N°15 Novembre 2014 d € 6,90
SOLDATI E BATTAGLIE NEI SECOLI Sped. in A. P. - D.L. 353/03 art. 1, comma 1 NE/VR
RUGGERO DA FLOR Il pirata del Medioevo fu anche templare e ottimo condottiero
DAGLI “IMMORTALI” PERSIANI ALL’ARMA, TREMILA ANNI DI EROISMO
FEDELISSIMI CARABINIERI CULQUALBER 1941 SHARDANA KADESH 1275 A.C. IMMORTALI TERMOPILI 480 A.C. PRETORIANI PONTE MILVIO 312 VAREGHI DURAZZO 1081 GIANNIZZERI VARNA 1444 VECCHIA GUARDIA WATERLOO 1815 HOUSEHOLD CAVALRY KASSASSIN 1882 DIVISIONE GÖRING ANZIO 1944 LEGIONE ARABA LATRUN 1948
TONCHINO
UNIFORMI
50 anni fa un incidente navale aprì la strada alla guerra in Vietnam
Tutti i piloti della Seconda guerra mondiale
Sei pronto a entrare nella Storia?
FOCUS STORIA. OGNI MESE LO SPETTACOLO DEL PASSATO. DISPONIBILE ANCHE IN VERSIONE DIGITALE SU
WARS
SOMMARIO
I primi e gli ultimi I Carabinieri compiono due secoli, e per festeggiarli dedichiamo loro la copertina e il nostro Calendario storico 2015. Della Fedelissima, naturalmente, parliamo a modo nostro, raccontando cioè come si distinse in battaglia, nel ruolo militare che le è tipico, assieme con quello quotidiano di forza di polizia e protezione dei cittadini. L’Arma è uno dei corpi che, nell’arco della Storia, al servizio di sovrani o di democrazie, si sono schierati come primo e ultimo baluardo dello Stato, spesso immolandosi in guerra. Anche agli altri, dagli Shardana dell’antico Egitto, ai Pretoriani alle Guardie della Regina, è intitolato questo Focus Storia Wars. Jacopo Loredan d direttore
4
APPROFONDIMENTI
L’INCIDENTE FANTASMA Cinquant’anni fa uno scontro navale nel Tonchino aprì la strada all’intervento americano in Vietnam.
12
PROTAGONISTI
UN TAGLIAGOLE DI SUCCESSO Feroce e spregiudicato, l’avventuriero Ruggero Da Flor divenne templare alle Crociate, pirata e capitano di ventura, ma anche un condottiero disciplinato al soldo di molti sovrani del Medioevo.
I FEDELISSIMI IN BATTAGLIA
18
CON LE SPALLE AL MURO In Abissinia, sulle alture dell’Etiopia, i Carabinieri resistettero alle truppe britanniche senza mai cedere un istante, fino all’ultimo.
26 LE COLONNE D’EGITTO Tutti i primi imperi della tarda Età del bronzo dovevano contare sui mercenari. Ma pochi erano efficienti come gli Shardana del faraone.
32
GLI IMMORTALI IN MARCIA La strenua offensiva delle guardie del Gran Re di Persia si infranse più volte contro gli Spartani di Leonida. Nessuno mollò.
38
FUGA SUL TEVERE Alcuni imperatori riuscirono a disciplinarli, altri finirono sotto le loro lame. Ma solo Costantino sconfisse i Pretoriani in battaglia.
WARS I NOSTRI ESPERTI GIORGIO ALBERTINI Milanese, 46 anni, laureato in Storia medievale, illustratore professionista per case editrici e riviste (giorgioalbertini.com).
GASTONE BRECCIA Livornese, 52 anni, bizantinista e storico militare, ha pubblicato saggi sull’arte della guerra, sulla guerriglia e sulla missione ISAF in Afghanistan.
44 AL SOLDO DI BISANZIO I Vareghi sposarono la causa di Costantinopoli diventando la guardia d’onore dell’impero, ma anche gli irriducibili di tante battaglie.
48 GLI SCHIAVI DEVOTI I Giannizzeri, le guardie del sultano, raggiunsero un enorme potere nell’Impero ottomano. Anche perché erano feroci e pronti a morire.
54
QUELLA MALEDETTA DOMENICA La Vecchia guardia finì la sua gloriosa carriera inghiottita dal fango della campagna belga, nella rovinosa disfatta di Napoleone.
ANDREA FREDIANI Romano, 51 anni, medievista, ha scritto vari saggi di storia militare e romanzi storici di successo (andreafrediani.it).
60 LE GUARDIE DELLA REGINA
STEFANO ROSSI
64 POLIZIOTTI IN GUERRA
Milanese, 55 anni, già ufficiale degli Alpini paracadutisti. Reporter di guerra, collabora con molte testate giornalistiche.
Sembrano soldati da parata, ma in realtà fanno parte del più antico reggimento britannico, operativo dal ’600 fino all’Iraq.
Da Polizei a unità combattente: la Fallschirm Panzer-Division “Hermann Göring”, fortemente voluta dal comandante della Luftwaffe, si distinse, soprattutto in Italia, per la sua combattività.
70 WARS TRUPPE D’ÉLITE RECENSIONI
in edicola IL CALENDARIO STORICO DEI CARABINIERI 2015 a € 4 + il prezzo della rivista
RUBRICHE
L’ÉLITE DEL DESERTO La Legione araba fu il corpo scelto di Abdullah di Giordania e riuscì a segnare la prima grande sconfitta dell’Haganah.
PAG. 8 PAG. 82
IN COPERTINA Carabinieri in battaglia in Abissinia, nel 1936, in una tela di Clemente Tafuri (Museo Storico Arma dei Carabinieri, Roma).
76
UNIFORMOLOGIA
AVIATORI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE L’impiego dell’aviazione in operazioni belliche iniziò già dal 1911, ma aerei e piloti divennero protagonisti a partire dal 1935-36.
3
SIERRA
APPROFONDIMENTI
ood morning, Vietnam. Nell’estate del 1964 il presidente degli Stati Uniti Lyndon B. Johnson si aggirava in una Casa Bianca infestata dagli spettri. Giunto alla guida della nazione più potente del mondo dopo l’uccisione di John F. Kennedy (22 novembre 1963), Johnson doveva far fronte alle tensioni sociali e razziali nel Sud, e dare una risposta a quelle esigenze di cambiamento che la tragedia di Dallas non aveva certo cancellato. In vista, c’erano le elezioni di novembre 1964 e la sfida con il falco della destra repubblicana, Barry Goldwater. Leader politico abile ma grigio, in lotta perenne con il fantasma del carismatico JFK, Johnson non poteva permettersi tentennamenti di fronte alla minaccia comunista nel Sudest asiatico, dove sin dal 1955 Washington appoggiava il regime del Vietnam del Sud con armi, denaro e 15.000 cosiddetti “consiglieri” militari inquadrati dal 1962 nel Military Assistance Command-Vietnam . Egli adottò i piani già elaborati dal Pentagono per un più incisivo intervento militare in Vietnam, che prevedevano non solo l’incremento del contingente di consiglieri (l’alba di quella che diverrà famosa come escalation), ma anche attività di intelli4
I PROTAGONISTI Nel disegno, schema progettuale di una motosilurante di fabbricazione sovietica, simile alle P-4 protagoniste dell’incidente del Tonchino. A lato, il presidente Usa Lyndon Johnson (seduto al centro) alla Casa Bianca.
gence con l’impiego di navi da guerra imbottite di sofisticate apparecchiature elettroniche per la sorveglianza e lo spionaggio, che già conducevano al largo delle ostili coste sovietiche, cinesi e nordcoreane missioni chiamate in codice “De Soto” . La prima “De Soto” al largo del Vietnam del Nord era stata annullata nel marzo 1964 per le condizioni meteo avverse. Non se ne riparlò più sino al 20 luglio, quando al cacciatorpediniere USS Maddox, salpato da Yokohama 24 ore prima, venne ordinato di raggiungere Taiwan per imbarcare speciali equipaggiamenti di sorveglianza elettronica e 17 tecnici dell’intelligence. Il 27 l’unità prese il mare con rotta per il Golfo del Tonchino, da dove avrebbe dovuto monitorare il traffico radio e le emissioni radar nordvietnamite, trasmettendo le informazioni racMilitary Assistance Command-Vietnam (Macv) Dal 1959 al 1963 si contano 82 caduti tra i consiglieri americani raggruppati sotto questa sigla. Un colonnello dell’Office of Strategic Services, il servizio segreto antenato della Cia, era invece stato ucciso per errore dai Vietminh il 26 settembre 1945. All’epoca Ho Chi Minh, che sperava nell’appoggio americano per cacciare i francesi, inviò al Dipartimento di Stato una lettera di scuse. “De Soto” Acronimo per “Dehaven Special Operations off TsingtaO”, riferito alla prima di queste missioni svolta dal caccia De Haven al largo della Cina nel 1962.
IMAGE TURES/GE TTY TIME & LIFE PIC
SULLA PORTAEREI Sopra, piloti della Marina sulla portaerei Ticonderoga, in appoggio al Maddox. Sotto, un marinaio della stessa nave che segna la posizione.
SIERRA (3)
VISTO DAGLI USA Sopra, il cacciatorpediniere Uss Maddox. A lato, la notizia dell’attacco riportata da Stars and Stripes, giornale del Dipartimento della Difesa degli Usa.
colte dal Macv. Il “grande fratello” navale doveva supportare le azioni di commandos del Sud Vietnam, che da mesi rendevano pan per focaccia a Hanoi, capitale del Nord, in una guerra non dichiarata, ma ormai sempre più aperta. L’area operativa assegnata al Maddox per la sua “missione DeSoto” era caratterizzata da un intenso traffico navale costiero, e da una controversia sui limiti delle acque territoriali, che lo stesso alto comando americano non aveva chiarito al capitano di vascello John J. Herrick , comandante del caccia. Inoltre l’area in quei giorni era calda, poiché piccole unità navali sudvietnamite erano impegnate a colpire le postazioni radar e di difesa costiera del Nord. Il 1° agosto il Maddox si imbatté in una flottiglia di giunche nordvietnamite, e Herrick mandò gli uomini ai posti di combattimento, temendo che potessero attaccarlo; nel frattempo, i messaggi radio intercettati rivelavano l’intenzione di Hanoi di effettuare nelle acque del Tonchino non meglio specificate John J. Herrick Veterano di due guerre, Herrick (scomparso nel 1997) dal maggio 1964 comandava la 192a Destroyer Division, oltre al Maddox, sua unità di bandiera.
“operazioni militari”. In una situazione che si andava facendo confusa sul piano tattico, tra flottiglie di giunche apparentemente disarmate e azioni clandestine sudvietnamite in atto a poche miglia di distanza, Herrick chiese al comando di annullare la missione del Maddox, ritenendola “un rischio non accettabile”, ma Washington rispose picche, consigliandogli tuttavia di agire con prudenza. Herrick, il 44enne capitano di vascello originario del Minnesota, decise di non correre rischi: e quando alle 15 del 2 agosto il radar del Maddox rilevò manovre apparentemente ostili da parte di tre motosiluranti nordvietnamite avvistate già in mattinata, l’ufficiale rimandò gli uomini ai posti di combattimento, chiese appoggio aereo alle portaerei in zona, e si allontanò a tutta forza per evitare l’attacco nemico. Alle 18:15, tuttavia, le tre unità comuniste, molto più veloci, erano nel raggio di tiro del caccia, che sparò alcuni colpi d’avvertimento con i suoi 6 cannoni da 127 mm, per poi passare al tiro rapido dei pezzi da 76 mm. Le tre motosiluranti vietnamite (tipo P-4, con scafo in legno, costruite in Urss negli anni ’50 e armate con mitragliere da 25 mm e siluri), continuarono ad avanzare a tutta veloci5
L’
glianza USS Liberty fu crivellata di colpi per un errore dall’aviazione israeliana (mai completamente chiarito), impegnata nella Guerra dei sei giorni. Un anno più tardi la Pueblo, impegnata in una missione “De Soto” al largo della Corea del Nord, fu attaccata e catturata dalle motosiluranti comuniste, innescando una gravissima crisi con Washington. Materiale per il cinema. Per la superpotenza americana i mari del mondo stavano diventando
incidente navale del Tonchino (che in realtà ricordava la vecchia politica europea delle cannoniere del XIX secolo) fu uno dei tanti a vedere protagonista negli anni ’60 la US Navy. Anche senza contare gli scontri sfiorati tra navi americane e sovietiche, a partire dalla crisi dei missili cubani del 1962, molti conflitti sono stati contrassegnati dal coinvolgimento della Marina statunitense e delle sue unità-spia. Nel giugno 1967 la nave di sorve-
Canton
CINA VIETNAM DEL NORD
Haiphong
Hong Kong
Golfo del Tonchino
LAOS
sempre più caldi e le “antenne” di Hollywood, non meno sensibili di quelle delle navi-spia, non potevano non captare questo clima. Nel 1965 uscì un film con Richard Widmark e Sidney Poitier, che raccontava la sfida tra il Bedford, un (immaginario) cacciatorpediniere americano, e un sommergibile sovietico, caratterizzata da un apocalittico finale nucleare nel quale le due navi si distruggevano a vicenda. Il titolo era eloquente: The Bedford incident.
GETTY IMAGES
Un incidente sul grande schermo
FUOCO AMICO Sopra, la nave di sorveglianza Uss Liberty, crivellata di colpi da aviazione e cacciatorpedinieri israeliani, arriva alla Valletta (Malta) l’8 giugno 1967.
HAINAN
Vientiane Ben Thuy
òòà’??
THAILANDIA Bangkok CAMBOGIA Phnom Penh Golfo del Siam
Saigon
VIETNAM DEL SUD A lato, la mappa del Golfo del Tonchino con la presenza delle navi americane e nordvietnamite. Sotto, le motosiluranti di Hanoi del tipo P-4 coinvolte nell’incidente.
Il Morrison che non cantava
T
ra i protagonisti dell’incidente del Tonchino va ricordato il comandante della portaerei Bon Homme Richard, il capitano di vascello George Stephen Morrison (1919-2008), un aviatore navale che, promosso contrammiraglio, nel 1968 tornò a combattere in Vietnam alla testa della Task Force 77. Morrison assunse il comando della Bon Homme Richard il 22 novembre 1963, e il suo primo atto ufficiale
6
fu l’annuncio dell’uccisione di Kennedy a Dallas. Uno dei Doors. A gennaio fece visitare la sua nave al figlio, un paffuto e anonimo ragazzotto ventenne, James Douglas, destinato al mito. Uno dei più famosi film sulla guerra del Vietnam, Apocalypse now, si apre con le note di una sua canzone, The end; il leader dei Doors Jim Morrison combatté quella guerra in maniera diversa dal padre ammiraglio.
tà, aprendosi a ventaglio per attaccare da direzioni diverse. La più vicina riuscì a lanciare i suoi 2 siluri, che passarono a soli 150 metri dal Maddox, ma fu colpita e affondata da una salva d’artiglieria; una seconda unità fu immobilizzata e incendiata, e la terza decise di sganciarsi dopo aver innaffiato le sovrastrutture del caccia con le mitragliatrici, senza provocare danni o vittime. In 20 minuti la battaglia era finita, e i vietnamiti sgomberarono il campo prima dell’arrivo dei jet lanciati dalla portaerei Ticonderoga, che copriva il Maddox. Questo primo (e in verità unico) scontro del Tonchino era incontrovertibile, e fu ammesso da Hanoi una decina di giorni più tardi: il regime comunista parlò però di pesanti perdite inflitte al nemico, e non di quelle subite, affermando che avrebbe “ricacciato i pirati”. Tuttavia la situazione era già precipitata. Appena informato dello scontro Johnson, stretto tra l’ostilità dell’opinione pubblica verso una guerra e le accuse di debolezza lanciategli contro dai “falchi”, pur stigmatizzando quanto avvenuto, puntò sul fatto che non c’erano state vittime americane e che il Maddox aveva vendicato da sé l’attacco. Attivando per la prima volta il
IMAGES (2) KEYSTONE/GE TTY
ALL’ATTACCO A sinistra, il controllo radar sulla Ticonderoga in quei giorni del 1964. Sopra, elicotteri decollano dalla Ticonderoga e dalla Constellation, le portaerei che il 5 agosto bombardarono le motosiluranti asiatiche.
Storia della Guerra del Vietnam, Stanley Karnow (Bur). Inviato di Time e Life, vincitore del Premio Pulitzer, racconta la genesi del conflitto. Questo è il reference book.
telefono rosso fatto installare l’anno prima da Kennedy per comunicare con i sovietici in caso di crisi, Johnson rassicurò Kruscev: gli Stati Uniti non volevano l’escalation in Vietnam. Subito dopo però il presidente ordinò al Pentagono di rafforzare la presenza navale nella zona, rispedendo nelle acque del Tonchino il Maddox, affiancato dal caccia Turner Joy, con la copertura di 2 portaerei. Non più solo per una missione “DeSoto”, ma per ribadire la libertà di navigazione in acque considerate (da Washington, però, non da Hanoi) internazionali. Le premesse per un nuovo incidente erano state poste, ma sarebbero state la “nebbia della guerra” e una tempesta vera a cambiare il corso della storia. Nella notte del 4 agosto i due caccia navigavano tra forti piovaschi, che disturbavano i radar e impedivano un’adeguata vigilanza ottica. Contemporaneamente, erano in corso azioni navali sudvietnamite contro la difesa costiera nordista. Il Maddox intercettò alcuni messaggi radio di Hanoi che si riferivano ad azioni ostili nella zona. Herrick chiese appoggio aereo, e ordinò il posto di combattimento. Confusi echi radar e vedette coi nervi a fior di pelle fecero pensare a
un attacco: il sonar, disturbato dalla tempesta, registrò il lancio di ben 22 siluri, e così le navi americane aprirono il fuoco, sparando per ore in ogni direzione. Il giorno seguente a Washington apparve chiaro che Hanoi intendeva sfidare gli Stati Uniti e Johnson, nonostante i molti dubbi (già nel 1965 avrebbe ammesso che le navi americane avevano “sparato alle balene”), decise di mettersi i guantoni. Mentre Herrick stava ancora cercando di chiarire quanto accaduto, sfidando di fatto i suoi bellicosi superiori (nonostante si fosse comportato nel miglior modo possibile, la sua brillante carriera finì quando propose di porre fine alle provocazioni nel Golfo del Tonchino), il 5 agosto il presidente Johnson apparve in televisione annunciando l’inizio di raid aerei di rappresaglia contro le basi navali nemiche, che provocarono gravi danni e affondarono 25 imbarcazioni, contro la perdita di due jet. Gli Stati Uniti erano finiti nel pantano del Vietnam, e per un secondo incidente del Tonchino creato dalla “nebbia della guerra”, come quarant’anni più tardi avrebbe ammesso la stessa intelligence americana. d Giuliano Da Frè
7
WARS
TRUPPE D’ÉLITE
LA 1 SPECIAL SERVICE st
A cura di Stefano Rossi
anni, resistenti alle fatiche: per la maggior parte cacciatori, guardie forestali, boscaioli. L’addestramento, fatto a Fort Harrison (Montana), comprese sci (con istruttori norvegesi), roccia, tecniche di sabotaggio e uso degli esplosivi, combattimento corpo a corpo, operazioni anfibie e aviolancio. Dopo sette duri mesi i 2.400 uomini (divisi su 3 reggimenRobert Frederick (1907-1970) Dopo aver comandato la 1st SSF dal ’42 al ‘44, durante il conflitto fu a capo della 1st Airborne Task Force e poi della 45th Infantry Division diventando, a 37 anni, il più giovane comandante di Divisione in Europa.
“OGNI LUOGO” Presa durante un’esercitazione, la foto ben simboleggia, con paracadute e sci, lo speciale addestramento “ogniluogo ognitempo”, come si dice in termini militari.
SIERRA (6)
ei primi mesi del 1942, un progetto delle Combined Operations inglesi, dal nome in codice “Plough” (aratro) prevedeva di costituire una speciale unità multinazionale in grado di operare e compiere azioni di sabotaggio in territori nemici come Norvegia, Romania, Italia, per distruggere impianti e centrali energetiche. Il reparto doveva poter combattere sia in un ambiente artico, montano e su neve, sia su un terreno più convenzionale, infiltrandosi con vari mezzi, dal paracadute agli sbarchi dal mare. ll progetto fu passato agli americani e l’incarico fu affidato al Colonnello Robert Frederick che si mise al lavoro per costituire un’unità mista Usa-Canada, formata solo da volontari sotto i 26
ti) della 1st Special Service Force, unica unità alleata con queste caratteristiche e dotata anche di armi particolari – come il fucile mitragliatore Johnson – erano perfettamente addestrati. Ma all’inizio del 1943 il Progetto Plough fu accantonato e la Brigata, ormai formata, fu dirottata nel Pacifico, alle Aleutine. Dopo la riconquista di Kiska , a novembre la 1st SSF fu inviata sul fronte italiano aggregata alla 5a Armata, entrando in linea nella zona di Cassino dove partecipò a furiosi combattimenti. Ai primi di dicembre conquistò in sole due ore di attacchi sanguinosi il Monte La Difensa, importante caposaldo della Linea Bernhard . Inviata d’urgenza ad Anzio, si distinse lungo il Canale Mussolini, dove per 99 giorni tenne la linea con un Mitragliatore Johnson Il Johnson Light Machine Gun mod.1941 fu prodotto in quantitativi limitati per i Marines e per la 1st SSF. In calibro .30 US, aveva un caricatore da 20 colpi e poteva tirare sia a raffica sia a colpo singolo. Kiska Isola delle Aleutine (Alaska), nel ’42 fu occupata dai giapponesi durante la Battaglia di Midway. Fu ripresa da forze Usa e canadesi con l’Operazione Cottage del 1943. Linea Bernhard Detta anche Reinhard, era una linea difensiva costruita dai tedeschi nella zona di Montecassino. A differenza di altre linee di difesa, non si estendeva da est a ovest attraversando l’Italia, ma consisteva in una serie di salienti della principale Linea Gustav.
8
Il distintivo dell’unità, una punta di freccia. A sinistra, il Johnson Light machine gun M.41 e lo stiletto V42 studiato apposta per la 1st SSF.
CAMPAGNA D’ITALIA A sinistra, 1943, uomini della “Devil’s Brigade” sugli Appennini durante una pausa dei combattimenti. Sopra, Robert Frederick (a sinistra), appena nominato Brigadier General, con un ufficiale della 1st SSF sul fronte di Anzio nel febbraio 1944.
mortale avvicendarsi di pattuglie notturne, che costrinsero i tedeschi – convinti di trovarsi di fronte a un’intera divisione – ad arretrare. È in questo frangente che gli uomini si guadagnarono il soprannome di “Diavoli Neri”, dal nerofumo col quale si tingevano la faccia per operare di notte. La 1st SSF fu così soprannominata “Devil’s Brigade” (brigata del diavolo). Guidando con gravi perdite lo sfondamento alleato, l’unità fu la prima a entrare in forze a Roma il 4 giugno 1944. Tornò in azione nel sud della Francia, ad agosto, durante lo sbarco in Provenza, giungendo poi fino al confine italiano. Qui i canadesi decisero di ritirare i loro uomini e gli americani inquadrarono i rimanenti nelle loro divisioni aviotrasportate. Il 5 dicembre 1944, la 1st SSF fu quindi sciolta a Villeneuve-Loubet. Sebbene avesse una storia di soli due anni, fu una delle unità alleate più addestrate, agguerrite ed efficienti e l’unica con la possibilità di poter essere davvero impiegata “ogniluogo” e “ognitempo”. d
o scorso anno abbiamo celebrato gli Alpini. Questa volta, a due secoli dalla fondazione dell’Arma dei Carabinieri, nata il 13 luglio 1814, abbiamo dedicato all’Arma il Calendario storico dei Carabinieri. Il nostro omaggio arriva in un Bicentenario che significa qualcosa per tutti noi italiani e non solo per gli appassionati lettori della nostra rivista. Al timone del progetto abbiamo messo l’illustratore Giorgio Albertini e il giornalista Stefano Rossi, entrambi membri del comitato scientifico di Focus Storia Wars. I nostri collaboratori hanno ripercorso – il primo con la sua “matita” digitale e il secondo con le sue competenze scientifiche e uniformologiche – due secoli di eventi fondamentali per l’Arma, episodi bellici che hanno segnato la Storia del nostro Paese, traducendoli in 13 tavole illustrate con uniformi meticolosamente riprodotte. Ognuna di queste elaborazioni è costata ore di ricerche fra archivi e pubblicazioni, decine di bozze, prove colore, verifiche e correzioni per far sì che anche la più piccola mostrina, l’attacco di una giberna, la coccarda su un copricapo, il calcio di un fucile fossero scientificamente precisi, realistici, documentati. In una parola, inappuntabili. È Storia, con la “s” maiuscola. Chi non avesse già preso il calendario con Focus Storia Wars n. 15, con questo coupon può comprare un’altra copia del giornale al solo prezzo del calendario allegato.
Codice campagna 286
FORCE
IL CALENDARIO DEI
DA UTILIZZARE NEI PUNTI VENDITA PER AVERE UNA COPIA DI FOCUS STORIA WARS N. 15 + CALENDARIO CARABINIERI AL PREZZO DI € 4,00 ANZICHÉ 10,90. VALIDO COMUNQUE FINO A ESAURIMENTO DELLE COPIE DISPONIBILI PRESSO CIASCUN PUNTO VENDITA E SOLO PER FOCUS STORIA WARS N. 15. IL BUONO NON È CUMULABILE. Riservato ai signori rivenditori che ringraziamo per la collaborazione: consegnate il presente buono al momento della resa di Focus Storia Wars n. 15 al vostro distributore. Per ciascun buono riceverete un accredito di € 6,90.
Rivivi la storia sui campi di battaglia. Scopri gli intrighi, conosci le strategie, rivivi le emozioni.
in rEGAlo
Esclusivo! STOrICO deI CArABINIerI << CAleNdArIO In un’edizione di pregio, in cui l’illustratore Giorgio Albertini e lo specialista di storia militare Stefano Rossi ricostruiscono minuziosamente le uniformi usate in battaglia dai Carabinieri nei duecento anni dalla costituzione dell’Arma. dA COlleZIONAre. dA INCOrNICIAre.
Operazione a premi n. 109 valida dal 15/03/2013 al 15/03/2015. Regolamento depositato c/o Clipper s.r.l. - 20146 Milano
Con Focus Storia Wars conosci le dinamiche e le strategie che hanno costellato la storia militare del mondo. In ogni numero rivivi i più grandi confitti del passato, con gli occhi di vincitori e sconftti.
ABBONATI SUBITO Collegati al sito www.abbonamenti.it/r40088
4 n u m E ri
8 n u m E ri
Focus Storia WARS
Focus Storia WARS
+ Calendario Carabinieri
+ Calendario Carabinieri
€19,90
€29,90
+ € 2,30 di spese di spedizione per un totale di € 22,20 IVA inclusa anziché € 27,60
SCONTO
SCONTO
28
46
%
+ € 3,30 di spese di spedizione per un totale di € 33,20 IVA inclusa anziché € 55,20
%
in lo rEGA
Lo sconto è computato sul prezzo di copertina al lordo di offerte promozionali edicola. La presente offerta, in conformità con l’art.45 e ss. del codice del consumo, è formulata da Gruner+Jahr/Mondadori Spa. Puoi recedere entro 14 giorni dalla ricezione del primo numero. Per maggiori informazioni visita www.abbonamenti.it/cgagruner.
cOUPON SPEcIALE dI AbbONAmENtO SCEGLI 260 02 007 260 01 LA MODALITà 10 Sì, CHE PREFERISCI: 20 Sì,
mi abbono a 4 numeri di Focus Storia WARS + calendario Carabinieri. Con lo Sconto del 28%, pagherò solo 19,90 euro (+2,30 euro di spese di spedizione per un totale di 22,20 euro IVA inclusa) invece di 27,60 euro. mi abbono a 8 numeri di Focus Storia WARS + calendario Carabinieri. Con lo Sconto del 46%, pagherò solo 29,90 euro (+3,30 euro di spese di spedizione per un totale di 33,20 euro IVA inclusa) invece di 55,20 euro.
POSTA Spedisci in busta chiusa a:
Servizio Abbonamenti C/O CMP BRESCIA 25197 Brescia BS
Cognome
Nome
Se preferisci pagare con Carta di credito collegati a
Via
INTERNET
NON INVIO DENARO ORA. SCELGO DI PAGARE CON: Bollettino di conto corrente postale che invierete al mio indirizzo
INDICO QUI I MIEI DATI:
N.
www.abbonamenti.it/r40088
Cap
vai sul sito:
www.abbonamenti.it/r40088
Città
Prov.
Tel.
Acconsento a che i dati personali da me volontariamente forniti siano utilizzati da Gruner+Jahr/ Si No Mondadori S.p.A. per le fnalità promozionali specifcate al punto 1. dell’informativa.
Acconsento alla comunicazione dei miei dati personali ai soggetti terzi indicati al punto 2. dell’inSi No formativa, per le fnalità di cui ai punti 1. e 3..
TELEFONO chiama il numero
199.111.999* *Il costo della chiamata per i telefoni fssi da tutta Italia è di 0,12 centesimi di euro al minuto + iva senza scatto alla risposta. Per le chiamate da cellulare i costi sono legati all’operatore utilizzato. Dal lunedì al venerdì dalle 9,00 alle 19,00.
E-mail è importante inserire il tuo indirizzo e-mail, per poterti inviare i dati di accesso alla copia digitale, tutte le comunicazioni relative al tuo abbonamento e le informazioni sui pagamenti.
INFORMATIVA AI SENSI DELL’ART. 13 DEL D.LGS. 196/03 - La informiamo che la compilazione della presente pagina autorizza Gruner+Jahr/Mondadori S.p.A., in qualità di Titolare del Trattamento, a dare seguito alla sua richiesta. Previo suo consenso espresso, lei autorizza l’uso dei suoi dati per: 1. fnalità di marketing, attività promozionali e commerciali, consentendoci di inviarle materiale pubblicitario o effettuare attività di vendita diretta o comunicazioni commerciali interattive su prodotti, servizi ed altre attività di Gruner+Jahr/Mondadori S.p.A. e di società terze attraverso i canali di contatto che ci ha comunicato (i.e. telefono, e-mail, fax, SMS, mms); 2. comunicare ad altre aziende operanti nel settore editoriale, largo consumo e distribuzione, vendita a distanza, arredamento, telecomunicazioni, farmaceutico, fnanziario, assicurativo, automobilistico, della politica e delle organizzazioni umanitarie e benefche per le medesime fnalità di cui ai punti 1 e 3. 3. utilizzare le Sue preferenze di acquisto per poter migliorare la nostra offerta ed offrirle un servizio personalizzato e di Suo gradimento. Il conferimento dei suoi dati per le fnalità sopra riportate è facoltativo, la mancanza del suo consenso non pregiudicherà l’attivazione dell’abbonamento. Responsabile del trattamento è Press-di Distribuzione e Stampa Srl. Ulteriori informazioni sulle modalità del trattamento, sul nominativo del Titolare e del Responsabile del trattamento nonché sulle modalità di esercizio dei suoi diritti ex art. 7 Dlgs. 196/03, sono disponibili collegandosi al sito www.abbonamenti.it/privacygruner o scrivendo a questo indirizzo: Uffcio Privacy - Via Mondadori, 1 Segrate (Milano) 20090 -
[email protected].
