTARE DEGLI ESERCITI MONTATI cature. Nell’antichità e nel Medioevo notabili e cavalieri le abbellivano con ricami o elementi metallici pregiati. I cavalieri più abili non avevano bisogno di utilizzare morsi particolarmente severi; chi non si sentiva sicuro in sella, invece, sceglieva di condizionare il cavallo mediante il dolore che poteva infliggergli tirando le briglie. I Romani, per esempio, preferivano usare un morso molto rigido: bastava una leggera trattenuta delle redini per causare sofferenza al palato dell’animale. Montare a pelo. La prima vera sella risale probabilmente all’inizio dell’Età del ferro: fino a quel momento si cavalcava a pelo, o semplicemente con una coperta appoggiata sul dorso dell’animale. Senza staffe e finimenti rudimentali, stare a cavallo e combatterci sopra era arduo e prevedeva un lungo addestramento. I Romani, sempre loro, realizzarono un tipo di sella di cuoio dotata di quattro corni alle estremità, che tenevano bloccate le cosce permettendo una maggiore stabilità. Furono i Sàrmati a operare una vera rivoluzione, creando la sella di legno rivestito in cuoio, ma anche diffondendo l’uso dello sperone e introducendo nel III secolo d. C. quello delle staffe. Con la staffa il modo di cavalcare cambiò completamente: salire su un cavallo più alto non era più un problema, si poteva tirare con maggiore precisione con l’arco stando ritti, si poteva cavalcare più a lungo, magari dormendo in sella. Venne facilitato anche l’uso della lancia, che si poteva ora puntare e spingere con forza, e divenne più agevole portare uno scudo pesante e un’armatura completa. Inoltre, la staffa imbottita proteggeva il piede dal freddo, quella “a gabbia” dai colpi del nemico. Benedetto cuoio. Con l’uso sistematico della staffa cambiò anche la sella, su cui comparvero alti sostegni in legno davanti e dietro chiamati arcioni. Questo tipo di sella, con vari ritocchi, rimase lo stesso fin quasi alla metà del XVIII secolo, quando venne introdotto il modello ungherese (oggi conosciuto come “inglese”), leggero e di cuoio. Altro tipo di sella in uso oggi è quella moresca, o “western”, con un corno anteriore a cui legare le redini. Per quanto riguarda infine gli speroni, il tipo più diffuso all’epoca di Sàrmati e Romani era quello semplice a punta di ferro, con due braccetti metallici che si applicavano direttamente ai sandali mediante un laccetto di cuoio. In epoca più tarda lo sperone aderiva alla scarpa chiusa sempre mediante un cinturino collegato ai braccetti, ma un ulteriore laccetto avvolgeva la caviglia, facendolo aderire al calcagno mediante un piccolo uncino a esso fuso. In seguito vennero introdotti speroni a stella, ma il tipo oggi più diffuso è quello cosiddetto “all’inglese”, con la parte terminale a goccia e non più a punta, in modo da non ferire, se non lievemente, l’animale. d Marco Lucchetti
Sàrmati Antica popolazione nomade affine agli Sciti, abitante inizialmente nelle vaste pianure della Russia Meridionale. Biondi, piccoli e di corporatura massiccia, erano abili cavalieri e arcieri.
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Morso e testiera Il morso (sopra) agisce nella zona della bocca del cavallo priva di denti (sotto). Retto dalle cinghie della testiera, consente tramite le redini di governare l’animale.
Quante razze!
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el mondo esistono attualmente oltre 350 differenti razze e tipi di cavalli. Lo sviluppo e, in alcuni casi, la creazione di queste razze è stato influenzato dall’uomo attraverso l’addomesticamento e l’allevamento selettivo: un’alimentazione più nutriente e il lavoro particolare che gli uomini hanno richiesto ai cavalli hanno portato all’incremento della loro taglia e delle loro qualità specifiche.
Tipologie. Oggi i cavalli si identificano, in funzione della loro struttura, in esemplari di tipo brachimorfo (idonei a esercitare forza, con muscolatura e struttura più sviluppate, adatti al tiro e al lavoro), mesomorfo (capaci di unire resistenza e velocità a una struttura potente e compatta) e dolicomorfo (idonei alle andature veloci e allungate, di figura agile, leggera e slanciata, come il purosangue inglese). www.focusstoria.it
Morello
Baio
Grigio
Pezzato
Il manto
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mantelli dei cavalli si suddividono in quattro tipologie: 1) semplice, con pelo e crine dello stesso colore, come il morello (nero), il sauro (rosso-fulvo, di gradazioni variabili) e il bianco; 2) a due colori separati, con pelo e crine monocromatici ma di colore diverso tra loro: il più diffuso è il baio (pelo marrone chiaro o scuro sfumato di nero sugli arti e crini neri), ma vi sono anche il sorcino (color piombo con sfumature scure all’estremità e crini neri), l’isabella (pelo giallognolo con estremità e crini neri) e il falbo (come l’isabella ma con pelo giallo camoscio);
3) a due colori mescolati, come il diffusissimo grigio (peli e crini bianchi e neri mescolati) e il raro ubero (peli e crini bianchi e giallo-rossicci mescolati); 4) a tre colori mescolati, come il roano, con peli e crini bianchi, rossicci e neri mescolati. All’interno di queste tipologie esiste una serie di mantelli pezzati, a due colori che restano separati tra loro. Segni distintivi sono peli bianchi sul muso (stella, fiocco, lista, faccia bianca ecc.), sulle gambe (balzane o stivali) e il colore della parte della cornea degli zoccoli (dal blu-nerastro al bianco).
La sella A destra, una sella giapponese in legno del XIV-XVI secolo con alti sostegni davanti e dietro: gli “arcioni”. Sopra, una più moderna sella “all’inglese”, leggera e in cuoio.
Sperone e staffa Lo sperone (sotto), applicato sul retro dello stivale, serve a stimolare il cavallo nei fianchi. La staffa, oltre che al piede, può dare sostegno alla lancia del cavaliere (a destra).
Il ferro Serve a proteggere lo zoccolo del cavallo, cioè la parte del piede paragonabile alla nostra unghia. Ma anche a correggere eventuali difetti mediante forme apposite come queste.
I primi
Exmoor
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Highland
Caspian
Arabo
Le prime razze da cui poi, con la domesticazione e l’allevamento, sono state selezionate quelle più adatte ai diversi usi (tiro, guerra, corsa, svago...).
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CAVALLERIA LE GRANDI AZIONI DA ALESSANDRO MAGNO AI 600 DI BALAKLAVA, DA WATERLOO A MONTEBELLO, ECCO LE IMPRESE A CAVALLO DI UOMINI CHE HANNO CARICATO PER DIVENTARE LEGGENDA. O PER MORIRE
Sul Granico, come un martello
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a battaglia si svolgeva sui cavalli ma assomigliava di più a uno scontro di fanti; lottavano infatti i cavalli stretti ai cavalli, gli uomini agli uomini, gli uni, i Macedoni, per allontanare a ogni costo i Persiani dalla sponda e spingerli a forza nella piana, gli altri, i Persiani, per impedirne l’uscita e ricacciarli nel fiume”. Così Arriano descrisse il primo scontro in Asia di Alessandro Magno. Il macedone si trovava con il suo esercito sul Granico (l’odierno Kocabas), nella Troade, ultimo lembo occidentale dell’Asia Minore, nella primavera del 334 a. C. Al di là del fiume attendevano in armi le schiere persiane, la possente cavalleria in prima fila, la fanteria di riserva. Alessandro arrivò sulla sponda sinistra nel pomeriggio inoltrato e dispose immediatamente l’esercito a battaglia. Al centro, la grande forza d’urto rappresentata dalla falange, alle ali la cavalleria: a
ALLA CARICA! I
nfinite sono le varianti che un comandante può adottare con la cavalleria in battaglia. Nel corso della Storia, la disponibilità di truppe a cavallo, la loro tipologia, l’immaginazione e la preparazione di un condottiero, le circostanze e, anche, la follia degli uomini, hanno determinato un numero spropositato di episodi che sono rimasti nella memoria per la loro epicità, fin quasi a trasformarsi in leggenda, indipendentemente dall’esito dell’azione. Quelli che seguono sono solo 5 dei tanti esempi che si potrebbero fornire sull’utilizzo tattico della cavalleria: 1) la combinazione con la fanteria; 2) l’azione coordinata tra cavalleria leggera e pesante; 3) l’assalto a postazioni difensive in linea; 4) la carica diretta contro i quadrati di fanteria; 5) la cavalcata in mezzo ai cannoni nemici. A chiudere, due esempi italiani: i carabinieri reali a Pastrengo e la carica di Montebello. Andrea Frediani
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sinistra quella tessala condotta da Parmenione, a destra quella pesante dei nobili Compagni, gli hetairoi, alla cui testa si pose lo stesso Alessandro. Le due ali avevano funzioni opposte: la prima di contenimento, la seconda di attacco. Inaugurò l’azione una colonna di un migliaio di cavalieri, che attraversò il fiume e si aprì a ventaglio per presidiare i guadi. Questa fragile testa di ponte fungeva da diversivo per l’attacco di cavalleria vero e proprio, operato con movimento obliquo, per assecondare la corrente e aggirare lo schieramento nemico sul fianco. Al di là del Granico, Falange Nell’antica Grecia, formazione di combattimento composta da fanteria pesante armata di lancia e disposta compattamente. Fu perfezionata dal sovrano macedone Filippo II, padre di Alessandro Magno.
poi, sarebbero stati i Compagni del re a costituire un diversivo per permettere alla falange di avanzare al centro. Strategia vincente. Ed ecco realizzato il piano di Alessandro: i Persiani sguarnirono il centro per mandare rinforzi all’ala aggredita e non furono in grado di contrastare l’avanzata della fanteria. La cavalleria macedone divenne il martello che aggredì sul fianco il nemico, spingendolo verso l’incudine rappresentata dalla falange. Nel frattempo, l’ala opposta dei Macedoni avanzò con prudenza, per scongiurare eventuali rischi di aggiramento sulla sinistra. Alessandro combatté sempre in prima fila, scampando per un soffio alla morte grazie a uno dei suoi Compagni, Clito il Nero, ma sgominò i Persiani, che furono costretti a ripiegare. Solo i mercenari greci rimasero in prima linea, e finirono per essere quasi tutti massacrati.
In prima fila Nel 334 a. C. Alessandro Magno passa il fiume Granico e infligge la prima grande sconfitta ai Persiani (in un quadro seicentesco di Le Brun).
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La cavalleria di Francesco I di Francia a Pavia nel 1525. Scena di battaglia sul “sarcofago di Portonaccio” (180 d. C. circa, Roma, Museo di Palazzo Massimo).
Carre: l’abbinata di Surenas
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essuna pietà per un invasore che, senza alcun pretesto o provocazione, aveva scatenato una guerra per pura ambizione. Questo dovette pensare Surenas, il comandante dei Parti, il 9 giugno del 53 a. C. vedendo avvicinarsi nei pressi di Carre (l’odierna Harran, in Turchia) la lunga colonna dei legionari condotti da Crasso, prostrati dal caldo e dalla marcia nel deserto. E subito fece affiorare dalle dune solo una parte dei suoi 11 mila uomini, illudendo il proconsole di poter cogliere una facile vittoria. Crasso abboccò e si dispose precipitosamente a battaglia, obbligando i soldati a consumare il rancio in piedi. Distribuì quindi le legioni in un grande quadrato, con la cavalleria gallica del figlio Publio a presidio dei fianchi, e attese la carica della cavalleria nemica. Il suono dei tamburi introdusse l’attacco partico, ben più terribile e massiccio di quanto il proconsole si aspettasse. Comparirono migliaia di arcieri a cavallo, che si avvicinarono alle linee romane quel tanto che bastava loro per scagliare le frecce; poi fecero dietrofront e ripeterono l’operazione, evitando sempre il corpo a corpo. Comparve anche la cavalleria pesante: migliaia di catafratti, completamente corazzati perfino nei cavalli, che si allargarono per accerchiare le ali romane. Una pioggia di frecce. Mentre i legionari continuavano a essere implacabilmente bersagliati dalle frecce nemiche, che sembravano non esaurirsi mai, il giovane Crasso tentò di contrattaccare sull’ala; ma i catafratti ripiegarono, sollevando un gran polverone e confondendo i Galli al loro inseguimento, staccandoli dal resto dello schieramento e massacrandoli uno dopo l’altro con le loro lance più lunghe. A nulla servì il coraggio dei Celti che, una volta disarcionati, riuscirono comunque a squarciare le pance di molti cavalli gettandosi tra i loro zoccoli. La testa di Publio finì su una picca, e lo spettacolo non venne risparmiato al padre. Crasso contava sul fatto che gli avversari prima o poi avrebbero esaurito le frecce per poter passare al contrattacco con la fanteria. Ma poi venne a sapere che dietro le dune si trovava un’interminabile carovana di cammelli, con riserve pressoché inesauribili di dardi. La pioggia di proietti, infatti, non si interruppe mai, se non a sera, quando ormai i Romani erano sconfitti, decimati, in fuga, circondati, le unità isolate le une dalle altre, il loro capo scorato. Entro il mattino seguente, tra morti e prigionieri, tre quarti dell’armata romana finì distrutta dalla micidiale tattica combinata di cavalleria leggera e pesante adottata da Surenas. Crasso (114 a. C. ca.-53 a. C.): generale e politico romano, formò il 1° triumvirato con Pompeo e Cesare. Sconfisse l’esercito del ribelle Spartaco sul fiume Sele. Catafratti Cavalieri equipaggiati con armamento pesante che combattevano lancia in resta; erano interamente coperti da un’armatura di ferro, così come il cavallo, protetto da lamine di ferro.