✁
oppure
Acconsento al trattamento dei miei dati personali per fnalità di proflazione per migliorare la qualità Si No dei servizi erogati, come specifcato al punto 3. dell’informativa.
Tagliare lungo la linea tratteggiata
Invia un SMS** al numero 335.8331122
indicando nell’ordine: per l’abbonamento a 4 numeri di Focus storia WArs + calendario carabinieri il codice 29819 oppure per l’abbonamento a 8 numeri di Focus storia WArs + calendario carabinieri il codice 29314!Nome!Cognome!Indirizzo!Numero civico!Località!CAP!Sigla provincia!S (oppure N)!S (oppure N)! per indicare rispettivamente il consenso alla privacy 1 e alla privacy 2 riportate qui sopra. Ricordati di intervallare tutti i dati con i punti esclamativi come in questo esempio: 29314!Anna!siani!via mondadori!1!milano!20090!mi!s!s! Entro 24 ore riceverai un SMS di conferma dal Servizio Abbonamenti. Il servizio SMS è valido solo per i nuovi abbonamenti. ** Il costo del messaggio è pari al normale costo di un SMS. Il pagamento dell’abbonamento è previsto in un’unica soluzione con il bollettino c/c postale che ti invieremo a casa.
LEEMAGE/MONDADORI PORTFOLIO
PROTAGONISTI
Un di successo
A BISANZIO In alto a destra, Ruggero da Flor (o da Fiore, oppure Flores, 1267-1305). A lato, nel 1303 a Costantinopoli: da comandante della Compagnia catalana (o degli Almogaveri), Ruggero sfila con i suoi mercenari davanti all’imperatore Andronico II Paleologo.
Federico II (1194–1250) Discendente degli Hohenstaufen, dinastia sul trono del Sacro romano impero fin da prima di Federico Barbarossa, fu anche re di Sicilia (dal 1198) e di Gerusalemme. Tagliacozzo (23 agosto 1268) La battaglia in cui Corradino di Svevia (di parte ghibellina), ultimo degli Hohenstaufen, cercò di riprendersi la Sicilia strappandola al governo dispotico di Carlo I d’Angiò (guelfo). La sua sconfitta segnò la caduta definitiva degli Hohenstaufen dal trono imperiale e dal Regno di Sicilia e il dominio degli Angioini in buona parte del Meridione.
13
BRIDGEMAN/MONDADORI PORTFOLIO
l regno di Federico II e le guerre tra Svevi e Angioini; la caduta del regno di Gerusalemme; la guerra dei Vespri Siciliani; le guerre tra Impero bizantino e Turchi; il ducato di Atene: sono tutti personaggi ed eventi che hanno caratterizzato il passaggio tra XIII e XIV secolo, apparentemente non legati l’uno all’altro. Eppure c’è un individuo, sconosciuto ai più, che si è trovato al centro di tutto questo, ne è stato anzi tra i più decisivi protagonisti, producendo con la sua presenza rivolgimenti storici che hanno avuto un effetto significativo. Costui è Ruggero da Flor, figlio di un falconiere dello stupor mundi Federico II, un uomo che in 36 anni di vita si fece templare, pirata e capitano di ventura, capace di raggiungere i vertici dell’Impero bizantino, secondo solo al basileus (il sovrano). Orfano dall’età di un anno, Ruggero crebbe con la madre, una nobildonna di Brindisi: suo padre era caduto a Tagliacozzo nel 1268, immolandosi per la causa persa di Corradino di Svevia. E crebbe povero: gli Angioini avevano privato dei beni tutti i sostenitori degli Svevi. Probabilmente per questo a soli otto anni si imbarcò su una delle navi templari che, per scopi commerciali, facevano la spola tra Brindisi e il Levante. Divenuto frate-converso e dovette distinguersi per la sua abilità marinara e per le sue capacità di comando se ad appena vent’anni lo fecero capitano di una grossa imbarcazione, il Falco. Ma i tempi erano grami per i templari e per i loro traffici: si era al crepuscolo del regno latino di Gerusalemme e i frutti delle Crociate si erano ridotti a pochi centri costieri nell’attuale Libano. L’epilogo dell’epopea crociata si celebrò a San Giovanni d’Acri nel 1291, quando il sultano mamelucco al-Ashraf Kha-
SCALA (3)
lil espugnò la città dopo un mese d’assedio, consumando un massacro epocale. Tra i difensori c’era anche Ruggero, che non si distinse per coraggio e determinazione sugli spalti o in una sortita, ma per venalità e spietatezza. Era infatti tra quanti approfittarono del possesso di una nave per estorcere cifre da capogiro ai profughi che, quando gli assedianti varcarono le mura, si accalcarono sul molo per scampare alla furia musulmana. Ruggero accumulò una fortuna, ma probabilmente cercò di non spartirla col Tempio se il Gran maestro dell’Ordine – quel Giacomo di Molay che nel 1314 sarebbe finito bruciato sul rogo – finì per confiscargliela. Con i templari da Flor aveva chiuso: per evitare la punizione fuggì a Marsiglia abbandonando la nave che aveva comandato. Ma di soldi doveva averne ancora, visto che a Genova poté acquistare una galea, l’Olivetta, con cui darsi alla guerra da corsa. Come primo datore di lavoro scelse proprio un esponente della famiglia che gli aveva ammazzato il padre, Roberto di Calabria, figlio di Carlo II d’Angiò , ma non se ne fece nulla. Ruggero non si formalizzò e offrì i suoi servigi alla parte avversa, ovvero al re di Sicilia Fe-
IN UN MONDO IN GUERRA Il padre di Ruggero era un falconiere di Federico II (a lato). Sopra, il porto di Napoli durante la Guerra angioino-aragonese.
14
derico III d’Aragona, che aveva soffiato l’isola ai francesi fin dai Vespri Siciliani. E non tardò molto a convincere il suo committente di aver fatto la scelta giusta: a una settimana dall’ingaggio, catturava lungo le coste pugliesi una nave da trasporto angioina. Da allora la sua carriera prese il volo: con un atto di pirateria dopo l’altro, comprò altre navi fino ad allestire una flottiglia per la guerra da corsa, e una cinquantina di cavalli che affidò a hidalgos catalani (v. riquadro nell’ultima pag.) e aragonesi, con i quali costituì il primo nucleo della sua compagnia mercenaria. Si conquistò così la fiducia di Federico, che lo nominò vicegovernatore della Sicilia e membro del suo Consiglio, donandogli anche alcuni castelli a Malta, con le relative rendite. La pacchia terminò nel 1302, quando Aragonesi e Angioini stipularono la Pace di Caltabellotta. I secondi reclamavano la testa di Ruggero e questi, temendo di essere sacrificato dal suo datore di lavoro, decise di cambiare aria e offrirsi a quello che si presentava come un committente ideale, il più ricco di tutti e anche quello che più aveva bisogno di mercenari sperimentati: l’imperatore bizantino Andronico II. L’Impero versava infatti in gravi difficoltà a causa della pressione dei Turchi, sempre più vicini a Costantinopoli. Per increCarlo II d’Angiò (1254-1309) era figlio di Carlo I d’Angiò (il fratello del re di Francia San Luigi IX), che aveva strappato la Sicilia a Manfredi di Hohenstaufen nella Battaglia di Benevento (1266). Ma lui fu re di Sicilia solo di nome visto che, dopo l’insurrezione dei Vespri Siciliani del 1282, l’isola era passata agli Aragonesi, all’inizio sotto il regno di Pietro III e poi di Federico III d’Aragona.
mentare i suoi effettivi in vista dell’ingaggio bizantino, Ruggero da Flor non pose più come discriminante la provenienza dalla Penisola iberica: fece infatti emettere un bando rivolto a chi avesse voluto prendere parte alla spedizione, offrendo dieci libbre di cacio a testa e un porco salato ogni quattro persone. La paga era di 4 once d’oro per ciascun cavaliere pesante, 3 per ogni cavaliere leggero, una per fante, 4 per capitano, una per nocchiere, 23 per balestriere e 25 per timoniere. Ma l’esordio sul Bosforo fu tutt’altro che incoraggiante per i nuovi datori di lavoro. Ruggero, che aveva ottenuto il titolo di megaduca, giunse a ridosso della capitale nell’estate del 1303, a capo di una compagnia di 1.500 cavalieri e 1.000 fanti, oltre alle truppe leggere degli Almogaveri , 4.000 Mozarabi (cristiani che vivevano nei domini musulmani della Penisola iberica) abitanti delle foreste e dei monti, con le rispettive famiglie. I Genovesi, che a Costantinopoli avevano una vasta colonia nel quartiere di Galata, non gradirono la loro presenza. Scoppiò subito una rissa, trasformatasi in battaglia. La spuntarono i mercenari, che massacrarono 3.000 avversari. E tutto ciò avvenne mentre si celebrava con grande sfarzo il matrimonio tra il condottiero e una nipote sedicenne dell’imperatore. Dopo di allora, Andronico ritenne più saggio mantenere a distanza di sicurezza quegli uomini spietati e li fece trasferire a Cizico, in Asia Minore, affidando loro la conduzione della guerra contro i Turchi. Non se ne pentì: con il nuovo anno, i Catalani di Ruggero si fregiarono di grandi successi, che culminarono con la liberazione di Philadelphia dopo una clamorosa vittoria campale. In aprile la compagnia avanzò infatti in Anatolia, in pieno territorio nemico, affrontando un esercito musulmano di 8.000 cavalieri e 12.000 fanti. Ruggero mandò all’attacco i suoi cavalieri all’alba, prima ancora che gli avversari avessero completato lo schieramento, senza dare il tempo ai temibili arcieri turchi di incoccare le frecce. Seguirono i fanti, che si affrettarono a giungere al corpo a corpo per scongiurare qualunque tentativo nemico di far valere la sua superiorità nel tiro da lontano. Si combatté fino al tramonto, quando i musulmani cedettero l’accampamento ai vincitori, che fecero grande bottino. Avevano perso meno di 200 uomini. Si disse, invece, che i Turchi fossero sopravvissuti solo in 1.500. Al termine della stagione bellica i Catalani avevano recuperato all’Impero vaste porzioni dell’Asia Minore e collezionato altre brillanti vittorie, a Nimfa, Thyrraion e Magnesia. Ma le paghe tardavano ad arrivare e durante l’acquartieramento invernale i mercenari si rifecero sulla popolazione locale, che taglieggiarono e vessarono oltre ogni misura. Ruggero, tuttavia, non era con loro: da sempre abile come politico non meno che come comandante, si era trasferito a Costantinopoli dove stava diventando intimo dell’imperatore. Proprio sfruttando le rimostranze dei suoi, riuscì a estorcergli il titolo di “Cesare”, con la signoria dell’Anatolia e delle isole, le cui rendite gli sarebbero servite a pagare la sua compagnia. Il comando operativo passò quindi al suo luogotenente Berengario d’Enteça, nominato megaduca, e gli uomini furono trasferiti in Tracia.
Le cronache di Ruggero
G
ran parte delle gesta di Ruggero da Flor ci vengono raccontate nelle Cronache catalane da un suo compagno di imprese, il soldato della corona aragonese Ramón Muntaner. Ecco come descrive il primo scontro con i Turchi: “Al mattino, pieni di buon volere e di giubilo, furono in piedi così di buon’ora che all’alba erano al torrente, lunghesso il quale i Turchi colle donne e coi figlioli erano a campo, e piombarono così furiosamente su loro che i Turchi rimasero sopraffatti e meravigliati d’una gente che coi loro quadrelli faceva tali colpi che pareva follia volerle resistere. Che dirò? Appena i Turchi si furono armati, appiccicossi una pugna furiosa; ma a che giovava loro il coraggio?”.
Gesta efferate. La cronaca prosegue così: “Il megaduca coi fanti s’era scagliato su loro con tanta veemenza ch’e non sapevano più che fare, e tuttalvolta non vollero darsi alla fuga per via delle donne e dei fanciulli ch’erano seco, e col cuore straziato elessero di morire; e di fatti non si erano mai più vedute da uomini al mondo siffatte prodezze. Alla fine però colle donne e coi figlioli furono fatti tutti prigionieri, e in quel solo dì morirono dei loro meglio che tremila uomini a cavallo e più di duemila pedoni. Il megaduca e la sua gente si impadronirono allora del campo, e fecero a pezzi tutti coloro che aveano più di dieci anni […]. E ciò avvenne dopo otto dì che aveano preso commiato dall’imperadore”.
IL NEMICO FRANCESE Un cavaliere angioino. Furono gli Angioini i primi nemici di Ruggero da Flor, che con pragmatismo da mercenario si offrì persino di servirli, finendo poi per combatterli al soldo degli Aragonesi.
Almogaveri I soldati di ventura presenti in tutti i regni cristiani della Penisola iberica durante la Reconquista. Feroci e abilissimi con giavellotto e spada corta, combattevano come fanteria leggera.
SCALA
LEEMAGE/MONDADORI PORTFOLIO
Ma l’irresistibile ascesa di Ruggero gli aveva procurato invidie e nemici a corte. Il più pericoloso di tutti era Michele IX, l’erede al trono, che vedeva in lui un temibile rivale. Questi lo invitò nel proprio palazzo di Adrianopoli e lo assassinò, eliminando anche il suo contingente di 1.300 tra cavalieri e fanti con 9.000 Turcopoli e Alani; se ne salvarono soltanto tre. L’eccidio dei Catalani proseguì a Costantinopoli, con una vera e propria epurazione dalla quale si salvarono solo in 3mila. Costoro si asserragliarono nel loro quartier generale di Gallipoli, che Michele cinse d’assedio. Berengario provò a cercare aiuto, ma venne catturato dai Genovesi. Il comando passò a Bernardo da Rocafort, che tolse dai guai i suoi mostrando una spietatezza senza eguali. I Catalani liberarono infatti Gallipoli, ad Apros sconfissero in battaglia Michele, che rimase sfregiato e si salvò a stento, poi inseguirono l’uccisore di Ruggero, l’alano Gircone, e lo giustiziarono. Quindi squartarono l’intera popolazione di Rodosto, dove tre dei loro ambasciatori avevano subito la stessa sorte, e a Perinto bruciarono gli uomini, violentarono e sgozzarono le donne e schiacciarono i bambini. I mercenari devastarono la Tracia fino al 1307, e poi la Macedonia e la penisola di Pallene, depredando anche i monasteri del Monte Athos, e in generale molti degli staterelli sorti durante l’occupazione latina di Costantinopoli del secolo precedente, prima di trovare un nuovo ingaggio per i Francesi. Ruggero era vendicato, ma al prezzo di una nomea che avrebbe consegnato la sua creatura ai posteri come una delle più feroci compagnie del Medioevo. Più avventuriero che condottiero, il pugliese figlio di un tedesco, capo di Catalani, genero del re dei Bulgari e nipote dell’imperatore bizantino, fu opportunista e spregiudicato prima che feroce, ma serio e affidabile con i suoi uomini, che ebbero in lui un punto di riferimento certo e concreto, trasformandosi, da
UCCISO PER GELOSIA Uno dei tanti assedi portati a San Giovanni d’Acri (quello sopra è della Terza crociata, antecedente di un secolo rispetto ai nostri eventi). A sinistra, l’assassinio di Ruggero ordinato da Michele IX Paleologo.
predoni indisciplinati, in un esercito compatto e capace di vincere su armate superiori in numero, meglio equipaggiate e più sperimentate. Anche senza di lui, i Catalani continuarono a mietere successi. Ruggero, da parte sua, si dimostrò un abile ammiraglio e un comandante di truppe di terra capace di sfruttare l’effetto sorpresa e di ricavare il massimo potenziale dai suoi uomini; se fosse vissuto di più c’è da chiedersi dove sarebbe potuto arrivare nell’Impero bizantino: forse avrebbe scatenato l’ennesima guerra civile e preso il potere supremo, oppure Cronache catalane del secolo affrettato la caduta di Costantinopoli XIII e XIV, Ramón Muntaner (su minandone le fondamenta con la sua Google Books). Come Ruggero riusfrenata ambizione. d scì quasi a conquistare un impero. Andrea Frediani
I Catalani alla conquista del ducato di Atene
D
opo la morte di Ruggero, i Catalani passarono da un committente all’altro, dandosi al predonismo nei periodi intermedi, finché nella primavera del 1310 non si accasarono con Gualtieri V di Brienne, duca di Atene. Ma dopo un anno si venne allo scontro campale e il duca stesso fu tra i 20.000 caduti del suo esercito. I Catalani, allora solo in 7.000, lo rilevarono alla guida del ducato insediandosi nella capitale Tebe. Per scongiurare l’isolamento internazio-
16
nale, inevitabile dopo le efferatezze di cui si erano resi protagonisti, si posero sotto la tutela del re di Sicilia Federico III d’Aragona. Questi nominò duca il proprio figlio di 5 anni Manfredi, sotto la reggenza del vicario generale Berenguer Estanol de Ampurias; dal 1331 al reggente venne sottratta l’autorità militare, assegnata a un maresciallo approvato dai Catalani. Arrivano i Turchi. Una volta insediata nel ducato di Atene, la Societas Cathalanorum si trasformò in Felix
Francorum exercitus in Romaniae finibus comorans (“il fortunato esercito dei Franchi attestato nel territorio della Romania”); la denominazione campeggiava sul sigillo del cancelliere della Compagnia, con San Giorgio a cavallo nell’atto di uccidere il drago. Il ducato continuò a espandersi sotto i successivi duchi e vicari, con l’annessione del ducato di Neopatria a nord, della contea di Salona a est e di vari capisaldi lungo i confini, a dispetto dei tentativi di riconquista di Gualtieri
VI di Brienne. Il declino arrivò con le lotte intestine tra fazioni, che resero la compagine politico-militare debole di fronte alle aspirazioni del barone di Corinto, Neri Acciaiuoli. Questi, valendosi della Compagnia navarrese, si impossessò del ducato (1379-1390). Ma i Turchi erano alle porte ed entro fine secolo avrebbero imposto il loro dominio sulla Grecia; solo Atene, contesa tra i Veneziani e gli eredi di Neri, riuscì a resistere ai musulmani fino alla caduta di Costantinopoli nel 1453.
I FEDELISSIMI IN BATTAGLIA
CARABINIERI SHARDANA IMMORTALI PRETORIANI VAREGHI
GIANNIZZERI VECCHIA GUARDIA HOUSEHOLD CAVALRY DIVISIONE GORING LEGIONE ARABA
17
FEDELISSIMI
CARABINIERI 13 luglio 1814. scorta al sovrano, polizia militare, sicurezza del territorio, unità scelte combattenti. dalla sua istituzione, l’Arma dei Carabinieri ha partecipato con propri reparti a tutte le guerre che hanno visto coinvolti il Regno di Sardegna e il Regno d’Italia, e alle missioni di pace della Repubblica italiana. Fondamentale il suo contributo nella lotta al brigantaggio nel Mezzogiorno (1861-65).
G. RAVA
CON LE SPALLE
18
SIERRA
IMMOLATI Passo di Culqualber, Abissinia: dal 6 agosto al 21 novembre 1941 il 1° Gruppo mobilitato dei Carabinieri Reali si batté fino all’ultimo contro i KAR (Kings African Rifles) di Sua Maestà britannica. A lato, il fregio portato sul copricapo dai Carabineri Reali, con il monogramma del re.
FOTO SCALA / LUCE (3)
a prima unità militare a usare il motto Semper fidelis sembra sia stata la Irish Brigade, formata nel 1691 al termine della guerra tra Giacomo II, ultimo re cattolico d’Inghilterra, Scozia e Irlanda, e il protestante Guglielmo III. La più famosa, invece, il Corpo dei Marines degli Stati Uniti, che lo adottò nel 1883. Non mancano poi precedenti più o meno ufficiali, perché la fedeltà – cioè la capacità di non cedere, e soprattutto di non cambiare bandiera, per quanto disperata possa essere la situazione che ci si trova ad affrontare – costituisce da sempre uno dei caratteri costitutivi della virtus militare. È un comportamento che si richiama a valori assoluti, come il rispetto della parola resa sacra da un giuramento; è un codice d’onore che coinvolge gli uomini a prescindere dal loro grado e dal loro ruolo specifico, rendendoli davvero capaci di agire come un unico organismo, espressione di una volontà condivisa. I Carabinieri italiani, come molti altri corpi scelti, hanno fatto di questo valore il simbolo stesso della propria esistenza, prima come specialità dell’esercito sabaudo (dal 1814 al 1861) e poi dell’esercito italiano. Due secoli di fedeltà alla bandiera, alle istituzioni, al re e alla Repubblica, agli uomini che li hanno guidati in pace e in guerra; due secoli di identificazione con lo Stato, da primi servitori dell’interesse collettivo, tessendo una tela – anche sul territorio – capace negli anni di tenere insieme la nostra patria, cresciuta per accumulazione e conquista, forgiata negli anni terribili della Grande guerra, lacerata fin nel profondo delle coscienze dal fascismo e dal secondo conflitto mondiale, faticosamente risollevatasi dopo il 1945 fino a diventare uno dei pilastri della nuova casa comune europea. In tutte queste fasi, i Carabinieri hanno operato, sorvegliato e combattuto con senso del dovere, sempre pronti a rispondere agli ordini del governo che chiedeva loro impegno e sacrificio. Anche in situazioni disperate, senza esitare, “nei secoli fedeli”.
I Carabinieri e la difesa di Roma
P
oche ore dopo l’annuncio dell’armistizio da parte di Badoglio, nella caserma della Legione Allievi Carabinieri di viale Giulio Cesare vennero distribuite le armi e formate le compagnie. Durante la notte il reparto – forte di 9 ufficiali, 30 sottufficiali, 129 carabinieri e 409 allievi – si schierò all’inizio della Via del Mare con l’ordine di “impedire a ogni costo il passaggio di reparti tedeschi diretti in città”. Facendo il loro dovere. Il Battaglione allievi combatté per tutto il giorno, riconquistando il caposaldo che dalla collina dell’Eur dominava l’uscita sud del ponte della Magliana, già catturato dal nemico; solo alle 18:30, dopo aver tenuto testa ai parà tedeschi della 2a Divisione, ricevette l’ordine di ritirarsi e rientrare in caserma. Altri uomini e altri eventi stavano decidendo ormai la sorte di Roma, ma gli allievi carabinieri avevano fatto il loro dovere. Lo stesso giorno, 9 settembre
20
1943, un intero battaglione di Fallschirmjäger (paracadutisti) venne lanciato su Monterotondo (a nord di Roma) per catturare lo Stato Maggiore del Regio esercito che aveva la sua sede di campagna a palazzo Orsini, il possente edificio medioevale nel cuore della cittadina. Il generale Roatta si era già messo in salvo durante la notte, seguendo poi il re in fuga verso l’Adriatico; a difendere il palazzo era rimasta una compagnia Carabinieri, che si batté con grande valore per tutto il giorno fino all’esaurimento delle munizioni, causando gravi perdite al nemico. Quando un ufficiale tedesco prese possesso del palazzo e si rese conto che lo Stato Maggiore era fuggito, disse al tenente dell’Arma: “Allora abbiamo combattuto per niente!”. Non conosciamo la risposta, ma certo i Carabinieri di Monterotondo avevano combattuto per l’onore della patria e dell’Arma, e per restare fedeli agli ordini ricevuti.
L’ARMA E LE SUE FORZE COLONIALI Le nostre forze in Africa nel 1936, dall’alto: CC.RR. e Zaptiè, in pattugliamento montati su dromedari; Carabinieri in servizio di fiancheggiamento con una delle nostre divisioni in marcia; schieramento di ascari eritrei di varie Armi, tra cui alcuni Zaptiè, i carabinieri coloniali indigeni. L’Italia entrò in guerra il 10 giugno 1940, ma già nel novembre 1941 le truppe britanniche strapparono l’AOI (Africa orientale italiana), abbandonata dalla madrepatria, alle forze coloniali al comando di Amedeo d’Aosta.
IN AFRICA Culqualber, 1941: tenente del 1° Gruppo CC.RR. mobilitato: è armato con pistola Beretta mod. 34 e moschetto automatico Beretta (MAB 38), entrambi in cal. 9 mm. Vestivano giubba sahariana e casco coloniale, previsti anche per le altre Armi.
G.ALBERTINI
Tra i molti episodi bellici di due secoli di storia dell’Arma “fedelissima”, l’eroica difesa del caposaldo di Culqualber, nell’autunno 1941, è certo uno dei più emblematici. Le sorti della Campagna d’Etiopia erano ormai segnate: dopo la resa del duca d’Aosta all’Amba Alagi (17 maggio 1941), dell’Impero italiano proclamato appena cinque anni prima restava soltanto la piazzaforte di Gondar, nel nordovest, agli ordini del generale Guglielmo Nasi , il solo che avesse messo in pratica in modo efficace le istruzioni del viceré sulla creazione dei “ridotti difensivi”. L’ampio campo trincerato aveva una guarnigione permanente di 9 battaglioni e 20 pezzi d’artiglieria e una riserva mobile al comando del colonnello Adriano Torelli (22a Brigata coloniale e un gruppo squadroni di cavalleria); le diverse vie d’accesso erano bloccate da capisaldi esterni, il più importante dei quali era quello di Culqualber (il Passo delle Euforbie), che difendeva il settore sud-est, tra la sponda del lago Tana e la rotabile proveniente da Debra Tabor, dove Nasi riuscì inizialmente a schierare un presidio di circa 1.500 uomini al comando del tenente colonnello Ugolini. Il primo attacco inglese contro il campo trincerato italiano iniziò il 16 maggio nel settore occidentale di Celgà, e venne respinto dopo tre giorni di duri combattimenti. Se i britannici avevano pensato di concludere rapidamente la campagna in Africa Orientale, si erano illusi: ci sarebbero voluti più di sei mesi per costringere alla resa la guarnigione di Gondar. Approfittando delle piogge estive, che resero impraticabili le strade bloccando qualsiasi tentativo di attacco nemico, il generale Nasi riorganizzò le proprie forze, destinando tra l’altro al presidio di Culqualber il 1° Gruppo mobilitato dei Carabinieri Reali, agli ordini del maggiore Alfredo Serranti. Il 6 agosto 1941 i Carabinieri si spostarono in autocarro da Gondar al Passo delle Euforbie, attaccati di continuo dalle bande degli irregolari etiopici. Il giorno successivo il reparto venne passato in rivista dal tenente colonnello Ugolini: gli uomini di Serranti andavano ad affiancare le Camicie Nere del 240° Battaglione M.V.S.N. (su cinque compagnie) e gli ascari del 67° Battaglione coloniale distaccato dalla 22a Brigata di Torelli (su quattro compagnie), portando così il presidio a un totale di circa 1.900 uomini, con una cinquantina di mitragliatrici pesanti. Non erano pochissimi, considerata la situazione; in compenso, il supporto di artiglieria era costituito dalla sola 43a Batteria coloniale del tenente Guglielmo Nasi (1879-1971) Il generale aveva comandato una colonna mobile agli ordini di Graziani durante la guerra dÕEtiopia, nel 1936; nellÕagosto del 1940 aveva poi guidato un piccolo corpo di spedizione alla conquista della Somalia Britannica. Dopo la valorosa difesa dello Òscacchiere GondarÓ, Nasi rest˜ in un campo di prigionia fino al 1945.
21
Cannoncini da montagna Pezzi da 70 mm di calibro la cui bocca da fuoco era lunga 15 calibri (70x15=1.050 mm). Obsoleti (retaggio della Grande guerra), erano adatti solo al tiro diretto, a vista e con traiettoria tesa, e quindi molto vulnerabili al fuoco nemico di controbatteria; il loro pregio però era la leggerezza, che li rendeva adatti alle operazioni di controguerriglia coloniale.
SIERRA
Zaptiè Il termine (che deriva dalla parola turca zaptiye, “polizia”) designava eritrei, libici, somali ecc. arruolati nei Carabinieri Reali, che combatterono fino all’ultimo con grande spirito di sacrificio.
L’ARMA Pistola Beretta mod. 34 cal. 9 mm “corto”, in dotazione a tutti gli ufficiali e Carabinieri. Sotto, un casco coloniale per la truppa dei CC.RR. con gli occhiali protettivi per sole e sabbia.
po aver subito gravi perdite; da allora i rifornimenti dovettero essere inviati su piccole imbarcazioni attraverso il lago Tana fino al pontile di Fercaber, e di qui lungo la mulattiera fino al Passo delle Euforbie: un percorso lungo e faticoso, compiuto solo di notte da uomini e animali che potevano trasportare una quantità ridottissima di materiali. Ugolini diede ordine di razionare acqua, cibo e cartucce; il tempo giocava a favore del nemico, e una volta iniziata la battaglia la guarnigione avrebbe dovuto evitare qualsiasi spreco di munizioni. Il 3 novembre le posizioni italiane cominciarono a essere bersagliate da proiettili di artiglieria nemica di grosso calibro: erano gli obici da 60 libbre della 51st Gold Coast Medium Battery che facevano fuoco da una dozzina di chilometri di distanza, metodicamente, incessantemente. Il bombardamento proseguì per giorni, preparando la strada agli attacchi esplorativi dei King’s African Rifles (KAR), facilmente respinti il 9 e l’11 novembre. Dopo un giorno di tregua, all’alba del 13 scattò il primo vero assalto contro il caposaldo italiano: il 1°/6° KAR avanzò da sud, frontalmente, verso le difese del passo, ma venne bloccato dalla 1a Compagnia di Celi; allo stesso tempo gli irregolari etiopici attaccarono da nord-est e da nord-ovest, convergendo sul monte Miralago. Le posizioni della 2a Compagnia erano disposte a ferro di cavallo su una specie di terrazzamento a mezza costa; il nemico individuò nella numero 12, isolata e vulnerabile al vertice nord-occidentale del perimetro difensivo, il punto debole della linea italiana, e vi concentrò i suoi sforzi. Il tenente Azzari, resosi conto del pericolo, chiese a Ugolini l’intervento immediato degli ascari del 67° Battaglione; ma fu l’iniziativa autonoma di pochissimi uomini a cambiare in pochi minuti le sorti dello scontro. Quando la postazione 12 stava per essere raggiunta e travolta dagli etiopici, il brigadiere Ponticelli, che ne aveva il comando, fece brillare le tre potenti mine interrate a una cinquantina di metri di distanza, e immediatamente dopo guidò un pugno di Carabinieri fuori dalla trincea, contrattaccando il nemico con bombe a mano e baionette. Gli etiopici, ricacciati indietro, si allargarono sulla sinistra, ma gli Zaptiè della postazione 13 tennero duro, falciandoli con le armi automatiche; l’attacco si esaurì nella mattinata, anche perché i KAR non ri-
SIERRA
Mostaccioli, su tre cannoncini da montagna da 70/15. Ugolini avrebbe dovuto contare soprattutto sul coraggio dei suoi uomini, italiani e africani, fratelli in armi, chiamati a sacrificarsi senza nessuna speranza di vittoria tra le rocce taglienti e i pendii nudi del Passo delle Euforbie. Il 10 agosto Carabinieri e Zaptiè del 1° Gruppo presero in consegna il tratto della linea difensiva loro assegnato: la Compagnia del capitano Celi venne schierata fronte a sud-est su uno sperone che dominava la strada proveniente da Debra Tabor; la 2a Compagnia del tenente Azzari, alla sua destra, sulle pendici nord-occidentali del monte Miralago. La mancanza di artiglieria avrebbe costretto i Carabinieri ad adottare una tattica basata sul fuoco incrociato e ravvicinato delle armi leggere, e su immediati contrattacchi per mantenere il controllo del perimetro difensivo. Per tutto agosto e settembre le piogge impedirono al nemico di avanzare, ma la sopravvivenza del presidio venne comunque messa a rischio dall’attività degli irregolari etiopici lungo le vie di comunicazione. L’ultimo convoglio di autocarri inviato da Gondar raggiunse Culqualber il 24 agosto, do-
BATTAGLIA DI CULQUALBER 1941 Monte Culivlibà
CULQUALBER
Verso Gondar
Irregolari etiopici
Monte Hulat
II 67° Btg. coloniale
PASSO DI CULQUALBER
COMANDO DIFESA
TRINCERONE
Monte Miralago
LEGENDA Britannici Italiani II Battaglione S. STANLEY
Verso Debra Tabor
I
l tenente colonnello Augusto Ugolini schierò con grande abilità le varie compagnie di Carabinieri Reali (CC.RR.) e Camicie nere (CC.NN.) a difesa del passo di Culqualber, mantenendo il 67° Battaglione coloniale come riserva mobile. Il 13 novembre il primo battaglione del 6° Reggimento King’s African Rifles (1°/6° KAR) attaccò da sud-ovest, ma venne facilmente respinto, mentre gli
irregolari etiopici sfiorarono il successo lanciandosi all’assalto da nord-est. Dopo una pausa e un lungo bombardamento, la battaglia decisiva venne ingaggiata il 21 novembre da tre battaglioni di fucilieri britannici: nel settore meridionale la 1a cp CC.RR. del capitano Celi, ben fortificata sul costone roccioso del monte Miralago, riuscì a contenere l’attacco nemico, ma alle sue spalle la 2a cp.
ALL’ARMA BIANCA Truppe coloniali italiane all’assalto. A Culqualber i Carabinieri contrattaccarono più volte all’arma bianca per risparmiare munizioni. A lato, il tenente colonnello Ugolini.
CC.RR. del tenente Azzari fu costretta ad abbandonare le proprie posizioni dopo aver subito durissime perdite. I Carabinieri superstiti ripiegarono sul “trincerone”, ultima linea difensiva del presidio, verso le 9 del mattino, e qui resistettero ancora a numerosi assalti, appoggiati dal 67° Btg. coloniale. Verso metà pomeriggio quando la situazione si stava facendo ovunque disperata, il 2°/3° KAR riuscì a superare le difese della 3a Compagnia della milizia (CC.NN.), costringendo il presidio alla resa.
23
uscirono a coordinare in alcun modo i loro sforzi con quelli delle bande etiopiche, che pure avevano sfiorato il successo. Dopo lo scacco subito, il comando britannico fu costretto a spostare un’intera brigata dal settore nord-est a Culqualber, per forzare finalmente il Passo delle Euforbie e avanzare su Gondar. Il nuovo attacco venne pianificato per il 21 novembre; nel frattempo, gli uomini del presidio italiano erano ormai alla fame, costretti a ricavare nutrimento dalle pelli dei bovini macellati nelle settimane precedenti. Dalle loro postazioni, i Carabinieri poterono osservare i fari degli automezzi nemici che squarciavano il buio, mentre le colonne della 25a East African Brigade scendevano da nord-est, e altri reparti avanzavano da Debra Tabor, o si avvicinavano alla riva settentrionale del lago Tana, chiudendo il cerchio attorno a loro. Tutti si prepararono all’assalto decisivo, ben sapendo che sarebbe stata la fine. All’alba del 20 novembre si scatenò “un bombardamento e un mitragliamento senza precedenti dalla terra e dal cielo”, ricorda Celi, che durò un giorno intero. Poi, alle 3 del mattino del 21, piccoli gruppi nemici tentarono di infiltrarsi nel perimetro difensivo, vicino alla postazione 12, ma vennero scoperti e respinti. Il generale James, comandante della 25a Brigata, lanciò allora un attacco più convenzionale, questa volta con tre battaglioni di KAR e un maggior supporto di artiglieria. Fu ancora una volta la 2a Compagnia di Azzari a essere investita dalle ondate degli assalitori: il tenente chiese e ottenne il permesso di ripiegare verso il “trincerone” scavato presso la sommità del monte Miralago, riducendo così l’estensione del perimetro difensivo. Il sacrificio degli Zaptiè delle postazioni 8 e 9, che lottarono fino all’ultimo uomo, permise agli altri Carabinieri di sganciarsi. Verso le 9:30 del mattino un ennesimo, disperato contrattacco del 67° Battaglione coloniale permise di ristabilire la linea, ma con dure perdite: Ugolini aveva consumato così le sue ultime riserve, e quando i fucilieri del 2°/3° KAR tornarono all’attacco, ogni singola squadra del presidio sapeva che non
CARABINIERE A CAVALLO
G.ALBERTINI
A Pastrengo, i soldati dell’Arma caricarono armati sia di sciabola, sia del moschetto mod. 1844.
Pastrengo, fiore all’occhiello
P
rimo pomeriggio del 30 aprile 1848, riva destra dell’Adige. Due brigate austriache con 20 cannoni difendono la posizione avanzata di Pastrengo; il II Corpo d’armata piemontese, agli ordini del generale Ettore Gerbaix de Sonnaz, avanza per respingere il nemico oltre il fiume e minacciare la vitale linea di comunicazione verso Trento e il Brennero. Re Carlo Alberto assiste alle operazioni: la Brigata Cuneo procede lenta, ostacolata dal terreno irregolare, e il sovrano, spazientito, si porta avanti con la scorta. Leggiamo nelle sue memorie che “nel salire questo colle vedemmo balenare un istante di gravissimo rischio: tentò allora il nemico l’estremo sforzo di sua resistenza con una scarica generale, la
24
quale impaurì i cavalli dei Carabinieri che precedevano il re [...] A tal vista il maggiore conte di Saint-Front comanda la carica ai 3 squadroni e alla loro testa lanciasi di galoppo contro l’erta del colle. Tutti lo seguono ed il re tra i primi”. La carica. 300 Carabinieri a cavallo attaccano e disperdono i tiratori nemici; l’azione mette in difficoltà gli austriaci, che stanno ripiegando verso l’Adige. La vittoria sembra a portata di mano: bisognerebbe incalzare il nemico con la massima energia, ma l’ombroso sovrano pronuncia una frase che non lascia spazio a repliche: “Pour aujourd’hui il y en a assez” (per oggi s’è fatto abbastanza). Carlo Alberto non era un pavido, ma la carica in compagnia dei suoi Carabinieri lo aveva stancato.
IL PASSO DEL SACRIFICIO
avrebbe potuto ricevere più alcun aiuto. Anche il maggiore Serranti scese nel “trincerone” e imbracciò un moschetto; altri assalti vennero respinti, ma i Carabinieri stavano per esaurire le munizioni e il volume di fuoco si affievolì inesorabilmente. Gli uomini ancora in grado di combattere si spartirono le ultime bombe a mano e inastarono le baionette, preparandosi al corpo a corpo. Ma verso le 15:30, nello strano silenzio sceso sul campo di battaglia, si percepirono gli squilli di tromba che dal comando italiano ordinavano di cessare la resistenza: il 2°/3° KAR, alle spalle dei Carabinieri, era riuscito a sfondare le linee tenute dalle Camicie Nere del 240° Battaglione, irrompendo all’interno dell’ultimo anello difensivo e costringendo il tenente colonnello Ugolini ad alzare bandiera bianca per evitare ulteriori perdite. I carabinieri superstiti, esausti, uscirono a uno a uno dalle trincee. Mentre consegnavano le armi, il maggiore Serranti scostò con violenza un fuciliere africano che voleva perquisirlo e venne colpito a morte con la baionetta. Intanto i Carabinieri della postazione 3, che non avevano udito il segnale di resa, continuavano a combattere fino a essere circondati e uccisi a colpi di bombe a mano. Quando sulle pendici del Miralago cessarono anche gli ultimi scontri, il tenente Azzari si rese conto che il suo reparto aveva subito perdite spaventose: 58 morti e 34 feriti su 143 effettivi. A poca distanza la 1a Compagnia continuava a tenere le sue posizioni, ignara di quanto stava accadendo alle spalle. Verso le 16 il capitano Celi ricevette un messaggio del tenente colonnello Ugolini che gli comunicava l’ordine della resa; poco dopo una se-
SIERRA
DE AGOSTINI/GETTY IMAGES
Una foto recente del passo di Culqualber, che dava accesso all’area della fortezza di Gondar. A lato, lo schizzo fatto all’epoca dal ten. col. Ugolini. Sotto, lo scontro di Culqualber ricostruito dal pittore Vittorio Pisani per la Tribuna Illustrata del 7 dicembre ’41.
Nei secoli fedele. Le battaglie dei Carabinieri 1814-2014, Gastone Breccia (Mondadori). Nel Bicentenario della fondazione, vengono ripercorse le tappe gloriose della storia dell’Arma dei Carabinieri che si intreccia inestricabilmente con le vicende del nostro Paese.
conda staffetta confermava che sul presidio di Culqualber sventolava la bandiera bianca. Il comandante della 1a Compagnia, che non aveva ceduto un metro al nemico, ordinò ai plotoni di mettere fuori uso le armi e di segnalare la cessazione delle ostilità. Era l’amaro epilogo di una resistenza eroica, che aveva suscitato lo stupore e l’ammirazione degli stessi vincitori. La strada per Gondar era aperta, e la piazzaforte aveva ormai i giorni contati. d Gastone Breccia 25
FEDELISSIMI
TUTTI I PRIMI IMPERI DELLA TARDA ETÀ DEL BRONZO DOVEVANO CONTARE SUI MERCENARI, MA POCHI ERANO EFFICIENTI COME LE GUARDIE DEL FARAONE
G. ALBERTINI
ra al suo quinto anno di regno l’ambizioso Ramesse II, incoronato appena ventenne, quando portò le sue divisioni sulle rive del fiume Oronte per riprendersi Kadesh. Suo padre, Seti I, aveva dovuto cedere la città agli Ittiti, che contendevano agli Egiziani la supremazia sul Vicino Oriente. Una perdita umiliante, ma Kadesh era più di una cittadella arroccata vicina al lago di Homs: era una delle chiavi per la riconquista della Siria, fulcro di quella politica espansionistica che avrebbe che avrebbe consegnato alla Storia Ramesse come “il Grande”. Facile a dirsi: la struttura militare egiziana, seppure una delle migliori di quel periodo, doveva confrontari con nemici potenti. Campagne offensive lunghe e meticolosamente pianificate esigevano continui rinforzi, militarmente efficienti e pronti a battersi contro un nemico soverchiante. C’erano, come scoprì il faraone. E li trovò tra i nemici dell’Egitto. La nuova linfa arrivò dal mare. Gli Sherden o Shardana, i feroci guerrieri di probabile origine anatolica (il nome della Sardegna deriva da loro e ha fatto ipotizzare per questa popolazione una discendenza isolana) erano i terribili razziatori del Mediterraneo, parte di quei Popoli del mare descritti dalle fonti come pirati, predoni spietati e, di certo, guerrieri eccellenti. ArrivaSHARDANA rono per conquistare quelle terre. Non ci riuscirono, ma l’Egitto conquistò loro. Gli Sharsono dana divennero infatti il fiore all’occhiello dei menzionati nelle Lettere di corpi d’élite mercenari reclutati dai faraoni. Amarna (1350 a.C. ca.) del faraone Akhenaton. Dopo averli battuti, fu Ramesse II a incorporarli nel suo esercito. E a Kadesh ebbero il batfacevano parte della guardia personale del faraone tesimo del fuoco. Ramesse II nella Battaglia di Kadesh fra Egiziani e Ittiti. furono sconfitti sia dal faraone Ramesse II che dal figlio Merenptah. Entrambi li arruolarono nei loro eserciti.
26
Popoli del mare Confederazione di popoli che, verso il 1200 a.C., si muove tra l’Egeo e l’Anatolia Occidentale verso l’Egitto e verso il Fertile Crescente (cioè la regione che va dalla Valle del Nilo alla Mesopotamia). Ramesse II O Ramesse il Grande, 3° faraone della XIX dinastia, regnò dal 1279 al 1213 a.C. Fu uno dei sovrani più importanti della storia egiziana.
L’EGITTO INVASO Battaglia nel Delta del Nilo (1176 a.C.) tra i Popoli del mare e gli Egiziani. In basso si vede un Peleset con l’elmo a tiara. A sinistra, Shardana con spada di tipo egeo ad ampia lama triangolare, scudo rotondo ed elmo cornuto con il disco solare del dio Râ.
I. DZIS
GLI ALTRI FEDELISSIMI
1200 a.C. di nazionalità egeo-cretese. mercenari e guardie in Egitto e Israele, dove erano guardie del corpo di re Davide. i Popoli del mare erano reputati forti guerrieri; fra loro, Cheretites e Peletites (discendenti dei Cretesi) si erano stabiliti nelle colline palestinesi dette Shepheleh ed erano stati assorbiti dai Filistei. Un gran numero di questi soldati era al servizio di re Davide, visto il forte legame che si era stabilito con Achish, Seren (re) della cittàoasi di Gat all’epoca in cui il re d’Israele cercava rifugio presso i Filistei. La città di Ziklag, donata da Achish a Davide, era forse il luogo da cui lui reclutava i suoi fedelissimi. La Bibbia menziona 600 Filistei di Gat che servivano come guardia scelta di Davide sotto l’ufficiale chiamato Ittai. Pare che questi fosse uno dei più fedeli servitori del sovrano durante la rivolta del figlio Assalonne.
28
le altre divisioni. Quando, però, il faraone si accorge della presenza dell’intera armata ittita dietro la collina di Kadesh, tenta di avvisare i suoi. Ma il re ittita Muwatalli invia 2.500 carri da guerra, che disperdono due delle divisioni egizie e accerchiano Ramesse e la sua guardia. Ormai il faraone sembra perduto. Eppure il suo coraggio e quello degli Shardana, che formano attorno al carro reale una barriera di scudi, permettono alle forze di Ramesse, di gran lunga inferiori di numero, di resistere fino all’arrivo degli altri componenti della guardia reale, i Ne’arin, che spezzano l’accerchiamento ittita. Finalmente sopraggiunge la terza divisione egiziana, quella di Ptah, e gli Ittiti devono ritirarsi. Anche gli Egiziani abbandonano il campo. I rilievi ci mostrano i terribili mercenari Shardana che nella mischia feroce tagliano le mani dei caduti per ottenere la ricompensa promessa dal sovrano. La battaglia, alla fine, si conclude con un nulla di fatto. Vent’anni dopo le due potenze sigleranno un trattato di pace e il faraone aggiungerà al suo harem la figlia del successore di Muwatalli. Abbiamo visto cosa seppero fare gli Shardana: trasformarsi nelle guardie più fidate del faraone, pronte all’estremo sacrificio. Ma non erano loro i soli stranieri a combattere nell’esercito egiziano. Un piccolo frammento di papiro ritrovato nel 1936 dall’archeologo John Pendlebury nella città ere-
GLI ALTRI FEDELISSIMI
1450 a.C. di nazionalità libica. erano le guardie di Minosse di Cnosso, a Creta. attestato dagli affreschi di Cnosso, l’effettivo arruolamento di mercenari africani da parte dei regnanti minoici ha un grande significato storico, potrebbe essere una conseguenza della conquista e dell’espansione coloniale dei Minoici nell’Africa del Nord. L’impiego di queste truppe sul suolo cretese potrebbe richiamare paralleli con il moderno arruolamento da parte dei Turchi ottomani di truppe senegalesi. A Cnosso questi africani potrebbero aver servito come guardie di palazzo, a imitazione di una pratica egiziana. L’uso di tali componenti etniche coincide con l’ultima età d’oro dell’espansione minoica nel Mar Egeo, ricordata come il periodo della Talassocrazia. Allo stesso modo degli Egiziani, che tendevano a vestire le guardie del corpo con abiti ed equipaggiamenti locali, anche i signori di Cnosso abbigliavano e armavano i loro mercenari alla maniera cretese, affidandoli al comando di ufficiali del posto.
G. ALBERTINI (2)
È l’aprile del 1275 a.C. Un immenso esercito, diviso in 4 battaglioni, avanza dalla gigantesca fortezza-caserma di Zaru, in Egitto, verso Kadesh, fortezza della Siria e chiave di passaggio sul fiume Oronte. Ramesse II guida questa imponente armata, circa 20.000 uomini e 200 carri. Con lui la guardia reale, composta dai fedelissimi Shardana, coperti quasi fino ai piedi da corazze di cotone e lino pressato, alla maniera egizia, armati di lunghe spade di bronzo e protetti da ampi scudi rotondi borchiati. Sono facilmente riconoscibili dagli elmi cornuti, che portano sulla sommità il disco solare di Râ. Marciano accanto agli altri reggimenti. Non sono i soli Shardana dell’esercito: i rilievi di Abu Simbel e Karnak ci mostrano altri contingenti di questa etnia. D’altronde, la base dell’organizzazione militare egizia era costituita dai soldati semplici di ogni specialità, tra cui i contingenti stranieri, che a Kadesh erano Shardana e Nubiani. Un corpo di riserva, formato da membri stranieri della guardia reale, forse gli Amorrei (nelle fonti vengono chiamati “Ne’arin”), marcia in parallelo per intervenire al momento giusto. A Ramesse si presentano però spie ittite, travestite da beduini: lo informano falsamente che gli Ittiti hanno sgomberato Kadesh. Ramesse avanza fiducioso verso la fortezza con la sua guardia, tra cui emergono i guerrieri cornuti. Seguono a distanza
BATTAGLIA DI KADESH 1275 a.C.
KADESH Mar Mediterraneo
5
CAMPO EGIZIANO DIVISIONE AMUN
14 DIVISIONE PTAH
6 3
7 8
4
Risposta di Ramesse II DIVISIONE P’RE
9
2
RAMESSE II
Lago di Homs
13
Kadesh MUWATALLI
Da Amurru sono in arrivo i Ne’arin (o Amorrei)
Guardie di Muwatalli
12
11
NE’ARIN
10
te
me Fiu
on Or
Fiume Oronte
LEGENDA
S. STANLEY
Egiziani
E
giziani e Ittiti, le due grandi potenze del Vicino Oriente, si scontrano sulle rive del fiume Oronte (oggi Siria). Il faraone Ramesse arriva nei pressi di Kadesh in anticipo sulle armate ittite di re Muwatalli. Il faraone si sta disponendo intorno alla fortezza di Kadesh con le sue forze: la Divisione di P’re, la Divisione di Amun, il suo battaglione e le guardie del corpo (tra cui gli Shardana). I rinforzi egiziani sono però ancora lontani: da sud è in marcia la Divisione di Ptah, mentre i Ne’arin, anche loro guardie del faraone, sono in arrivo da Amurru. Una forza di 2.500 carri, inviata dal re ittita Muwatalli a difesa di Kadesh, si dirige contro il nemico attraversando l’Oronte 1 . I carri ittiti piombano nel mezzo della Divisione di P’re 2 . Gli Egiziani, colti di sorpresa, si disperdono: una parte viene separata dal resto della formazione 3 , ma alcuni carri vengono inviati a proteggere il faraone 4 . Gli Ittiti, con un movimento aggirante 5 , irrompono nel campo di Amun 6 , travolgendo questa divisione che si trova in posizione più avanzata rispetto al battaglione del faraone. Gli ittiti attaccano poi il resto dell’esercito egiziano, ma si trovano davanti le guardie del faraone che oppongono strenua resistenza.
Gli Shardana di Ramesse fronteggiano l’avanzata nemica 7 dando tempo al faraone di organizzarsi e guidare il contrattacco con un gruppo di carri 8 . Gli Ittiti, rimasti a saccheggiare il campo, vengono colti di sorpresa dal contrattacco del faraone. Inseguiti dai carri egiziani, che ne fanno strage, si ritirano 9 . Il re ittita fa partire un contrattacco in direzione del campo avversario 10 . La formazione di Muwatalli attraversa il fiume Oronte, ma viene fermata dai Ne’arin 11 , l’altra guardia del faraone, arrivata finalmente sul campo di battaglia. Presi alla
1 Inizia l’attacco
ittita
sprovvista, gli Ittiti ripiegano verso l’Oronte 12 . I carri dei Ne’arin incalzano i nemici in fuga, aiutati anche dai carri di Ramesse 13 . Molti superstiti periscono nell’Oronte, altri attraver-
CAMPO ITTITA sano il fiume e si mettono in salvo. Intanto, da sud per gli egiziani arrivano i rinforzi della divisione di Ptah, che chiudono la partita 14 . La battaglia si chiude, però, senza un vero vincitore.
Altro esempio di fedelissimi in battaglia: a Megiddo i carri del faraone Thutmosi III affrontano i Maryannu siriani (1470 a.C.).
I. DZIS
Ittiti
POPOLI BELLICOSI
LESSING/CONTRASTO
Gli Shardana dall’elmo cornuto raffigurati nei rilievi del tempio di Medinet Habu, in Egitto.
1180 a.C. di nazionalità egea. erano i soldati d’élite al servizio del faraone nell’Egitto della XX dinastia. erano considerati uno dei più importanti gruppi dei Popoli del mare, marinai e guerrieri intrepidi. Stando alla maggior parte degli studiosi, i Denyen erano associati con i Danai, uno dei nomi con cui Omero chiama spesso i Greci. Questa ipotesi si lega con la tradizione dei Danai provenienti da Micene e Argo, aventi un mitico capostipite chiamato Danaos. I rilievi di Medinet Habu ritraggono fra le forze egiziane di Ramesse III impegnate in combattimento contro i Libici una forza mista di guerrieri d’élite reclutata fra i Popoli del mare. Tra di loro, oltre agli Sherden, sono raffigurati i Peleset e i Danuna, equipaggiati con i caratteristici elmi a tiara. I loro scudi rotondi borchiati in bronzo e le loro armature, così come il loro modo tipico di portare la spada, trovano il loro più immediato parallelo nelle rappresentazioni dell’arte egea del periodo e nelle descrizioni dei Greci fatte da Omero.
30
G. ALBERTINI (2)
GLI ALTRI FEDELISSIMI
tica di El-Amarna raffigura una battaglia tra Egiziani e Libici: alcuni guerrieri alleati dei faraoni, pur indossando i kilt bianchi dei soldati nilotici, sono coperti da elmi conici segnati da settori longitudinali e armature di cuoio grezzo con parti in bronzo. Un’analisi del papiro ha portato gli studiosi britannici (e chi scrive) a un’interessante scoperta: i misteriosi guerrieri che lottavano a fianco delle armate del faraone non sono altro che gli Achei, cioè i Greci della tarda Età del bronzo. Il papiro è la prima fonte che attesta come i mercenari egei fossero al servizio dei faraoni della XVIII dinastia. Il reperto richiama i tipici elmi degli Achei, in uso tra il 1600 e il 1250 a.C., in pelle e zanne di cinghiale. In più c’è una recente scoperta nell’isola di Kanakia (Salamina), il regno di Aiace Telamonio, uno degli eroi della Guerra di Troia: una scaglia di bronzo di un’armatura che reca il timbro di Ramesse II. Quindi, anche i mercenari achei sono stati al servizio dei faraoni e in periodi diversi hanno fatto parte dei suoi fedelissimi, come gli Shardana e altri Popoli del Mare della tarda Età del bronzo. Gli Egiziani li indicavano con nomi differenti, come Denyen o Ekwesh, che corrispondono al modo in cui Omero chiama i Greci: Danai e Achei. Questi avventurieri si muovevano spesso in massa, anche con le famiglie, in cerca di nuovi insediamenti lontano dalla terra di origine. Alcuni gruppi, battuti dal faraone Ramesse III, si stabilirono sulle fortezze del Delta del Nilo come mercenari e vennero impiegati in sanguinose battaglie contro i tradizionali nemi-
Carriera a corte per gli Shardana
Mondadori Portfolio/www.bridgemanart.com
F
emigranti di successo
Bronzetto nuragico: l’elmo evidenzia il legame tra gli Shardana e la Sardegna.
u specialmente durante la XIX dinastia egiziana che si fece largo uso di truppe non egiziane: gli Shardana avevano già servito come mercenari per l’Egitto fin dal regno di Akhenaton e avrebbero continuato ad agire in tale veste almeno fino a Ramesse XI. Nel poema sulla Battaglia di Kadesh gli Shardana sono già menzionati come facenti parte delle truppe regolari al servizio del faraone e rappresentati nell’assedio delle città siriane di Tunip e Dapur. Testimonianze. Nel Papiro Anastasi, dove è attestata la presenza di truppe straniere nell’esercito egiziano, gli Shardana sono parte di un gruppo di “specialisti della guerra”, che comprende anche i Libici, tra cui i Kehek, e i Nubiani. Un’altra evidenza circa la presenza Shardana come combattenti nelle file dell’esercito egiziano si trova nel tempio di Medinet Habu, dove sono menzionati come mercenari
ci dell’Egitto, i Libici. Lo sappiamo dai rilievi del tempio di Medinet Habu (Egitto), in cui guerrieri egei Danuna (v. riquadro a sinistra), equipaggiati con elmi a tiara di bronzo (simili a quelli recentemente trovati in Grecia), corazze di cuoio e metallo, scudi di bronzo battuto e armi taglienti massacrano i Libici insieme ai loro colleghi Shardana e Peleset (Filistei, nel riquadro alla pag. precedente). La migrazione dei principi achei, che echeggia in molti racconti dell’Odissea e dei poemi post-omerici, trova riscontro a Cipro, in Siria e nel Levante. D’altronde nell’Odissea Menelao racconta ai suoi ospiti, fra i quali Telemaco in cerca di suo padre Ulisse, di come dopo la Guerra di Troia avesse passato molto tempo in Egitto. Ulisse stesso, in un racconto al porcaro Eumeo, descrive le imprese piratesche degli Achei in Egitto. Da invasori a difensori. Non sempre però tra le etnie dei Popoli del mare vi era comunanza di intenti: alcuni di loro erano già stabilmente insediati in Egitto quando, sotto Ramesse III, si profilò una massiccia invasione dell’Egitto da parte degli Egei e di altre genti del mare. In quell’occasione gli Shardana combatterono come mercenari del faraone contro gli invasori, gente della loro stessa etnia. Fra gli aggressori le fonti egiziane mostrano, infatti, anche gli Sherden del mare, con i soliti elmi cornuti, armati però alla maniera egea, con corazze di bronzo o cuoio; addirittura, è sicura l’identificazione del loro capo fatto prigioniero, che sull’elmo mostra il disco di Râ. Si può ipotizzare che questi avesse già fatto parte della guardia reale del faraone. Insomma, probabilmente conosceva il terreno e la struttura militare di chi andava ad aggredire. In quella fatidica battaglia navale del 1176 a.C. furono, però, gli Egiziani ad avere la meglio: gli invasori, battuti, furono sistemati sulla frontiera oriend tale del Delta del Nilo. Anche loro a guardia dell’Egitto. Raffaele D’Amato e Andrea Salimbeti
durante il regno di Ramesse III. In questo periodo vennero anche coinvolti nella sanguinosa guerra contro i Labu (Libici). Più complessa è la situazione descritta nel Papiro Harris I (regno di Ramesse IV) dove gli Shardana sono menzionati sia tra le truppe ausiliarie egiziane che tra i prigionieri di guerra forzatamente reclutati dal faraone e insediati nelle fortezze e guarnigioni sparse in tutto il Paese. Erano anche proprietari. L’importanza sociale dei mercenari Shardana all’interno del mondo egizio viene registrata anche in un secondo importante documento, il Papiro Wilbour, dove 42 Shardana sono menzionati come beneficiari di terreni, elargiti anche ai funzionari e sacerdoti. Questo importante privilegio era legato principalmente alla loro professione di guardie del corpo del faraone, che assicurava tutti i diritti di proprietà, come per esempio possedere contadini e servi. In questo documento è anche evidente che non vi è la stessa organizzazione di
ruoli fra gli Shardana e gli ufficiali egiziani responsabili per il loro comando, i cosiddetti “alfieri”. Infatti, a differenza di altri gruppi di mercenari, questi guerrieri non erano guidati da un ufficiale regolare, ma organizzati in società o gruppi, guidati da un “alfiere degli stessi Shardana”. Pienamente inseriti. L’integrazione sociale dei mercenari Shardana alla fine della XX dinastia (regno di Ramesse XI) è evidenziata in altri documenti, tra cui il “papiro dell’adozione “, l’Onomasticon Golènisheff, un papiro di Torino e due papiri del British Museum. L’ultimo documento sugli Shardana è la stele di donazione di Helwan (risalente al sedicesimo anno del regno di Osorkon I, IX secolo a.C.) in cui si parla di una elargizione di terre, tra cui “i campi degli Shardana”. A quell’epoca però questi mercenari erano ormai pienamente integrati nella società egiziana e la loro denominazione etnica era il solo elemento che li distingueva dalle altre componenti della corte e dell’esercito.
gli altri fedelissimi
Maryannu
Data di nascita: 1450 a.C. origini: di nazionalità siriana. Compiti: combattevano per il Regno hurrita e l’Impero dei Mitanni, nel Levante (Medioriente), dove l’élite dei loro eserciti era formata da questi guerrieri montati su carri da guerra. Storia: la loro abilità come guidatori di carri e arcieri coperti da pesanti corazze a scaglie di bronzo si era altamente sviluppata negli eserciti hurriti e poi mitanni, tanto da influenzare profondamente l’utilizzo dei carri da guerra anche da parte dei Paesi vicini. Il sovrano dei Mitanni possedeva una personale guardia del corpo munita di carri da guerra conosciuta come shepi sharri (i piedi del re), composta da circa 10 carri. Una forza di analoga entità era anche schierata in battaglia a protezione di suo figlio. Le armature erano composte da 1.000 scaglie di bronzo per la corazza e da 200 scaglie per l’elmo, cucite su uno strato di pelle e legate fra di loro. Il peso di questa armatura poteva raggiungere i 24 kg.
31
FEDELISSIMI
IMMORTALI ne parla Erodoto a partire dall’invasione della Grecia durante la Seconda guerra persiana (480 a.C.). guardia personale del Gran Re di Persia. l’Amrtaka (questo il nome persiano) diventa la baivaram più importante con Dario il Grande. Costituita da Persiani e Medi, aveva privilegi speciali, come il permesso di portare in battaglia servi e concubine.