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Pavia: cavalieri contro archibugi
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arrivo delle armi da fuoco produsse un effetto rilevante non solo sulle fortificazioni, che vennero modificate per resistere al tiro di colubrine e cannoni, ma anche sulla cavalleria, che divenne sempre più corazzata, con inevitabili effetti sulle capacità di movimento e di resistenza degli uomini, costretti a essere issati in sella mediante argani, e degli animali. Molti combattevano però come se avessero dovuto ancora affrontare arcieri e picchieri. Francesco I, re di Francia, era fra questi. D’altronde, nel 1515 la sua cavalleria era stata capace di sgominare le temibili fanterie svizzere a Marignano. Così quando dieci anni dopo, davanti alle mura di Pavia assediata, venne circondato da un esercito di soccorso, pensò di poter fare altrettanto con i tercieros spagnoli e i lanzichenecchi. Falsa sicurezza. Il 24 febbraio 1525 lo scontro venne inaugurato dai movimenti degli imperiali, al comando del viceré di Napoli, Carlo di Lannoy, che sottrassero terreno e posizioni ai francesi. Poi toccò alle artiglierie. Francesco doveva attendere e lanciare la carica dopo che il nemico era stato indebolito dal fuoco dei cannoni, ma non seppe aspettare: ordinò di sospendere il tiro d’artiglieria, si pose alla testa dei suoi 3.600 cavalieri (i gendarmi appartenenti al fior fiore della nobiltà, armati pesantemente, e gli armati alla leggera, i coustillier) e partì all’attacco su quattro file. Dapprima il re si trovò a dover affrontare la cavalleria nemica che fiancheggiava l’esercito imperiale, ma la sgominò in tre minuti. Poi vide gli spagnoli ripiegare entro i boschi e si convinse di avere ormai vinto. Ma non si rese conto che sul posto stavano affluendo anche i lanzichenecchi. Si ritrovò in inferiorità numerica, isolato dal grosso del suo esercito e minacciato sui fianchi. Ciononostante attaccò ancora. I picchieri e gli alabardieri spagnoli sembravano indifesi di fronte alla carica, eppure si mossero solo all’ultimo. Quando i francesi al galoppo furono loro quasi addosso, i quadrati si aprirono e dietro comparvero gli archibugieri. Il loro fuoco fu micidiale, ravvicinato, mirato sui cavalieri più prestigiosi. Molti comandanti caddero ancor prima di infilarsi nei ranghi della fanteria iberica, che circondò i superstiti e li finì con i coltelli o, come successe al re, li fece prigionieri. Era finita. Da quel momento in poi, in guerra, le cariche di cavalleria rivestirono solo un ruolo romantico, senza essere più risolutive come lo erano state un tempo. Picchieri Fanti che combattevano all’arma bianca con la picca, una punta metallica di varie forme montata su un’asta di legno. Le formazioni di cavalleria si infrangevano spesso contro i picchieri, chiusi a cerchio o a quadrato. Tercieros Durante il Rinascimento i tercios spagnoli, fanteria composta da picchieri e moschettieri, furono molto utilizzati in Italia; erano per lo più soldati di professione, disciplinati e noti per la loro abilità in combattimento. Lanzichenecchi Soldati mercenari di fanteria, reclutati nelle regioni tedesche del Sacro romano impero, operanti tra la fine del XV e la fine del XVII secolo. www.focusstoria.it
Il fango di Waterloo
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l 18 giugno 1815 fu una delle date più memorabili della Storia. Anche per il ruolo che ebbe la cavalleria sul campo di Waterloo, in Belgio. Era su di essa, infatti, che Napoleone fondava gran parte delle proprie speranze di sgretolare i quadrati inglesi, belgi e olandesi prima dell’arrivo dei prussiani di Blücher. Ed era al maresciallo Ney che aveva affidato il delicato compito, per poi arrivare a rimpiangere l’assenza di Murat dopo l’esito fallimentare delle sue tre cariche. Ma per quanto disastrose, quelle cariche sarebbero rimaste nella storia della guerra. La battaglia si aprì solo alle 13, quando il campo si fu parzialmente asciugato dopo le piogge notturne. Gli inglesi attendevano, disposti in quadrati, su un altopiano, il Mont Saint-Jean, oltre una cresta che impediva loro di vedere l’avanzata nemica, ma anche ai francesi di vedere la loro disposizione. L’artiglieria e il successivo assalto della fanteria francese non sortirono alcun effetto. Toccò alla cavalleria di Ney: 3.500 corazzieri, 1.200 cacciatori e 800 lancieri si lanciarono all’attacco lungo il vallone che separava gli eserciti, divisi in due colonne. “Da lontano appaiono come due immense colate di acciaio che si allungano verso la cresta dell’altipiano” scrisse Victor Hugo nel suo capolavoro I miserabili (1862). Un carnaio. Quando i corazzieri giunsero a ridosso degli inglesi, senza movimenti aggiranti, con un puro attacco frontale, improvvisamente si trovarono di fronte un baratro: oltre la cresta, infatti, c’era una strada infossata. Vi caddero dentro, oppure si bloccarono, solo per essere investiti da quelli che li
seguivano. Fu una carneficina, un ammasso indistinto di cavalli e cavalieri. Poi iniziò l’azione di fuoco dei quadrati inglesi contro i reparti superstiti. I corazzieri, tuttavia, non si dettero per vinti, e riuscirono, nonostante tutto, ad aprire delle brecce nelle formazioni nemiche. Ma poi arrivarono anche le cavallerie inglese, tedesca, belga, che attaccarono i corazzieri alle spalle. Ney riuscì a riorganizzare i suoi e a condurre una nuova carica, ma lo spazio sull’altopiano era troppo ristretto per la cavalleria, e non c’era l’abbrivio sufficiente per ottenere un effetto migliore del precedente. E allora Ney ci riprovò ancora, con nuovi effettivi: altri corazzieri, i dragoni della Guardia e i granatieri a cavallo: l’intera riserva di cavalleria di Napoleone. In tutto, circa 10 mila uomini, che riuscirono a impadronirsi della cresta e a tenere sotto controllo il pendio, ma non ancora a infrangere la saldezza dei quadrati inglesi. Erano ormai le 17, e i contendenti erano stremati, entrambi decimati. La resistenza degli inglesi era al limite, quando comparvero all’orizzonte le avanguardie prussiane. Eccola la svolta del combattimento: Napoleone fu costretto a distaccare parte delle proprie forze verso il fianco minacciato da Blücher, esponendosi al contrattacco inglese. E per i francesi fu la fine.
NEY ERA “SANGUINANTE E MAGNIFICO” SCRISSE VICTOR HUGO, MENTRE GRIDAVA “VENITE A VEDERE COME MUORE UN MARESCIALLO DI FRANCIA”. SI SALVÒ E FU PROCESSATO ▸
Siamo perduti Il maresciallo Ney a Waterloo nel 1815. Sopra, un cimelio della battaglia: la corazza del carabiniere François Antoine Fraveau, del 2° Reggimento, colpito da una cannonata. www.focusstoria.it
Balaklava: la carica dei 600
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rimea, 25 ottobre 1854. Mentre i franco-turco-inglesi assediavano Sebastopoli, i russi avevano risposto puntando su Balaklava, la base portuale degli alleati. La mossa russa aveva provocato la fuga dei turchi a presidio delle ridotte con i cannoni portuali, e aveva sorpreso anche gli inglesi, che a difesa del porto disponevano solo di 550 highlanders. Gli scozzesi respinsero un attacco, poi vennero raggiunti dalla Brigata pesante della Divisione di cavalleria, guidata dal generale Scarlett. Questi approfittò di una pausa dei russi e attaccò a briglia sciolta. Lo scontro si risolse a favore degli inglesi, grazie anche all’intervento del 4° Dragoni della Brigata leggera, mandato a sostegno dal comandante della divisione, lord Lucan. Gli inglesi rinunciarono tuttavia a inseguire i russi, permettendo loro di attestarsi sulle colline intorno alla gola di Balaklava e di impossessarsi delle ridotte. Ma quando il comandante del corpo di spedizione inglese, lord Raglan, venne a saperlo, ordinò che la Brigata leggera andasse subito a riconquistare le batterie e a tale scopo emanò due ordini consecutivi, anche se solo nel primo si parlava di fanteria in appoggio all’unità di cavalleria. Lucan ne venne informato dall’aiutante di campo del comandante supremo, il capitano Nolan. Highlanders I membri dei reggimenti custodi delle tradizioni e dei costumi delle Highlands scozzesi, integrati dal Seicento nell’esercito britannico.
Incomprensione fatale. I due ebbero un alterco, non si capirono, e la catena di equivoci gettò allo sbaraglio 666 uomini (tra cui due ufficiali del Regno di Sardegna, il maggiore Giuseppe Govone e il tenente Giuseppe Landriani) guidati dal generale della Brigata leggera, lord Cardigan. I cavalleggeri si disposero su tre file, il 13° Dragoni e il 17° Lancieri in prima, l’11° Ussari in seconda, il 4° Dragoni e l’8° Ussari in terza, e puntarono non sulle ridotte, ma al fondovalle, distante due chilometri: due chilometri, ovvero mezza lega circa, con il fuoco sui fianchi e di fronte! La brigata procedette al trotto perfino quando le artiglierie russe cominciarono a sparare. Perfino quando Nolan, che aveva raggiunto Cardigan forse perché si era reso conto dell’equivoco, venne spazzato via da un colpo di cannone. Il tiro incrociato dei russi continuò a mietere vittime, ma Cardigan lanciò i suoi al galoppo solo a ridosso del nemico sul fondovalle. Una scarica d’artiglieria a 70 metri abbatté molti cavalleggeri, ma senza fermare la brigata. Gli inglesi oltrepassarono la linea degli artiglieri, si impossessarono delle batterie, poi affrontarono la cavalleria nemica in retroguardia e la costrinsero a ripiegare. Cardigan tornò incredibilmente illeso presso le proprie linee. Non così la gran parte dei suoi: solo in 195 erano ancora in grado di combattere. Il maresciallo francese Bosquet, testimone dell’evento, affermò: “È stato magnifico, ma questa non è guerra”.
Mezza lega, mezza lega, mezza lega avanti, nella Valle della morte cavalcarono tutti i seicento. “Avanti la Brigata leggera! Caricate su quei cannoni!” disse: nella Valle della morte cavalcarono i seicento. (da La carica della Brigata leggera, di Alfred Tennyson, 1855) www.focusstoria.it
Visti da vicino La carica dei carabinieri a Pastrengo nel 1848 (Museo dell’Arma, Roma) di Sebastiano De Albertis, pittore garibaldino che partecipò a molte battaglie risorgimentali.
Per il re e per l’Italia
3O L’8° REGGIMENTO “LANCIERI DI MONTEBELLO” È L’UNICO REPARTO ITALIANO DI CAVALLERIA CON UN NOME LEGATO A UN FATTO D’ARMI
Impresa suicida La carica della Brigata leggera (lancieri, dragoni e ussari) contro i cannoni russi a Balaklava (Crimea) il 25 ottobre 1854 (in una litografia di Woodville). www.focusstoria.it
aprile 1848, Prima guerra d’indipendenza: Pastrengo, testa di ponte austriaca oltre l’Adige, fu investita dal fuoco piemontese fin dalle 11 del mattino. Ma l’avanzata delle truppe sabaude procedeva lentamente, provocando l’impazienza del re Carlo Alberto, che si era portato in prima linea, su un’altura a ridosso del villaggio, per osservare meglio l’azione. Pericolo. La sua presenza venne notata dai cacciatori tirolesi, che avanzarono per averlo a portata di tiro. La scorta del sovrano, costituita da tre squadroni di carabinieri a cavallo al comando del maggiore Alessandro Negri di Sanfront, si avvide del pericolo e accorse a sua difesa. Il fuoco nemico li investì e ne provocò lo sbandamento, ma non li arrestò. I cavalleggeri reali riuscirono a tornare in testa allo schieramento piemontese e si lanciarono perfino alla carica contro le postazioni austriache, seguiti dallo stesso Carlo Alberto. La loro azione provocò lo sfondamento delle linee nemiche e impedì agli avversari di opporsi con efficacia all’avanzata dei piemontesi.
Leggendari. Undici anni dopo a Montebello, durante la Seconda guerra d’indipendenza, il 20 maggio 1859 il campo di battaglia era occupato in gran parte da austriaci e francesi. Ma con questi ultimi vi erano i 750 cavalleggeri del colonnello Maurizio de Sonnaz, suddivisi in due squadroni del Monferrato, uno di Novara e uno di Aosta. Al culmine dello scontro, che si sviluppò tra caseggiati e orti, un’altra colonna austriaca si avvicinò a minacciare il fianco francese. Ma i cavalleggeri piemontesi vi si lanciarono contro in una carica entrata nella Storia e ne rallentarono l’avanzata, fino a obbligare le forze nemiche alla ritirata.
Elmetto da cavalleria del Regio esercito sabaudo (1840).
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CAVALLERIA LA FINE
DAGLI
ZOCCOLI ALL’ACCIAIO Il passaggio di testimone Due foto degli Anni ’30. Sopra, un’esercitazione di cavalieri della Scuola di Brandeburgo (Germania). Sotto, un carro armato tedesco Panzer I “salta” un fossato.
CON IL SUO AVVENTO IL CARRO ARMATO SEGNÒ IL DESTINO DELLA CAVALLERIA, MA NE EREDITÒ LO SPIRITO. POI ARRIVARONO I “CAVALLI VOLANTI”...
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i sono voluti pochi decenni per mandare il cavallo in pensione. Quello che non era successo in migliaia di anni si è verificato nel corso del XX secolo: un cambiamento radicale, dall’ultima carica di cavalleria, passando per le truppe meccanizzate, per finire con gli elicotteri, che fecero il loro debutto nella guerra del Vietnam. Durante la Prima guerra mondiale la cavalleria di tutti gli eserciti coinvolti, pur continuando a scrivere pagine di gloria e di sacrificio, visse l’inizio di una crisi d’identità: la statica guerra di trincea sul fronte europeo – con poche battaglie in campo aperto – e l’avvento di nuove armi letali come la mitragliatrice, costrinsero spesso i comandi a usare i reparti a cavallo non già più come forza d’urto, in passato risolutiva, ma con compiti ausiliari di esplorazione, collegamento o di pattugliamento delle retrovie. Sul fronte italiano ben quattro divisioni di cavalleria del Regio esercito vennero addirittura temporaneamente appiedate per combattere, con un veloce addestramento, come fanti in trincea. Fu soprattutto su fronti minori extra-europei, dove il terreno era più aperto, che i soldati montati poterono operare come in passato. Rimase famosa, per esempio, la carica della 4th Light horse brigade australiana a Beersheba contro i turchi, il 31 ottobre 1917, durante la campagna di Palestina. Arrivano i carri. Nella stessa guerra stava nascendo una nuova arma che avrebbe assicurato grande mobilità sul moderno campo di battaglia, come le unità a cavallo, capace però di un enorme volume di fuoco: era il carro armato, che en▸ trò presto a far parte della storia della cavalleria. S
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I cavalieri del cielo
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rovenivano in gran parte dalla cavalleria gli ufficiali piloti che, nella Prima guerra mondiale, si misero alla guida di un nuovo mezzo: l’aeroplano. Animati da spirito avventuroso, affascinati da quest’arma agli esordi, furono i primi a capire l’utilità di un mezzo che, con i suoi compiti iniziali di ricognizione e avanscoperta, ricordava le missioni della cavalleria stessa. Nei primi duelli aerei questi uomini videro anche un modo per tornare alla “singolar tenzone” di una volta. Lassù dove l’aria è rarefatta, “montando” un destriero di legno e tela, il pilota era solo contro l’avversario.