E DI R N A R G L E UARDIE D G E L N I DI L A E T D R A A V P I S S I N L T RO G A OFFE LL’ALTRO A D L A STRENU ANSE PIÙ VOLTE CON É N O T FR UN L A PER SIA SI IN SUNO MOLLÒ, NÉ DA ES LEONIDA. N
I L A T R O M M I I L G A I C R A M N I 32
Diecimila più famosi della Storia, almeno nella società occidentale, sono senza dubbio quelli dell’Anabasi di Senofonte, i Greci mercenari scampati alla morte nella Battaglia di Cunassa e capaci di raggiungere il Mar Nero dopo un lungo viaggio dal cuore dell’Impero persiano. Ma altri Diecimila hanno caratterizzato l’antichità lasciando un segno indelebile nei più celebri episodi bellici delle Guerre persiane e di quelle di Alessandro Magno: gli Immortali del Gran Re di Persia. Il loro nome era dovuto proprio al fatto che il numero era invariabile. Le perdite venivano sempre ripianate, per mantenere a ranghi completi la loro baivarabam (miriade), ovvero la divisione, la più importante delle tante di cui era costituito l’esercito achemenide. Lo specifica Erodoto: “Ed erano, questi Persiani, chiamati Immortali, per la ragione che segue. Era stato scelto per ciascuno – nel caso in cui costretto da morte o malattia, mancasse al numero complessivo – un sostituto; ed erano sempre diecimila: né più né meno”. Quando non erano in guerra, gli Immortali erano di guarnigione nelle capitali dell’ Impero achemenide , ovvero Susa, Persepoli ed Ecbatana, e probabilmente erano le sole unità autorizzate a portare armi. I loro componenti erano esclusivamente reclutati tra Medi e Persiani, scegliendoli tra gli esponenti più valorosi e sperimentati delle altre baivarabam. Una volta in campagna, era a loro che il sovrano si rivolgeva per risolvere le situazioni più spinose. Alle Termopili nel 480 a.C. il
Gran Re Serse li rischiò tutti, sia negli attacchi frontali alle posizioni greche, sia quando li incaricò di piombare alle spalle del tenace nemico. Il loro numero sarebbe stato sufficiente a sgominare il contingente ellenico, forte di quasi 10.000 uomini in totale, senza utilizzare il resto dello sterminato esercito persiano. Ma i Greci, capitanati dai 300 Spartani di Leonida , si erano attestati nella parte più stretta del valico, la cosiddetta “porta mediana”, che tra le pendici dei monti e il mare misurava non più di 15 metri; i Persiani non avrebbero potuto che impiegare un numero limitato di effettivi alla volta nell’assalirli, vanificando così la loro enorme superiorità numerica. Il sovrano se ne rese conto quando, stufo di attendere gli eventi sul fronte marittimo, dove contemporaneamente si stavano affrontando le flotte antagoniste, decise di provare lo sfondamento. Serse mandò all’attacco la sua prima linea, costituita da Medi e PerBattaglia di Cunassa (401 a.C.) Combattuta tra Artaserse, salito al trono di Persia dopo la morte del padre Dario II, e il fratello minore Ciro, che per scontrarsi con lui vicino a Babilonia assoldò un gruppo di mercenari greci, i Diecimila di cui Senofonte nell’Anabasi racconta l’epica ritirata. Baivarabam L’organizzazione dell’esercito persiano era decimale: le divisioni (baivaram) erano composte da 10.000 uomini al comando di un baivarapatis, i reggimenti (hazarabam) da 1.000 uomini sotto un hazarapatis, suddivisi a loro volta in reparti da 100 (satabam), guidati da un satapatis, e in unità da 10 (dathabam) sotto un dathapatis. Impero achemenide Il primo degli imperi persiani, nato nel VI secolo a.C. e abbattuto da Alessandro Magno (331).
DREAMSTIME
C. GIANNOPOULOS
TEMIBILI Un pascadathapatis, il comandante di una unità di 5 uomini. Si suppone portasse uno scudo (spara) di canne ricoperte da strati di pelle, armatura a squame, berretto (tiara), lancia, arco e spada corta (akinakes). La torque al collo mostrava che era un suddito libero. A sinistra, in un bassorilievo, barba e capelli lavorati a trecce. Erano una caratteristica degli Immortali o Amrtaka.
BATTAGLIA DELLE TERMOPILI 480 A.C.
TERMOPILI
Golfo Maliaco Porta occidentale
CAMPO PERSIANO
Muro Focese
Posizione iniziale dei Greci
3° giorno: posizione finale dei Greci
LEONIDA
SERSE
Assalti persiani del 1° e 2° giorno
Porta mediana
CAMPO GRECO
I Persiani prendono i Greci alle spalle
Idarne inizia l’aggiramento persiano sul sentiero dell’Anopaia
Sentiero dell’Anopaia
Focesi 3° giorno: i Focesi si lasciano sorprendere
LEGENDA Persiani
L. DI SIMONE
ATTACCO A SORPRESA Nell’illustrazione, l’attacco portato dagli Immortali persiani (sullo sfondo, con gli archi) agli opliti focesi (di spalle in primo piano). A lato, riproduzione di una daga achemenide. Sopra, elmo di bronzo di tipo corinzio.
34
ALAMY
Primo giorno Serse scaglia loro addosso il suo esercito, ma la prima ondata di Persiani viene sterminata. Allora il Gran Re lancia un secondo assalto con i 10.000 Immortali, che però hanno lance più corte dei Greci e vengono sterminati anch’essi.
Secondo giorno
Terzo giorno
Il secondo giorno i Greci fermano una serie di brevi assalti interlocutori. Ma Serse manda il comandante Idarne “con gli uomini di cui era a capo” (così dice Erodoto, intendendo quindi una divisione di 10.000 Immortali) ad aggirare il passo delle Termopili attraverso il sentiero dell’Anopaia.
All’alba Idarne sorprende impreparati i Focesi (che avrebbero dovuto proteggere le spalle ai Greci) e prosegue l’aggiramento. Intanto, Serse ordina l’attacco contro il fronte della falange greca. Leonida, avvertito della manovra di Idarne, si prepara a difendersi su due fronti. I 300 della sua guardia si batteranno “fino all’ultimo”, come scrive Erodoto.
OSPREY
I
Greci combattono nella zona del Muro focese, la parte più stretta del passo, nel tentativo di usare il minor numero di soldati per volta, schierati spalla a spalla in un muro di scudi e lance.
S. STANLEY
Greci
Il corpo degli Immortali
A MONDADORI PORTFOLIO/WWW.BRIDGEMANIMAGES.COM
l Louvre sono conservati i fregi di mattoni smaltati policromi dei palazzi achemenidi di Susa (a sin.), che con quelli di Persepoli rappresentano le più celebri e spettacolari raffigurazioni degli Immortali, insieme al sarcofago di Abdalonimo conservato a Istanbul; quest’ultimo offre una straordinaria varietà di tipologie di soldato. Purtroppo questi preziosi reperti non ci permettono di stabilire la valenza di ciascuno dei reggimenti in cui si divideva la baivarabam, né la composizione del corpo. Le dieci unità non avevano lo stesso peso, né forse lo stesso equipaggiamento; nel loro armamento risaltano archi, lance, asce e scudi rotondi con il falco, l’uccello reale achemenide, sulla superficie. All’epoca delle Guerre persiane prevalgono le tuniche con intarsi, lunghe fino alle caviglie e turbanti in
testa. Gli Immortali del tempo di Alessandro Magno indossano tuniche più corte su pantaloni, nelle quali prevalgono a seconda dei reggimenti il porpora, l’azzurro o il giallo, mentre il copricapo consiste nel tipico cappuccio avvolto intorno al mento. Elitari. Da una confusa descrizione di Erodoto dell’esercito di Serse che parte da Sardi possiamo anche dedurre che il reggimento d’élite fosse quello dei “portatori di lancia”, i cui membri erano scelti tra la nobiltà persiana. Le loro lance terminavano con un melograno dorato, a differenza di quelle degli altri reggimenti, che erano d’argento. Dario il Grande aveva militato tra i portatori di lancia di Cambise. Ma può anche essere che i portatori di lancia fossero unità distinte dagli Immortali, e che fossero una guardia ancora più ristretta.
L’UFFICIALE
C. GIANNOPOULOS
siani, con due ondate da 20.000 uomini ciascuna, cui i Greci tennero agevolmente testa. Gli orientali, infatti, potevano impiegare solo pochi uomini alla volta, che si ostacolavano a vicenda limitando i propri movimenti, esponendosi così agli affondi delle lance degli opliti. Serse non si diede per vinto e fu allora che fece scendere in campo i suoi Amrtaka, gli Immortali. Condotti dal loro comandante Idarne, questi guerrieri scelti si gettarono contro la piccola falange nemica ma, come ricorda con un certo compiacimento Erodoto, “non si dimostrarono per nulla più efficienti delle truppe dei Medi”. Le loro lance, infatti, erano più corte di quelle avversarie, e non riuscivano a offendere, né i pur valenti soldati potevano dispiegare tutta la loro potenza in uno spazio tanto angusto. Ma il Gran Re aveva un asso nella manica. Un tale del luogo, Efialte, gli aveva rivelato fin dal suo arrivo un sentiero montano, detto dell’Anopaia, grazie al quale i Persiani avrebbero potuto aggirare il valico e piombare alle spalle dei Greci. Serse aveva già constatato quanto fosse vano ogni tentativo di infrangere la barriera ellenica frontalmente, e affidò a Idarne il compito di compiere la manovra avvolgente. Il giorno seguente tenne impegnati i Greci con attacchi sporadici di guerrieri ansiosi di guadagnarsi i premi posti in palio, mentre gli Immortali lasciavano il campo persiano e si inoltravano tra i monti, per percorrere di notte, senza essere visti, la via che li avrebbe portati a circondare gli Elleni. A quell’epoca, 2.500 anni fa, non era facile, per un esercito, evitare di perdersi o anche solo mantenersi a ranghi uniti durante le marce notturne in territorio ostile, per giunta in uno scacchiere aspro come quello delle Termopili; va ricordato che Pirro avrebbe perso la Battaglia di Benevento (275 a.C.) contro i Romani per aver smarrito la strada col suo esercito di notte.
Da comandante degli Immortali, Idarne poteva essere equipaggiato così: armatura di scaglie d’oro con disco solare, spada lunga, spada corta iraniana (akinakes), ascia iraniana(sagaris), pugnale e faretra per le frecce.
Le montagne accanto al mare e al valico salivano istantaneamente fino a un migliaio di metri; anche oggi non ci si raccapezza percorrendo i sentieri che si inerpicano lungo un pendio densamente boscoso. Pur condotti da una guida del posto, i dieci reggimenti (hazarabam) della divisione non potevano non formare una lunghissima colonna, che tendeva inevitabilmente a sfilacciarsi in mezzo alla selva e alle asperità. Gli ufficiali avranno sudato sette camicie per mantenere uniti i propri uomini, e solo l’uso massiccio delle torce poteva consentire di mantenere il contatto visivo tra un’unità e l’altra ed evitare la dispersione delle forze. Ma troppi fuochi accesi avrebbero potuto svelare ai difensori greci la presenza del nemico, pertanto Idarne avrà dato ordine di limitarne il numero. Quel che tramanda la tradizione è che gli Immortali impiegarono parte del giorno e la notte intera per raggiungere il fianco orientale del passo, dove Leonida, informato dagli abitanti del luogo dell’esistenza del sentiero dell’Anopaia, aveva posto a presidio il contingente dei Focesi. All’alba, fu il calpestio delle foglie secche a mettere in allerta le sentinelle. Quando poi i Focesi videro comparire l’a-
vanguardia della divisione nemica, si fecero prendere dal panico; era la loLa Battaglia delle Termopili, Raffaele D’Amato (Newton). L’esperro terra quella immediatamente alle to di antichità ricostruisce la lotta loro spalle, e non sapendo se gli Imdegli Immortali contro i “300”. mortali fossero diretti verso Leonida o alla volta della Grecia Centrale, si precipitarono verso le loro città per difenderle dall’invasione. Il valico occupato dal re spartano distava una ventina di chilometri dal punto in cui Idarne eaveva fatto irruzione nella pianura. Le staffette focesi fecero in tempo ad avvertire Leonida dell’aggiramento e questi, secondo la tradizione, decise di congedare gran parte delle sue forze, rimanendo solo con Spartani, Tespiesi e Tebani: un paio di migliaia di uomini in tutto. Serse non attese che gli Immortali giungessero a chiudere la tenaglia, e poco dopo l’alba mandò all’attacco il suo esercito. Quando Idarne arrivò all’altezza della Porta mediana, verso mezzodì, Leonida era già caduto, i suoi erano stati massacrati e i superstiti si erano asserragliati su una collina, dove in seguito sarebbe stato eretto un leone in pietra in memoria del re spartano. A quel punto, Serse ordinò alle sue armate di ripiegare e di lasciare il campo agli arcieri; gli Immortali parteciparono al tiro al bersaglio, facendo cadere insieme ai commilitoni delle altre unità una pioggia di dardi sulla sommità e le pendici dell’altura. Nell’arco di pochi istanti ogni resistenza cessò, ponendo fine all’epica battaglia. Gli Immortali non avevano combattuto in senso stretto ma, con la loro manovra rischiosa e complessa, avevano determinato il crollo delle difese nemiche, risultando decisivi. Però non sapremo mai se l’aggiramento narrato dai cronisti, francamente difficile da realizzare in una notte, sia accaduto davvero o se sia stato utilizzato nelle cronache solo come espediente per giustificare la sconfitta greca. d Andrea Frediani
C. GIANNOPOULOS
GLI ALTRI FEDELISSIMI
Portavano armatura, elmo beotico, lancia lunga (xiston) per scompaginare lo schieramento nemico e spada monofilare (makhaira), ma né schinieri né scudo.
36
IV secolo a.C. Macedonia. erano i “compagni del re”, cresciuti a corte. Istituiti già prima di Filippo II, vennero trasformati da guardia del corpo ad armata reale dal sovrano macedone. Cavalleria corazzata, parteciparono a tutte le campagne di Alessandro Magno. Filippo formò 8 unità dette ìlai (squadroni), corrispondenti ai distretti in cui era diviso il regno, e le suddivise in 4 tetrarchie da 50 cavalieri ciascuna. Gratificati di terre dal re, come una vera e propria aristocrazia feudale, gli hetaîroi (o etèri) attorniavano sempre il sovrano svolgendo per lui gli incarichi più delicati e condividendone i momenti di baldoria. In battaglia costituivano l’ala destra dell’esercito: Alessandro era solito condurli addosso al fianco nemico per spingerlo contro la falange, che intanto avanzava frontalmente, in una efficace manovra a tenaglia. Lo squadrone d’élite era detto agema, di consistenza doppia rispetto agli altri. Lo comandava Clito il Nero, che salvò la vita ad Alessandro sul Granico, la sua prima battaglia contro i Persiani. Tra tutti gli hetaîroi, spiccavano un centinaio degli amici più intimi di Alessandro; con un caratteristico mantello porpora, costituivano il suo consiglio privato.
presenta:
LA STORIA DA LEGGERE CARLO MAGNO. IMPERATORE D’EUROPA O
R LIB
€
,99
9
All’apice del suo potere, agli inizi del IX secolo, Carlo Magno (742814), re dei Franchi e dei Longobardi e imperatore dei Romani, regnava su tutti i territori cristiani dell’Europa occidentale, a eccezione solo di isole britanniche, Italia meridionale e Sicilia. Pochi uomini hanno esercitato un’influenza così duratura sulla storia dell’Occidente. Carismatico, affabile, energico e colto, incoraggiò e diede inizio a una rinascita culturale e artistica che apparve alle generazioni successive come una vera e propria Età dell’oro. Condottiero, amministratore e legislatore incomparabile, fu abile sia sul campo di battaglia che nella sala consiliare.
UN LIBRO EMOZIONANTE, MAGISTRALMENTE SCRITTO, RIPORTA ALLA LUCE IL PIÙ GRANDE RE DEL MEDIOEVO, UNO DI QUEGLI UOMINI CHE LASCIANO UNA TRACCIA INDELEBILE NELLA STORIA.
NON PERDERE I PROSSIMI APPROFONDIMENTI. CHIEDI IN EDICOLA I LIBRI DI FOCUS STORIA!
FEDELISSIMI
GUARDIE PRETORIANE fin dal 40 a.C. sia Marco Antonio che Ottaviano si servivano di loro. Quest’ultimo avrebbe avuto 5 coorti di pretoriani ad Azio, ma da imperatore provvide a organizzarli in un vero corpo nel 23 a.C. in origine erano le coorti di amici e sodali che accompagnavano il comandante o governatore (praetor era il titolo del console al quale in tempi arcaici spettava il comando supremo in battaglia), ma già alla fine del I sec. a.C. designava truppe selezionate di guardie del corpo.
ALCUNI IMPERATORI RIUSCIRONO A DISCIPLINARLI, MA ALTRI FINIRONO SOTTO LE LAME DEI PRETORIANI. A SCONFIGGERLI FU COSTANTINO, CHE LI VIDE LOTTARE FINO ALL’ULTIMO
SUL
AKG-IMAGES/MONDADORI PORTFOLIO
ANNEGATI I Pretoriani di Massenzio, che si è autoproclamato imperatore, distrutto Ponte Milvio (sullo sfondo), cercano di sbarrare la strada per Roma alle truppe di Costantino, che rivendica la corona dell’Impero romano. La battaglia ha il suo epilogo drammatico sul ponte di barche.
38
oldati da parata, li definivano. Militari più simili a una milizia urbana che combattenti; imboscati capaci solo di soprusi contro il popolo, senza il fegato di affrontare i barbari che premevano sulle frontiere. Ma quando il loro imperatore Massenzio decise di farli uscire dalle sicure mura di Roma per portarli in campo aperto ad affrontare, nella Battaglia di Ponte Milvio, le temibili legioni e le unità ausiliarie di barbari al seguito di Costantino , non solo i Pretoriani non si tirarono indietro, ma si immolarono fino all’ultimo uomo per impedire al nemico l’avanzata verso l’Urbe. E nel farlo precipitarono nel fiume insieme al loro comandante affondando sotto il peso delle loro armature squamate, ben raffigurate sui fregi dell’Arco di Costantino accanto al Colosseo. Proteggere l’imperatore era il loro mestiere, d’altronde. E di solito lo facevano bene, salvo quando uno dei loro capi, i prefet-
ti del pretorio, non aspirava a prenderne il posto, come accadde con Seiano sotto Tiberio o Macrino sotto Caracalla. O come nel caso in cui il corpo non fosse soddisfatto della paga e decidesse di mettere sul trono un imperatore di manica più larga. Ponte Milvio fu l’ultimo atto di una storia trisecolare, vissuta al fianco degli imperatori, soprattutto a Roma ma anche nelle campagne più difficili, come si vede nella Colonna Traiana, dove sono raffigurati con Traiano in Dacia , o in quella Antonina, in cui sono presenti sul Danubio accanto a Marco Aurelio. E nel Blitzkrieg di Costantino, che in due mesi riuscì ad aprire e chiudere una campagna vincendo un assedio e tre battaglie campali, furono, tra le truppe di Massenzio in Italia, i soli a distinguersi per coraggio, fedeltà assoluta e determinazione. Quel 28 ottobre del 312, i Pretoriani avrebbero potuto valersi delle solide mura aureliane per resistere all’assedio che si ac-
Costantino (280 ca.-337) Figlio dell’imperatore romano Costanzo Cloro, fu proclamato imperatore dall’esercito nel 306, ma solo sconfiggendo Massenzio venne riconosciuto “augusto” dal Senato.
Dacia e Danubio La conquista della Dacia (oggi Romania e Moldavia) compiuta da Traiano tra il 101 e il 106 e le Guerre marcomanniche (in Germania) condotte da Marco Aurelio a partire dal 168.
39
cingeva a porre Costantino. E non era detto che il futuro dominatore dell’impero sarebbe riuscito a superare le difese di una città che solo nel secolo successivo sarebbe stata violata. Invece, per una ragione che non è mai stata chiarita, Massenzio scelse di avanzare contro il suo antagonista per affrontarlo tra la Via Flaminia e il Tevere, in una località chiamata ancor oggi Saxa Rubra, a una ventina di chilometri dal settore settentrionale della cinta muraria, e con il fiume alle spalle del suo esercito; il panegirista Nazario specifica che l’acqua del fiume bagnava i piedi dell’ultima fila. Fece anche distruggere il Ponte Milvio, per farlo sostituire da un ponte di legno le cui passerelle erano unite con ganci, che i genieri avevano l’ordine di staccare nel momento in cui vi fosse passato sopra Costantino, per farlo precipitare nel fiume.
Questa scriteriata decisione di accettare la battaglia campale contro un avversario ben più esperto e contro soldati sperimentati viene spiegata nelle fonti con la consultazione dei Libri Sibillini, da cui Massenzio sarebbe venuto a sapere che “colui che commetteva qualcosa a danno dei Romani inevitabilmente sarebbe andato incontro a una triste morte”, convincendosi così che l’avversario era già spacciato. Ma è probabile che la sua scelta abbia avuto soprattutto motivazioni emotive: Massenzio non era stato legittimato dal sistema tetrarchico escogitato da Diocleziano per ripartire l’impero tra quattro sovrani – due augusti e due cesari; era a tutti gli effetti un usurpatore. E non aveva neppure combinato granché come soldato; il fatto di essere figlio di un grande comandante come Massimiano, primo augusto insieme allo stesso Dio-
Diocleziano (243 ca.-313) Fu proclamato imperatore dai suoi ufficiali nel 284. Diede vita alla Tetrarchia, instaurando al contempo l’assolutismo imperiale. Riformò e ampliò l’esercito. GLI ALTRI FEDELISSIMI
THE ART ARCHIVE
: 312 d.C. : gli effettivi erano reclutati tra Franchi e Alamanni, ma successivamente vennero immessi anche elementi di origine romana. : formate da Costantino il Grande, sostituirono i Pretoriani come guardia del corpo dell’imperatore. In battaglia erano incaricate della sua protezione e gli cavalcavano intorno. : esistevano in totale 12 scholae, 5 per l’Impero d’Occidente, 7 per quello d’Oriente. Ciascuna unità era di 500 uomini, al comando talvolta di un protector o di un tribuno. Il comando generale era del magister officiorum, molto spesso un civile. Pare che ogni unità avesse il suo peculiare armamento: ve n’erano di cavalleria pesante e di cavalieri-arcieri. In tempo di pace svolgevano compiti di polizia e ordine pubblico o entravano in delegazioni diplomatiche. GLI ALTRI FEDELISSIMI
PRIVILEGIATI Pretoriani del I o II secolo a.C. ll loro servizio durava meno di quello dei legionari (prima 12 anni contro 16, poi 16 contro 20), sebbene la paga fosse doppia e perfino tripla. Un tribuno comandava una coorte, mentre a capo del corpo erano uno o più spesso due prefetti del pretorio.
: IV secolo. : erano usualmente Armeni, Cappadoci, Unni, Persiani e Traci, ma spesso anche Romani. : da bucellatum, la galletta distribuita alle truppe, erano la guardia personale dei più importanti generali del tardo Impero e della prima età bizantina. Erano costituiti molto spesso da cavalleria corazzata. : erano con Belisario nella campagna d’Africa contro i Vandali e nella Guerra gotica; il generale bizantino arrivò a possederne 7mila. Nel 468 l’imperatore Leone proibì ai generali guardie personali di bucellarii, ma la consuetudine restò. C’era un doppio giuramento che il comandante doveva all’imperatore e che i reclutati offrivano al loro capo, vincolandosi così allo Stato. Nel VI secolo non furono più una guardia privata, ma un corpo d’élite, sotto il comando dal Majordomus del Palazzo
BATTAGLIA DI PONTE MILVIO 312
4
5
MASSENZIO 6
6
Fiume Tevere
3
Ponte Milvio 1
Ponte di barche
Roma
P
rima della battaglia Massenzio ordina di distruggere Ponte Milvio (1). Fa poi allestire un ponte di barche (2) per attraversare il fiume e dare battaglia a Costantino nella località di Saxa Rubra. L’esercito di Massenzio attraversa il fiume e attacca (3), ma gli uomini di Costantino, secondo la leggenda ispirati dalla visione della croce, contrattaccano (4). Il nucleo della fanteria di Costantino segue la carica della cavalleria (5) e si scontra con il centro dello schieramento avversario, che viene travolto e messo in rotta. La fuga. I superstiti riattraversano il ponte di barche, e qualcuno anche il rudere del Ponte Milvio (6). Ma le strutture crollano sotto il loro peso e molti, incluso Massenzio, annegano nel Tevere. I Pretoriani restano, unici a opporre una strenua e inutile resistenza.
2
Nuclei abitati
DREAMSTIME
C. GIANNOPOULOS
S. STANLEY
Nuclei abitati
Strada per Roma
IL MILITE Sopra, Ponte Milvio oggi. A lato, Pretoriano del IV secolo. In origine questi soldati giravano per Roma in toga, stante il divieto di portare armi nell’Urbe, e a partire dal regno di Tiberio erano accasermati nel Castro Pretorio sul Viminale. Le loro insegne presentavano uno scorpione, il segno zodiacale di Tiberio. Erano quasi tutti fanti, ma c’erano anche unità di cavalleria, come gli equites singulares Augusti, la guardia personale a cavallo dell’imperatore.
cleziano, doveva pesargli non poco; e magari gli stessi Pretoriani, oggetto di sicuro ludibrio da parte dei legionari di Costantino, avranno invocato la battaglia. E poi, dentro le mura non era detto che i suoi non lo tradissero; Pretoriani a parte, le sue truppe italiche e africane non risultavano particolarmente affidabili – certo non quanto potevano esserlo i veterani di Costantino – e forse per questo aveva voluto disporle col fiume alle spalle: ostruendo loro la via di fuga, intendeva costringerle a mantenere la posizione e combattere fino alla morte. Ma fino alla morte combatterono solo i Pretoriani. Non solo per la fedeltà che erano tenuti a mostrare nei confronti del loro imperatore, ma probabilmente perché consapevoli di dover difendere, con Massenzio, la loro stessa sopravvivenza come corpo. Le scarne cronache, incentrate soprattutto sul conflitto religioso tra il pagano Massenzio e un Costantino fresco di conversione al Cristianesimo, ci permettono di capire che al primo attacco della cavalleria gallica di Costantino, condotta dall’imperatore in persona, i cavalieri mauri e numidi che formavano le ali dell’esercito di Massenzio si sfaldarono all’istante, lasciando priva di protezione la fanteria italica al centro, che scappò a sua volta quando si vide piombare addosso i legionari nemici. Davanti al fiume rimasero i soli Pretoriani, che si immolarono uno dopo l’altro in mezzo a una selva di spade e lance avversarie. Si disse che fossero ca-
duti esattamente dove si erano schierati, senza arretrare di un passo. Alcuni però dovettero proteggere la fuga di Massenzio che, vistosi spacciato, guadagnò il ponte ligneo insieme a una massa di fuggitivi. Ma il manufatto non resse il peso di centinaia di armature, e l’imperatore finì in acqua, trascinato a fondo dal suo equipaggiamento. Ritrovarono il suo cadavere il giorno seguente nel fango, e la sua testa fu conficcata su una picca per essere mostrata ai Romani. Quanto ai Pretoriani, i sopravvissuti finirono inglobati nelle guarnigioni di frontiera, ben lontani da Roma. Costantino sciolse il corpo e ne distrusse gli acquartieramenti, ma non abolì la figura del prefetto del pretorio, che però confinò alle sole mansioni civili. I Pretoriani avevano già subito almeno due epurazioni: nel 69 con Vitellio , che li aveva puniti per essersi schierati con il rivale Otone, giustiziandone i centurioni e riformando il corpo con uomini di sua fiducia, e nel 193, quando Settimio Severo aveva ordinato loro di non rientrare più nel raggio di cento miglia da Roma, per punirli di aver ucciso l’imperatore Pertinace e venduto l’impero a Didio Giuliano. Ma poi lo stesso corpo da lui riformato e incrementato fino a 15.000 effettivi, tratti dalle legioni danubiane, avrebbe ucciso suo figlio Caracalla e il successore Eliogabalo. d Andrea Frediani Vitellio (15-69) Imperatore romano per otto mesi, terzo a salire al trono dopo un colpo di Stato nell’anno “dei quattro imperatori”, abdicò in favore di Vespasiano e fu ucciso.
G. RAVA (3)
GLI ALTRI FEDELISSIMI
I secolo a.C. reclutati fra le tribù germaniche, erano soprattutto Batavi (Delta del Reno). erano la guardia del corpo personale degli imperatori Giulio-Claudi; un corpo privato, a differenza dei Pretoriani. Si ha notizia del loro utilizzo per sedare una rivolta in Pannonia sotto Tiberio. Furono giubilati da Galba dopo la morte di Nerone nel 68. durante le Guerre civili i mercenari stranieri erano molto gettonati dai generali romani. Ottaviano si valeva di una guardia personale di Calagurritani iberi, ma dopo Azio preferì i Germani, di cui però si liberò dopo il disastro di Teutoburgo. Tiberio li ingaggiò nuovamente, affidandoli al figlio Druso. Le tribù più richieste erano quelle dei Batavi e degli Ubi; agivano come cavalleria sul campo di battaglia, al comando di decurioni. Erano acquartierati, dice Svetonio, “nei pressi dei giardini di Gneo Dolabella”, forse oltre il Tevere dove era situato il loro cimitero.
Pretoriani in un fregio dell’Arco di Costantino. Fino al II sec. venivano reclutati fra i cittadini romani volontari; dopo la riforma di Settimio Severo (193-194) ci si orientò tra i provinciali, in particolare illiricoorientali e asiatici.
L’esercito romano. Armamento e organizzazione, vol. II, Giuseppe Cascarino (Il Cerchio ed.). L’analisi del grande esperto parte dalla riforma augustea.
GLI ALTRI FEDELISSIMI
GLI ALTRI FEDELISSIMI
creati nel IV secolo. sia Romani che barbari. erano una classe di ufficiali scelti tra tribuni e centurioni, e aggregati allo Stato maggiore dell’imperatore. In battaglia attorniavano il vessillo del sovrano, detenuto peraltro da uno di essi, il praepositum labarum. i protectores che facevano parte dell’élite destinata a soddisfare le esigenze dell’imperatore erano definiti domestici; quando erano affidate loro missioni particolarmente delicate, erano chiamati deputati. I domestici erano comandati da un comes domesticorum ed erano compresi nell’ordine senatorio. Lo storico Ammiano Marcellino faceva parte dei protectores domestici e ci descrive i suoi personali compiti, che andavano dalla ristrutturazione delle fortezze di confine alla gestione dei siti posti sotto assedio nemico, fino all’eliminazione degli avversari politici.
IV secolo. erano di varia estrazione. si distinguevano per le uniformi bianche ed erano la guardia personale più stretta dell’imperatore dal IV secolo in poi. Le fonti ne citano la presenza accanto al sovrano nel momento della sua morte. Ad Adrianopoli (378) furono alcuni candidati a trasportare in un casolare l’imperatore Valente ferito. non esistevano come corpo a parte, ma erano probabilmente prescelti nell’ambito delle scholae palatinae e tra i protectores, sebbene una fonte sostenga che Gordiano III e Filippo l’Arabo abbiano creato due scholae di candidati, seniores e juniores, poi confluite in quelle costantiniane. Erano comandati da un primicerius. Qui vediamo l’uniforme tipica delle scholae palatinae (la candida tunica), di cui i candidati facevano parte, ornata di orbiculi, clavi, segmenta e tabulae, e il mantello (sagum) con la svastica.
43
DREAMSTIME
RECLUTAMENTO
FEDELISSIMI
BODYGUARD MERCENARI Una guardia varega; detti anche Variaghi, Varangi o Vàrangoi (nelle fonti bizantine), erano fra i mercenari più efficienti del Medioevo, oltre che la scorta personale dell’imperatore bizantino (basileus). A destra, i Vareghi nel Codex Matritensis, le cronache bizantine di Giovanni Scilitze (XII secolo).
GUARDIA VAREGA 988, quando l’imperatore Basilio II istituisce il tagma (reggimento) dei portatori d’ascia provenienti dal principato di Kiev. unità scelta di fanteria pesante (portatori d’ascia). provenienti dalla Scandinavia e, dalla seconda metà dell’XI secolo, anche dalla Gran Bretagna (Sassoni), entrano al servizio dell’Impero bizantino alla fine del X secolo per restarvi fino al XIII secolo e oltre.
ARCANGEL
Al soldo
di BISANZIO
I VAREGHI SPOSARONO LA CAUSA DI COSTANTINOPOLI DIVENTANDO LA GUARDIA DÕONORE DELLÕIMPERO, MA ANCHE GLI IRRIDUCIBILI DI TANTE BATTAGLIE
ALBUM/CONTRASTO
vanti, cavalchiamo la nave del re verso la Città grande! Andiamo a ricevere la paga dell’imperatore, gettiamoci nella mischia dove cozzano le armi: che diventino rosse le zanne del lupo, per l’onore del grande sovrano!”. Così Rögnvaldr, conte delle Orcadi, esortava i suoi uomini nella Orkneyinga saga (composta attorno al 1230 da un anonimo poeta islandese); lui stesso era stato convinto a cercare gloria e ricchezza a Costantinopoli dal racconto di un altro avventuriero vichingo, Eindriöi il Giovane, tornato dalla capitale dell’impero con l’incarico di reclutare uomini validi per servire sotto l’aquila bicipite di Bisanzio. Non si può comprendere la storia dei mercenari vareghi, i guerrieri scandinavi che, soprattutto tra il X e il XII secolo, scelsero di combattere per il basileus di Costantinopoli, se non ci si sforza di immaginare il fascino irresistibile che Miklegard – la “Città grande” – esercitava sugli uomini del Nord: sedotti e abbagliati non soltanto dai suoi tesori, ma dall’antica maestà della Nuova Roma, sede dei discendenti di Augusto e Costantino, divenuta il vero cuore dell’ecumene (la terra) cristiana, pulsante di commerci, spiritualità, arte e cultura. Di fronte al suo splendore, gli avventurieri vichinghi – che la raggiungevano dopo un lungo viaggio attraverso il Baltico, i fiumi e le steppe della Russia, il Mar Nero e lo stretto del Bosforo – erano divisi tra il desiderio di possederla e l’impulso a riconoscerne la grandezza e la potenza mettendosi al servizio dei basileis che governavano al riparo delle sue mura: dopo una serie di attacchi non decisivi, che condussero al trattato di pace del 911, furono sempre più numerosi i guerrieri scandinavi che scelsero di arruolarsi come mercenari, sfruttando le proprie doti belliche per conquistare gloria e ricchezza, prima di tornare in patria accompagnati da un alone eroico che ne faceva delle leggende viventi di fronte alla loro stessa gente. Il De ceremoniis di Costantino VII (945-959) tramanda la prima notizia sicura di un contingente scandinavo al servizio di Bisanzio: l’imperatore letterato parla di 700 rhos (da cui deriva il nostro “russi”), provenienti dal principato di Kiev, che erano stati impiegati dal basileus Leone VI nella spedizione per la riconquista di Creta del 902, ed erano stati poi ricompensati con la cifra complessiva di 7.200 monete d’oro, in linea con le paghe corrisposte agli altri
reparti scelti dell’esercito imperiale. Dopo un nuovo periodo di ostilità russo-bizantina tra il 907 e il 911, che lasciò sostanzialmente immutati i rapporti di forza, i mercenari scandinavi divennero sempre più numerosi a Costantinopoli: il loro ruolo fu decisivo nelle guerre civili della fine del X secolo, quando il basileus Basilio II (976-1025) riuscì a sconfiggere ripetutamente i propri nemici anche grazie al loro aiuto, organizzandoli ufficialmente in un tagma fin dal 988, anno che vide anche la conversione al cristianesimo del principe Vladimir di Kiev . Vista la grande efficacia in combattimento dei rhos, e la loro incrollabile lealtà nei confronti del sovrano regnante – dal quale dipendevano, del resto, la loro sicurezza e la loro fortuna – fu conseguenza naturale la trasformazione del reggimento in una vera e propria guardia imperiale, un reparto privilegiato destinato ad accompagnare e proteggere la persona del basileus in tutte le occasioni ufficiali, oltre che a sorvegliare il palazzo e i suoi appartamenti privati. I Vareghi, o “Varangi” (da varangjar, “uomini legati da giuramento”) come cominciarono a essere chiamati in questo periodo i giganteschi portatori d’ascia dai lunghi capelli biondi, divennero così, attorno all’Anno Mille, presenza fissa a fianco degli imperatori, ed elemento tipico della vita della corte bizantina. Ma la Guardia varega non era soltanto un reparto d’onore e di rappresentanza. Ogni volta che l’impero era minacciato, quando il basileus decideva di prendere parte alle operazioni militari, i suoi fedeli scandinavi lo accompagnavano: la loro presenza sul campo divenne il segno immediato e visibile a tutti che l’imperatore in persona stava combattendo tra le file dell’esercito. Tecnicamente, l’equipaggiamento dei Vareghi veniva a colmare una specifica lacuna nell’ambito dei reparti bizantini: le armate imperiali, infatti, erano costituite soprattutto da reparti di cavalleria, sia pesante che leggera, ai quali erano affidate le operazioni offensive, mentre i fanti erano destinati soprattutto alla difesa statica o a ruoli di supporto; mancava quindi una “fanteria d’urto”, capace Tagma Unità dell’esercito bizantino, corrispondente a un reggimento moderno e forte di circa 2.000 uomini. Fu creata come guardia personale del basileus. Vladimir di Kiev Vladimiro I (958-1015) fu gran principe di Kiev dal 980; nel 988 sposò Anna, sorella dell’imperatore bizantino Basilio II, accettando di convertirsi al Cristianesimo ortodosso.
45
BATTAGLIA DI DURAZZO 1081
Durazzo
no se lis Me
5
EG HI
sio es Al
R VA 4
Pac u
6
ria
LEGENDA Normanni
Laguna
d on em Bo
Bizantini
no
7
o
2
Gu
isc ar 1 do
CAMPO NORMANNO
3
di G Ami iov co ina zzo
8
Durazzo Mare Adriatico S. STANLEY
Cittadella
I
1 Il Guiscardo divide i suoi in tre contingenti distinti, prendendo il comando del centro e affidando l’ala sinistra al figlio Boemondo e la destra al conte Amico di Giovinazzo. 2 Ordina di simulare un attacco al centro, mentre lo sforzo offensivo principale è affidato alla cavalleria pesante dell’ala destra, destinata però a muovere in un secondo momento. I Bizantini non abboccano alla finta e anche la manovra della destra normanna viene respinta. 3 Il conte Amico carica il centro e la sinistra del nemico, ma i Vareghi tengono e Pacuriano riesce a contenere l’attacco facendo fallire l’offensiva. I superstiti fuggono in disordine fino al mare. 4 La Guardia varega,
46
schierata al centro, dopo aver travolto i reparti che la fronteggiano si lancia a sua volta all’inseguimento dei Normanni sconfitti. Ma rimasti isolati dalle altre forze bizantine, i mercenari nordici vengono contrattaccati di sorpresa dalla fanteria normanna e sbaragliati 5 . Le sorti della battaglia mutano all’improvviso: nel momento cruciale, il Guiscardo lancia all’attacco la cavalleria della sua ala sinistra 6 , che fino ad allora aveva tenuto in riserva. Questa travolge le truppe di Alessio. Il basileus con i resti della sua armata si dà alla fuga 7 ; viene inseguito da Amico 8 , riesce a sconfiggerlo, ma è costretto a ripiegare in disordine verso Costantinopoli.
GRANGER/ALINARI
Normanni, guidati dal duca di Puglia Roberto il Guiscardo, sono costretti a sospendere momentaneamente l’assedio di Durazzo e fronteggiare l’armata bizantina di Alessio I proveniente da est, che si dispone al comando del centro (dov’erano i Vareghi), ponendo Gregorio Pacuriano a sinistra e Niceforo Melisseno a destra.
FAZIONI OPPOSTE Nella moneta, il vincitore di Durazzo, il normanno Roberto il Guiscardo. Sopra, miniatura con l’imperatore bizantino Basilio II che nel 988 fece dei Vareghi la sua guardia personale.
IN BATTAGLIA I VAREGHI FUNGEVANO DA FANTERIA D’URTO, FACENDOSI LARGO CON LE LORO MICIDIALI ASCE DANESI
LA GUARDIA
C. GIANNOPOULOS
Varego dell’XI sec. L’armatura è bizantina: cotta di maglia di ferro, schinieri, avambracci e corsaletto. Anche il pugnale alla cintura è bizantino. Il resto è scandinavo: elmo conico, spada lunga, scudo rotondo con il corvo caro al dio Odino. I Vareghi maneggiavano con maestria la långyxa, l’ascia da battaglia detta “danese”, di grandi dimensioni. Nel marsupio portavano selce, esca, cucchiaio e tazza, oltre a un paio di forbici per tagliare barba e capelli.
di attaccare a fondo e risolvere una mischia in situazioni nelle quali l’impiego dei cavalieri era reso problematico dalle caratteristiche del terreno o dalla solidità dei reparti nemici. A un impiego tattico di questo tipo erano invece adatti i Vareghi: se gettati in battaglia con una sufficiente copertura sui fianchi, i mercenari della Guardia imperiale, attaccando in massa, erano capaci di aprirsi un varco a colpi d’ascia – letteralmente – attraverso la resistenza più tenace. La loro preThe Varangians of Byzantium, stanza fisica e la loro determinazioS. Blöndal (Cambridge University Press). Tutto sui difensori nordici di ne li rendevano praticamente inarreCostantinopoli. stabili in scontri frontali limitati nel tempo e nello spazio. Con il passare dei decenni, mutò in buona parte la composizione etnica della Guardia varega: nella seconda metà dell’XI secolo, infatti, tra le sue file divennero molto più numerosi i guerrieri sassoni provenienti dalla Gran Bretagna, costretti a fuggire dall’isola dopo l’invasione normanna e la morte del loro re Aroldo nella Battaglia di Hastings . Per uno strano capriccio della sorte, i Sassoni al servizio del basileus Alessio I Comneno (1081-1118) ebbero occasione di vendicarsi di chi aveva invaso la loro patria esattamente 15 anni dopo, nell’ottobre 1081: anche se nella cruenta Battaglia di Durazzo (nella ricostruzione a sinistra), dopo aver travolto il contingente normanno schierato di fronte a loro, si spinsero avanti con troppo ardore, separati dagli altri reparti dell’esercito bizantino, e furono accerchiati e massacrati fino all’ultimo uomo. Il momento di maggior di gloria dei Vareghi fu probabilmente il giorno della Battaglia di Bercia (1122), quando l’attacco della Guardia imperiale spezzò la tenace resistenza dei Peceneghi (nomadi dell’Asia Centrale, nemici di lungo corso dei Bizantini), e decise le sorti dello scontro. I possenti portatori d’ascia si dimostrarono efficaci nel dare l’assalto a posizioni fisse, come il laager (recinto) formato dai carri nemici, e nel non lasciare scampo ai difensori. Fu una delle loro ultime imprese: dopo il 1122 le notizie sui Vareghi si fanno più rare; l’ultimo evento militare di rilievo cui partecipò la Guardia fu la difesa di Costantinopoli nel 1204, quando i suoi membri si batterono con valore, ma senza fortuna. L’impero era ormai al tramonto, ma la leggenda dei Vareghi continuò a vivere nella memoria collettiva delle genti del nord: per molte generazioni i giovani scandinavi ascoltarono cantare le gesta degli avi che si erano imbarcati per andare a servire l’imperatore a Mikled gard, in un mondo lontano e favoloso di porpora e d’oro. Gastone Breccia
Battaglia di Hastings (1066) Combattuta tra Guglielmo il Conquistatore, duca di Normandia (sbarcato a Hastings, nell’East Sussex), e il re sassone Aroldo II. Con la vittoria Guglielmo si assicurò il dominio sull’Inghilterra, di cui divenne sovrano.
47
FEDELISSIMI
DORLING KINDERSL
I GIANNIZZERI, LE GUARDIE DEL SULTANO, RAGGIUNSERO UN ENORME POTERE NELL’IMPERO OTTOMANO. ANCHE PERCHÉ ERANO FEROCI E PRONTI AL SACRIFICIO
GLI SCHIAVI
DEVOTI
a foresta di cappelli bianchi di feltro svettava nella massa dei soldati, muovendosi al vento del Mar Nero. Quel bianco uniforme di copricapi appuntiti impediva la vista della piana sottostante e di quello che vi si svolgeva. Solo le prime file potevano guardare l’andamento della battaglia. E quello che si trovava di fronte ai loro occhi, per quanto apparisse confuso e disordinato, non li rassicurava. Persino il sultano, loro signore e padrone, sembrava sul punto di correre via, pronto alla ritirata. Era evidente a tutti che le cose volgevano al peggio. Comunque stesse andando, il loro compito era quello di non muoversi per combattere o morire. Per questo scopo erano stati addestrati fin da quando li avevano arruolati con la leva forzata, il Devshirme: bambini di appena 8 anni strappati alle famiglie più o meno consenzienti, ai loro villaggi (soprattutto nei Paesi balcanici), alla loro religione (quasi sempre erano cristiani). Un “tributo di sangue” versato ai nuovi signori, i Turchi ottomani, e specialmente al loro capo, il sultano. I piccoli prescelti venivano completamente rivestiti di rosso, cappello compreso, e scortati alle caserme-scuola per diventare i nuovi combattenti di quell’impero nascente: gli Yeniçeri, che noi chiamiamo Giannizzeri. Erano destinati a trasformarsi in soldati schiavi, proprietà personale del sultano ma non per questo inferiori agli uomini liberi. Anzi, molti di loro diventarono l’élite guerriera votata ai precetti dell’Islam e alla difesa personale del loro padrone e del suo trono. La loro condizione di schiavi era dunque quasi solo una formalità giuridica. Intanto, venivano regolarmente pagati, almeno durante le campagne militari (non in tempo di pace). Lo sti48
pendio fisso sarà una conquista successiva, seguita a numerosi scioperi e ribellioni. E a 45 anni potevano congedarsi. Ma non era a questo che pensavano i Giannizzeri dalle mitre dorate e dai cappelli bianchi, quella mattina del 10 novembre 1444. Piuttosto, si preparavano a rendere l’anima ad Allah di fronte alle possenti mura di Varna, sulla baia che dalla città prende il nome. Nell’Europa Orientale tutto era in gioco in quegli anni, tutto stava cambiando. L’Impero bizantino era ridotto all’ombra della potenza del passato. Costantinopoli per il momento reggeva ancora l’urto degli eserciti turchi, ma la sua era solo la testarda volontà di non morire di un malato terminale. Gli Ottomani avevano conquistato, nei precedenti cinquant’anni, la quasi totalità dei possedimenti di Bisanzio in Europa: l’Epiro, la Tessaglia, la Macedonia e la Tracia fino al Danubio erano saldamente nelle mani del sultano Murad II. Ovvero del sovrano che aveva inaugurato il suo regno tentando di conquistare Costantinopoli, nell’estate del 1422. Vent’anni prima era ancora sprovvisto di artiglieria pesante e di una marina che potesse definirsi tale. Con il suo esercito mobile composto soprattutto di cavalleria nulla si poteva tentare contro le solide mura della capitale imperiale. Se l’assedio non era certo la prerogativa delle forze del sultano, le sue cavallerie erano però inarrestabili e le pianure alluvionali del Danubio sembravano fatte apposta perché i guerrieri turchi dilagassero incontrastati, come secoli prima avevano già fatto altre orde di invasori. La percezione delle popolazioni europee era quella di trovarsi di fronte a una nuova invasione barbarica e l’imminente crollo
DEA/SCALA
LA MANO SINISTRA Un Giannizzero nella divisa della metà del ‘400. Il grande cappello di feltro (börk) tenuto alto era caratteristico delle guardie imperiali Solak, la “mano sinistra” del Sultano. Sullo sfondo, la Battaglia di Mohács (1526) combattuta fra Ungheresi e Ottomani. Nell’altra pagina, sciabola ottomana (XVII sec.).
GIANNIZZERI è incerto se vennero fondati durante il regno di Orchan I (1326-59) o durante quello di suo figlio Murad I (1359-89). Sicuramente i Giannizzeri vennero utilizzati da quest’ultimo nella Battaglia di Adrianopoli contro i Bizantini, nel 1365.
della Roma d’Oriente pareva il giusto corollario. Nel 1440 era caduta Belgrado, allora città del Regno d’Ungheria, che a lungo era stata il baluardo contro l’avanzata ottomana. Non c’è da stupirsi, dunque, se papa Eugenio IV, assecondando l’appello disperato dell’imperatore bizantino Giovanni VIII, predicasse una crociata contro i Turchi nei primi mesi del 1443. Il crogiuolo di nazioni chiamato Penisola balcanica era già pronto all’intervento. Una coalizione di forze cristiane era stata organizzata sotto la guida del giovanissimo re di Polonia e Ungheria, Ladislao III Jagellone, accompagnato dal voivoda (ovvero il capo militare e governatore) della Transilvania János Corvino Hunyadi, soldato di grande esperienza (aveva superato abbondantemente la cinquantina), nella qualità di comandante ge-
G. ALBERTINI
erano la guardia personale del sultano ottomano, nati come fanteria regolare stipendiata e addestrati come un corpo d’élite. Veri antesignani delle forze armate moderne, furono tra i primi a utilizzare con continuità le armi da fuoco.
Sipahi I Giannizzeri, gli schiavi del sultano, erano una delle due principali branche dell’esercito ottomano; l’altra era costituita da sipahi, uomini liberi delle province, arruolati nella cavalleria.
50
ro il “comandante dei comandanti”). Il centro lo tenne Murad stesso, puntellato da una fortificazione posta tra due tumuli sepolcrali traci. A difenderlo, i Giannizzeri e i sipahi kapikulu, i cavalieri della Porta. Le truppe leggere (cavallerie Akinci , fanterie irregolari Azap e arcieri giannizzeri) furono mandate sulle pendici boscose delle colline di Franga, dietro il villaggio di Kamenar, come lupi
AGF-FOTO
Akinci e Azap I primi erano truppe irregolari di cavalleria leggera il cui nome significa “razziatori”. Utilizzati per azioni di disturbo o per attaccare il campo nemico, scendevano in battaglia armati di lancia, arco e sciabola. I secondi erano un corpo di fanteria leggera formato da volontari e specializzato nel tiro con l’arco.
SOLDATI TENACI L’assedio di Rodi, dal 26 giugno al 22 dicembre 1522: i Giannizzeri con gli archibugi attaccano i cavalieri ospitalieri asserragliati dietro le mura. GLI ALTRI FEDELISSIMI
G. ALBERTINI
nerale. Queste forze godevano poi della supervisione del legato pontificio Giuliano Cesarini. Forte di un esercito di circa 25.000 uomini, la coalizione passò il Danubio all’altezza di Belgrado. Per un anno e mezzo raccolse vittorie contro l’Impero ottomano in espansione, che fino a quel momento era sembrato inarrestabile. In tutti i Balcani i Turchi parevano perdere terreno. Murad II, impegnato con il grosso dell’esercito in Asia Minore in un conflitto interno all’impero, risolse la questione con i crociati accordandosi per un armistizio di dieci anni. La tregua però non resse. Quasi quattro mesi dopo, il 20 settembre, gli eserciti cristiani, spinti probabilmente dalle insistenze del cardinale Cesarini, impoveriti però dall’assenza dei Serbi che decisero di rendere onore all’accordo, erano ancora in marcia verso le coste del Mar Nero. Murad non poteva sopportare oltre. Riunì un esercito di 60.000 uomini e il 9 novembre 1444 incrociò i nemici accampati all’esterno della città di Varna. Il mattino dopo, verso le 9, i due eserciti si fronteggiavano. I cristiani davano le spalle alla costa ed erano schierati tra il lago Varna (oggi Bulgaria) e i boschi dell’adiacente altopiano di Franga. Hunyadi si era piazzato, con Ladislao III e la cavalleria reale ungaro-polacca, al centro dello schieramento; alle spalle aveva i rinforzi dalla cavalleria valacca del principe Mircea II Dräculeshti (che era il figlio di Vlad II Dracul e il fratello maggiore di Vlad Tepes l’Impalatore, l’uomo che ha ispirato il personaggio di Dracula). L’ala sinistra era posta sotto il comando di Michael Szilágyi, generale ungherese e cognato di Hunyadi, e comprendeva varie formazioni di Transilvani, Bulgari, mercenari tedeschi e cavalleria pesante ungherese. Quella destra era l’ala più composita e tenacemente crociata. Era comandata da religiosi quali il vescovo di Varadin (Serbia), Jan Domenek, con il suo contingente, il cardinale Cesarini, con Bosniaci e mercenari tedeschi, e il vescovo di Eger (Ungheria) Simon Rozgonyi; dietro di loro il contingente dei Croati del governatore militare della Slavonia Franco Talotsi. Ancora più indietro, sulla costa, era allestito il campo dei crociati protetto da un cerchio di carri cechi, simile al Wagenburg (“villaggio di carri”) degli Hussiti. Il sultano posizionò la sua cavalleria pesante verso la pianura interna; alla destra i sipahi della Rumelia (originari di quella parte dell’impero che era stata bizantina, ossia “romana”, il Rum) comandati da Dawud Pasha e alla sinistra quelli dell’Anatolia guidati dal beylerbey Karadzha Pasha (in turco, il “Bey dei Bey”, ovve-
furono creati da Enrico VII d’Inghilterra in occasione della Battaglia di Bosworth Field (22 agosto 1485). Regno Unito. guardia personale dei sovrani britannici. Oggi si chiamano Queen’s body guard of the Yeomen of the Guard (yeomen significa “giovani uomini”, a definirne lo stato di scudieri) e indossano una divisa scarlatta ispirata alla foggia del XVI secolo. seguendo l’esempio della Grand guard (guardia personale del re di Francia Luigi XI), Enrico VII d’Inghilterra istituì un corpo di 50 arcieri al comando di un capitano, armati di alabarda e arco lungo. Combatterono nella Guerra delle due Rose, si distinsero contro la Francia nell’ambito delle guerre d’Italia (XVI sec.) e oltre, fino alla Guerra di successione austriaca (1740-1748). La Battaglia di Dettingen (1743), combattuta ancora contro la Francia, li vide per l’ultima volta alle prese con il fuoco nemico.
Varna
BATTAGLIA DI VARNA 1444
a
sh a Pa
Campo ottomano
1
III
a sh
islao
a aP
h dz
ra
Lad
Mur ad
II
3
Ka
9
2
adi uny
10
7
Akinci
Azap
dzh Kara
6
8
H
II oI
si
lot Ta
4
la
dis
La
Lago di Varna
Campo crociato Wagenburg
5
Varna
Baia di Varna
LEGENDA Ottomani
S. STANLEY
Cristiani
giarlo 8 . L’ala sinistra ottomana del beylerbey Karadzha assale Ungari e Bulgari di Szilagyi 9 , ma il loro assalto viene respinto. Hunyadi a sua volta attacca i sipahi con due compagnie di cavalleria e li sconfigge. Ladislao carica con i suoi cavalieri polacchi il centro ottomano 10 , cercando di assalire la tenda del sultano Murad II, ma si trova davanti la fortissima resistenza dei Giannizzeri, che uccidono il giovane re polacco tagliandogli la testa. Quel che resta dei cavalieri polacchi viene sterminato.
CAVALLERIA CONTRO FANTERIA Sopra, la Battaglia di Varna, dove si distingue Ladislao III Jagellone a cavallo. A lato, alabarda da processione ottomana del XVII secolo.
51
AKG/MONDADORI PORTFOLIO
L
o scontro si apre con le cavallerie e fanterie leggere ottomane che attaccano l’ala destra dello schieramento crociato 1 . Al contrattacco dei crociati 2 risponde una carica dell’ala sinistra ottomana 3 . La cavalleria anatolica colpisce a fondo l’ala destra cristiana che fugge in rotta ma perdendo molti uomini 4 . Solo le truppe croate di Talotsi riescono a rifugiarsi all’interno del Wagenburg 5 . La cavalleria crociata di Ladislao e Hunyadi si scontra con i sipahi anatolici dell’ala destra ottomana 6 . Questi ultimi non reggono l’impatto e vanno in rotta 7 . I cristiani li inseguono e poi tornano indietro, mentre la cavalleria valacca prosegue la caccia fino al campo turco per saccheg-
pronti a calare dai monti. Gli eserciti rimasero tre ore a fronteggiarsi immobili. I cristiani, inferiori di numero, non volevano prendere l’iniziativa e rimanevano a guardare le code di cavallo variopinte legate ai tug, i vessilli tribali turchi, muoversi al vento. Passato mezzogiorno, dalle colline cominciarono a piovere i dardi delle truppe leggere turche sull’ala comandata dai vescovi. I crociati, forse inesperti, risposero contrattaccando gli schermagliatori , ma vennero ingaggiati da una carica della cavalleria pesante anatolica che li strinse a tenaglia verso i fianchi boschivi e le lance della cavalleria leggera Akinci. I Croati di Talotsi si buttarono a loro volta nella mischia. Valutando inutile il loro sacrificio, ripiegarono però verso il Wagenburg. L’ala destra crociata non resse all’attacco e molti dei soldati cristiani rimasero sul campo, tra questi il cardinale Cesarini. Schermagliatori Erano truppe armate alla leggera che operavano davanti o al fianco di un esercito amico ingaggiando il nemico con azioni di disturbo in preparazione dell’attacco vero e proprio.
Al lato opposto del campo i sipahi di Rumelia caricarono lo schieramento di Michael Szilágyi che resse l’urto e in breve fu raggiunto dal centro di Hunyadi. La cavalleria pesante cristiana ebbe la meglio su quella turca, che ruppe le formazioni e ripiegò verso l’accampamento. Quando una formazione si sbandava era difficile recuperarla in breve tempo. Hunyadi lo sapeva. Lanciò all’inseguimento dei sipahi appena sconfitti un piccolo contingente e volse il grosso del suo esercito verso l’ala comandata dal beylerbey Karadzha. Dimostrando grande capacità tattica, caricò a fondo i sipahi anatolici, che erano ancora disordinati dopo la vittoria sui vescovi. L’impatto fu devastante. Più di 3.000 cavalieri anatolici caddero sotto i colpi cristiani. Tra loro anche il beylerbey; il che indusse il resto dello schieramento alla fuga. Di 60.000 uomini che aveva posto sul campo, al sultano Murad restava solo il centro che lui stesso comandava. Per ore i Giannizzeri erano stati a guardare i movimenti della battaglia e i compagni cadere sot-
GIORGIO ALBERTINI (3)
GLI ALTRI FEDELISSIMI
1506. Cantoni svizzeri. guardia del corpo dei pontefici. Oggi è di solo 110 effettivi, che però possono fregiarsi del rango di reggimento. 150 mercenari giunsero a San Pietro nel 1506, accompagnati dal ciambellano Peter von Hertenstein (svizzero), pronti a mettersi al servizio di papa Giulio II. Da allora le fanterie svizzere rimasero legate alle sorti pontificie. Erano le migliori d’Europa, capaci di annientare un esercito di cavalleria pesante nobiliare. Il loro sistema bellico era il perno della rivoluzione militare moderna. Si costituì così la “Coorte di fanteria svizzera per la sacra custodia del pontefice”, sotto la guida di Kaspar von Silenen (nipote di Hertenstein). Questi la guidò fino al 1517, quando morì alla Battaglia di Rimini contro gli imperiali. In quegli anni le guerre d’Italia sfociarono nel Sacco di Roma: il 6 maggio 1527 un esercito di 10.000 Landsknechte (Lanzichenecchi) tedeschi di fede luterana, ferocemente ostili al pontefice, misero la città a ferro e fuoco. Per permettere a papa Clemente VII di raggiungere Castel Sant’Angelo, le Guardie svizzere si immolarono sotto i colpi degli archibugi tedeschi. Morirono in 147, con il comandante Kaspar Roist. Ricostituite 20 anni dopo da papa Paolo III, le Guardie svizzere presero parte alla Battaglia di Lepanto.
Giorgio Albertini
BPK/SCALA
to i colpi della cavalleria crociata. Era venuto il loro momento: qualunque cosa fosse accaduta non sarebbero scappati. Riposte le armi da lancio, i Giannizzeri si prepararono al corpo a corpo impugnando asce, alabarde e kilij, le possenti sciabole. Alcuni di loro erano armati di archibugi e schioppi, armi all’avanguardia per l’epoca, fresche di adozione. Lontano, dove l’esercito cristiano si stava riorganizzando per sferrare l’ultimo attacco, qualcuno si stava staccando senza attendere il grosso dei cavalieri. Era il giovane re Ladislao che, forse invidioso del successo del suo primo generale Hunyadi, voleva dimostrare quanto valessero lui stesso e la sua guardia. Tentò il colpo di mano risolutivo: con meno di 500 uomini caricò i Giannizzeri, o meglio il sultano, che sotto la sua bandiera sventolava il trattato violato, invocando la punizione divina sui traditori. La carica fu violentissima, furiosa, ma non sufficiente. Il muro dei Giannizzeri resse l’impatto. Ancora straordinariamente agli occhi dei contemporanei la cavalleria nobiliare si disfaceva davanti alla semplice fanteria, peggio, a una fanteria composta da schiavi. Ladislao venne sopraffatto da questi fanti baffuti (proprio per il loro stato di non liberi era proibito ai Giannizzeri di portare la barba) che lo disarcionarono e gli mozzarono la testa. Il capo dell’avventato re venne issato su una picca e mostrato ai cristiani che persero ogni volontà di continuare a combattere e ruppero in fuga. Benché fossero stati vicini alla sconfitta e avessero subito molte perdite i Turchi rimasero padroni del campo. Anzi, gli schiavi devoti del sultano, i Giannizzeri, rimasero padroni del terreno e del futuro del loro impero. d
CON SOLIMANO I Giannizzeri nella Battaglia di Mohács: si distinguono in prima linea i serventi ai pezzi di artiglieria coperti da una linea di archibugieri. Intorno al sultano Giannizzeri arcieri della guardia del corpo. Seguono le cavallerie pesanti dei sipahi.
Cronaca turca ovvero “Memorie di un giannizzero”, K. M. di Ostrovica (Sellerio). Rapito e arruolato dai Turchi, raccontò la presa di Costantinopoli del 1453.