Erano ristabilite le nobili leggi del passato, quando ci si giocava la vita con onore, e il nemico, salvo eccezioni, era molto rispettato. Un pilota colpito poteva anche essere lasciato libero di rientrare. E se precipitava, succedeva persino che il nemico atterrasse per conoscere il destino del rivale. Un paradosso per una guerra dove, a terra, i combattenti si riservavano tutt’altro trattamento. L’asso degli assi. Gli aviatori in guerra avevano dunque fatto propri gli ideali della cavalleria medioevale e un “codice” che, sebbene in tono minore, sopravviverà nei piloti da caccia anche nel conflitto mondiale successivo. Dal Piemonte reale cavalleria (reggimento nato nel XVII secolo) proveniva per esempio Francesco Baracca (nella foto, il suo brevetto di volo), con 34 vittorie il nostro asso della Grande guerra, che volle sull’aereo il “cavallino rampante” simbolo del suo reggimento. La madre lo donò poi come portafortuna a Enzo Ferrari, che lo adottò per la sua scuderia.
Tra le due guerre mondiali i reparti a cavallo ebbero ancora il loro spazio negli eserciti di tutto il mondo (nella Guerra di Spagna, nel conflitto cino-giapponese, nella Guerra d’Etiopia e in altre operazioni coloniali vi furono scontri con protagonisti i cavalieri) ma il vento del rinnovamento stava soffiando forte. Molte nazioni stavano avviando una progressiva sostituzione dei quadrupedi con mezzi meccanizzati: carri armati e autoblindo. L’esercito più all’avanguardia in questo campo, completamente rimodernato dopo l’ascesa di Hitler al potere, era il tedesco. Curiosamente quello americano, che in seguito mostrò tutta la sua potenza, in questa rincorsa tecnologica arrivò tra gli ultimi: basti pensare che nel 1921 era stata creata la 1ª Divisione di cavalleria con reparti montati ancora su equini. Confronto impari. La Seconda guerra mondiale vide convivere sia unità a cavallo sia reparti di cavalleria corazzata, ormai “montati” su carri. Qualche volta si trovarono a combattere gli uni contro gli altri, come in Polonia nel 1939, quando con enorme spreco di vite, cadendo prima ancora di essere a contatto col nemico, i cavalieri polacchi si lanciarono disperatamente al galoppo contro i reparti meccanizzati tedeschi impegnati nella “guerra lampo”. Cavalli contro carri armati, sciabole contro mitragliatrici, lance contro cannoni: era il nuovo modo di combattere contro quello vecchio, e non c’era più spazio per staffe e squilli di tromba. I grandi scontri di cavalleria del passato si trasformarono in mastodontici scontri di truppe corazzate. Furono i tempi delle ultime cariche anche per la cavalleria italiana, come quella celeberrima che il Reggimento Savoia fece il 24 agosto 1942 a Isbushenskij (Russia) durante la marcia verso il Don, contro le avanguardie di due battaglioni sovietici. O ancora quella dei Cavalleggeri 48
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Contro i carri La cavalleria polacca affronta i carri armati tedeschi tra Varsavia e Kutno, nel 1939.
NELL’800 IL REGGIMENTO SAVOIA di Alessandria che il 17 ottobre 1942 a Poloj, in Croazia, caricarono per aprirsi un varco tra le formazioni di partigiani dell’allora Iugoslavia: fu l’ultima vera carica della cavalleria del Regio esercito (v. riquadro a destra). La nostra cavalleria coloniale aveva concluso le sue gesta di gloria un anno prima a Cheru (Eritrea) il 21 gennaio 1941, quando il Gruppo bande cavalleria Amhara, al comando del leggendario tenente Amedeo Guillet, aveva caricato per un’ultima volta le fanterie e i carri armati inglesi della Gazelle force, ritardandone di 24 ore l’impiego nella battaglia di Agordat. Durante il conflitto unità a cavallo vennero in qualche caso impiegate ancora con successo, benché con compiti di secondo piano, come nel caso dei cosacchi della cavalleria sovietica, che crearono grande disturbo dietro le linee dell’Asse. O come i reparti a cavallo della divisione Ss Florian Geyer, che furono utilizzati, sempre sul fronte orientale, in funzione anti-partigiana. Questo a dimostrazione che i reparti a cavallo erano ancora la soluzione più valida per controllare un terreno tatticamente e morfologicamente complesso. Dopo la Seconda guerra mondiale. Con le vicende della guerra del 1939-45 si chiuse l’epoca storica della cavalleria montata. Nel dopoguerra, infatti, la conversione dei reparti di cavalleria in reparti corazzati fu quasi totale; furono ben poche le unità non trasformate che combatterono ancora a cavallo, come qualche reparto di obsoleti eserciti sudamericani, principalmente impiegati con compiti antirivoluzionari. In seno ai vari eserciti sopravvissero alcune unità a cavallo, ma solo con compiti scenici e più di rappresentanza che altro: è il caso, per esempio, dei due reggimenti della Household cavalry britannica (Life guards e Blues and royals, le guardie montate della regina d’Inghilterra) o dei nostri corazzieri e del Reggimento carabinieri a cavallo. Amedeo Guillet Ufficiale italiano distintosi in Africa Orientale. I soldati indigeni del Gruppo bande Amhara lo soprannominarono “comandante diavolo” e lo ritenevano immortale. Abile a cavallo (era stato olimpionico di equitazione) e nelle azioni di guerriglia, riuscì a nascondersi al nemico mimetizzandosi con i locali. Asse o “potenze dell’Asse”, era la definizione usata nella Seconda guerra mondiale per indicare le nazioni schierate contro gli Alleati. Fu Benito Mussolini nel 1936 a definire “Asse Roma-Berlino” l’intesa tra la Germania nazista e il Regno d’Italia.
Poloj, l’ultima carica
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oco nota ai più, quella effettuata a Poloj fu realmente l’ultima carica a cavallo dell’Esercito italiano. A metà dell’ottobre 1942 il 14° Reggimento cavalleggeri di Alessandria, al comando del colonnello Aimone Cat, era in Croazia, nella zona di Perjasica, insieme a una colonna di reparti italiani impegnati in combattimenti contro formazioni di partigiani regolari titini. Raggiunta Poloj, alle 14:45 del giorno 17 i cavalleggeri
attaccati nuovamente con vennero violentemente attaccati da più parti. Impos- violenza. Non restò loro che caricare per passare. sibilitato a ripiegare per L’epilogo. Gli squadroni, il forte fuoco nemico, Cat decise di schierarsi a difesa a ranghi compatti, furono investiti dal fuoco di armi per la notte, ma un ordine automatiche e bombe a del comando superiore gli mano, ma superarono di intimò di ripiegare comunslancio ben tre linee di que, nonostante il fuoco Duis lorema posizioni nemiche. Solo e l’oscurità imminente. Amolor si bla aduna tie commy grande preparazione Alle 18:30 i vari squadroni utetuercing nit lor Equatin di cavalli e cavalieri evitò iniziarono ad arretrare, il duis facing Con la raenisil 2° massacro. 1° in avanguardia, sul-diatieunfeu pidità della loro azione i la destra, il 3° a sinistra ed Cavalleggeri di Alessandria il 4° a difesa della sezione spezzarono un accerchiadi artiglieria; ma dopo mento che coinvolgeva un chilometro vennero
Il Savoia cavalleria a Isbushenskij (Russia) nel 1942, penultima carica italiana.
anche due reggimenti di fanteria e uno di Camicie nere, che subirono poche perdite. Il reggimento, tra morti, feriti e dispersi (tutti i prigionieri vennero poi
uccisi dai titini) perse circa 170 uomini. Ai partecipanti furono assegnate 12 medaglie d’argento al valor militare e svariate medaglie di bronzo e croci di guerra.
CAVALLERIA FU IMPIEGATO ANCHE CONTRO I BRIGANTI DEL SUD Un’ulteriore trasformazione della cavalleria avvenne negli Anni ’60 nell’esercito americano, che stavolta fu il precursore: durante la Guerra del Vietnam alcune unità di cavalleria, fino ad allora corazzate, vennero trasformate in unità elitrasportate, ampliandone così notevolmente la mobilità. Nacque la “cavalleria dell’aria”, che con questi nuovi versatili mezzi ad ala rotante poté essere di nuovo impiegata sul campo di battaglia con le modalità del passato: velocemente e dove vi era immediato bisogno. Proprio la 1st Cavalry division, ora Airmobile (celebrata anche da pellicole famose come Apocalypse now), fu la principale unità di questo tipo impiegata in Vietnam ed ebbe grandi scontri durante tutto il conflitto; il primo e più noto fu nella battaglia della valle di Ia Drang, anch’esso descritto in un celebre film: We were soldiers, con Mel Gibson. L’uso dei cavalli oggi. La moderna cavalleria assolve oggi i compiti di un tempo con veloci reparti montati su mezzi corazzati cingolati o ruotati, oppure su elicotteri da ricognizione, trasporto o attacco. Ma c’è ancora spazio nel nostro tempo per unità operative montate sui tradizionali quadrupedi? Con la trasformazione delle guerre in conflitti limitati, spesso a bassa
intensità, contro eserciti di guerriglieri o in aree di difficile accesso da parte di mezzi più moderni e facilmente visibili, pare che qualche impiego a cavallo ci sia ancora, sebbene non certo a “squadroni” interi come una volta. Ne è stato un esempio, tra il 1973 e il 1980, quello degli Grey’s scouts, un reparto esplorante a cavallo di circa 200 uomini che faceva parte delle unità delle forze speciali rhodesiane, nate per contrastare i guerriglieri dei movimenti nazionalisti rivoluzionari del Paese. Formata da uomini bianchi e neri provenienti dalle zone rurali, già esperti cacciatori, questa unità, sottoposta a un duro addestramento alla controguerriglia, era capace di agire in completa autonomia, in piccoli gruppi, con compiti di ricognizione e combattimento. Anche di recente pare che alcuni nuclei delle forze speciali americane – che nel 2001 hanno operato in Afghanistan in
In addestramento A destra, nel 1912 i soldati francesi si allenavano al tiro puntando la cavalleria in un filmato. Sotto, una carica durante le grandi manovre in Irpinia del 1936.
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SAPERNE DI PIÙ Gli Sciti. L’oro della Siberia e del Mar Nero, Schiltz Veronique (Electa Gallimard). Nel I millennio a. C., nel territorio compreso tra il Danubio e i monti Altai, emerse una civiltà nomade di arcieri a cavallo: i primi cavalieri. Cavalli e cavalieri. Le grandi cariche di cavalleria: dagli Ittiti alle guerre mondiali, Giorgio Vitali (Mursia). L’epopea dei guerrieri a cavallo, dai popoli antichi alle ultime cariche del Novecento.
Cavalieri volanti
Gli ordini cavallereschi, Claudio Rendina (Newton Compton). I Cavalieri di Malta, i Templari, i Teutonici, fino agli ordini costituitisi nell’800 in alcuni Paesi extraeuropei.
Una formazione di elicotteri americani trasporta le truppe nel cuore della giungla, nella Guerra del Vietnam. Sotto a destra, il distintivo della 1st Air cavalry division.
IL 4° REGGIMENTO CARABINIERI È TUTT’OGGI MONTATO A CAVALLO stretta cooperazione con le forze dell’Alleanza del Nord – abbiano svolto a cavallo alcune missioni di ricognizione in zone difficili da raggiungere con i mezzi convenzionali. E anche da parte di alcuni movimenti di guerriglia o reparti paramilitari, la scelta di muoversi a cavallo è tornata in auge: è il caso dei janjaweed sudanesi. Ma forse questa non è più la vera cavalleria. In missione anti-sommossa. Diversamente, un nuovo impiego per reparti a cavallo si è delineato nel tempo, anche in Paesi tecnologicamente avanzati, nell’ambito delle forze di polizia: prima fra tutte, con compiti di controllo del territorio, fu la Royal canadian mounted police, le celeberrime “giubbe rosse” dei film, ma reparti a cavallo sono impiegati negli Usa contro l’immigrazione clandestina al confine con il Messico o, anche da noi, per il monitoraggio di parchi o, ancora, di vaste aree boschive per la prevenzione di incendi, oppure in funzione antisommossa. Il deterrente che crea l’impatÈ la potenza, in cavalli to visivo e fisico di un cavaliere è sicuramente vapore, sprigionata da un più forte di quello di un singolo uomo appiesingolo elicottero CH-47 dato, anche se armato di scudo e manganelChinook, utilizzato dalla lo. Più di 26 Paesi nel mondo, tra cui la mag1a Divisione di cavalleria dell’aria americana durante gior parte di quelli europei, hanno oggi unità la Guerra del Vietnam. a cavallo con compiti di polizia. Anche se non ci saranno più le grandi cariche, la figura del soldato a cavallo non è quindi morta del tutto, ma solo mutata nel tempo, sempre legata a questo quadrupede, uno degli animali più presenti nella vita stessa dell’uomo fin dall’antichità. d
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Stefano Rossi
Janjaweed A metà tra miliziani filogovernativi e predoni, vessano le popolazioni del Darfur (Sudan). Il nome significa “uomo armato a cavallo”.
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Cavalieri e cavalleria nel Medioevo, Jean Flori (Einaudi). Chi erano i cavalieri medioevali? Perché “cavaliere” divenne un titolo nobiliare? Che cos’è l’ideale cavalleresco? Le risposte in questo libro. Operazioni speciali al tempo della cavalleria, Yuval Noah Harari (Leguerre). Spionaggio, sabotaggio e controinformazione. Le tecniche di guerra non convenzionale del Medioevo. Le armi, i cavalli, l’oro, Duccio Balestracci (Laterza). Attraverso la biografia di Giovanni Acuto (XII secolo), temutissimo cavaliere al soldo di Firenze, l’autore narra la vita e la formazione dei mercenari dell’epoca. Francesco Baracca. Luci e ombre di un grande italiano, Enio Iezzi (Walberti). La vita dell’asso dell’aviazione ricostruita dall’autore dopo un attento studio in diversi archivi storici italiani e non. L’ultima carica. Dolnij Poloj 17 ottobre 1942, Raffaele Arcella (Bonanno). La storia dell’ultima carica della cavalleria italiana e del suo sacrificio. Trotto, galoppo... Caricat! Storia del raggruppamento truppe a cavallo. Russia 1942-1943, Giorgio Vitali (Mursia). La storia dell’ultima brigata con cui si chiuse nella steppa ucraina l’epopea della cavalleria italiana: uomini e quadrupedi si muovono sullo sfondo di un Paese immenso e sconfinato e combattono con slancio ed entusiasmo. La guerra del Vietnam. La guerra aerea, D. Clark e W. Stephen (Hobby & Work Publishing). Negli anni Sessanta, in Vietnam, i soldati della cavalleria cominciarono a “montare” gli elicotteri al posto dei cavalli e dei mezzi corazzati.
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WARS
APPUNTAMENTI
GUERRE IN MOSTRA A cura di Giorgio Albertini
NOVEMBRE 12-14 Giornate della carboneria Fratta Polesine (Rovigo)
Una tre giorni in cui sarà possibile visitare le ville dei carbonari, assistere alle rievocazioni con figuranti e ascoltare musica d’epoca nel centro storico. Previsto un banchetto carbonaro a Villa Grimani Molin, ora Avezzù Pignatelli, con menu d’epoca, drammatizzazione della cena e arresto dei patrioti. Info: tel. 0425 668030 www.comune.frattapolesine.ro.it
12-14 Magenta alla corte di Arrigo VII
Magenta (Milano) La cittadina lombarda celebra i 700 anni dal passaggio di Arrigo VII di Lussemburgo, che la elevò da villaggio a borgo. Sono previsti la ricostruzione di un mercato medioevale comprendente i banchi dello scudaio, dell’armaiuolo e dei giochi, l’investitura di un cavaliere e la rievocazione di una singolar tenzone. Info: Associazione culturale Italia medievale, tel. 02 45329840 www.italiamedievale.org
Fino al 15 Volturno 1860: l’ultima battaglia dei Mille
Caserta Nell’ambito delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, questa esposizione illustra le fasi della battaglia del Volturno, dove 24 mila garibaldini si scontrarono con 25 mila borbonici. Nel suggestivo contesto della reggia vanvitelliana sono in mostra carte della battaglia, armi, divise, cimeli e fotografie d’epoca. Info: tel. 0823 277111 www.italiaunita150.it
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DICEMBRE 3-5 Austerlitz 2010
Slavkov u Brna (Repubblica Ceca)
L’evento commemorativo del 205° anniversario di questa grande vittoria di Napoleone si svolgerà nei luoghi della battaglia. Migliaia di comparse in divisa permetteranno di rivivere quei giorni di fuoco dove i francesi si scontrarono con austriaci e russi coalizzati. Info: fax 00420 239017458 www.austerlitz.org
4-5 Mostra-mercato del collezionismo storico Borgo Faiti (Latina)
Presso il Museo storico Piana delle Orme una mostra-mercato tra le centinaia di mezzi militari che ne compongono la collezione. Info: tel. 338 3891320 www.pianadelleorme.it
Fino al 5 De re militari
Milano Quinta esposizione dei fogli tratti dal Codice atlantico. Questa volta si tratta di una selezione di disegni che Leonardo realizzò per progettare macchine belliche: tante prove di alta competenza tecnica insieme a qualche progetto visionario. La mostra è distribuita su due sedi: la Sagrestia del Bramante a Santa Maria delle Grazie e la Sala federiciana presso la Pinacoteca ambrosiana. Info: tel. 02 806921 www.ambrosiana.eu
GENNAIO 6 La messa dello spadone
Cividale del Friuli (Udine) Nel duomo della cittadina si celebra un rito che rievoca l’insediamento nel 1365 del patriarca di Aquileia Marquardo von Randeck. Dopo la cerimonia si svolge la rievocazione storica della sua entrata in città, con la sfilata di cavalieri, balestrieri, falconieri e autorità civili. Info: tel. 0432 700652 www.epifaniainfriuli.com/cividale
Fino al 9 Mexico: immagini di una Rivoluzione
Roma Al Palazzo delle Esposizioni un’inedita selezione di fotografie sulla Rivoluzione messicana racconta la storia degli eventi politici e dei movimenti armati nel Paese dal 1910 al 1920. Con le immagini di Pancho Villa, di Emiliano Zapata e di gente comune, si mette a fuoco un conflitto che anticipò i grandi rivolgimenti del XX secolo. Info: tel. 06 39967500 www.palazzoesposizioni.it
Fino al 16 I pittori del Risorgimento Roma
Una mostra che descrive come la pittura italiana abbia in qualche modo partecipato alle guerre risorgimentali, mostrandone gli eventi in rappresentazioni grandiose. Una straordinaria raccolta dei più conosciuti artisti dell’epoca, testimoni e talvolta protagonisti in armi loro stessi, come Gerolamo Induno. Info: Scuderie del Quirinale, tel. 06 39967500 www.scuderiequirinale.it
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“TACI! IL NEMICO TI ASCOLTA” DICEVA LA CAMPAGNA IDEATA PER MUSSOLINI DAL GIORNALISTA LEO LONGANESI. LA 2A GUERRA MONDIALE FU COMBATTUTA ANCHE A COLPI DI MANIFESTI
MURI
PARLANTI
← IL NEMICO Per gli americani l’avversario è un ufficiale tedesco con il monocolo in cui si riflette l’immagine di un impiccato. Dal 1941, dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, anche gli Usa sono in guerra.
↑ POCO RACCOMANDABILI Dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia nel luglio del ’43 e sulle coste del Lazio nel gennaio del ’44 circolano voci (in parte fondate) di stupri e violenze sui civili. È ciò a cui allude questo manifesto.
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CON I POSTER SI FACEVA LA GUERRA PSICOLOGICA O “PSYOP”, IN INGLESE PSYCHOLOGICAL OPERATIONS
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IN GUERRA CON LA CUFFIETTA La propaganda a stelle e strisce cerca di reclutare infermiere. Con successo: oltre 59 mila americane entreranno negli army nurse corps.
SLOGAN IN CIRILLICO I sovietici assicurano: “La nostra potenza è infinita, le nostre forze innumerevoli”. L’Urss deve resistere al blitzkrieg, l’invasione nazista del 1941.
RAGGIRI Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la nascita della Repubblica sociale italiana i fascisti fanno balenare ai connazionali il pericolo di smembramento della Penisola.
COMUNISTI! Nel 1942 il Belgio, occupato dai nazisti, agita lo spauracchio dei bolscevichi, pronti a distruggere la cristianità, per arruolare volontari nella Legione fiamminga delle Waffen Ss.
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SPEGNI LA LUCE “Il nemico vede la tua luce! Spegnila!” scrive questo manifesto di propaganda tedesco rivolto alle popolazioni delle città. Nell’autunno del 1940 gli aerei inglesi della Raf avevano iniziato i primi bombardamenti notturni di Berlino.
C’ERA ANCHE LA “PROPAGANDA NERA”, PROVENIENTE DA UNA FONTE APPARENTEMENTE AMICA, IN REALTÀ OSTILE
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TRA L’INCUDINE E IL MARTELLO Un poster del 1942 riporta la croce di Lorena, simbolo delle Ffl (le Forze della Francia libera guidate da De Gaulle), contrapposta alla croce uncinata.
LA GRAFICA DEL REGIME 1943: il ministero della Guerra usa i manifesti di un noto pittore pubblicitario, Gino Boccasile, per mostrare la forza delle donne e dei combattenti italiani.
IL NAZI-VICHINGO Dopo l’aggressione della Germania alla Norvegia, le gerarchie tedesche sfruttano il mito del guerriero normanno per la propaganda delle Waffen Ss diffusa a Oslo.
ATTENTI AL LUPO “Il comunismo è nemico della Francia” si legge nel 1942 sulla propaganda del Ppf, il Partito popolare francese, formazione fascista collaborazionista.
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VERSA UN OBOLO L’Impero giapponese cerca soldi: “Spara un colpo perché la guerra finisca! Puoi sostenere il debito pubblico e la guerra contro la Cina. Quote presso gli uffici postali”.
PERFIDO MOSTRO Il manifesto tedesco diffuso nel 1943 nell’Olanda occupata invita a partecipare all’attacco all’Inghilterra, rappresentata sotto forma di drago marino.
EPICA SOVIETICA Nel 1941 l’Urss incita le truppe al combattimento scomodando gli eroi di ogni tempo: da sinistra, il principe Aleksandr Nevskij (1220-1263), il generale Aleksandr Suvorov (17291800) e il soldato dell’Armata Rossa Vasilij Chapaev (1887-1919).
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SEGRETEZZA Dopo Pearl Harbor e l’allargamento della guerra al Pacifico, anche sull’Australia incombe il pericolo di un’invasione giapponese: “Il nemico ascolta: le vostre parole sono le sue armi”.
ALCUNI DI QUESTI VOLANTINI VENIVANO LANCIATI DA PALLONI IN VOLO SULLE TRUPPE NEMICHE AL FRONTE
USURPATORI La propaganda tedesca si rivolge ai soldati inglesi toccando il tasto della gelosia: quel che fanno gli americani in Inghilterra “mentre tu sei via” è chiaro.
UN ULTIMO SFORZO Il manifesto inglese incita la popolazione ad appoggiare le truppe al fronte: “Aiutali a finire il lavoro”. L’obiettivo è ottenere prestiti di guerra.
ALLE ARMI Nel ’44 la guerra è ormai persa, ma la Repubblica di Salò diffonde un manifesto per l’arruolamento nelle Ss italiane facendo leva sull’onore del Paese.
TRADIMENTO In Francia i nazisti fanno propaganda usando il massacro di Katyń: attenti ai sovietici, vi getteranno nelle fosse comuni (il “paradiso sotto terra”) come il soldato polacco.
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CORPI LEGGENDARI
ORIZZONTI DI SABBIA
LE SUE GESTA NEL DESERTO NORDAFRICANO L’HANNO RESA CELEBRE. MA LA LEGIONE STRANIERA NON È SOLO UN AFFASCINANTE RACCONTO D’AVVENTURA. ECCO LA SUA STORIA
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In parata Gli “zappatori” della Legione straniera durante la parata del 14 luglio a Parigi, negli Anni ’30.
a lontano, sugli Champs-Élysées, sulle note dell’inno Le boudin si avvicinano perfettamente inquadrati i reparti col kepi bianco; davanti sfilano gli “zappatori”, che la tradizione vuole barbuti, con ascia e grembiule di cuoio. La Legione straniera avanza nella sfilata del 14 luglio, per ultima, a passo lento, impeccabile, imperturbabile, trasmettendo un senso di concretezza. Anche per le stesse forze armate francesi è un mondo a sé stante che al Paese ha dato migliaia di caduti, uomini presenti ovunque la patria d’elezione li chiamasse a battersi. Le origini. Nel corso dei secoli la Francia ha sempre avuto truppe straniere al suo servizio: i reggimenti tedeschi, la guardia scozzese dei Valois, i leggendari uomini della guardia svizzera (ultimi difensori di Luigi XVI alle Tuileries durante la Rivoluzione) o le legioni tedesca e italiana della Prima repubblica. E ancora i celebri lancieri polacchi e i reggimenti svizzeri, italiani, olandesi, portoghesi, spagnoli, croati e hannoveriani delle armate di Napoleone, tutti soldati animati più che dal senso di patria, da quello del dovere. Ecco, il dovere, è questa la caratteristica fondamentale della Legione straniera durante tutta la sua storia. Una prima vera legione di soldati stranieri, forte di sette reggimenti, nacque il 9 marzo 1831 per volere di Luigi Filippo d’Orléans, il “re borghese”, ultimo sovrano di Francia, che in questo modo intendeva riunire tutti gli stranieri già presenti nelle file delle armate francesi. Si formò con soldati di mestiere, rimasti senza lavoro dopo le guerre napoleoniche, e con rivoluzionari arrivati in Francia da tutta Europa. Al fine di facilitare l’ingaggio a chi era privo di documenti (in quanto fuggitivo o espulso) i volontari potevano presentarsi semplicemente dichiarando la propria identità. Condizione che per molti significava la possibilità di crearsi una nuova vita, una seconda chance offerta dalla legione a chi avrebbe accettato le sue regole. Le origini incerte, a volte losche, finirono per attribuire ai legionari di ogni epoca un fascino misterioso. Questa prima legione ebbe vita breve: dopo aver avuto il battesimo del fuoco il 27 aprile 1832 in Algeria (un punto dell’atto di costituzione prevedeva esplicitamente che i legionari fossero impiegati solo fuori dal territorio nazionale) fu ceduta nel ▸ Kepi O chepì, dal francese képi, copricapo militare a forma di cilindro o di tronco di cono, usato dai principali eserciti nell’Ottocento e fino ai primi del Novecento.
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Una stoccata e via Legionari di stanza in Africa Settentrionale, nel 1921, tirano con il fioretto durante un momento di pausa.