GLI ALTRI FEDELISSIMI
GLI ALTRI FEDELISSIMI
furono istituiti dallo zar Ivan IV “il Terribile” tra il 1545 e il 1555. russe. erano le guardie personali degli zar, che servirono fino al 1720. Quelli moscoviti divennero una guardia pretoriana che spesso orientava le scelte politiche del regno. hanno combattuto in tutti i conflitti dell’età moderna, dalle guerre russo-kazane del 1552 fino alla Grande guerra del Nord (1700-1721). Corpo di archibugieri costituiti sul modello dei Giannizzeri, come loro furono tra i primi a essere equipaggiati con armi da fuoco (streltsy significa ”tiratori”), ad avere divisa e paga (buona, ma spesso elargita in terreni). L’uniforme era il tradizionale caffettano russo lungo fino ai piedi con cappello (shapka) di pelo. Completavano l’arcaicità dell’equipaggiamento una grande ascia in asta dal lungo taglio convesso chiamata bardiche e una sciabola. Moderna era invece l’artiglieria di cui erano dotati, affiancata da archibugio e moschetto.
durante il XIV secolo. di origini slave (il loro nome viene da Sclavonia, “terra degli Slavi”), erano reclutati in Istria, Dalmazia, Albania e nelle isole greche, spesso definiti anche “Oltremarini”. erano usati per le attività militari e di presidio nei possedimenti coloniali di Venezia essenzialmente in chiave antiturca. In guerra erano spesso imbarcati sulle galere come fanti di marina. devoti alla Serenissima (erano i “fedelissimi di San Marco”), combatterono in ogni campagna militare fino alla capitolazione della Repubblica, unici a resistere in armi il 12 maggio 1797 di fronte all’esercito napoleonico. Sotto il comando di Niccolò Foca Morosini ripiegarono poi verso Zara. L’uniforme entrò in uso a fine ’600, ma già prima i capelli incolti, i baffoni e il rosso sgargiante li segnalavano quando uscivano dalla loro caserma, sull’omonima Riva. L’arma tipica fu la “schiavona”, una spada pesante a doppio filo con guardia a gabbia.
53
LEEMAGE/MONDADORI PORTFOLIO (2)
FEDELISSIMI
QUELLA MALEDETTA DOMENICA 54
Laon, nel pomeriggio del 20 giugno 1815, Napoleone dettò il suo ultimo Bollettino dell’Armata. In esso raccontava ai francesi la sua versione della sconfitta subita due giorni prima a Waterloo, dove in una tarda domenica era cambiata la Storia. “Verso le otto e mezzo i quattro battaglioni della Media guardia che erano stati mandati sulla piana oltre Mont-Sain-Jean a sostegno dei corazzieri, disturbati dalla mitraglia nemica, attaccarono alla baionetta per conquistare i cannoni che sparavano su di loro. La giornata volgeva al termine, una carica lanciata sul loro fianco da numerosi squadroni inglesi li mise in disordine; i fuggitivi riattraversarono il vallone; i reggimenti vicini, che videro alcuni reparti della Guardia sbandati, credettero che si trattasse della Vecchia guardia messa in fuga: si udirono grida di ‘Tutto è perduto, la Guardia è battuta!’. I soldati sostengono anche che alcuni provocatori abbiano gridato ‘Si salvi chi può!’ Come che sia, un terrore panico pervase all’improvviso tutto il campo di battaglia.” Secondo l’imperatore la causa della sconfitta in una battaglia altrimenti risolta in favore dei francesi – in un altro passo del bollettino scrive che “la battaglia era vinta: occupavamo tutte le posizioni tenute dal nemico all’inizio dei combattimenti” – consistette nella falsa convinzione diffusasi nell’esercito che la Vecchia guardia fosse stata messa in rotta. Tale era il prestigio di cui godeva questo corpo di élite. Dell’episodio si è scritto molto e siamo ormai convinti che Napoleone ne abbia fornito un’interpretazione distorta: l’attacco della Media guardia rappresentava l’ultimo disperato tentativo francese per aprirsi il varco nelle linee inglesi, mentre la pressione esercitaGUARDIA IMPERIALE ta dai prussiani in arrivo da est sull’ala Napoleone la destra diveniva insostenibile. La grancostituisce nella Campagna d’Italia del de carica di cavalleria lanciata per erro1796-1797, ma la Guardia imperiale vera re sul centro dal maresciallo Ney a mee propria risale al 1804. tà pomeriggio contro truppe nemiche corpo d’élite nel quale non ancora provate a sufficienza dal affluivano i migliori della Grande armée, combattimento aveva privato i franvenne organizzato inizialmente come scorta personale del generale Bonaparte. cesi dell’altra carta di cui disponevano per vincere la battaglia: la netta supesi formò dalle ceneri della Garde de l’Assemblée nationale (nata nel 1789), riorità di cavalleria. che cambiò nome innumerevoli volte, La prima in Grenadiers de la Gendarmerie Guardia imperiale non era un repar(1792), poi nella Garde du Directoire to qualsiasi, costituiva la spina dorsale (1795) e, infine, in Garde consulaire. Tra il 1804 e il 1815 i suoi reggimenti vennero dell’esercito napoleonico e ne garanclassificati per anzianità: Vecchia guardia, tiva la fedeltà all’imperatore. Aveva la famosa Vieille garde, Media guardia e accompagnato l’ascesa di Napoleone Giovane guardia. al trono di Francia e si potrebbe qua-
A PASSO DI CARICA A sinistra, a Marengo (1800), la carica dei Granatieri a cavallo della Guardia. Sopra, a Eylau (1807) i Grenadiers della Vecchia guardia.
55
si dire che lo aveva condiviso con lui. La sua origine precedeva la nascita dell’impero, venne organizzata infatti come scorta personale del generale Bonaparte nella Campagna d’Italia del 1796-97, con lo scopo dichiarato di proteggere la sua persona. Dopo il colpo di Stato di Brumaio, il 9 novembre 1799, si trasformò in Guardia consolare ed ebbe il suo primo momento di gloria nella battaglia di Marengo . Napoleone aveva commesso un errore di valutazione: riteneva l’esercito austriaco in ritirata, mentre invece il generale Melas uscì alla sua testa da Alessandria per dare battaglia. Per tutta la mattina e fino al primo pomeriggio, quando il generale Desaix giunse con i rinforzi francesi, la battaglia sembrava perduta. A salvare la situazione fu la Guardia consolare, che resistette sul centro “come un muro di granito”, secondo la valutazione di Napoleone stesso. Con l’impero la Guardia accrebbe le proprie dimensioni. Si giunse a un organico di oltre 40.000 uomini che comprendevano i reggimenti di fanteria della Vecchia guardia, granatieri e cacciatori, con la corrispondente cavalleria, granatieri, cacciatori a cavallo, che fornivano la scorta personale di Napoleone, e dragoni dell’imperatrice. Media e Giovane guardia erano i reparti di più recente costituzione, ai quali l’accesso risultava più agevole e le cui paghe erano meno elevate. La grande giornata della cavalleria della Guardia fu Austerlitz , il 2 dicembre 1805, quando si sconMarengo (14-6-1800) Battaglia della 2a Campagna d’Italia con Napoleone Primo console. Austerlitz (2-12-1805), la Battaglia dei 3 imperatori, contro Alessandro I di Russia e Francesco II.
IL GRANATIERE LEEMAGE/MONDADORI PORTFOLIO
A sin., artiglieri a piedi della Vecchia guardia a Hanau (1813), in colbacco con visiera nera. A lato, grognard dei Granatieri della Vecchia guardia vestito da parata: colbacco con l’aquila d’ottone, treccia e pennacchio, capelli legati e incipriati. Porta la sciabola con la dragona e il fucile Charleville.
C
ostituiva l’asso nella manica di Napoleone, la riserva da mandare sul campo di battaglia quando le cose volgevano al peggio. La Vecchia guardia era un corpo scelto guidato da un generale d’armata o da un maresciallo dell’impero. La disciplina era dura, seppur senza punizioni corporali o trattamenti inumani, il reclutamento rigoroso. Per entrare nel 1° Reggimento dei granatieri a piedi della Guardia imperiale ci volevano 10 anni di comportamento impeccabile
56
in battaglia (8 per il 2° Reggimento); bisognava poi essere irreprensibili e saper leggere e scrivere. Gli uomini della Guardia si distinguevano anche per altezza: almeno 183 cm per i granatieri e 173 per cacciatori e i reparti di cavalleria. Imbiancati ad arte. Ribattezzati familiarmente con il nomignolo di grognards (“brontoloni”, per via del fatto che i veterani delle guerre napoleoniche si lagnavano della loro condizione di militari sempre pronti a partire) o di moustaches
(“baffi”), i soldati dovevano portare obbligatoriamente i favoriti e i baffi a forma di calcio di pistola (salvo che in inverno). La Vieille garde portava anche i capelli lunghi e due trecce annodate sotto la nuca, incipriate di bianco/grigio – cosa che contribuì alla definizione di “vecchia” – e legate con un cordoncino adorno di una nappina d’argento, oltre a un anello d’oro grande come una moneta a ogni orecchio. Lidia Di Simone
I. DZIS
L’asso nella manica di Napoleone: la Vieille garde
BATTAGLIA DI WATERLOO 1815 Waterloo
xxx
xxxx
RISERVA
WELLINGTON
xxx Uxbridge
7
OLANDESI
4
PRUSSIANI I Corpo
xxx PRINCIPE D’ORANGE
2 2
xxx
3
5
DERLON
xxx
xxx
MILHAUD
VON BLÜCHER PRUSSIANI
Ney
8 xxx
ipe
REILLE
1 1
Ger ola
mo
Foy
6 xxx
LEGENDA xxx
KELLERMAN
LOBAU
xxxx GUARDIA IMPERIALE
L
a battaglia inizia tardi per la pioggia del giorno prima che ha reso pesante il terreno: i francesi (circa 80.000 uomini ma superiori per artiglieria e cavalleria) dispongono i cannoni solo alle 11:00 contro la linea di Wellington, forte di 70.000 uomini schierati su un’altura a nord. Ma gli inglesi restano protetti dietro una cresta. Alle 11:30 inizia l’assalto diversivo alla fattoria di Hougoumont 1 guidato dal principe Gerolamo e dal generale Foy; ai francesi costerà migliaia di perdite. La Guardia e la cavalleria di riserva si trovano molto indietro. Alle 13:00 il corpo d’armata di d’Erlon sta per sferrare l’attacco principale al centro 2 , verso Mont St. Jean e la fattoria chiamata La Haye Sainte, quando oltre i boschi a est compare l’armata prussiana di von Blücher 3 (con altri 70.000 uomini), che ha superato lo sbarramento delle truppe di Grouchy, mandato a intercettarlo. Le truppe di d’Erlon risalgono la collina in formazione di “colonne di battaglione per divisione”, una scelta perdente. Su di loro si riversa la carica della cavalleria inglese di Uxbridge 4 , che viene ferito e perde una gamba.
NAPOLEONE
Tra le 16 e le 17 il maresciallo Ney tenta un assalto finale contro gli inglesi in tre ondate successive 5 . La forza d’urto dei corazzieri francesi è terribile, ma Wellington si difende bene schierando la sua fanteria in quadrati. Intanto i prussiani avanzano, ma Grouchy continua a non comparire. Alle 17 Napoleone, che si trova su un poggio vicino alla fattoria di Rossomme, pensa di avere ancora in pugno la battaglia. Bisogna attaccare in forze gli inglesi e impedire loro di riunirsi ai prussiani. La Guardia giovane viene inviata a Plancenoit; la Vecchia guardia si porta alle spalle del maresciallo Lobau 6 , per sostenerlo. I prussiani vengono buttati fuori da Plancenoit; il maresciallo Ney conquista la fattoria della Haye Sainte; il centro inglese cede, Wellington è in difficoltà, Ney chiede rinforzi.
LA RISERVA
G. RAVA
A destra, i veterani di Napoleone, i Granatieri della Guardia, nel momento cruciale della Battaglia di Waterloo. Nella foto, lo Charleville mod. 1777, usato dai francesi nelle guerre napoleoniche.
Anglo prussiani Francesi xxxx Armata xxx Corpo d’armata S.STANLEY
1 Prin c
Alle 18:45 arriva iI corpo d’armata prussiano, che si dispone alla sinistra di Wellington 7 . Il comandante inglese rinsalda così le sue linee. Alle 19 Napoleone si gioca le ultime forze rimaste e la riserva strategica dell’armata: i Granatieri della Guardia. Lui stesso accompagna i suoi fedelissimi fino alla Haye Sainte. Alle 19:30 i veterani attaccano il centro destra di Wellington 8 . Alle 20:15 gli attacchi francesi vengono respinti e quando si sente il grido “La Garde recule!” (la guardia arretra), dal Mont St. Jean 40.000 inglesi si riversano contro il nemico. Alle 21 i prussiani si riprendono Plancenoit. C’è un’ultima disperata resistenza della Guardia. Ogni sforzo si dimsotra inutile. Wellington e von Blücher si incontrano alla taverna della Belle Alliance, mentre Napoleone è ormai in fuga.
GLI ALTRI FEDELISSIMI
il reparto venne costituito nel 1799 da Napoleone Primo console, da poco rientrato dall’Egitto, inquadrando volontari arruolati nel corso della campagna. il loro squadrone non era affatto un’unità di rappresentanza, tutt’altro. Ad Austerlitz partecipò alla carica della cavalleria francese della Guardia comandata da Rapp, che travolse il suo equivalente russo; combatté in Spagna dove caricò gli inglesi a Bonavente. Durante la ritirata di Russia, a Gorodnia, sempre Rapp comandò una carica di cacciatori e di mamelucchi che liberò Napoleone da una turma di cosacchi che lo avevano circondato. il corpo dei mamelucchi costituiva il più pittoresco dei reparti della Guardia imperiale. Gli effettivi erano quelli di uno squadrone di cavalleria su due compagnie, per un totale di 240 uomini. Nel corso degli anni il reparto venne mantenuto in vita nonostante mancasse la possibilità di effettuare arruolamenti nella terra d’origine, così che i vuoti che si creavano nei ranghi venivano via via colmati con l’inserimento di francesi, senza per questo rinunciare al caratteristico abbigliamento all’orientale.
trò con la cavalleria della Guardia russa annientandola. “Molte signore piangeranno a San Pietroburgo”, fu il commento un po’ cinico di Napoleone. La fanteria della Vecchia guardia tenne il campo con valore a Eylau, l’8 febbraio 1807, in mezzo a una bufera di neve, nei pressi del cimitero, resistette alla carica della cavalleria russa: era la prima volta che Napoleone si vedeva costretto a impegnarla in combattimento nel corso delle campagne dell’impero. Alla Moscova , durante la campagna di Russia, l’imperatore mantenne la Guardia di riserva, rifiutandosi di impegnarla nonostante le sollecitazioni che ricevette da Davout, Ney e il principe Eugenio affinché la lanciasse in un attacco che secondo loro avrebbe portato al collasso dell’esercito russo. L’imperatore riteneva che rappresentasse la sua assicurazione sulla possibilità di tornare in Francia. Alla Beresina fu proprio la fanteria della Vecchia guardia, ridotta a poche migliaia di effettivi, a rompere l’accerchiamento nemico e aprire la strada della ritirata ai resti dell’esercito francese. Durante la Campagna di Francia del 1814 la Guardia venne impegnata in molte occasioni, dimostrando sempre il proprio valore, fino all’addio di Fontainebleau , dopo la prima abdicazione, quando Napoleone salutò il primo reggimento dei gra-
Moscova Nota anche come Battaglia di Borodino (7 settembre 1812), fu combattuta contro l’esercito russo del generale Kutuzov. Napoleone vinse aprendosi la strada per Mosca, ma subì perdite immani senza riuscire nell’obiettivo di annientare l’avversario. Davout, Ney, Eugenio Fra i subalterni di Napoleone, Davout rimase a difendere Amburgo dopo che l’imperatore era tornato a Parigi, Ney guidò la retroguardia durante la ritirata dalla Russia, Eugenio Beauharnais (già viceré d’Italia) prese il comando della Grande armée lasciato il 16 gennaio 1813 da Gioacchino Murat (che nel 1815 passò al nemico). Beresina (26-29 novembre 1812) Fu la battaglia combattuta durante la ritirata dalla Campagna di Russia. I francesi riuscirono a passare il fiume Beresina, ma a costo di ingenti perdite. L’operazione è considerata una brillante manovra di svincolamento.
G. RAVA
Fontainebleau Dopo che il nemico riuscì a occupare Parigi, il 31 marzo 1814 Napoleone si rifugiò a Fontainebleau. Il Senato proclamò la sua decadenza da imperatore e i marescialli si rifiutarono di tentare l’ultima battaglia. Il 6 aprile lui accettò di abdicare senza condizioni. Il 20 aprile, nella corte del castello di Fontainebleau, diede il saluto d’addio alla Vecchia guardia. Poi lasciò la Francia per l’Elba.
COL TURBANTE L’uniforme si ispirava ai costumi popolari egizi: turbante con fez e pennacchio, camiciotto, gilet orlato di nero e ampi pantaloni alla zuava. Trattandosi di un’unità di cavalleria, usavano stivali da monta.
58
Non mi arrendo!
I
l generale Pierre Jacques Cambronne (1770-1842), di un anno più giovane di Napoleone, era anche lui figlio della rivoluzione. Si arruolò volontario a 22 anni per essere promosso rapidamente sergente-maggiore e poi ufficiale. Nel 1809 venne trasferito nella Guardia imperiale, nei cui ranghi combatté in Spagna e in Russia. Nel 1813 divenne generale di brigata. Napoleone lo scelse come comandante del reparto di Granatieri della guardia destinato a seguirlo all’Elba.
Durante i primi giorni del volo dell’aquila (così viene definito il rientro dell’imperatore a Parigi) comandò l’avanguardia della colonna francese che accompagnava Napoleone. Celebre per una parola. A Waterloo era al comando del 1° Reggimento cacciatori della Vecchia guardia e alla loro testa rifiutò di arrendersi agli inglesi. Ferito gravemente, sopravvisse alla battaglia e anche a una condanna a morte in contumacia. Graziato dal re Luigi XVIII, nel 1820 assun-
SCALA
se il comando della 26a Divisione. Venne fatto visconte, sposò una nobildonna inglese e si ritirò nel 1823. Morì a 72 anni. La leggenda vuole che davanti al nemico ormai vittorioso lui avesse risposto “La Guardia muore, ma non si arrende!”. Ma sembra non abbia mai rivendicato la paternità del “merde!” gridato a chi gli chiedeva di arrendersi. Il generale Cambronne con gli uomini della Vecchia guardia.
LEEMAGE/MONDADORI PORTFOLIO
natieri baciandone la bandiera, prima di partire per l’esilio all’Elba. Trasformato in Guardia reale dal sovrano Luigi XVIII, il reparto si dimostrò insofferente al Nuovo regime, che lo allontanò da Parigi. Al suo ritorno Napoleone potenziò l’organico della ricostituita Guardia imperiale, il cui attacco finale a Ligny (16 giugno 1815) decise l’esito della battaglia. Dopo il disastro di Waterloo e la caduta di Parigi, quello che rimaneva della Guardia imperiale fu definitivamente disciolto dalla monarchia tornata al potere. Poche battaglie si conclusero in un collasso totale dell’esercito sconfitto come quella di Waterloo. La rotta dei francesi ammassati lungo l’unica strada disponibile, quella per Charleroi, avvenne nel caos più totale, alimentato dal buio, con l’abbandono di salmerie, carriaggi e traini d’artiglieria. Unici reparti a mantenersi in ordine furono alcuni reggimenti della Vecchia guardia, con ogni probabilità non più di duemila uomini in tutto, organizzati in due quadrati. Napoleone si pose al centro di uno di essi, forse alla ricerca della morte in combattimento alla testa degli uomini che lo avevano accompagnato in tutte le sue campagne vittoriose e anche nel suo esilio elbano. Gli aiutanti di campo riuscirono a convincerlo a salire a cavallo e a lasciare il campo di battaglia seguito da una piccola scorta, abbandonando la carrozza e gli effetti personali, che caddero in mano prussiana. Mentre la notte si avvicinava e tutto era perduto, solo qualche battaglione della Vecchia guardia rimase a fronteggiare gli eserciti alleati. Nella confusione le linee di comando erano entrate in crisi, alla testa delle truppe francesi non si trovavano né il maresciallo Mortier, comandante della Guardia imperiale, né il suo vice Druout, l’esperto di artiglieria, e neppure il generale Friant, comandante dei granatieri della Guardia e rimasto ferito in combattimento. Il più alto in grado era il genera-
IN MARCIA Napoleone sulla strada della Francia dopo la fuga dall’Elba. Il generale è in secondo piano, davanti a lui c’è la Vecchia guardia.
le Cambronne (v. riquadro sotto), Captain Coignet: a soldier of che aveva comandato il distaccaNapoleon’s Imperial Guard from mento della Guardia al seguito di the italian campaign to Russia Napoleone all’Elba e che con lui and Waterloo. Quaderni di un uomo della Vecchia guardia (i cahiers era tornato cento giorni prima a originali sono in francese). riconquistare il trono di Francia. A Waterloo Cambronne comandava il 1° Reggimento cacciatori della Vecchia guardia e fu a lui che gli alleati chiesero di arrendersi insieme agli ultimi francesi che tenevano il campo, per ricevere – così si dice – la risposta che è passata alla storia: ÒMerde!Ó. La Vecchia guardia scomparve così, quasi nel buio, sotto il tiro dell’artiglieria inglese, rifiutandosi di cedere le armi al termine di una battaglia che concludeva un’epopea. Le date della soppressione del corpo, 11 settembre 1815 per il 1° Reggimento, 24 settembre per il secondo, il terzo e il quarto, hanno un significato del tutto relativo: per le prime due unità si trattava di reparti che in pratica non esistevano più. Nel romanzo I Miserabili, Victor Hugo commenta la Battaglia di Waterloo e a proposito del suo episodio finale scrive: ÒL’uomo che ha vinto la Battaglia di Waterloo non è Napoleone in rotta, non è Wellington che alle quattro cedeva, alle cinque disperava, non è BlŸcher che non si è battuto; l’uomo che ha vinto la battaglia di Waterloo è CambronneÓ. d Sergio Valzania
59
FEDELISSIMI
PER IL CANALE La Moonlight charge (la carica notturna) della 1st Life Guards contro gli egiziani, episodio della Battaglia di Kassassin (1882). Vincendo, i britannici si assicurarono il controllo dell’Egitto e del Canale di Suez. A destra, un soldato della Life Guards.
LE GUARDIE DELLA entro di Londra, Whitehall, ore 11: nell’area della Horse Guards Parade scintillanti cavalieri montati su animali neri effettuano il cambio della guardia in uniforme da parata. Sono le guardie della regina. Alcuni vestono l’uniforme blu, altri rossa. Questi cavalieri nascono dalla fusione di quattro unità distinte dal glorioso passato, costituite tra il 1660 e 1661: 1st Life Guards, 2nd Life Guards, Royal Horse Guards e 1st Royal Dragoons. Dal 1992 fanno parte di un unico corpo, l’Household Cavalry Regiment. Potrebbero sembrare soldatini da parata, ma l’incarico di fornire la guardia d’onore ai reali inglesi è solamente uno dei loro compiti. I soldati dell’HCR hanno compiuto il proprio dovere sui campi di battaglia ovunque l’Union Jack si è trovata a sventolare. 60
Chi li ha visti agire nella provincia di Helmand (Afghanistan) riconoscerebbe a fatica in loro i commilitoni del principino Harry. Ma gli “onori” questi uomini li hanno cuciti sullo stendardo e sulla loro pelle fin dalla Guerra civile inglese (1642-1651), in cui facevano da guardia del corpo al Lord Protector Oliver Cromwell. La parata di questi cavalieri continua nel fango delle Guerre napoleoniche: gli Household partecipano alle campagne del 1812, 1813 e 1814. A Waterloo (v. riquadro a destra) all’alba del 18 giugno ci sono anche loro: i soldati delle 1st e 2nd Life Guards, dei Royal Horse Guards e del 1st (King) Dragoon Guards prima si riparano dietro i cavalli dal fuoco della micidiale artiglieria francese, poi strizzano le uniformi inzuppate dalla pioggia
MONDADORI PORTFOLIO/WWW.BRIDGEMANIMAGES.COM
HOUSEHOLD CAVALRY tra 1660 e 1661. il reggimento, di cui fanno parte le Life Guards e I Blue & Royals, è diviso in due unità, gli Household Cavalry Regiment (Hcr) e gli Household Cavalry Mounted Regiment (Hcmr). il reggimento più antico della British Army venne costituito in Olanda con il nome di Royal Mounted Bodyguard da 80 realisti che avevano seguito Carlo II in esilio dopo la Battaglia di Worchester del 1651. Da questo nucleo nacquero nel 1660 il 1st Life Guards e il 2nd Life Guards. I Blue & Royals, invece, sono nati nel 1922 dalla fusione di Royal Horse Guards (The Blues, risalenti al 1660) e Royal Dragoons (il 1st Dragoons risalente al 1661).
caduta incessantemente durante la notte e montano a cavallo: 1.349 sciabole sguainate si avventano giù per la collina caricando ripetutamente i francesi. Le perdite ci sono, 15 ufficiali e 305 uomini, ma la Storia è stata scritta: i Royals hanno strappato l’aquila ai francesi. Altro giro, altra gloria. Di Balaklava (25 ottobre 1854), si ricordano gli Highlanders disposti nella mitica “sottile linea rossa” e la “carica dei 600”, quella della sfortunata Light Brigade, immortalata in un poema di Alfred Tennyson. Ma tra le colline della Guerra di Crimea c’è anche la Heavy Brigade dei Royals (sempre il 1st Royal Dragoons, quello di Waterloo, che presto entrerà a far parte della Household Cavalry). La brigata carica la più numerosa cavalleria russa e la mette in fuga. L’azione ha buon esito e nessuno ci scrive sopra dei versi. Forse bisognerà morire ancora per non sembrare soldatini da parata. Evocato, il grande sacrificio arriva anche per i nostri. È la regina Vittoria a chiedere espressamente l’impiego della sua elegante guardia a cavallo in Africa. Nel 1882, in occasione della Campagna d’Egitto, l’Household Regiment, con tre squadroni, fa parte del corpo di spedizione inglese e rimane in Sudan fino al 1885, quando, morto Gordon Pascià e caduta Khartoum, il reggimento viene rimpatriato. Ma prima di tornare a Londra per riprendere le rituali parate, c’è ancora tempo per versare un po’ di sangue inglese. Il 28 agosto 1882 il reggimento si trova accampato a Mahsama, presso la chiusa di Kassassin, dov’è schierata l’avanguardia britannica comandata dal generale Graham, in attesa di avanzare contro l’esercito egiziano di Arabì Pascià, trincerato a Tel el-Kebir. Le linee inglesi sono attraversate perpendicolarmente da due canali di acqua dolce e da una ferrovia, che corrono paralleli fra di loro. Sulla sinistra, a sud del primo canale, dove un terreno basso impedisce qualsiasi attacco egiziano, è schierata l’artiglieria di marina; a circa 700 metri a est è posizionata la fanteria montata (Mounted Infantry), il 4th Dragoon Guards e la Dcli (Duke of Cornwall’s Light Infantry), con le riserve protette dalla scarpata ferroviaria. Alle sue spalle, sulla destra, sono schierate due compagnie dello York & Lancaster, con il resto del battaglione in appoggio. Sulla ferrovia un cannone Krupp , preso al nemico, è stato montato su un vagone ferroviario e protegge le truppe schierate a destra, in attesa dell’appoggio della cavalleria. Alle 16:30 i cannoni egiziani iniziano un intenso bombardamento, seguito dall’avanzata delle truppe di fanteria e di cavalleria che cercano di aggirare i britannici sulla loro sinistra. I cannoni inglesi rispondono al fuoco, fermando l’attacco egiziano, ma esauriscono in breve tempo le munizioni, perché i carri con le riserve sono stati lasciati indietro e non hanno Gordon Pascià Charles George Gordon, generale britannico divenuto governatore di una provincia del Sudan (pascià); difese Karthoum – dove cadde nel 1885 – dai musulmani mahdisti. Cannone Krupp A Kassassin, in dotazione agli egiziani, c’erano i pezzi Krupp da campagna da 8 e 9 cm modello 1868 e le batterie Krupp da montagna.
G. RAVA
L’aquila dei Royals
I
l 1st Royal Dragoons fa parte dell’Household Cavalry Regiment solo a partire dal 1922, quando fu amalgamato con le Royal Horse Guards. Fino a quel momento era stato uno
dei più gloriosi reggimenti della cavalleria pesante inglese: il 18 giugno 1815 durante la Battaglia di Waterloo, il capitano Clarke e il caporale Stiles riuscirono a catturare l’aquila del
105° Reggimento di fanteria di linea francese. Stemma. Per ricordare l’azione da allora i Royals hanno come stemma un’aquila, tradizione rimasta nell’Household Regiment.
61
KASSASSIN
BATTAGLIA DI KASSASSIN 1882 L’ala sinistra egiziana arretra sotto la pressione inglese
Tre Squadroni dell’Household Cavalry
Avanzata egiziana iniziale
7th Dragoons Guards
York and Lancaster Regiment
Per Tel el-Kebir
Ferr o
via
Squadrone 7th Dragoons Guards
Cai ro-S uez
Cannone Krupp sulla ferrovia
Fanteria leggera Duca di Cornovaglia 4th Dragoons Fanteria a cavallo
GRAHAM
Artiglieria Royal Marine
LEGENDA
Kassassin
Chiusa di Kassassin
CAMPO BRITANNICO Can
ale
Britannici
Tor re
qua
nte
dolc
e
A
Kassassin, il 28 agosto 1882, episodio cruciale della guerra per il controllo del Canale di Suez, si fronteggiano i soldati dell’esercito egiziano, comandato da Ahmad Arabì, e il corpo di spedizione britannico del generale Garnet Wolseley. Ecco la battaglia vista da sud-est, dietro le linee inglesi: a nord del campo inglese sulla chiusa di Kassassin è schierata l’Artiglieria di Marina, alla sinistra del canale di acqua
dolce, con la fanteria a cavallo, un distaccamento del 4th Dragoon Guards, la Duke of Cornwall’s Light Infantry (Fanteria leggera Duca di Cornovaglia) e un cannone Krupp montato su un vagone ferroviario. Oltre la ferrovia, la linea inglese si completa con il reggimento York & Lancaster e un plotone del 7th Dragoon Guards. Attacco e contrattacco. Gli egiziani attaccano a metà pomeriggio da nord, su tutto il fronte, con fanteria, artiglieria e cavalleria, ma vengono respinti dal fuoco degli inglesi. Le
munizioni dell’artiglieria si esauriscono presto e solo il cannone Krupp continua a sparare. La battaglia viene decisa qui: dopo una marcia d’avvicinamento da Mahsama, la Brigata di cavalleria di Drury Lowe (composta da tre squadroni della Household Cavalry più il 7th Dragoon Guards) proveniente da est avanza al coperto delle dune e carica l’ala sinistra egiziana. La cavalleria inglese sbaraglia gli egiziani, li oltrepassa e li prende alle spalle nella decisiva Battaglia di Tel el-Kebir.
SOTTO LA LUNA Artiglieria inglese a Kassassin, dove lo scontro si risolve nella Moonlight charge delle guardie inglesi, che di notte caricano la fanteria egiziana. A sinistra, il generale Drury Lowe.