LI CHIAMAVANO “SOLDATI-COSTRUTTORI” PERCHÉ FONDAVANO CITTÀ. NEL 1843 EDIFICARONO SIDI-BEL-ABBÈS giugno 1835 alla Spagna, dove perse quasi tutti i suoi effettivi durante la guerra contro le truppe carliste. Una nuova legione, quella definitiva, sempre formata da stranieri e rigorosamente preclusa ai cittadini francesi, venne costituita nel dicembre 1835. Era formata da reparti misti e non di singola nazionalità come all’inizio. Cosa che ebbe due conseguenze: si rese necessario l’uso del francese per tutti e, soprattutto, tra i soldati si generò una coesione che non sarebbe mai più andata persa nel corso della sua storia. La legione diede nuovamente buona prova di sé nel 1843 in Algeria, dove venne inviata a combattere i ribelli dell’emiro Abd-el-Kader. E a quel Paese finì per legarsi quasi indissolubilmente: fino al 1962, infatti, le truppe rimasero acquarCarlisti I sostenitori del diritto al trono di Carlo Maria Isidro di Spagna, fratello di Ferdinando VII, in contrapposizione alla nipote Isabella.
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tierate a Sidi-bel-Abbès, a sud di Orano, che da semplice bivacco diventò una fiorente cittadina e “casa madre” della legione. Il corpo, nonostante i vari rivolgimenti politici nazionali, era ormai parte integrante delle forze francesi e i suoi reparti venivano inviati ovunque ce ne fosse bisogno. I legionari combatterono in Crimea nel 1854-56, distinguendosi nella battaglia dell’Alma e nella presa di Sebastopoli, e nuovamente in Italia nella campagna del 1859 contro l’Austria: il 4 giugno a Magenta i legionari, come furie, attaccarono alla baionetta gli austriaci, mettendoli in fuga. Il giorno dopo Milano venne liberata e la legione vi entrò alla testa delle truppe.
Reliquia da museo La mano di legno del capitano Danjou, eroe della battaglia di Camerone (Messico), è conservata nel Museo della Legione ad Aubagne (Francia). www.focusstoria.it
Alla conquista del colle Giugno 1925: in azione per la conquista delle alture di Astar. Qui la legione affiancava l’esercito francese contro le tribù berbere nella guerra del Rif, catena montuosa del Marocco.
Ieri e oggi In attesa dei tedeschi Legionari a Fez (Marocco) nel 1937. I francesi, che amministravano parte del Paese, minacciarono l’intervento armato se i tedeschi avessero occupato l’altra parte, spagnola.
Mentre, come dopo ogni spedizione, i legionari ritornavano alla loro Sidi-bel-Abbès per riorganizzarsi, si profilavano già altri interventi in terre lontane, tra cui quella dove la legione avrebbe scritto una delle pagine più eroiche della sua storia: il Messico. Camerone. Nel Paese del debole sovrano imposto ai messicani, l’imperatore Massimiliano, dove dominavano l’anarchia e i ribelli di Benito Juárez, la Francia inviò in aiuto un contingente. Dapprima la partecipazione della legione a questa campagna non era prevista, poi gli ufficiali subalterni scrissero da Sidi-bel-Abbès una petizione a Napoleone III perché potesse rivedere la decisione, e così fu. Un reggimento “di marcia” ▸ Benito Juárez (1806-1872), eroe nazionale messicano, guidò le forze della resistenza durante l’occupazione francese che si concluse con la cattura e la fucilazione dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo, nel 1867. Reggimento di marcia Si definisce così un’unità formata per un tempo limitato, come la durata di una campagna, o per rispondere a esigenze particolari. www.focusstoria.it
Sopra, la bandiera della legione e le decorazioni conquistate nella Grande guerra. Di lato, un legionario di ieri pieno di tatuaggi, pratica comune anche tra i legionari di oggi.
Un caffè nel deserto 1939: sottufficiali della Legione straniera mangiano a una mensa di fortuna improvvisata nel deserto nordafricano.
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Sono i legionari caduti sul campo dal 1831. Durante la Seconda guerra mondiale la legione contribuì a liberare l’Europa sacrificando 9.000 dei suoi 45.000 effettivi.
L’INTERVENTO IN MAROCCO CREÒ IL MITO
Simboli A sinistra, un legionario dei primi del ’900. A destra, un distintivo con kepi, granata a sette fiamme e spalline con i tipici colori.
sbarcò a Veracruz nel marzo 1863 col compito di garantire la sicurezza sulla strada verso Puebla, una delle zone più inospitali del Messico. Nelle prime ore del 30 aprile, durante una missione di ricognizione prima del passaggio di un importante convoglio, la 3a compagnia del 1° battaglione – comandata per l’occasione dall’aiutante maggiore, capitano Danjou, un ufficiale quarantenne che aveva perduto una mano in Algeria – fu attaccata dalla cavalleria di Juárez: 65 uomini contro 800, ai quali si aggiunsero poi i fanti, per un totale di quasi 2 mila ribelli. Rifugiatisi in una fatiscente hacienda a Camerone, i legionari, a cui Danjou – colpito a morte – aveva fatto giurare di non arrendersi, resistettero per più di dieci ore, finché gli ultimi 6 ancora in grado di combattere caricarono il nemico in uno slancio finale. Solo 16 soldati, feriti, sopravvissero alla prigionia, ma il convoglio fu salvo. L’episodio entrò nella leggenda e da allora, www.focusstoria.it
Contro la “Volpe”
Sulla gobba
Bir Hakeim (Libia), 1942: uomini della 13a mezza brigata della Legione straniera impegnati nella battaglia contro gli italo-tedeschi guidati da Rommel.
Truppe cammellate nel deserto nordafricano, nel 1939. Questi reparti, montati su mehàri (dromedari), sopravvissero fino agli Anni ’60.
Missione fatale Lancio di paracadutisti a Dien Bien Phu (Indocina) nel ’54. Questa campagna causò 11 mila caduti tra i legionari.
DEL LEGIONARIO NEL DESERTO, TANTO CARO AL CINEMA tra i legionari, l’espressione “fare Camerone” prese a significare l’atto estremo, dimostrare il proprio senso del dovere fino al sacrificio, anche trovandosi in circostanze di lotta ormai insostenibili. La mano di legno del capitano Danjou fu recuperata e conservata al Museo della Legione, diventando una vera reliquia. Da allora il 30 aprile è la festa del corpo, celebrata sempre solennemente ovunque vi siano di stanza i legionari. In terra di Francia. Nel 1870, nonostante fosse vietato dal suo statuto costitutivo, la legione combatté per la prima volta sul suolo francese: l’imperatore Napoleone III era nei guai con la Prussia e, dopo la sconfitta di Sedan, i legionari furono chiamati ad arginare i tedeschi sulla Loira. Lo fecero con valore, ma questo non bastò a impedire la disfatta francese, malgrado per la prima volta fossero stati incorporati nei ranghi anche volontari a statuto particolare, solo per la durata della guerra. Da quel momento la storia del corpo, la cui bandiera venne decorata con la Légion d’honneur nel 1906, fu un tutt’uno con quella della Francia. Normalizzata la situazione e tornato alle sue conquiste coloniali, il Paese mandò ancora a combattere www.focusstoria.it
la legione nel Tonchino, a Formosa, in Sudan, Dahomey, Madagascar e Marocco: è qui che tra il 1900 e il 1930 nacque l’immagine del legionario del deserto, tanto cara a molte pellicole cinematografiche. Durante la Grande guerra si crearono le condizioni per un nuovo intervento in terra francese. Nel 1914, dopo lo scoppio del conflitto, i volontari stranieri si moltiplicarono a dismisura e vennero formate quasi due legioni: una che si batté a difesa del suolo francese e un’altra, rimasta nel Nord Africa, composta quasi tutta da uomini di lingua tedesca, che mai sarebbero potuti rimanere in Francia dove avrebbero dovuto lottare contro i loro compatrioti. Infatti, in base a una tradizione tutt’oggi in vigore, ai legionari è consentito non combattere con▸ tro i propri concittadini. Légion d’honneur È la massima onorificenza attribuita dalla Repubblica francese. Istituita da Napoleone Bonaparte nel 1802 in sostituzione degli ordini cavallereschi, viene conferita per meriti straordinari conseguiti nella vita militare o civile da parte di uomini e donne di cittadinanza sia francese che non.
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NEL 1978 IL LANCIO DEI PARÀ DELLA LEGIONE NELLO ZAIRE La Somme, Verdun, l’Aisne, Soissons, la Marna, sono solo alcuni dei luoghi dove il reggimento di marcia della legione si guadagnò la fama che ne avrebbe fatto l’unità più decorata dell’esercito francese, perdendo sul campo 139 ufficiali, 349 sottufficiali e 3.628 legionari. Negli anni a seguire i legionari furono nuovamente impegnati in varie campagne nell’irrequieto Nord Africa. Fu qui che molte unità del corpo vennero colte dallo scoppio della Seconda guerra mondiale: la legione combatté in Norvegia e poi si schierò con De Gaulle e gli Alleati. Si batté in Siria, in Eritrea, in Libia, in Egitto contro l’Africa Korps di Rommel e i parà italiani della Folgore, e in Tunisia contribuendo alla resa delle forze dell’Asse in Africa. I suoi reparti combatterono poi ancora in Italia, sbarcarono sul suolo francese e parteciparono alla liberazione della Francia e all’occupazione della Germania. Fine del colonialismo. Il secondo dopoguerra fu un periodo caratterizzato da un gran numero di arruolamenti, soprattutto di tedeschi. Con questi soldati, già veterani, la legione affrontò uno dei suoi periodi più critici: la fine del colonialismo. Furono i giorni dell’Indocina (1946-54), la campagna più sanguinosa per i kepi bianchi – più di 11 mila caduti contro i 9 mila del precedente conflitto mondiale – che dovettero fare i conti con imboscate, mine e tattiche di guerriglia: culminò con la battaglia di Dien Bien Phu, dove i legionari si batterono senza speranza dal marzo al maggio 1954. Il vento dell’indipendenza soffiava anche in Africa, dove la legione cercò, come sempre, di difendere gli interessi francesi: in particolare avvenne in Madagascar, Marocco e Algeria. Qui combatté per sei lunghi anni una sanguinosa lotta contro l’ala armata del Fln. Il 1962 vide, oltre all’indipendenza algerina, la fine della presenza legionaria a Sidi-bel-Abbès dopo 119 anni: la legione era ormai senza casa. Si impose così una grande ristrutturazione, che vide rinascere la legione con la struttura che conosciamo oggi. La “casa madre” venne fissata ad Aubagne, in terra francese, con altre basi nella Francia continentale e in Corsica, mentre i reggimenti rimasti – spariti i reparti sahariani – furono inviati di stanza ai quattro angoli del mondo, ovunque ci fossero ancora interessi francesi: Guyana, Polinesia, Gibuti, Comore, Madagascar. Fino ai giorni nostri. Da allora i legionari sono stati impiegati sia in operazioni militari, sia in aiuto alle popolazioni: in Ciad (1969-70 e 1978-88), nello Zaire (dove, nel 1978, un lancio di parà consentì di salvare la popolazione europea da un massacro), in Libano (1983), nel Golfo Persico (nell’operazione Desert storm del 1991) e in Cambogia, Somalia, Ruanda, ancora Zaire, Gabon, Congo, Repubblica Centrafricana, ex Iugoslavia, Costa d’Avorio e di nuovo nel Ciad, fino agli ultimi recenti interventi in Afghanistan. d Stefano Rossi
Fln Acronimo di Front de libération nationale (“Fronte di liberazione nazionale”), partito politico algerino nato nel 1954 allo scopo di conseguire l’indipendenza dalla Francia.
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La salvezza dal cielo Il 22 maggio 1978, truppe della legione furono paracadutate a Kolwezi (nell’ex Zaire) per liberare alcuni europei, ostaggi del Fronte di liberazione nazionale congolese (Flnc).
EVITÒ UN BAGNO DI SANGUE PER I CITTADINI EUROPEI
In auto nel deserto A sinistra, legionari in azione presso N’Djamena (Ciad) durante la crisi del 1984. Sopra, distintivi delle compagnie sahariane autotrasportate.
Prove di guerra Alcuni legionari si esercitano su un percorso di guerra nel Nord Africa durante la Seconda guerra mondiale.
Legionari d’Italia
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arà per la vicinanza geografica con la Francia o forse anche per un certo spirito romantico che ci contraddistingue, fatto sta che l’Italia da sempre ha fornito un gran numero di uomini alla Legione straniera: circa 60 mila finora (il 10% del totale), che valgono il secondo posto in questa classifica guidata dai tedeschi con 210 mila soldati. Saranno famosi. Tra gli italiani celebri che militarono nella legione ci furono lo scrittore e giornalista Curzio Malaparte (foto), che si arruolò in occasione della Prima guerra mondiale, e Giuseppe Bottai, già ministro dell’Istruzione e membro del Gran consiglio del fascismo, condannato a morte da Mussolini. Pochi però sanno che nel 1914 un intero reggimento della legione era formato tutto da italiani. Nell’ottobre di quell’anno due dei nipoti di Giuseppe Garibaldi, Peppino e Ricciotti, offrirono al governo francese di costituire un corpo di volontari contro l’aggressore tedesco (l’Italia
era ancora neutrale). Alla Francia si poneva però il problema di come inquadrarli. I fratelli Garibaldi. Si approfittò allora della Legione straniera e fu formato il IV reggimento di marcia del 1° Reggimento straniero (ufficiosamente “Legione garibaldina”) con circa 2.500 uomini, tra cui gli altri fratelli Garibaldi Ezio, Sante, Bruno e Costante (questi ultimi due caddero sul campo). Inquadrato da ufficiali francesi e italiani (Peppino ebbe il grado di tenente colonnello), il IV reggimento combatté nelle Argonne fino al marzo 1915. All’entrata in guerra dell’Italia il reparto fu sciolto e i volontari inquadrati nell’Esercito italiano, per la maggior parte nella Brigata Alpi, erede della tradizione garibaldina dei Cacciatori delle Alpi.
SAPERNE DI PIÙ Legionario, Simon Murray (Mursia). La testimonianza di un ragazzo inglese che nel 1960 entrò nella legione e combatté in Algeria.
La Legione straniera, Giorgio Coianiz (Aviani). La guerra e la prigionia in Indocina nel 1954 di un legionario friulano. S
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REPORTAGE
LA PRIMA REPORTER AMMESSA AL SEGUITO DEI LEGIONARI RIVELA
COSÌ SI DIVENTA
FRATELLI D’ARMI G
ibuti, Corno d’Africa, ore 4:45 – «Reveille!». Nelle camerate della 13a Dble (Demi-brigade de la Légion étrangère) il caporale di guardia butta tutti giù dalle brande. Le giornate dei legionari iniziano presto, perché a Gibuti, già alle 10 del mattino, il caldo non dà tregua: di giorno si toccano anche i 45 gradi e di notte, comunque, non si va quasi mai sotto i 20. Per questa ragione le attività terminano prima del pomeriggio. E sarà anche per queste condizioni ambientali che il centro d’addestramento della Legione straniera che c’è qui, il Cecap (Centre d’entraînement au combat d’Arta plage), è conosciuto dai militari di ogni esercito e ritenuto uno dei più “tosti” in circolazione. Sbagliando s’impara. Qualche giro di lancetta sull’orologio e il comandante del centro, il capitano Alliot, è già sulla spiaggia, pronto per l’esercitazione. Oggi due plotoni simuleranno una manovra per aggirare il nemico e attaccarlo ai lati, via mare. Gli uomini del primo plotone sono in attesa sui gommoni, non lontano dalla riva. Quelli del secondo sono posizionati sulla sommità della collina di fronte. Al segnale, da due gommoni sbarcano i primi legionari, si avventano sulla spiaggia e lanciano l’attacco, mentre i soldati dalla collina forniscono il fuoco di repressione. Dopo dieci minuti, durante i quali i fucili Famas sparano migliaia di colpi, il capitano ferma tutti: «Ditemi» urla «lo sapete perché si lancia una granata fumogena? Per nascondersi agli occhi del nemico! E invece ho visto gente lanciare e poi muoversi immediatamente, senza aspettare il fumo: il nemico così vi vede e spara! Senza contare che il sergente ha dovuto lanciarne altre ▸ per coprirvi. Quante granate saranno rimaste adesso?». 68
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Legionari d’acqua dolce Due legionari del 1° Reg (Reggimento straniero del genio) durante un’esercitazione sul fiume Lauch, in Alsazia (Francia).
COME SI FORMANO QUESTI SOLDATI DAL CODICE D’ONORE FERREO
C’è pure l’aperitivo A destra, uomini del 1° Rec (il reggimento di cavalleria) in addestramento. Sotto, l’apéritif, l’“aperitivo”, il rito prima della ginnastica: un legionario cammina sugli addominali degli altri.
Non solo training A destra, una lezione di francese, la lingua usata nella Legione straniera. Sotto, un legionario provvede a stirare personalmente la sua divisa, come previsto dal regolamento.
Il capitano Alliot è un tipo sulla cinquantina, corpulento e abbronzato. Come la maggior parte degli ufficiali qui, lui non è un legionario. Ma i legionari lo ascoltano attentamente, sotto il sole, nelle divise inzuppate d’acqua e salsedine. Perché queste sono lezioni che potranno loro salvare la vita un giorno, quando si troveranno di fronte un nemico vero, magari in Afghanistan, in Libano o in Costa d’Avorio. Disciplina ferrea. «Il giorno che la legione arruolerà le donne» dicono i soldati «sarà la fine della legione». Questo tanto per chiarire che non si tratta propriamente di un posto per signore. Come ci sono finita dentro io, allora, che sono regista e scrittrice? È andata così: mio fratello decise di arruolarsi nel 1999, era un ragazzo di 23 anni con già tanti sogni alle spalle e più d’un problema con la famiglia e la società. Credevo che la legione fosse un posto per assassini e fuorilegge ed ebbi paura che sarebbe finito male. Invece lui scoprì (e io con lui, grazie ai suoi racconti) un mondo dove si cancella ciò che è passato, dove la lealtà e il sacrificio sono valori più forti di un legame di sangue. Decisi allora di realizzare un documentario sui legionari: mi fu data la possibilità di seguirli da vicino nei centri addestramento in Africa Orientale, nei bivacchi sulle montagne francesi, durante una missione di peace keeping in Costa d’Avorio. La prima cosa che ho capito è che questi sono uomini d’acciaio, con una capacità incredibile di superare i limiti e di sottostare a una disciplina rigidissima. E se capita che qualcuno faccia fatica a stare dentro alle regole della vita di caserma, «Puni!», è punito, e viene sottoposto a quello che a me sembra un rito purificatorio, più che una punizione. Cosa succede al “colpevole”? Semplice: prima di tutto viene rasato a zero con una lametta – e non è certo solo una questione estetica, visto che l’elmetto non ha alcuna fodera all’interno – e dopo aver indossato uno zaino pieno di pietre, viene costretto a camminare lungo un cerchio di una cinquantina di metri di diametro. Lo fa strisciando i piedi, visto che nel frattempo gli hanno fatto anche togliere i lacci dagli anfibi. Un istruttore gli dà ordini con un fischietto: un fischio per invitarlo a fare un piegamento in avanti e iniziare a correre, due per marciare al passo dell’oca, tre per costringerlo a strisciare sul ventre. Tutto questo va avanti per un paio d’ore, fino allo sfinimento. Ufficialmente, la “puni” non sarebbe prevista dal regolamento, ma prima o poi capita a tutti. Come capita a tutti di passare qualche giorno nella prigione, nella maggior parte dei casi in ▸ seguito a scaramucce con i civili del posto. Anfibi Particolari scarponi impermeabili in dotazione a molti eserciti moderni.
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L’arruolamento? Avviene così
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onostante negli eserciti professionali il reclutamento sia in ribasso, la Legione straniera non conosce crisi. Se ci state facendo un pensiero, sappiate che ancora oggi ci si può arruolare con un’identità fittizia, ma quella vera va documentata; inoltre non sono più ammessi coloro che si siano macchiati di reati gravi. Sono state aperte le porte ai cittadini francesi (purché dichiarino una nazionalità diversa) ma non alle donne. Se avete tra i 17 e i 40 anni e superate le preselezioni fisiche e psicologiche in uno dei centri di reclutamento, vi aspetta la selezione ad Aubagne, vicino a Marsiglia. Da qui, dopo aver dimostrato le attitudini sportive e la motivazione richieste, si è inviati a Castelnaudary (o in un’altra
Vigilanza armata Un legionario del 2° Rei (reggimento di fanteria) con una mitragliatrice leggera FN Minimi durante un servizio di vigilanza.
località francese) per l’addestramento di base: dopo le prime 4 dure settimane di preparazione alla vita militare e di studio della cultura legionaria, arriva l’agognato kepi (in una cerimonia notturna). Seguono circa 3 mesi di addestramento tecnico-pratico e poi inizia la vita operativa. Al lavoro. I legionari vengono inviati nelle destinazioni: presso i reggimenti di fanteria in Francia (1°, 2° o 4° Rei) od oltremare (in Guyana, al 3° Rei, che garantisce la sicurezza del Centro spaziale francese); al 2° Rep dei paracadutisti di stanza in Corsica; nel reggimento di cavalleria (1° Rec, a Orange, Francia); nei due reggimenti del genio (1° e 2° Reg); nei reparti della 13a Dble a Gibuti; al distaccamento di Mayotte, nell’Oceano Indiano. Le norme disciplinari sono le stesse dell’Esercito francese con qualche regola in più, anche particolare, come il divieto di acquistare un’auto nei primi cinque anni di servizio. La durata della ferma è di 5 anni, ma è prorogabile di sei mesi in sei mesi o di anno in anno. A fine servizio c’è la possibilità di diventare cittadini francesi. Tutte le informazioni su www.legion-etrangere. com (foto in alto). (s. r.)
LA DISCIPLINA È RIGIDISSIMA. E CHI VIENE PUNITO DEVE CORRERE SENZA LACCI ALLE SCARPE E CON UNO ZAINO PIENO DI PIETRE SULLE SPALLE
LA PROVA DEL TUNNEL NEL FILO SPINATO SERVE A MIGLIORARE NEI LEGIONARI LA CAPACITÀ DI COOPERARE
Il turno di guardia Un legionario del 2° Reggimento di fanteria ritratto durante un turno di guardia in Costa d’Avorio, ex colonia francese.
Tutti per uno. Un legionario deve essere sempre pronto a combattere. Per questo deve sentirsi sempre al top, fisicamente oltre che mentalmente. E poi deve avere una spiccata capacità di cooperare, anche perché è necessario che si fidi ciecamente dei colleghi. Del resto il secondo articolo del codice d’onore dice che i legionari devono considerarsi fratelli d’armi. E una regola non scritta ribadisce che “non c’è anello della catena che sia più debole del più forte”. Parte del training si svolge vicino al Cecap, su una collina rocciosa disseminata di ostacoli. Un gruppo di legionari deve attraversare un tappeto formato da filo spinato. Per farlo, decidono di costruire un tunnel umano. Due uomini si sdraiano e, con la schiena a terra, sollevano il filo con i piedi. Tengono le gambe alzate, formando così un arco col filo spinato. Un’altra coppia si siede vicino alla prima e ne solleva un’altra parte, e così via, finché tutto il gruppo è schierato a terra, reggendo il tunnel con i piedi. I primi due, allora, si infilano e lo attraversano strisciando, il resto del gruppo a seguire. Farlo al mattino, col sole che incendia la collina, è la prima metà della prova. La seconda viene di notte, quando tutto viene replicato al buio, ripetendo i movimenti a memoria, senza la possibilità di usare torce, né di parlare con nessuno, cercando di “sentire” i compagni attraverso il rumore dei loro scarponi. Altre esercitazioni prevedono sessioni di corsa in salita, arrampicata senza attrezzature, prove di orientamento: le valutazioni finali riguardano sempre il gruppo e non il singolo individuo. Se anche uno solo si attarda o si perde, tutto il gruppo viene penalizzato. C’è anche la paura. La piccola Repubblica di Gibuti si trova tra il Mar Rosso e il Golfo di Aden, al confine con Eritrea, Etiopia e Somalia. È stata dominio francese fino al 1977, ma anche dopo l’indipendenza la Francia vi ha mantenuto una presenza militare. La sua posizione è infatti di grande importanza strategica, perché le navi che attraversano il canale di Suez passano poi qui davanti. E sempre da questa postazione le truppe possono essere facilmente spostate nei teatri di guerra del Medio Oriente o dell’Africa Centrale. Per questo motivo Gibuti è la seconda casa dei paracadutisti del 2° Rep, che di norma sono stanziati in Corsica: in caso di necessità, in pochi minuti, questi uomini possono essere lanciati al di là delle linee nemiche e posizionati in zone altrimenti irraggiungibili via terra. Una mossa che può cambiare il destino di una battaglia. Per adesso, i parà si esercitano soltanto. Imparano, per esempio, che nella concitazione che precede il lancio non avranno il tempo di controllare il paracadute: sarà l’istruttore a farlo. Loro devono fidarsi e concentrarsi soltanto sul lan▸ cio. Perché non c’è il minimo spazio per un errore.
Nei vari scenari Sopra, una prova di galleggiamento con il Gav, giubbotto ad assetto variabile. A sinistra, uomini del 2° Rei con uno dei loro 14 “cani da guerra”. Sotto, una coppia di sniper, cioè un tiratore scelto con il suo osservatore.
Rep Acronimo di Régiment étranger de parachutistes (“Reggimento straniero paracadutisti”), una delle specialità della Legione, che comprende anche quattro reggimenti di fanteria, uno di cavalleria, due del genio e una mezza brigata.
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In pausa e in servizio A destra, zaini affardellati e fucili d’assalto Famas F1, in dotazione ai legionari. Sotto, un servizio di pattuglia in un villaggio della Costa d’Avorio.
Evacuazione rapida Due legionari in attesa di essere recuperati da un Puma, elicottero da trasporto in uso tanto alla Legione quanto all’Esercito francese.
L’autrice Elisabeth Nord (35 anni) è una regista e scrittrice norvegese. Nell’arco di 8 anni ha trascorso lunghi periodi con la Legione straniera francese. Da questa esperienza ha tratto la serie di documentari The Legion, trasmessa da National Geographic channel e da Discovery channel, e un libro per l’editore Schibsted.
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«Le prime sei volte che sono salito su un aereo» mi racconta un legionario inglese di 22 anni sotto lo sguardo di due ufficiali che proteggono la sua identità ma vigilano anche su quanto dice «non sono mai atterrato, sono sempre saltato col paracadute». Paura? «La prima volta ce l’avevo eccome. Non sei un codardo se hai paura. Tutti hanno paura, non ci si può fare niente. Anche se ti trovi davanti a uno che ti vuole ammazzare hai paura. Ma non per questo puoi evitare di affrontarlo. Io ho imparato a concentrarmi sul gesto, sul momento del lancio, per eseguirlo al meglio. Gestire l’emozione è una conquista che ti dà la consapevolezza che, in un modo o nell’altro, puoi superare qualsiasi limite. Specialmente in guerra». Già, la guerra. Perché oltre alla teoria c’è anche la pratica. Che si può presentare in tutta la sua crudezza. A ognuno il suo finale. Un legionario con la faccia segnata da cicatrici ricorda: «Nel 1997 ero in Congo, impegnato nella missione Pelican. Era la mia seconda missione dopo il Kosovo. Il Paese era nell’anarchia, i ribelli attaccavano l’aeroporto di Brazzaville: perderlo avrebbe significato abbandonare la speranza di mettere in salvo i civili» racconta. «Ricordo che durante un’operazione di recupero di civili ci ritrovammo dentro a un negozio. I ribelli iniziarono a sparare, sentivamo proiettili dappertutto, non capivamo da dove arrivassero. Un legionario cadde ferito. Non potevamo lasciarlo lì. Uno di noi si precipitò per trascinarlo in salvo, ma fu subito colpito a morte. Il fuoco nemico si faceva intanto sempre più fitto: un legionario neozelandese vicino a me venne preso alla bocca, gli si spaccò mezza mandibola, ma sopravvisse, un altro fu centrato alla nuca da un cecchino. Fu un brutto giorno per la legione, ma sono questi i legionari che le nuove reclute ammirano: quelli che combattono per la Francia, sì, ma soprattutto per gli altri legionari». Attualmente l’unico teatro di guerra che vede protagonisti i legionari è l’Afghanistan, dove sono impegnati nella missione di pace internazionale. Poi ci sono le altre operazioni, quelle di prevenzione e di protezione degli interessi francesi, dentro e fuori dai confini del Paese. Troppo poco per molti di loro che, confessano, sognavano ben altri scenari di guerra. Eppure non tutti i legionari sono fedeli a questo stereotipo. Un giorno, mentre mangio insieme a loro, realizzo che da mesi vedo sempre e soltanto cinesi assegnati ai servizi di cucina e mi pare che non siano nemmeno mortificati per questo, anzi. Il perché me lo spiega un ufficiale: «L’unico motivo che li spinge a sopportare cinque anni di legione è la possibilità, dopo, di prendere la cittadinanza francese e aprirsi un ristorante in Francia». d Elisabeth Nord
Servizio di pattuglia Un legionario di pattuglia con il suo fucile semiautomatico Famas e il caratteristico basco verde.