TOPFOTO/ALINARI
MONDADORI PORTFOLIO/WWW.BRIDGEMANART.COM
S. STANLEY
Egiziani
di a c
fatto in tempo a raggiungere la prima linea. L’unico pezzo che continua a sparare e a tenere bloccati i nemici è il Krupp, azionato dagli artiglieri della Royal Marine Artillery al comando del capitano Tucker, e rimasto miracolosamente illeso nonostante i colpi dei cannoni avversari. Il sole è ormai tramontato e brilla la luna piena: la cavalleria inglese con gli Household e il 7th Dragoon Guards, si è messa in marcia: i cavalli stanchi procedono il più in fretta possibile sul difficile terreno, guidati dai lampi dei cannoni e, come sosterranno gli uomini del 7° Dragoni, dal bagliore di Venere. Drury Lowe fa compiere alla brigata un ampio movimento per aggirare la sinistra del nemico, tenendosi lungo una cresta sabbiosa per celare i suoi spostamenti fino al momento dell’attacco. Quando gli inglesi arrivano a contatto con la fanteria egiziana, dà ordine al suo sottoposto, il generale di brigata Baker Russell, di lanciare l’assalto. Al grido di “Trotto!”, “Galoppo!” e “Carica!”, la Household Cavalry, fiancheggiata dai Dragoni, si lancia, nel buio, contro gli egiziani, prendendoli sui fianchi. La fanteria nemica viene completamente dispersa e i cavalleggeri inglesi continuano la loro corsa attraverso nove cannoni, abbandonati sul posto dagli inservienti che si sono dati precipitosamente alla fuga. Sarebbero stati un prezioso bottino, ma, quando gli squadroni si ricompattano e tornano indietro, a causa dell’oscurità non riescono più a ritrovare i pezzi. La vittoriosa carica conclude le operazioni della giornata e costa agli inglesi 15 morti e circa 70 feriti, mentre le perdite egiziane sono più di 400. Il comandante in capo, sir Garnet Wolseley, arriva sul posto con il resto dell’esercito al termine dello scontro. Il giorno dopo l’armata avanza di pochi chilometri, fino a Tel el-
Il Camel Corps nel deserto
N
el 1884, per liberare Gordon assediato dai Mahdisti a Khartoum, fu organizzata una spedizione composta da un corpo cammellato (Camel Corps, la “Colonna del deserto”) e da un contingente che viaggiava via nave sul Nilo. Quando il Camel Corps raggiunse Khartoum a fine gennaio 1885, la città era ormai
caduta da un paio di giorni e il genrale Gordon era stato ucciso. La “colonna”. Il Camel Corps era formato da 4 reggimenti, uno dei quali, l’Heavy Camel Regiment, era comandato dal col. Talbot, delle 1st Life Guards. Ne facevano parte 2 ufficiali e 43 uomini della 1st e 2nd Life Guards e altrettanti delle Royal Horse Guards.
Kebir, e vince lo scontro decisivo della campagna. Ma intanto la Moonlight charge (la “carica al chiaro di luna”) di Kassassin è già diventata mito romantico, materiale buono per le gazzette dell’epoca e i pittori di battaglie. Il peggio deve ancora arrivare e sarà nelle trincee del continente che questi uomini mostreranno ancora una volta il loro valore. Il Regno Unito affronta l’ecatombe della Guerra mondiale e l’Household Regiment prende parte a tutte la battaglie fra l’agosto 1914 e il novembre 1918: Mons, Le Chateau, La Marna, Aisne, Messines, Ypres, Saint Julien, Frezenberg, la Somme, Arras, Scarpe, Poelcappelle, Passchendale, Cambrai, Selle e Saint Quentin. Un grosso tributo di sangue. Nel 1922 vengono ridotti i reggimenti: 1st e 2nd Life Guards diventano una sola unità (le Life Guards), mentre le Royal Horse Guards e il 1st Royal Dragoons si uniscono per formare il Blues & Royals (The Blues). Nella Seconda guerra mondiale, i cavalli vanno in pensione e i reggimenti diventano unità corazzate. Nella storia di queste guardie entrano le nostre città liberate durante la Campagna d’Italia: Salerno, Anzio, Pesaro. Nel 1992 c’è la fusione in una singola unità (Household Cavalry Regiment): iniziano le missioni in Iraq e Afghanistan. Non c’è mai pace per le guardie della regina. d Marco Lucchetti The Blues Lo HCR ha conservato le uniformi delle unità di appartenenza: la giacca blu delle Royal Horse Guards (da qui il soprannome ai suoi uomini, “The Blues”) e la giubba rossa delle Life Guards.
The Guards, John de St. Jorre (Crown Publishers). La lunga storia delle Guardie inglesi, gli Household compresi, con le fotografie a colori di Anthony Edgeworth.
GETTY IMAGES
LO SCIMITAR Nel 2008, l’Hcr nella provincia di Helmand in Afghanistan, su un veicolo corazzato da ricognizione Scimitar.
63
FEDELISSIMI
DA “POLIZEI” A UNITÀ COMBATTENTE: LA FALLSCHIRM PANZERDIVISION “HERMANN GÖRING”, FORTEMENTE VOLUTA DAL COMANDANTE DELLA LUFTWAFFE, SI DISTINSE, SOPRATTUTTO IN ITALIA, PER LA SUA COMBATTIVITÀ
POLIZIOTTI FALLSCHIRM PANZER-DIVISION 1 “HERMANN GÖRING” fu istituita nel 1943, dall’iniziale evoluzione organica della Polizei Abteilung z.b.V. “Wecke”, formata nel 1933 dall’allora ministro degli Interni per la Prussia Hermann Göring. pur appartenendo all’aviazione militare (Luftwaffe), era una divisione corazzata con organico e armamento non diversi dalle corrispondenti unità dell’Esercito o delle Waffen-SS. La definizione di “paracadutista” aveva funzioni di propaganda, nessun reparto ebbe infatti questo addestramento.
SIERRA (3)
GIORNATA TIPO In basso a sinistra, la Divisione Göring combatte sul fronte dell’est. A sinistra, un Panzer III della HG; sopra, si mette in puntamento un mortaio da 81,4 mm. Sotto, il generale Hermann Göring con il suo bastone da feldmaresciallo. Sopra il titolo, un volantino di reclutamento.
n vanto. Per i massimi vertici del Terzo Reich era motivo di prestigio avere a disposizione una formazione d’élite che glorificasse il proprio nome, come nel caso della 1a Waffen-SS Panzer-Division “Leibstandarte Adolf Hitler” (v. nell’ultima pagina), la guardia del corpo del Führer. Non poteva certo esimersi il vanitoso Reichsmarschall Hermann Göring , numero due del Reich; questi creò in seno alla sua Luftwaffe una complessa unità combattente terrestre che avrebbe presto preso il suo nome. La 1a Fallschirm-Panzer-Division “Hermann Göring” si batté accanitamente su tutti i fronti anche fino all’estremo sacrificio, ma è soprattutto durante la Campagna d’Italia che creò la sua fama di determinazione e ferocia. Se da una parte viene anche ricordata per aver salvato dalla distruzione le opere d’arte dell’Abbazia di Montecassino, dall’altra si rese responsabile, nella tragica primavera del 1944, di efferatezze contro civili e partigiani, come avvenne successivamente anche in Polonia durante l’insurrezione di Varsavia dell’estate seguente. Già nel 1933 l’amico e collaboratore di Hitler aveva creato un distaccamento di polizia del Partito nazionalsocialista, la Polizei Abteilung z.b.V. “Wecke” (dal nome del veterano Walther WeHermann Göring (1893-1946) Celebre per essere stato, al termine della Prima guerra mondiale, l’ultimo comandante della squadriglia del Barone Rosso Manfred von Richthofen. Fu uno dei principali collaboratori di Hitler e nel 1935 fondò la Luftwaffe, di cui divenne comandante in capo fino alla fine della guerra. Luftwaffe Con la riforma del 1935 le forze armate tedesche (Wehrmacht ) arrivarono a comprendere Heer (Esercito), Kriegsmarine (Marina militare) e Luftwaffe (Aeronautica militare), dotati ognuno di uno Stato maggiore – OKH (Oberkommando des Heeres), OKM (Oberkommando der Marine) e OKL (Oberkommando der Luftwaffe) – sottoposti all’Oberkommando der Wehrmacht (OKW). Dal 1941 Hitler assunse il controllo dell’OKW per la strategia sul fronte orientale.
GETTY IMAGES
IN GUERRA cke, uno dei primi affiliati), destinata a fronteggiare le sommosse politiche delle sinistre in Germania. A Berlino il battaglione divenne noto come braccio armato della Gestapo e nel giugno 1934 prese parte attiva alla famosa “Notte dei lunghi coltelli”, la soppressione dei vertici delle SA . Altre dimostrazioni di fedeltà assoluta si ebbero in occasione dell’Anschluss austriaco e dell’annessione dei Sudeti della Cecoslovacchia, mentre il battesimo del fuoco ci fu con l’invasione della Polonia. Successivamente gli uomini dell’unità, ormai reggimento inquadrato nella Luftwaffe, vennero selezionati per la conquista della Norvegia e furono in prima linea nella campagna di Francia. Nel 1941 il reggimento fu impiegato in Romania, dove per primo entrò nelle raffinerie di Ploiești. Fu quindi richiamato in Germania nel marzo 1942 e qui riorganizzato per essere trasferito in Francia, dove il 21 luglio ricevette la qualifica di brigata e, il 17 ottobre, quella di divisione. Dal dicembre 1942 il destino delle truppe dell’Asse in Nord Africa era ormai segnato. L’armata italotedesca era presa fra due fuochi: da est, in seguito all’attacco cominciato a El-Alamein, avanzavano gli inglesi con la 8a Armata di Montgomery, da ovest le truppe americane affidate all’energico generale Patton, che le avrebbe condotte alla vittoria. Per cercare di freSA Abbreviazione di Sturmabteilung (o “squadre d’assalto”), gruppo paramilitare del partito nazista e suo braccio armato; note come “camicie brune” per il colore della divisa.
65
Alleati in Tunisia, nel 1943 alcuni reparti della DiGöring furono trasferiti dalla Francia al fronte del serto. I nuovi arrivati furono una spiacevole sorpresa per i soldati americani che, buttati allo sbaraglio, si trovarono contro dei veterani, esperti soprattutto nel combattimento corpo a corpo, avvezzi a maneggiare qualsiasi tipo di arma, dal mitragliatore pesante al pugnale, e soprattutto decisi a non cedere, forti di un addestramento altamente specializzato. I soldati della Göring furono gli ultimi a deporre le armi in Africa e vennero fatti prigionieri insieme ad alcune compagnie Il comandante Wilhelm italiane. Con loro si Schmalz. persero i migliori veterani dell’unità. Con i reparti rimasti in Europa come base e i vuoti riempiti con nuove reclute fu formata la Panzer-Division “Hermann Göring”, il cui atto ufficiale di nascita è del maggio 1943. L’unità fu trasferita in Sicilia e, all’avvio dell’Operazione Husky (lo sbarco alleato sull’isola), schierata a difesa della zona di Caltagirone e Gela, dove si sarebbe combattuta una drammatica battaglia, in particolare a Piano Lupo. La sua azione venne però ostacolata dalla differenza di mobilità e soprattutto dall’enorme potenza aeronavale angloamericana. Divisa in due gruppi, con circa 80 carri armati, la Göring diede poi inizio al graduale ripiegamento verso Messina, contendendo accanitamente ogni metro di territorio, con scontri particolarmente accaniti nella piana dell’Etna. Nel corso dell’Operazione Lehrgang (evacuazione del contingente tedesco) la Göring fu schierata in retroguardia e, anche stavolta, fu l’ultima a lasciare la Sicilia. Quando fu diffuso l’annuncio dell’armistizio (8 settembre 1943), la Divisione era in Campania e fu impiegata per contrastare l’Operazione Avalanche (lo sbarco a Salerno). Altri Gruppi d’attacco, come il Kampfgruppe Becker, vennero inviati a ostacolare le manovre della 8a Armata inglese in Puglia. Con il cedimento del fronte, la Göring risalì la Penisola, combattendo sui diversi schieramenti difensivi come la Linea Barbara e la Linea Bernhard , proteggendo il ripiegamento delle truppe tedesche sul fiume Rapido fino ad aprile, quando il comando passò da Paul Conrath al tenente generale Wilhelm Schmalz.
Gli uomini della Göring si dimostrarono, in ogni occasione, soldati senza paura. D’altra parte, la selezione per entrare a far parte di questo reparto era estremamente rigida: principale requisito era infatti, a parte la totale fedeltà, la speciale richiesta come volontario. L’addestramento era realmente massacrante e differiva appena da una vera battaglia in quanto non esistevano simulazioni. Non pochi uomini rimasero uccisi durante questa fase. Quando ricevevano le mostrine e l’uniforme mimetica erano già vere e proprie “macchine per uccidere”; avevano ricevuto un’educazione di tipo spartano per
SOLDATO DELLA HG IN BATTAGLIA
Kampfgruppe O “Gruppo da combattimento avanzato”, era un’unità non standardizzata, formata da più reparti, che veniva istituita per una determinata esigenza operativa. Poteva avere la consistenza di un battaglione o di un reggimento con diverse specialità, dalla fanteria al gruppo mezzi corazzati, anticarro e artiglieria. Dal punto di vista funzionale era autonoma, anche se rispondeva alle direttive del comandante del settore dove era impiegata. Linea Barbara e Linea Bernhard La prima era una linea di fortificazioni allestita dai tedeschi nell’autunno 1943, sviluppata per circa 35 km a metà strada fra la Linea Gustav e il corso del Volturno; venne superata dagli Alleati il 12 ottobre 1943. Si estendeva dalla costa tirrenica all’Adriatico. La seconda era incentrata su capisaldi nella regione di Cassino.
66
G. RAVA
ARCHIVIO
nare gli visione de-
Il fante della HG porta sopra l’uniforme un giaccone trequarti con mimetismo “splinter”; sull’elmetto ha una rete per completare il mimetismo con vero fogliame. La buffetteria è quella standard per l’arma, un fucile Mauser Kar98k.
Panzergrenadieren Le Panzegrenadier erano le unità di fanteria motorizzata o meccanizzata introdotte nelll’esercito tedesco durante la Seconda guerra mondiale.
NEL BEL PAESE Due foto di uomini della Divisione Göring in Sicilia: a sinistra, serventi a un pezzo da 88 mm Flak; a destra, fanti sulle brulle alture dell’isola.
NATIONAL ARCHIVE OTTAWA
Le rappresaglie
A
lla Divisione “Hermann Göring” vennero imputati rastrellamenti e fucilazioni avvenuti già nei giorni precedenti l’annuncio dell’armistizio, per esempio a Mascalucia e Castiglione, in Sicilia, e altri effettuati sull’Appennino tosco-emiliano, per un bilancio di oltre 700 vittime. Molti ufficiali e sottufficiali del reparto esploratori sono stati processati dal Tribunale militare di Verona nell’ottobre 2009 e nel luglio 2011 i giudici militari hanno emesso condanne all’ergastolo per 9 degli imputati. Testimonianze. Quando un reparto delle SS o della stessa Göring giungeva in un paese che doveva essere sottoposto a un esemplare castigo, l’accerchiamento veniva eseguito come se ci si trovasse in zona di guerra,
quindi si dava il via al rastrellamento. Dopo l’armistizio, ogni italiano era visto come un traditore dell’alleanza e quindi meritevole di atrocità e disprezzo. Non di rado le donne venivano allineate al muro e fucilate mentre gli uomini erano costretti a guardare prima di subire la stessa sorte. Il furore cieco che pervadeva i tedeschi in ritirata portò a pratiche inimmaginabili: nell’Appennino tosco-emiliano alcune donne incinte furono inchiodate con le baionette ai portali delle chiese. Qui, poi, venivano rinchiusi i civili sprangando le porte e si gettavano bombe a mano all’interno. Se qualcuno riusciva a uscire era accolto da raffiche di mitragliatrice. Capitava persino che i neonati venissero usati come bersagli, lanciati in aria al pari di bambole di pezza.
SIERRA (2)
cui l’estremo sacrificio in battaglia era semmai motivo di orgoglio. Per eseguire un ordine o difendere una posizione, non era concepita la resa, perché anche dopo avere sparato l’ultima cartuccia lo scontro non era terminato. Uccidere anche un solo nemico, attaccando con bombe a mano e pugnale fra i denti, se non a mani nude, significava eliminare comunque una minaccia. Ogni uomo della Divisione usava questo metro di ragionamento, e perciò i comandi superiori sapevano di poter guadagnare tempo utile se la prima linea era tenuta anche da una sola compagnia della Göring. Una delle più drammatiche dimostrazioni dell’accanimento di questi soldati scelti fu in occasione dell’Operazione Shingle, lo sbarco alleato ad Anzio. I Panzergrenadieren si lanciavano all’attacco sbucando da cespugli, da ruderi di case demolite dalle artiglierie, da buche nel terreno, di giorno, di notte, con il sole o con la pioggia, sempre in prima linea. Nell’area di Cisterna di Latina e Littoria il reparto fu praticamente decimato proprio perché i ripetuti attacchi, portati con il fanatismo della disperazione, si scontravano con la manifesta superiorità di uomini e mezzi del nemico. I giovani soldati americani, molti dei quali al battesimo del fuoco, non avevano grandi speranze di cavarsela in uno scontro diretto se di fronte a loro erano schierati i veterani della Göring. Con la liberazione di Roma, il 4 giugno 1944, la Divisione fu trasferita sul fronte orientale, dove si sarebbe svolto l’epilogo della sua storia e dove gli ultimi fedelissimi veterani combatterono con la forza della disperazione fino all’ultimo, sapendo che le truppe sovietiche avevano il preciso ordine di non fare prigionieri. Nella zona di Varsavia la Göring e la Divisione SS-Viking contribuirono in modo determinante all’accerchiamento di un intero Corpo d’armata sovietico. Il fronte orientale fu un teatro di guerra dove le parti in causa non avevano il concetto di economia di vite: i sovietici perché avevano una riserva praticamente inesauribile di materiale umano, i tedeschi perché avevano in prima linea reparti legati al giuramento di assoluta fedeltà fino all’estremo sacrificio. Gli scontri furono atroci e anche qui i soldati della Göring non si risparmiarono. Al comando di ufficiali e sottufficiali energi-
BATTAGLIA DI ANZIO 1944
Anzio
Osteriaccia Campoleone
Schlemm
I Fallschirmkorps
Mackensen
Herr
XIV Armata
LXXVI Panzerkorps
Ardea
Massimo avanzamento del VI Corpo
Aprilia
Cisterna
Carana
Primo cavalcavia
Avanzamento del VI Corpo dal 20 febbraio al 23 maggio
Isola Bella
Crocetta Padiglione
Campomorta ovi
ai nd isu
Le Ferriere
so
Conca
g gi
ia Sp
22 Gennaio 1944 il VI Corpo d’armata sbarca in 3 punti strategici
ete
aP r
RISERVA
Littoria
Nettuno Rocco Spi a
Lucas
Anzio
g gi
aX
Ra
y S. STANLEY
VI Corpo d’armata
LEGENDA Tedeschi Alleati Fanteria da montagna Fanteria meccanizzata Fanteria Unità corazzata Fanteria aviotrasportata III Reggimento x Brigata xx Divisione xxx Corpo d’armata
ARCHIVIO
xxxx Armata
Borgo Piave
E
cco i movimenti del fronte di Anzio dal 23 gennaio al 23 maggio 1944, l’Operazione Shingle: le frecce rosse mostrano il contrattacco delle truppe tedesche. Da ovest verso est. La mappa illustra le manovre della 14a Armata del generale von Mackensen con il 1° Fallschirmkorps del generale Schlemm, comprendente la 4a Divisione paracadutisti e la 65a Divisione di fanteria verso Campoleone; alle spalle, la 3a Div. corazzata in avanzamento da Albano e Genzano, con il rinforzo della 26a Divisione Panzer.
Il saliente nord-occidentale. Il contrattacco viene portato dalla 29a Divisione Panzer e dalla 245a di fanteria, mentre la 114a di fanteria e un reggimento di istruzione (Lehr) si portano verso Velletri. Il 76° Corpo d’Armata del generale Herr, che copre il fianco orientale del fronte, lancia un contrattacco con la 362a Divisione di fanteria verso Cisterna di Latina. Sempre a copertura del fianco orientale si muove la Divisione Göring, a presidio dell’importante Canale Mussolini dove opera anche il Battaglione Barbarigo della Xa MAS, e dove agisce a chiusura delle linee la 16a Divisione SS-Reichsführer, ai limiti di Borgo Piave e Littoria.
UOMINI E MEZZI Trasferimento per la Penisola di un Panzer III Ausf. L (dove Ausf. è l’abbreviazione di Ausführung, “versione” in tedesco). A lato, il maggiore della Göring Karl Rossmann, croce di cavaliere della Croce di ferro con fronde di quercia, una delle massime onorificenze.
SIERRA
Mar Tirreno
Sessano Canale Mussolini
Fer r
il generale americano Eisenhower disse che le unità panzer tedesche in Sicilia erano le migliori di tutta la guerra
Roberto Roggero
gli altri fedelissimi
1 Waffen-SS Panzerdivision “Leibstandarte Adolf Hitler” a
Data di nascita: 1933, con i primi 120 elementi della guardia del corpo di Hitler. Compiti: oltre che reparto destinato alla scorta personale del Führer, divenne un’unità specializzata temutissima. “Il mio onore si chiama fedeltà”, era questo il giuramento che i giovani militi delle SS pronunciavano nei confronti di Adolf Hitler e del comandante diretto Heinrich Himmler, frase incisa sul cinturone dell’uniforme. La fedeltà delle truppe combattenti delle SS si incarnò nella prima e più celebre divisione del Corpo nero, la 1a Divisione Leibstandarte SS Adolf Hitler, al comando del fedelissimo generale Sepp Dietrich, nata come nucleo scelto di guardie del corpo di Hitler e poi cresciuta fino a diventare divisione corazzata. Storia: fece il lavoro sporco durante la Notte dei lunghi coltelli (giugno/ luglio ’34), dimostrando assoluta fedeltà e determinazione anche durante l’Anschluss austriaco e l’annessione dei Sudeti. Dopo Polonia, Francia, Jugoslavia, Grecia, Italia, Normandia e Ardenne, l’apice dell’impegno e del sacrificio si ebbe con la grande Operazione Zitadelle a Kursk, poi a Kiev e Korsun e nei drammatici scontri sul lago Balaton (Ungheria, 1945). In seguito alla sconfitta, Hitler ordinò che la Divisione rimuovesse il bracciale con il suo nome dalle uniformi, ma il comandante Dietrich non trasmise l’ordine.
G. Rava
ci ed esperti, sempre alla testa di ogni attacco, gli uomini avevano un esempio da seguire, anche se tali iniziative spesso erano destinate a concludersi con la morte certa. L’impegno assunto faceva anche superare l’idea che, al punto in cui era ormai la guerra, una, cento, mille morti non avrebbero cambiato il destino del Terzo Reich. L’epilogo. Nell’ottobre 1944, il Corpo d’armata paracadutisti corazzati “Hermann Göring”, di nuova formazione, venne trasferito a est e schierato nel Kurland contro l’Armata Rossa. Si trovò praticamente circondato insieme ai resti della 4a Armata, fra l’Oder e la Vistola. I combattimenti nella sacca del Kurland sono ricordati fra i più sanguinosi dell’intero conflitto. I tedeschi attaccavano in piccoli gruppi o anche singolarmente, infiltrandosi fra i T-34 sovietici armati solo di una mina anticarro, spesso spalmata con il grasso dei cannoni perché aderisse alle corazze prima di esplodere. Poco importava se non si faceva in tempo ad allontanarsi. Oppure cercavano di salire sul carro nemico e aprire il portello per lasciarsi cadere all’interno, con una bomba a mano innescata nella cintura. Quando anche gli ultimi tentativi fallirono, venne organizzata un’evacuazione via mare. Gli effettivi, ormai ridotti a un quarto, furono sbarcati sulla costa della Pomerania e nuovamente impiegati sul fronte Oder-Neisse, insieme alla PanzergrenadierDivision Brandenburg (unità speciale poi utilizzata come normale fanteria) nella zona di Lodz. Nell’aprile 1945 i pochi sopravvissuti diedero inizio al ripiegamento verso la Sassonia, pur senza mai smettere di combattere, per tentare di raggiungere il corso dell’Elba e arrendersi agli americani. Vi riuscirono solo pochi gruppi isolati, mentre il grosso dell’unità fu circondato e costretto alla resa l’8 maggio. Ma i sovietici non erano gli americani e solo in pochi, grazie agli accordi internazionali per la liberazione dei prigionieri, riuscirono a tornare dai gulag della Siberia dopo la guerra. d
Saperne di più Hermann Göring, Gustavo Corni (Giunti). Per capire cosa spingeva questa divisione al sacrificio bisogna comprendere il suo creatore.
L’
abbazia si trovava lungo la Linea Gustav, uno dei molti “limiti invalicabili” stabiliti da Hitler per la Campagna d’Italia. Il luogo aveva subito diversi bombardamenti, però mai distruttivi come quelli fra il 5 e il 15 febbraio 1944, suggeriti dal comandante della 4a Divisione indiana Francis Tucker e approvati dal comandante del Corpo d’armata, il neozelandese Bernhard Freyberg. Da parte tedesca, il tenente colonnello Julius Schlegel e il capitano medico Maximilian
Becker, ufficiali della Göring, avevano compreso quale sarebbe stata la sorte dell’Abbazia nella battaglia che stava per scatenarsi e, coscienti del valore dei tesori custoditi, contattarono l’abate Gregorio Diamare per convincerlo ad autorizzare l’evacuazione dei monaci e del tesoro. In salvo. Ottenuta fiducia, predisposero l’imballaggio dei tesori (foto) con l’aiuto della popolazione. Volumi e opere di inestimabile valore furono così trasportati a Roma e consegnati al Vaticano.
Sierra
Il tesoro di Montecassino: leggenda o verità?
Questo almeno è quanto si sapeva. I giornalisti Benedetta Gentile e Francesco Bianchini, da veri detective della Storia, hanno ricostruito la vicenda in tutt’altro modo nel libro I misteri dell’Abbazia (Le Lettere): in realtà, sarebbe stato un altro ufficiale tedesco, Frido von Senger und Etterlin, nobiluomo poliglotta che non amava i nazisti, a salvare il tesoro sventando il piano di Göring, che avrebbe fatto ammassare le opere in un deposito in attese di farsele spedire a casa sua.
69
FEDELISSIMI
LEGIONE ARABA il primo nucleo nasce nel 1920; nel 1921 il tenente colonnello Peake ne fa una consistente forza di polizia. Dal 1939 al 1956 è guidata dal comandante Glubb Pascià.
LA LEGIONE ARABA FU IL CORPO SCELTO DI ABDULLAH DI GIORDANIA E RIUSCÌ A SEGNARE LA PRIMA GRANDE SCONFITTA DI ISRAELE
nasce come guardia dell’emiro Abdullah, secondo figlio dello Sharīf della Mecca Hussein. nel 1920 l’emiro Abdullah viene persuaso dagli inglesi ad accettare la sovranità sulle terre oltre il fiume Giordano (TransGiordania). Nell’aprile 1923 l’emiro conquista l’autonomia per la regione e in ottobre la sua guardia prende il nome di Al Jeish al Arabi o Arab Army (meglio nota come Arab Legion). Nel 1946 viene revocato il mandato britannico e l’emirato di Transgiordania diventa il Regno Hascemita di Giordania e Abdullah il suo primo sovrano.
TERRA DI CONQUISTA Pattuglia del Camel Corps della Legione araba nel deserto (1952). A destra, i Legionari con la loro kefiah. Solitamente erano dotati di fucili britannici Lee-Enfield.
La Guerra arabo-israeliana del 1948
Q
GEORGE RODGER/MAGNUM PHOTOS
uello dal 1948 fu, dopo la spartizione della Palestina, il primo conflitto con radici storicopolitiche, etniche e religiose tra il neonato Stato d’Israele e i Paesi arabi che da secoli consideravano l’area appar-
70
tenente solo ai palestinesi. Primi scontri erano in atto già dal ’47, ma dopo la fuoriuscita dei britannici nel maggio ’48, truppe provenienti da Egitto, Transgiordania, Siria, Libano, Iraq e altri Paesi arabi, penetrarono nella Palestina
cisgiordana. La forza di Israele. Le forze ebraiche dimostrarono però di essere militarmente più forti di quanto gli arabi si attendessero; non solo respinsero le forze arabe e resero sicure le frontiere di Israele, ma nei
primi mesi del 1949, al cessate il fuoco seguito da armistizi separati, avevano allargato del 50% il territorio assegnato in Palestina, mentre Striscia di Gaza e Cisgiordania restarono occupate da Egitto e Transgiordania.
atrun, in Palestina, sui primi contrafforti delle montagne della Giudea, domina dall’alto la valle di Ayalon e controlla il passaggio verso Gerusalemme, distante solo 15 chilometri a est. Che fosse di grande importanza strategica era già chiaro ai crociati, che qui eressero una roccaforte , tenuta dai templari fino al 1187. Ma la sua posizione divenne cruciale durante la Guerra arabo-israeliana del 1948: la cittadina si trovava nella zona assegnata allo Stato arabo dal Piano di partizione deciso dalle Nazioni Unite con la risoluzione n°181 del 1947, che aveva diviso il mandato britannico della Palestina in due Stati, uno ebraico e l’altro arabo. Da qui si controllava l’unico collegamento tra Gerusalemme, contesa tra l’esercito israeliano e le forze arabe, e il neo costituito Stato d’Israele. Di fatto, Latrun era l’unica via di rifornimento per la città. Nonostante questo, i comandanti israeliani non avevano inizialmente dato a questa cittadina grande importanza strategica; se ne resero conto solo tardivamente nel maggio 1948 quando, nella più totale indifferenza dei soldati britannici che stavano completando il ritiro dalla Palestina, le forze dell’ Esercito arabo di liberazione avevano preso il controllo della zona e colpivano regolarmente i convogli dei rifornimenti diretti agli israeliani di Gerusalemme Ovest.
Gli israeliani inviarono alcuni battaglioni delle Brigate Harel e Givati per liberare l’area, ma, dopo alcune iniziali penetrazioni nelle posizioni nemiche, si dovettero ritirare per schierarsi più a sud e nei dintorni di Gerusalemme, a causa dell’invasione delle forze arabe in Israele dopo il ritiro degli inglesi il 14 maggio. La presenza degli arabi in zona si stava rafforzando ed era chiara anche a loro l’importanza dello snodo di Latrun e dei villaggi circostanti, fulcro dell’imminente battaglia per la Città Santa. È a questo punto che, dopo aver fatto ritirare le forze raccogliticce di Fawzi al-Qawuqji, entrò in campo nell’area un’unità transgiordana di tutto rispetto, addestrata e comandata da ufficiali inglesi; l’unico reparto davvero in grado di contrastare efficacemente le forze dell’ Haganah : la Legione araba. La nascita della Legione si perde nel tempo e nelle pietraie giordane al tempo della Grande guerra, quando T.E. Lawrence, più noto come Lawrence d’Arabia (v. Focus Storia Wars n. 10), Haganah In ebraico “la difesa”, era l’organizzazione militare nata negli anni ’20 per difendere gli insediamenti ebraici in Palestina. Fu affiancata dall’Irgun, più estremista, negli anni ’30. Entrambe furono la base delle Forze di difesa istraeliane (Tzahal) costituite a fine maggio 1948, pochi giorni dopo la nascita dello Stato d’Israele.