ALCUNI LEGIONARI SOGNANO SCENARI DI GUERRA, ALTRI SEMPLICEMENTE DI OTTENERE UN GIORNO LA CITTADINANZA FRANCESE
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A NOI IL NOME SUONA BIZZARRO, MA COSTANTINO APPREZZAVA MOLTO QUESTA UNITÀ DI BARBARI
Cornuti
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un tempo l’aggettivo “cornuto” non aveva un significato offensivo o imbarazzante. Succedeva tra i Romani della tarda antichità, quando era un appellativo portato con onore, ammirato e temuto, forse perché riecheggiava un’esoticità nordica, fatta di terre nebbiose, oscure foreste e coraggiosi guerrieri. Cornuti era infatti il nome di un’unità d’élite degli auxilia palatina, i corpi scelti utilizzati come guardie degli imperatori romani. Fu Costantino il Grande a decidere di sostituirli alla vecchia guardia pretoriana: preso il potere dopo la battaglia di Ponte Milvio del 312 d. C., dove si sbarazzò del rivale Massenzio, Costantino emanò una serie di riforme militari. Tra queste una con cui affidò il ruolo di nuova guardia imperiale ai Palatini, soldati divisi in unità chiamate vexillationes, legiones e – appunto – auxilia. Questi ultimi erano reggimenti di fanteria ausiliaria composti prevalentemente da soldati di origine germanica o celtica: in poche parole, erano formati da barbari. Un esercito di nomi. Agli inizi del IV secolo il valore guerresco di tali popoli era molto apprezzato dai vertici militari romani e proprio l’integrazione di queste etnie nei ranghi dell’esercito fu determinante per la stabilità dell’impero. Le unità di auxilia palatina erano decine e avevano tutte nomi esotici, come i Pannoniciani, tribali, come gli Heruli o i Mattiaci, o comunque abbastanza eccentrici, come i Petulanti. Tra le più antiche formazioni c’erano proprio i Cornuti che, insieme all’unità gemella dei Brachiati (i portatori di bracciali), formavano un binomio famoso per le loro gesta. L’appellativo era forse dovuto più alle caratteristiche corna rappresentate in effigie sui loro scudi che non a quelle portate sugli elmi. Queste ultime infatti, a ben guardare, sembrano piuttosto la stilizzazione metallica di piume d’uccelli. Decisivi in prima linea. I Cornuti furono protagonisti delle campagne grazie alle quali Costantino salì al potere. Oltre al già citato Ponte Milvio, nello stesso anno combatterono in prima linea nella battaglia di Verona. A metà del IV secolo erano di stanza in Gallia, lungo i confini settentrionali, dove combatterono con successo contro gli Alamanni nella battaglia di Strasburgo, sotto il comando del futuro imperatore Giuliano l’Apostata. Con la suddivisione in Impero romano d’oriente e d’occidente (395) anche i Cornuti si divisero in seniores e iuniores per essere presenti sia nell’una sia nell’altra parte. Ancora oggi li possiamo vedere rappresentati, con le loro caratteristiche piccole “corna”, sui fregi dell’Arco di Costantino, a Roma.d Giorgio Albertini
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n cornuto in equipaggiamento leggero (A) non indossava l’armatura, ma si proteggeva con scudo ed elmo. Era armato di spada e di giavellotti (1) che sostituivano come arma da lancio i pila dei legionari dei secoli precedenti. Se esercitava la funzione di centenario (B), ossia comandante di una centuria (evoluzione del centurione), portava un’armatura muscolare in cuoio (2) sopra a un subarmalis in lino stratificato (3) e sulle spalle un sagum (4), il mantello militare di forma quadrangolare che ne definiva ulteriormente lo status. I cornuti della fanteria pesante (C) avevano una lorica hamata: una cotta di maglia di ferro (5) portata sopra a un
subarmalis in cuoio imbottito (6). Nel disegno sopra il soldato ha in mano uno spangenhelm (7), un elmo tardoantico, ed è armato oltre che di spada anche di lancia (8), arma che permetteva di combattere in formazione compatta come una falange greca. Lo scudo (9) del IV secolo era piatto, di grandi dimensioni, per lo più circolare, a volte ovale. Era composto da listelli di legno verticali sovrapposti e incollati l’uno all’altro, rivestito in cuoio cucito e rinforzato sul profilo. Lo scudo era dipinto e decorato con i colori dell’unità. Al centro si trovava un umbone metallico (10) che, oltre a deviare i fendenti nemici, serviva ad assestare colpi nella mischia. All’interno dello scudo veniva
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15 10 segnato il nome del proprietario e il suo reparto di appartenenza (11). Il soldato del IV secolo indossava come indumento principale una tunica militaris (12) portata in genere sopra una seconda tunica detta camisia. Le dimensioni della tunica militaris erano molto ampie, potevano raggiungere il metro e quaranta di altezza per un metro di larghezza. Le gambe erano coperte da bracae che potevano essere femoralia, cioè corte al ginocchio (13), o lunghe a coprire anche il piede (14), di foggia nordica. La parte inferiore delle gambe poteva essere ulteriormente
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protetta da un semplice panno arrotolato e fermato da lacci di cuoio (15) o da una fasciatura di lino (16). Le classiche caligae del legionario erano sostituite da scarpe in cuoio o in feltro di foggia più moderna (17). Con l’armamento pesante, sopra i vestiti e sotto l’armatura vera e propria si indossava il corsetto imbottito, detto subarmalis o thoracomacus (6). Questo permetteva di assorbire i colpi e di proteggere i vestiti e il corpo dagli sfregamenti dell’armatura metallica. Dal corsetto pendevano strisce di cuoio dette pteryges (18) che proteggevano spalle e basso ventre. Sopra il subarmalis si portava l’armatura, che poteva essere di cuoio bollito multistrato (2) o in metallo, come la
lorica hamata (5) o la lorica squamata, formata da piccole placche di metallo dette squame. Intorno alla vita si indossava un cingolum, una cintura (19), a cui erano agganciati spada e borsellino; rinforzata da placche di ferro metalliche serviva come ulteriore protezione. Quando non era agganciata al cingolum, la spada (20) era sospesa a un balteo (21) da cui pendeva il fodero (22). Il caratteristico elmo dei Cornuti (23) era di forma attica con una piccola visiera ribattinata a cui erano fissate le “corna” metalliche (24) che, insieme a quelle rappresentate sullo scudo, erano il simbolo dell’unità. Le paragnatidi (25) erano mobili, fissate alla calotta e imbottite di pelle.
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TRUPPE D’ÉLITE
I “DIAVOLI BIANCHI” DEL A cura di Stefano Rossi
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na medaglia d’oro e una d’argento al valor militare al reparto, 3 medaglie d’oro, 42 d’argento, 69 di bronzo, 81 croci di guerra e 12 encomi solenni a singoli militari sono l’impressionante numero di decorazioni guadagnate dal battaglione autonomo sciatori “Monte Cervino” nei soli tre anni della sua esistenza, tra il 1940 e il 1943. Concepito come reparto all’avanguardia, il “Monte Cervino” (che prese il nome da un battaglione sciolto dopo la Grande guerra) fu istituito nel dicembre 1940 in seno alla Scuola militare centrale di alpinismo di Aosta per rispondere all’esigenza di avere un battaglione di sciatori d’assalto. Si trattava di uomini dotati di grande mobilità e di spiccate capacità tattiche su terreni innevati, chiamati a svolgere servizi di collegamento e di ricognizione, pattugliamenti ad ampio raggio, veloci azioni offensive e colpi di mano. Campioni di sci e di roccia. Ai componenti, tutti volontari e scapoli, venivano richieste – oltre a una notevole prestanza fisica – grande padronanza nello sci e nelle tecniche alpine; questo valeva anche per gli ufficiali, medico e cap-
Sul carro tedesco Da una rivista dell’epoca, alpini del “Cervino” contrattaccano i russi.
Sulla via del non ritorno A sinistra, il principe Umberto di Savoia in visita al “Monte Cervino” prima della partenza per la Russia. Di spalle, il comandante, tenente colonnello Mario D’Adda. A destra, i “cervinotti” consultano una cartina sul fronte russo. La maggior parte degli uomini del battaglione non fece mai più ritorno da lì.
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MONTE CERVINO pellano inclusi. Si creò così un particolare reparto formato dai massimi esponenti dell’alpinismo dell’epoca, tra cui campioni sportivi, guide alpine e maestri di sci. Anche le dotazioni erano le migliori in circolazione e prevedevano capi di vestiario ed equipaggiamenti ad hoc, come gli scarponi di gomma Vibram, calzature all’avanguardia in campo alpinistico. Al fronte. Inviato in Grecia nel gennaio 1941, il “Cervino” fu subito impiegato in durissimi scontri sulla catena del Trebeshines e del Golico. Sempre sotto pressione, il reparto perse più di due terzi dei suoi effettivi e al rientro in Italia, nel maggio del 1941, venne sciolto per essere ricostituito a dicembre con le stesse caratteristiche e con dotazioni ancora migliori. Destinazione, la Russia. Dal febbraio 1942 non passò giorno in cui i “cervinotti” non furono impegnati in combattimenti, durante i quali furono soprannominati dai russi satanas bjelye (“diavoli bianchi”) per le candide tute mimetiche e il loro materializzar-
Sulla vetta Sopra, il distintivo del “Monte Cervino” nel 1940-41. A lato, una cartolina celebrativa del battaglione.
si come spettri ovunque ce ne fosse bisogno. A fine dicembre, stremati, feriti e congelati rientrarono a Rossosch, sede del comando del Corpo d’armata alpino, per una pausa. Qui, il 15 e 16 gennaio 1943, vennero investiti dall’offensiva russa. Il battaglione si frazionò in piccoli gruppi che continuarono a combattere per aprirsi dei varchi; gli episodi di valo-
Trebeshines e Golico Monti situati nella parte meridionale dell’attuale Albania. Durante la Seconda guerra mondiale furono teatro di aspre battaglie nel corso della Campagna di Grecia.
Rossosch Località russa, 600 km a sud di Mosca, che insieme con la cittadina di Ostrogorzk diede il nome alla manovra di accerchiamento sferrata dall’Armata Rossa sul fronte del Don, tra il 13 e il 27 gennaio 1943, che si concluse con la ritirata degli alpini.
Freddo pungente Nel 1941 nella Campagna di Grecia, dove il “Cervino” operò sul famigerato Golico.
re non si contarono, ma alla fine gli alpini, quasi tutti, caddero o furono catturati, e il resto del reparto fu sciolto subito dopo il ritorno in Italia. Nel 1990 il nome di “Monte Cervino” fu assegnato alla compagnia alpini paracadutisti. Il reparto speciale, elevato poi a organico di battaglione e reggimento – unica unità “ranger” delle forze armate italiane – ha ereditato così le tradizioni e la bandiera di guerra del “Monte Cervino” di Grecia e di Russia. d Ranger Unità specializzate in operazioni e ricognizioni a lungo raggio in territorio ostile.
Appostamento sotto zero Due tiratori scelti (snipers) del moderno Battaglione alpini paracadutisti “Monte Cervino” appostati dentro una buca di neve.
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RECENSIONI
PILOTI, RE E CROCIATI SAGGISTICA A cura della Libreria Militare Via Morigi, 15 - 20123 Milano tel/fax: 02.89010725 e-mail:
[email protected] www.libreriamilitare.com
Le campagne d’Africa e d’Italia della 5a armata americana di Mark W. Clark
Dopo le memorie di Kesselring e Montgomery, sempre pubblicate dalla stessa casa editrice, arrivano anche quelle del generale americano Clark. Svelano le vicende della campagna d’Africa e di quella d’Italia colte attraverso il punto di vista di uno dei protagonisti assoluti di quegli eventi. Si possono così comprendere le motivazioni dei successi, ma anche di quelli che poi vennero considerati errori strategici, operazioni inconcludenti o controverse: tra questi, per esempio, troviamo lo sbarco di Anzio e il bombardamento dell’Abbazia di Montecassino. Perché se è vero, per dirla con Bertolt Brecht, che i protagonisti della Storia in fin dei conti sono i soldati, è pur vero che le decisioni le prendono sempre i generali. Pagine 522, Libreria Editrice Goriziana, € 30
Italia sia!