Roccaforte Il nome di “Latrun” pare possa derivare proprio da una corruzione del nome della roccaforte crociata: “Le toron des chevaliers”. Altra ipotesi è che venga da “Castellum boni Latronis”: il “buon Ladrone” che fu crocifisso sul Golgota, appena fuori dalle mura di Gerusalemme, insieme a Gesù.
THE LIFE PICTURE COLLECTION/GETT
Esercito arabo di liberazione Esercito creato in Siria dalla Lega araba, era formato da circa 6.000 volontari siriani, libanesi, iracheni, giordani, arabi palestinesi e da militanti dei Fratelli Musulmani egiziani. Formalmente era comandato dal generale iracheno Isma’il Safwat, ma nella realtà dal siriano Fawzi al-Qawuqji.
SIERRA
ARMI INGLESI Aldershot, Inghilterra, l’emiro Abdullah si addestra al tiro con armi britanniche sotto la supervisione di ufficiali e sottufficiali dell’Esercito di Sua Maestà.
aveva formato una prima embrionale armata beduina autonoma, che sotto il suo comando contrastava i turchi con tecniche di guerriglia. Nel 1918 Lawrence e i suoi “legionari” entrarono tra i primi a Damasco, ma con i patti di Parigi e Sanremo i sogni arabi si spensero e i reparti si sbandarono. Alcuni però sopravvissero militarmente con l’emiro ascemita Abdullah, al quale gli inglesi avevano assegnato la Transgiordania, emirato dai confini incerti a est della Palestina. Qui, negli anni ’20, alcune cose cambiarono. I patti stipulati da Abdullah con Londra prevedevano infatti che per assicurare l’ordine nella regione, di fatto senza controllo, fosse costituto un piccolo ma efficiente esercito di beduini al comando di ufficiali britannici. Come consigliere militare di Abdullah venne inviato sul posto il capitano F.G. Peake, già ufficiale dell’Egyptian Camel Corps, che aveva combattuto anche con Lawrence. Peake doveva formare le forze trangiordane che sarebbero poi diventate famose come Legione araba. I veterani di Lawrence ne costituirono l’ossatura e dai primi 100 uomini si arrivò presto al migliaio. Per pattugliare lo sterminato confine con l’Arabia Saudita furono creati reparti a cavallo e cammellati di pronto impiego, copia esatta di quelli utilizzati da Lawrence anni prima. Armi e addestramento erano forniti dagli inglesi e lo stesso emiro fu inviato ad Aldershot a impratichirsi con le più moderne armi britanniche. Già da subito la Legione fu impegnata a stroncare una ribellione interna e, in proporzione numerica di uno a cinque, a difendere Amman da un’invasione di arabi sauditi. Ma l’upgrade, come diremmo oggi, della Legione arrivò nei primi anni ’30, quando le fu assegnato, come vice di Peake, il giovane maggiore John Bagot Glubb, che a soli 33 anni era già un esperto ufficiale coloniale e un veterano di guerra. Egli Parigi e Sanremo La Conferenza di pace di Parigi del 1919-20 delineò i nuovi assetti dopo la guerra; a Sanremo (1920) si definirono i mandati che Francia, Regno Unito e Italia avrebbero avuto dalla spartizione dell’Impero ottomano. Le promesse fatte agli arabi in queste sedi furono disattese.
72
applicò alla Legione le tattiche della guerriglia e della “guerra lampo” e, dopo averne preso il comando nel 1939 col nome di Glubb Pascià, fece in modo di motorizzarla e dotarla di armi all’avanguardia, come mitragliatrici e artiglieria, oltre a un reparto del Genio. La Legione era armata ed equipaggiata all’inglese, ma portava come copricapo la tradizionale kefiah beduina bianca e rossa. Divenne un’élite nell’intero panorama militare dell’area: rifornita con i materiali e i cavalli migliori del Paese, era composta – oltre agli ufficiali inglesi – da uomini sceltissimi, non solo come soldati, ma anche per estrazione sociale. La fedeltà ad Abdullah e all’emirato erano alla base del reclutamento. Durante la Seconda guerra mondiale Glubb poté dimostrare pienamente la valenza militare di quella che, quasi “in toto”, era la sua creatura. Affiancando i britannici, nel 1941 reparti della Legione araba conquistarono la città di Baghdad in un Iraq nazionalista filo-germanico e poi ancora, nella Battaglia di Palmyra (1-2 luglio 1941), in Siria, sconfissero le truppe francesi di Vichy lì stanziate, catturandone tutta la guarnigione. Alla fine della guerra la Legione contava circa 8.000 uomini. Grazie anche a queste prove dei suoi soldati, nel 1946 la Transgiordania ottenne la completa indipendenza e da emiro Abdullah ne divenne il sovrano. La Legione era il suo fiore all’occhiello. Ma erano anni critici per il Medioriente: la risoluzione dell’Onu che divideva in due la Palestina contesa da arabi ed ebrei, e la prossima scadenza del mandato inglese, addensavano sulla regione fosche nubi di guerra. La Legione si trovava in una posizione anomala: da un lato era da sempre un reparto ausiliario degli stessi inglesi; dall’altro era la punta di diamante delle forze armate della Transgiordania, che faceva parte della Lega araba apertamente anti-israeliana. Questa posizione in bilico permetteva però alcune scappatoie e la Legione, con Glubb Pascià in testa, faceva un po’ da ago della bilancia consentendo anche una certa mediazione politica tra i vari contendenti, per tentare di salvare il salvabile ed evitare un conflitto. Ma i giochi erano fatti e la guerra non si poteva fermare. A questo punto era chiaro che al termine del mandato britannico la Legione – ormai con l’organico di una divisione – avrebbe potuto solo schierarsi in funzione anti-israeliana. Rinforzati da armamenti recuperati a opera di Glubb dai suoi amici inglesi in smobilitazione, i Legionari attraversano il Giordano e, come abbiamo visto, si schierano a Latrun tra il 15 e il 17 maggio 1948. Teoricamente avrebbero dovuto fare solo da cuscinetto e “attaccare solo se attaccati”; in pratica le cose andarono diversamente. Glubb inviò anche a Gerusalemme un battaglione, che combattendo casa per casa cacciò gli israeliani dai quartieri arabi e da quello ebraico della Città Vecchia. Intanto rafforzò l’area con un’intera brigata e quando il 23 maggio gli israeliani, che non avevano ben chiara l’entità delle forze nemiche, lanciarono l’operazione Ben Nun verso il saliente di Latrun, furono rapidamente sconfitti. Vichy Per Governo di Vichy o Regime di Vichy si intende lo Stato che dopo l’invasione tedesca della Francia nella Seconda guerra mondiale (16 giugno 1940) governò la parte meridionale del Paese. Si trattava di un Paese satellite del Terzo Reich, solo formalmente indipendente.
Il Pascià e la sua creatura
THE LIFE PICTURE COLLECTION/GETT
J Glubb Pascià (a sin.) con re Abdullah di Giordania nel 1941.
IL MEZZO
HULTON-DEUTSCH COLLECTION/CORBIS
1941, un membro della Legione araba sul suo dromedario, mezzo ideale per spostarsi nel deserto. Sotto, distintivo della Legione, che era portato sul davanti della tradizionale kefiah bianca e rossa.
ohn Bagot Glubb nacque nella cittadina inglese di Preston il 16 aprile 1897, figlio di un generale. Ufficiale del Genio durante la Grande guerra, combatté in Mesopotamia e poi in Francia. Qui una scheggia gli asportò parte del mento e per questo venne poi chiamato dagli arabi Abu-al-Huneik (Padre dal piccolo mento). Dopo la guerra
decise di entrare nel servizio coloniale. Mandato come consigliere presso le tribù beduine, al pari di Lawrence d’Arabia ne imparò la lingua e le usanze e si vestì come loro. Nasce il mito. Nel 1930 fu inviato nella Legione araba, che comandò dal ’39 al ’56 con il nome di Glubb Pascià. Molto amato e rispettato, trasformò la Legione in
un’unità d’élite. Nel 1948, dopo la vittoria a Latrun e Gerusalemme, gli venne offerto il comando di tutte le unità arabe, che rifiutò. Considerato troppo tradizionalista, nel 1956 fu allontanato da re Hussein. Ormai la “sua” Legione non era più la stessa. Si ritirò in Inghilterra a scrivere articoli e ben 20 libri sulle sue esperienze. Morì a Mayfield nel 1986.
Latrun
BATTAGLIA DI LATRUN 1948 Strada per Lydda/ Tel-Aviv
LEGENDA Confini del territorio controllato da Israele a maggio 1948 Territorio controllato da Israele a luglio 1948 Territorio controllato dalla Legione araba (4° Reggimento) a maggio 1948 Territorio controllato dalla Legione araba a luglio 1948
Roccaforte Monastero Latrun
Strada per Gerusalemme Burma Road
LE ARMI
SIERRA (2)
THE LIFE PICTURE COLLECTION/GETT
Truppe meccanizzate della Legione araba, montate su autoblindo Marmon-Herrington Mk IV. Sopra da sinistra, una mitragliatrice leggera Bren e un fucile Lee Enfield N.1 MKIII (Smle) di produzione britannica, entrambi in calibro 303 british, in dotazione alla Legione.
74
Primi di maggio 1948: l’Esercito arabo di liberazione occupa la zona di Latrun. 8 maggio/15 maggio: scatta l’Operazione Maccabei, con le forze israeliane che cercano di riprendere l’area e in parte vi riescono, ma che poi l’abbandonano. 14 maggio: viene dichiarata unilateralmente la nascita dello Stato di Israele. 15 maggio: scade il mandato britannico sulla Palestina. I Paesi arabi entrano in guerra. L’Onu sancisce la nascita di Israele. 15/18 maggio: a Latrun si schiera la Legione araba. 23 maggio: l’operazione israeliana Ben Nun-(Alef) verso Latrun si risolve in un fallimento. 30/31 maggio: gli israeliani, che ora controllano uno stretto corridoio tra il mare e Gerusalemme, fanno scattare l’operazione Ben Nun-(Bet), su due direttrici, ma di nuovo sono costretti al ritiro. 8/9 giugno: con un forte tiro d’artiglieria parte l’Operazione Yoram. L’attacco
stavolta è al centro dello schieramento, con manovre diversive al nord. Due contrattacchi giordani rendono vana l’operazione. 10 giugno: viene completata la Burma Road tra le montagne; i primi convogli possono finalmente rifornire Gerusalemme Ovest. 11 giugno/8 luglio: prima tregua voluta dall’Onu nel conflitto arabo-israeliano. 15/18 luglio: nella seconda fase dell’operazione Dani, sono lanciati altri due costosi attacchi a Latrun (uno un’ora prima della tregua), ma senza riuscita. 18 luglio /15 ottobre: seconda tregua Onu, ma a settembre proseguono scaramucce a Latrun. 26 settembre: dopo un’accesa discussione, il governo d’Israele decide di sospendere gli attacchi a Latrun, che rimane in mano giordana; sarà occupata dall’Idf (Israel Defence Forces) solo nel 1967. Febbraio /luglio 1949: si firmano armistizi separati tra i belligeranti.
IL LEGIONARIO
G. RAVA
Nel 1948 gli uomini di Glubb Pascià erano equipaggiati con materiale inglese risalente alla Seconda guerra mondiale. Il sergente qui a lato indossa un Battle Dress mod. 40 in panno e imbraccia un mitragliatore americano Thompson, fornito ai britannici durante la guerra.
Il 27 maggio però, con un’inversione di tendenza legata agli equilibri che si stavano delineando nell’area, il governo di Sua Maestà ritirò gli ufficiali inglesi dalla Legione. Questa rimase senza quadri di comando, a parte lo stesso Glubb che dal 1945 aveva lasciato l’esercito britannico e comandava la Legione da “civile”. In poco tempo, grazie anche a un reclutamento nel Regno Unito, dove la Legione aveva aperto un ufficio, la situazione si ristabilì. Ai ranghi si aggiunsero altri soldati e ufficiali inglesi che, già rimpatriati, vi rientravano per vie traverse. Quando l’Haganah tentò una seconda offensiva a fine maggio, la Legione era pronta: anche stavolta la difesa fu accanita e la sconfitta israeliana inevitabile. Le truppe d’Israele, sempre più rafforzate, ci riprovarono altre tre volte, spesso con sanguinosi attacchi frontali. Inutilmente. Le posizioni attorno a Latrun, difese dai Legionari, erano imprendibili. Gli israeliani, dopo cinque attacchi senza successo in pochi mesi, desistettero da ulteriori sforzi preferendo aggirare l’ostacolo e rifornire Gerusalemme tramite una strada costruita con enormi sforzi più a sud, attraverso le montagne, chiamata “Burma Road” (v. riquadro sotto). Nella guerra del 1948 la Legione fu la sola forza araba a sconfiggere il motivato esercito israeliano, nei cui quadri combattevano anche molti reduci della Shoah. Latrun, considerata da alcuni la più grande sconfitta isreaeliana di sempre, rimase sotto controllo giordano fino alla Guerra dei Sei giorni del 1967. Nel 1951, con l’assassinio di re Abdullah e l’ascesa al trono del figlio Talal, malato di mente, anche la Legione araba iniziò la sua decadenza. Il Paese era sempre più disgregato quando nel 1953 salì al potere il diciassettenne Hussein. Influenzato dal vento nazionalista proveniente dall’Egitto di Nasser, nel 1956 il nuovo re allontanò il vecchio Glubb Pascià e tutti gli ufficiali inglesi, unì la Legione alla Guardia nazionale e diede vita all’Esercito giordano. La Legione araba, di fatto, non esisteva più, anche se il nome avrebbe indicato ancora per anni l’intero esercito di Hussein. Non così la sua leggenda: durante la battaglia di Amman del 1970 contro i guerriglieri palestinesi dell’ OLP , sui calci dei fucili di molti veterani ancora addestrati dagli inglesi si vedeva la foto del re. Oggi uniformi e tradizioni della Legione sopravvivono in un piccolo reCristo con il fucile in spalla, parto di beduini (la Beduin Police) che R. Kapuściński (Feltrinelli). Il grande inviato polacco scomparso nel pattuglia la zona desertica tra Amman e il confine con Iraq e Arabia Saudita.d 2007 raccontava nei suoi reportaStefano Rossi
ge la storia militare della Palestina.
OLP Organizzazione per la liberazione della Palestina. Fondata a Gerusalemme nel maggio 1964 dalla Lega araba, il suo obiettivo era la liberazione della Palestina attraverso la lotta armata. La sua maggiore sconfitta ci fu nel 1970 in Giordania quando, negli eventi noti come “Settembre Nero”, i suoi gruppi armati furono attaccati dalle forze giordane ed espulsi dal Paese.
Automezzi israeliani sulla Burma Road.
Una seconda ÒBurma RoadÓ
L
a strada che passava per Latrun, sotto controllo arabo, era l’unica carrozzabile per Gerusalemme, sotto assedio; le zone collinari a sud non erano transitabili. Furono però scoperte alcune piste che collegavano tra loro piccoli villaggi: il Genio israeliano decise di trasformarle in una
via per far passare di lì, aggirando Latrun, i convogli di camion coi rifornimenti. Come in Birmania. Centinaia di uomini si dedicarono con ogni mezzo alla costruzione della tortuosa strada chiamata “Burma Road” (dal nome di quella costruita da cinesi e inglesi durante la Seconda guerra
mondiale sulle montagne tra Birmania e Cina). Inizialmente fu predisposto un tratturo transitabile solo da uomini, muli e dromedari, ma nel giugno 1948, poco prima del cessate il fuoco, i primi convogli di camion poterono rifornire i circa 100.000 abitanti ebrei della città, liberandoli così dall’assedio.
UNIFORMOLOGIA
L’IMPIEGO DELL’AVIAZIONE IN OPERAZIONI BELLICHE INIZIÒ GIÀ NEL 1911, MA AEREI E PILOTI DIVENNERO PROTAGONISTI A PARTIRE DAL 1935-36
DELLA II GUERRA MONDIALE a Seconda guerra mondiale fu il primo conflitto in cui realmente la guerra aerea ebbe enorme importanza sia dal punto di vista tattico sia strategico. La capacità del mezzo aereo di modificare le sorti di un singolo combattimento o, più in generale, dell’intera guerra fu sfruttata ampiamente da parte di tutti i principali contendenti, non senza sforzi produttivi enormi testimoniati dagli oltre 600.000 aerei costruiti durante il conflitto: un numero tre volte maggiore di quelli prodotti nel corso della Prima guerra mondiale. L’aereo, insomma, era diventato un vero protagonista e sarebbe stato utilizzato per i compiti più disparati, dal bombardamento alla copertura di truppe al suolo, dalla difesa degli spazi aerei al trasporto, fino alla caccia ai sottomarini o all’aviolancio di paracadutisti. Anche la tecnologia aeronautica ebbe un’impennata mai pensata e in pochi anni si passò dagli obsoleti biplani, ancora in volo nel 1941, ai jet degli ultimi anni di guerra. Contestualmente furono sviluppati e adottati equipaggiamenti e uniformi per chi sugli aerei doveva combattere e spesso sopravvivere: completi termici per l’alta quota, giubbotti salvagente, paracadute, maschere per l’ossigeno e quant’altro permetteva all’uomo di stare al passo con lo sviluppo delle macchine volanti. L’uniformologia legata agli aviatori della Seconda guerra mondiale è quindi una delle più interessanti e qui presentiamo alcune delle combinazioni di volo adottate dai maggiori belligeranti che combatterono nei cieli di tutto il mondo. d Stefano Rossi 76
L’ufficiale pilota è in decollo per una delle quotidiane missioni di volo sul suolo tedesco. Sopra la combinazione di volo A-4 porta un giubbotto in pelle (A-2) e alla cuffia ha preferito il normale berretto dell’uniforme, tradizionalmente portato schiacciato.
Il pilota, di un reparto imbarcato sulla portaerei Saratoga, porta sotto il paracadute un gilet gonfiabile di salvataggio AN-R2, completo di marcatori per l’acqua; oggetti indispensabili, in caso di ammaraggio per i piloti che operavano sull’oceano.
Per missioni in alta quota, con lunghe ore passate in posizione scomoda, serviva vestiario speciale come questo completo in pelle e pelo di montone, portato sopra una combinazione F-1 elettro-riscaldata; il tutto era completato dalla maschera per ossigeno A-8B.
I pochi piloti da caccia afroamericani, addestrati alla base di Tuskegee in Alabama, combatterono con onore in Italia e in Francia, volando sui caccia Curtiss P-40 Warhawk, Bell P-39 Airacobra, Republic P-47 Thunderbolt e North American P-51 Mustang.
DISEGNI DI G. ALBERTINI CON LA CONSULENZA STORICA DI STEFANO ROSSI
Per difendersi dalla temibile contraerea tedesca, gli aviatori americani furono dotati di protezioni aggiuntive: qui il mitragliere indossa, sopra la tenuta di volo, un gilet paraschegge Wilkinson e un elmetto antiflak M3 con paraorecchie mobili.
I giovani piloti inglesi che nel 1940 fronteggiavano la potenza aerea tedesca, indossavano per lo più, come in questo caso, cuffia Type B, giubbotto di salvataggio mod. 32, stivali mod. 39 e paracadute, portati sopra la normale divisa di servizio.
Nelle colonie anche gli aviatori riducevano equipaggiamento e vestiario al minimo; qui il flight lieutenant indossa solo camicia e pantaloni di tela oltre a una cuffia Type D e l’indispensabile paracadute “a seggiolino” dei piloti dei caccia.
78
L’aviatore ha tenuto l’utilissimo completo Irvin, in pelle foderata, di inizio guerra. Il gilet di salvataggio, con il kit di sopravvivenza, è del mod. 1941, mentre in mano porta il paracadute ventrale che aggancerà solo in caso di salto dal velivolo.
Il sottufficiale è equipaggiato con una tuta “galleggiante” Taylor Buoyancy Suit (con questa tuta era inutile indossare il “Mae West”, il giubbotto gonfiabile salvagente), sopra un completo riscaldato Type H. Ai piedi gli stivali imbottiti mod. 41.
RAF E LUFTWAFFE DOMINAVANO I CIELI, EPPURE LA REGIA AERONAUTICA ERA STATA ALL’AVANGUARDIA FINO AL 1935
Il maggiore, in attesa di partire in missione, indossa il giubbotto di un completo da volo estivo sopra una giacca sahariana, comunemente in uso agli ufficiali di tutte le armi in Africa. Cuffia, occhiali e stivali completano la dotazione di volo.
Per volare sugli Ju-87 Stuka (da noi soprannominati “picchiatelli”) tedeschi, furono forniti dall’alleato anche cuffie di volo germaniche lkp w101, giubbotti salvagente e paracadute, capi qui portati sopra un completo da volo italiano tipo “Marus”.
Il tenente pilota, in decollo dalla base di Gadurrà (Isola di Rodi, Egeo), porta la leggera combinazione estiva (giubbotto e pantaloni) detta “atlantica”, in tela, corredata di cuffia in pelle bianca, salvagente e paracadute mod. Salvator D39.
Per le rigide condizioni dell’inverno russo i piloti, che spesso volavano con capottine aperte, usavano tute intere foderate con il collo in pelo, come quella raffigurata, oltre a cuffie con interno in pelo, alti stivali in pelle di cane e guantoni imbottiti.
In inverno i piloti dell’aviazione imbarcata sulle portaerei della Flotta imperiale, come questo Sho-hsa (capitano di corvetta), usavano cuffie e guanti con morbido interno di pelo di coniglio e, sotto salvagente e paracadute, tute foderate.
In Urss durante il conflitto moltissime donne furono impiegate come piloti. Qui la sottotenente porta una normale uniforme di servizio su cui spicca il brevetto, abbinata – ma solamente per il volo – a un paracadute e a una cuffia in pelle con occhialoni.
Con pochissimo addestramento ed equipaggiamento al minimo, il pilota, uscito dal Centro addestramento di Chiran, è pronto a buttarsi contro il nemico invasore statunitense. La spada e le scritte fanno parte dell’antico rituale dei guerrieri Samurai.
L’AVIAZIONE SOVIETICA SI FECE LE OSSA IN MONGOLIA, I NIPPONICI NELLA GUERRA CINO-GIAPPONESE Il sottotenente pilota, in attesa di decollo, porta abbigliamento leggero e pratico. Occhiali, bussola e salvagente in kapok (imbottitura in bambagia vegetale) sono a portata di mano, mentre cuffia e paracadute sono vicini all’aereo e verranno indossati solo al momento della partenza.
Il membro dell’equipaggio di uno Junker JU 88 P-1 è vestito con una delle combinazioni di cuoio foderate in uso alla Luftwaffe. Anche la cuffia, in pelle, è foderata in pelo d’agnello. Sulla gamba sinistra sono agganciate le cartucce per la pistola da segnalazione.
Nell’estate del ’40, il pilota indossa una tuta intera in tela di produzione anteguerrra con sopra un gilet di salvataggio (Schwimmenveste) mod. Swp 734 e un paracadute dorsale (Ruckenfallschirm) RuFa12. La cuffia estiva in tela (Sommerkopfhaube) è una Lkps 100.
Il capitano pilota, un veterano che difende la Germania negli ultimi mesi di guerra, indossa, sopra il corto giacchino in pelle, il giubbotto di salvataggio 10-30-B2. I grossi tasconi dei pantaloni contengono pistola lanciarazzi e materiale di sopravvivenza.
81
WARS
RECENSIONI
VISTI E LETTI SAGGISTICA A cura della Libreria Militare Via Morigi, 15 - 20123 Milano - tel/fax: 02 89010725 e-mail:
[email protected] www.libreriamilitare.com
Predicazione, eserciti e violenza nell’Europa delle guerre di religione a cura di Gianclaudio Civale Dagli atti di un convegno, un interessante spaccato sociopolitico su come la religione sia stata usata senza remore per giustificare teologicamente un coflitto, ma anche come sprone alla violenza, strumento di propaganda e arruolamento, nonché sistema disciplinare, sia nel campo cattolico che protestante. Claudiana, Società di Studi Valdesi, pag. 374, € 35
ROMANZI A cura di Lidia Di Simone
La mano mozza di Blaise Cendrars Fra le opere uscite per il centenario della Grande guerra, viene rieditata l’autobiografia di culto di un autore svizzero. Eccolo sul fronte della Somme in mezzo ai soldati della Legione Straniera. Uomini anarchici e libertari, ma anche delinquenti e sbandati, affrontano il fango delle trincee per un Paese che non è il loro. In questo racconto pulp molti perdono la vita o solo qualche pezzo: tra questi lo stesso Cendrars, al quale una raffica di mitragliatrice porta via la mano destra. Elliot, pag. 271, € 16,58
Gruner+Jahr/Mondadori S.p.A. Via Battistotti Sassi, 11/a - 20133 Milano
Direttore responsaBile Jacopo Loredan CoorDinaMento Lidia Di Simone (caporedattore) art DireCtor Massimo Rivola (vicecaporedattore) uffiCio Centrale Aldo Carioli (caporedattore), Marco Casali (photo editor, vicecaporedattore), Andrea Parlangeli (caporedattore centrale) reDazione Federica Ceccherini, Marta Erba, Irene Merli (caposervizio), Giuliana Rotondi, Anita Rubini photo eDitor Patrizia De Luca (caposervizio), Rossana Caccini reDazione GrafiCa Katia Belli, Mariangela Corrias (vicecaporedattore), Barbara Larese, Vittorio Sacchi (caposervizio) seGretaria Di reDazione Marzia Vertua hanno CollAborAto a questo nuMero Giorgio Albertini, Gastone Breccia, Giuliano Da Frè, Andrea Frediani, Marco Lucchetti, Fernando Mazzoldi, Angelo Pirocchi, Roberto Roggero, Stefano Rossi, Sergio Valzania Business ManaGer Barbara Ferro DireCt mArketing & DigitAl CirCulAtion Development mAnAger Michela Lupi CoorDinAmento teCniCo Valter Martin
FILM A cura di Lidia Di Simone
Fra i dannati della Terra Storia della Legione Straniera di Gianni Oliva Agile sintesi della storia della Legione Straniera, i “dannati della Terra, i feriti di tutte le guerre”, come recita uno dei loro canti più famosi. Dalla conquista dell’Algeria nel 1830 alle odierne missioni, passando per le due guerre mondiali, gli innumerevoli conflitti coloniali, le guerre d’Indocina e Algeria. Più che con la storia si ha a che fare con il mito, forgiato nell’immaginario collettivo dalle tante canzoni, dalle innumerevoli pellicole e dal ricordo delle gesta eroiche di questi stranieri che da 150 anni si battono per la Francia. Mondadori, pag. 258, € 22
Il fuoco e il gelo. La Grande guerra sulle montagne di Enrico Camanni Nel racconto di uno dei più noti cantori della montagna, basato su decine di diari e memorie dell’epoca, le imprese alpinistiche, le battaglie, le sofferenze e i rischi dei combattenti su uno dei fronti meno conosciuti ma più affascinanti della Prima guerra mondiale. Un terreno dove la morte poteva arrivare dall’azione del nemico, ma anche dalla furia degli elementi e dall’asprezza delle condizioni di vita, comuni per tutti i combattenti. Laterza, pag. 212, € 16
82
American sniper Dopo Ermanno Olmi e il suo capolavoro sulla Grande guerra Torneranno i prati, un altro virtuoso della regia si dedica ai film a tema bellico. Clint Eastwood gira la pellicola tratta dall’autobiografia di Chris Kyle, cecchino dei Navy Seals, il tiratore scelto più letale della storia militare Usa. L’uomo viene mandato in missione in Iraq, dove lo ribattezzano “il diavolo”. Con Bradley Cooper. Warner Bros, nelle sale dal 1° gennaio
Fury Aprile 1945: mentre gli Alleati sferrano l’attacco decisivo in Europa, il sergente Wardaddy (Brad Pitt) e l’equipaggio del suo Sherman affrontano una missione mortale dietro le linee nemiche per colpire al cuore la Germania nazista. Il regista David Ayer firma quasi un action movie. Columbia, nelle sale dal 29 gennaio
Unbroken Seconda guerra mondiale, l’olimpionico Louis Zamperini scampa a un incidente aereo, sopravvive su una zattera per 47 giorni, viene catturato dalla Marina nipponica e spedito in un campo di prigionia. Eccone la drammatica storia nel film diretto da Angelina Jolie e sceneggiato dai fratelli Coen. Universal, nelle sale dal 29 gennaio
AmministrAtore DelegAto e Chief operAting offiCer Roberto De Melgazzi publisher mAgAzine Elena Bottaro Direttore Del personAle e AffAri legAli Lucio Ricci Direttore Controllo Di Gestione Paolo Cescatti Focus Storia Wars: Pubblicazione trimestrale registrata presso il Tribunale di Milano, n. 162 del 31/03/2010. Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica sono riservati. Il materiale ricevuto e non richiesto (testi e fotografie), anche se non pubblicato, non sarà restituito. Direzione, redazione, amministrazione: Via Battistotti Sassi, 11/a 20133 Milano. Telefono: 02/762101; e-mail:
[email protected]; e-mail amministrazione:
[email protected] Stampa: Nuovo Istituto Italiano Arti Grafiche Arvato, via Zanica, 92 24126 Bergamo. Distribuzione: Press-di Distribuzione Stampa & Multimedia s.r.l. - 20090 Segrate (Mi). Abbonamenti: 4 numeri € 19,90 + spese di spedizione. Non inviare denaro. Per informazioni o per comunicare il cambio di indirizzo telefonare esclusivamente ai numeri: dall’Italia 199 111 999 costo da telefono fisso € 0,12 + Iva al minuto senza scatto alla risposta, costo da cellulare in funzione dell’operatore; dall’estero +39 041.5099049; fax 030/7772387. Il servizio abbonamenti è in funzione da lunedì a venerdì dalle 9.00 alle 19.00. Oppure scrivere a Press-di Srl Servizio Abbonamenti – Via Mondadori, 1 – 20090 Segrate (Mi); e-mail:
[email protected] Servizio collezionisti: i numeri arretrati possono essere richiesti direttamente alla propria edicola al doppio del prezzo di copertina, salvo esaurimento scorte. Per informazioni: tel. 199/162171 (il costo della telefonata è di 14,25 centesimi al minuto Iva inclusa); fax: 02/95970342; e-mail:
[email protected] Garanzia di riservatezza per gli abbonati. L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi dell’art. 7 D. leg. 196/2003 scrivendo a: Press-di srl Ufficio Privacy – Via Mondadori, 1 – 20090 Segrate (Mi); e-mail:
[email protected]
L’editore è a disposizione degli eventuali detentori di diritti che non sia stato possibile rintracciare.
Periodico associato alla FIEG (Federaz. Ital. Editori Giornali)
Codice ISSN: 2038-7202
Focus Storia Collection. Storia e storie da collezione.
Focus Storia Collection. In questo numero tutto sui popoli scomparsi.