a cura di Enrico Dei È il catalogo dell’omonima mostra tenutasi a Seravezza, in provincia di Lucca, nell’estate del 2010 per anticipare le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Offre l’occasione per trovare riunite in un unico volume decine di opere del nostro Risorgimento – tra cui quelle di Fattori, Ademollo, De Albertis e dei fratelli Induno – che furono espressioni di elevato senso artistico, oltre che testimonianza di spirito patriottico. Le opere costituiscono inoltre lo spunto per la narrazione delle principali vicende
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dell’epopea risorgimentale, in una rapida ed esauriente disamina, utilissima anche per un ripasso dei nostri appannati ricordi scolastici. Pagine 264, Pacini Editore, € 28
Il nemico alle porte
di Andrew Wheatcroft L’assedio di Vienna, culmine delle secolari lotte tra i due eredi dell’Impero romano – gli Asburgo in Europa e gli Ottomani in Oriente – è qui descritto con il piglio del grande storico. Si tratta di un imponente affresco, dove gli eventi militari fanno da onnipresente sfondo, che mostra episodi di una vita quotidiana percepita dai testimoni dell’epoca. In un tempo in cui l’antagonismo tra Europa e Oriente, o meglio tra croce e mezzaluna, si ripropone con prepotenza, questa è una lettura appagante e originale, che mette anche in discussione diversi pregiudizi storici. Pagine 388, Laterza, € 24
La resa di Roma di Giusto Traina
Un volume illuminante, ottimamente documentato, su una delle peggiori sconfitte di Roma, il giorno 9 giugno dell’anno 53 a. C. a Carre, nell’Alta Mesopotamia. In quell’occasione trovarono la morte Marco Licinio Crasso e quasi 30 mila legionari (una cifra spaventosa per quei tempi), con 20 mila romani deportati in schiavitù e le aquile delle legioni finite nelle mani del nemico, testimonianza, quest’ultima, della gravità della disfatta. Di grande interesse è la valutazione delle tattiche dei Parti, uno dei pochi popoli temuti dai Romani, e del loro impatto su quelle della legione romana. Notevole, infine, la ricostruzione della memoria della battaglia presso gli stessi Romani e delle manovre politiche dei triumviri superstiti, che sfociarono poi nella guerra civile. Pagine 212, Laterza, € 18
ROMANZI A cura di Roberto Graziosi
Dictator. Il trionfo di Cesare di Andrea Frediani
Nel terzo capitolo della trilogia, per Cesare è ancora tempo di guerra civile. I suoi oppositori lo costringono a una dura campagna in Africa, dove il dittatore ha la meglio, grazie anche alla buona sorte. Ma dopo anni di guerre e di lotte, iniziano a trasparire i primi segni di logorio e, in Spagna, lo attende la resa dei conti. Pagine 336, Newton Compton, € 14,90
Il signore della guerra di Bernard Cornwell
L’Inghilterra del IX secolo, divisa tra piccoli regni e oggetto di incursioni da parte dei Vichinghi, è lo scenario della vicenda di Uhtred, capo militare legato ad Alfredo il Grande da un giuramento di fedeltà. Condita da tradimenti, omicidi e accuse di stregoneria, la trama vede Uhtred chiedere aiuto proprio ai nemici, i Vichinghi, per conquistare il regno di Alfredo. Ma alla fine il senso dell’onore lo spinge a rivedere i piani. Pagine 350, Longanesi, € 18
In fuga dal cielo di Paola Tosi
Ottobre 1918: un valoroso pilota italiano, il principe Fulco Ruffo di Calabria, compie un atterraggio di fortuna in territorio nemico. Un evento che lo porta a riflettere sui tragici fatti della guerra e sui suoi orrori, sulla morte e sulla sofferenza. Da quel momento si trasforma: da militare disposto ad affrontare ogni missione diventa un uomo pieno di umanità. Pagine 112, Marsilio, € 15
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VIDEOGAME
GIOCHI DA TAVOLO
A cura di Paolo Paglianti
A cura di Spartaco Albertarelli
Axis & Allies 1942 È forse il più popolare tra i giochi di “simulazione”. Si propone di replicare la Seconda guerra mondiale, offrendo ai giocatori l’opportunità di prendere le parti delle forze dell’Asse o di quelle degli Alleati. Edizione celebrativa dell’originale uscito più di 25 anni fa, questo titolo è abbastanza semplice da considerarlo un “gioco di massa”, ma al tempo stesso la sua dinamica è sufficientemente articolata da premiare la strategia rispetto alla fortuna, e questo nonostante in ogni partita i lanci del dado siano piuttosto frequenti. Tra i componenti in dotazione ci sono centinaia di
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miniature, raffiguranti soldati e mezzi militari di vario genere, che contribuiscono a rendere il gioco più divertente e spettacolare. È stato pensato per un massimo di 5 giocatori, ma Axis & Allies è perfetto in due, scelta che consente tra l’altro di ridimensionare la durata della partita, che altrimenti rischia di essere molto lunga. Se non lo trovate nei negozi, il gioco è acquistabile on-line sul sito www.giochinscatola.it. Avalon Hill (Hasbro), € 49,90
FUMETTI
A cura di Roberto Graziosi
A cura di Giorgio Albertini
La battaglia dei tre regni - Red Cliff
La guerra di Alan
Attorno al 200 d. C., durante la dinastia Han, la Cina è attraversata da lotte che dividono i vari regni. Per eliminarle e unificare il Paese l’imperatore Han dichiara guerra a Xu, un regno dell’Ovest: è l’inizio di una escalation che culmina nella battaglia più famosa della storia cinese, che prende il nome dalla scogliera rossa, Red Cliff, sul fiume Yangtze, dove l’esercito han (quasi un milione di uomini) si era accampato. Eagle Pictures Dvd (€ 9,90) e Blu-ray (€ 24,90)
Apocalypse
A 70 anni dagli eventi, questo documentario offre prospettive inedite sul secondo conflitto mondiale. Sei ore di filmati storici, in gran parte inediti, per sei episodi che raccontano le varie fasi della guerra, dall’aggressione alla fine dell’incubo, viste da uomini e donne comuni. Una particolare tecnica di restauro delle immagini ha riprodotto fedelmente i colori dell’epoca. Cinehollywood Cofanetto di 3 dvd (€ 39,90) oppure 3 Blu-ray (€ 49,90).
www.focusstoria.it
di Emmanuel Guibert L’esperienza della guerra vissuta nella sua quotidianità, senza eroismi né retorica. È ciò che racconta il disegnatore-autore francese Guibert scavando nei ricordi dell’amico Alan Ingram Cope, un ex combattente americano della Seconda guerra mondiale. Guibert raccoglie le memorie di Alan il quale, più testimone che protagonista, non è mai motore della Storia con la esse maiuscola. Il nemico è lontano, intangibile, i pericoli quando si presentano vengono dalla disattenzione, dal caso. Ma la Storia è sempre presente sullo sfondo, negli incontri o nei volti dei compagni. Pagine 303, Coconino Press, € 33
Civilization V Creare un impero partendo da un piccolo gruppo di coloni e attraversando tutte le ere della Storia, dal periodo preistorico a quello contemporaneo: ecco lo scopo di Civilization V. E una volta costruito l’impero, bisogna espanderlo costruendo città e combattendo per sopravvivere agli attacchi degli imperi vicini. Il quinto episodio della saga offre un nuovo sistema di combattimento, molto più tattico, e una mappa divisa in esagoni, come nella maggior parte dei boardgame. Produttore: Firaxis/Take 2 Distributore: Cidiverte, € 49,90 Piattaforma: Pc; Hardware: Cpu 2.4 GHz, 2 GB di Ram, scheda video 3D 256 MB, connessione Web e Steam
Le crociate
Le guerre in Terrasanta tornano alla carica sul pc. Questa volta avrete il controllo di un leader cristiano alla conquista di Gerusalemme e delle zone mediterranee del Medioriente. Vi batterete contro gli infedeli, che difenderanno strenuamente le loro terre, e affronterete le diatribe interne dei crociati, favorendo di volta in volta il re di Francia, i Templari o il papa. Le battaglie, dalla grafica curata anche se non proprio spettacolare, sono complesse e ben studiate, nonostante non manchi qualche imprecisione storica e militare. Produttore: Neocore/FX Interactive Distributore: FX Interactive, € 19,90 Piattaforma: Pc; Hardware: Cpu 2.0 GHz, 1 GB di Ram, scheda video 3D 128 MB, connessione Web e Steam
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NEL PROSSIMO NUMERO
Gruner+Jahr/Mondadori S.p.A. - Via Battistotti Sassi, 11/A - 20133 Milano
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Focus Storia Wars: Pubblicazione bimestrale registrata presso il Tribunale di Milano, n. 162 del 31/03/2010. Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica sono riservati. Il materiale ricevuto e non richiesto (testi e fotografie), anche se non pubblicato, non sarà restituito. Direzione, redazione, amministrazione: Via Battistotti Sassi, 11/A - 20133 Milano. Telefono: 02/762101. Fax amministrazione: 02/76013439. Fax redazione: 02/76028684. E-mail:
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In un dipinto di Giovanni Fattori, la Battaglia del Volturno tra garibaldini e truppe borboniche (1860).
Legenda: a = alto; b = basso; c = centro; d = destra; s = sinistra.
Amministratore delegato e Direttore generale Giacomo Moletto Direttore del personale, Affari legali e societari Francesca Castellano Chief Operating Officer Roberto De Melgazzi Direttore controllo di gestione Paolo Cescatti Direttore produzione e logistica Franco Longari Web Publisher Enrico Ciampini
Periodico associato alla FIEG (Federaz. Ital. Editori Giornali)
LE BATTAGLIE CHE HANNO FATTO L’ITALIA UNITA
Codice ISSN: 2038-7202
COPERTINA: C. Balossini, elaborazione P. Ghisalberti, (ad) S. Rossi, (bs) cortesia G. Rossato Ed., (bc) De Agostini/Alinari, (bd) Board of Trustees of the Royal Armouries/Dorling Kindersley. SOMMARIO: pag. 3 S. Rossi; pag. 4 (a) Getty Images, (b) archivio (3). FU DAVVERO UNA CAPORETTO?: pag. 67 Ullstein/Alinari (2); pag. 8 (a) Museo storico italiano della guerra, Rovereto, (bs) Bridgeman/ Alinari, (bc) cortesia Gino Rossato Editore; pag. 9 (a) cortesia Gino Rossato Editore (2), (b) Museo storico italiano della guerra, Rovereto; pag. 10 cortesia Gino Rossato Editore (2); pag. 11 (a) archivio, (b, bd) S. Rossi; pag. 12 (c) cortesia Gino Rossato Editore, (b) Museo storico italiano della guerra, Rovereto. LA BOMBA A MANO: pag. 13 illustrazioni Ted Williams. SAMURAI: pag. 14-15 Board of Trustees of the Royal Armouries/Dorling Kindersley. IL CONFLITTO PIÙ GRANDE: pag. 16-17 Everett/Contrasto (9); pag. 17 Olycom (2). LA LEGIO X RITORNA: pag. 18 cortesia Associazione culturale S.P.Q.R. - Legio X Gemina. LA CAVALLERIA: pag. 19 (ad) Photoservice Electa/Akg, (cs) Photoservice Electa/Leemage, (bs) Rmn/Alinari, (bd) Interfoto/Alinari (2). DALLE STEPPE ALLE STALLE: pag. 20-21 (as) A. De Luca, (d) Photoservice Electa/Akg; pag. 22 Araldo De Luca; pag. 23 (as) De Agostini/Alinari, (ad) Lessing/Contrasto, (b) De Agostini/Alinari; pag. 24 (a) archivio; pag. 24-25 (b) illustrazioni G. Albertini; pag. 25 De Agostini/Alinari. TI PROCLAMO CAVALIERE: pag. 26-27 Phoservice Electa/Leemage; pag. 27 (c) The Wallace Collection, (ad) Bridgeman/Alinari; pag. 28-29 Scala (2); pag. 30 da sinistra archivio, Bridgeman/Alinari (2); pag. 31 Bridgeman/Alinari (2); pag. 32 (a) Rmn/Alinari, (b) Bridgeman/Alinari; pag. 33 Scala. CAVALCANDO IN BATTAGLIA: pag. 34-35 Photoservice Electa/Leemage (2); pag. 36-37 illustrazioni G. Albertini; pag. 38 Uff. storico Sme e Museo storico dell’Arma di cavalleria, Pinerolo/T. Spagone/Realy Easy Star (2); pag. 39 (a) archivio (4), (ad) Uff. storico Sme e Museo storico dell’Arma di cavalleria, Pinerolo/T. Spagone/Realy
Easy Star, (cd) Photoservice Electa/Akg, (c) Uff. storico Sme e Museo storico dell’Arma di cavalleria, Pinerolo/T. Spagone/Realy Easy Star (4), (b) archivio (4). ALLA CARICA!: pag. 40-41 Rmn/Alinari; pag. 42 (as) De Agostini/Alinari, (ad) Bridgeman/Alinari; pag. 43 (ad) C. Balossini, (b) Bridgeman/Alinari; pag. 44-45 Bridgeman/Alinari; pag. 45 (a) Scala, (b) C. Balossini. DAGLI ZOCCOLI ALL’ACCIAIO: pag. 46-47 Interfoto/Alinari; pag. 48 S. Rossi (2); pag. 49 (ad, c) Scala (2), (b) Cinecittà Luce/Scala; pag. 50 (a) Getty Images, (c) S. Rossi, (d) archivio (4). GUERRE IN MOSTRA: pag. 51 archivio (9). MURI PARLANTI: pag. 52 Getty Images; pag. 53 Scala; pag 54 (as) Alinari, (ad) Getty Images, (bs) Scala, (bd) Getty Images; pag. 55 Fototeca Storica Gilardi; pag. 56 (as) Getty Images, (ad) Scala, (bs) Fototeca Storica Gilardi, (bd) Getty Images; pag. 57 (as) De Agostini/Alinari, (ad) Fototeca Storica Gilardi, (b) Getty Images; pag. 58 De Agostini/Alinari; pag. 59 (as) Scala, (ad) Olycom, (bs, bd) Fototeca Storica Gilardi (2). ORIZZONTI DI SABBIA: pag. 60-61 Rex/ Olycom; pag. 62 (a) Ullstein/Alinari, (b) S. Rossi; pag. 63 (as, c) Corbis (2), (ad) Scala, (bd) Olycom; pag. 64 (a) Corbis, (bs, bc) S. Rossi; pag. 65 (a) Olycom, (c) S. Rossi, (ad) Alinari; pag. 66-67 Roger-Viollet/Alinari, (as) Corbis; pag. 67 (as) Corbis, (ad) S. Rossi, (b) Ullstein/Alinari. COSÌ SI DIVENTA FRATELLI D’ARMI: pag. 68-69 Corbis; pag. 70 (as) Olycom, (ac) F. Zizola/ Luz Photo, (bs) Magnum/Contrasto, (bc) Gamma/Contrasto; pag. 71 (c) F. Hills/Corbis Outline, (ad) archivio; pag. 72-73 F. Hills/Corbis Outline; pag. 73 (ad) F. Zizola/Luz Photo, (c) Olycom, (b) Gamma/Contrasto; pag. 74-75 F. Hills/Corbis Outline (5). CORNUTI: pag. 76-77 illustrazioni G. Albertini. I “DIAVOLI BIANCHI” DEL MONTE CERVINO: pag. 78-79 S. Rossi (6); pag. 79 (ac) archivio. PILOTI, RE E CROCIATI: pag. 80-81 archivio. PROSSIMAMENTE: pag. 82 (ad) Scala. L’editore è a disposizione degli eventuali detentori di diritti che non sia stato possibile rintracciare. www.focusstoria.it