Storia SCOPRIRE IL PASSATO, CAPIRE IL PRESENTE
MENSILE – Austria, Belgio, Francia, Lussemburgo, Portogallo, Spagna � 8 - Germania � 11,50 - Svizzera CHF 10,80 - Svizzera Canton Ticino CHF 10,40 - Canada CAD 11,50 - USA $ 11,50
n°110
DIRITTO DI CRONACA
Come la stampa nei secoli conquistò la libertà
I PRIMATI DI ROMA ANTICA
Churchill
Che cosa ci faceva sotto falso nome in Italia nel ’45?
Invasioni 1242 I Mongoli terrorizzano l’Europa
DICEMBRE 2015 � 4,90 in Italia
Sped. in A.P. - D.L. 353/03 art.1, comma 1, DCB Verona
LA CIVILTA DEI RECORD ESPLORAZIONI, ARCHITETTURA, LUSSI, IDEE, CONQUISTE DALLA REPUBBLICA ALL’IMPERO
GIUBILEI
CRONACA E CURIOSITÀ DEI PELLEGRINAGGI A SAN PIETRO
PROFEZIE AZZECCATE 300 ANNI FA UNO SCRITTORE ANTICIPÒ INTERNET. E NON FU L’UNICO VISIONARIO
ISOLE DEL SUD
LIPARI, LAMPEDUSA, TREMITI... QUANDO SBARCARONO I COLONI
ROMA: LA NASCITA DELLA CITTà ETERNA
Fumetto inedito a colori
un antico simulacro della dea atena, risalente alla caduta di troia e custodito da enea stesso, riemerge dalle ceneri del passato per difendere roma dalla minaccia di annibale.
historica
La grande storia narrata dai caPoLavori a fumetti Ogni mese in edicola, in libreria e nelle migliori fumetterie Per saPerne di PiÙ: www.mondadoricomics.it
© 2015 editions gLÉnat
soli L’egemonia e 12,99 di una città e di una civiLtà uniche, tra storia e Leggenda.
110 dicembre 2015
focusstoria.it
Storia
U
Jacopo Loredan direttore
R UBRICHE 4 LA PAGINA DEI LETTORI
6 NOVITÀ & SCOPERTE
9 AGENDA
IN PIÙ...
14 LaNOVECENTO misteriosa vacanza di sir Winston
Che cosa ci faceva Churchill sul Lago di Como nel 1945?
POPOLI 20 Profughi, esuli, GETTY IMAGES
na strada sospesa alle scogliere sui meandri del Danubio. Il simulacro di Nerone nella Domus Aurea, 35 metri di altezza e 24 elefanti per trasportarlo. La prima partita di rugby, il primo ambulatorio medico degno di questo nome, il primo bikini, quello raffigurato nei mosaici di Piazza Armerina. Il record della disponibilità di acqua potabile, mille litri al giorno per abitante: oltre il doppio di quanto ha a disposizione oggi un cittadino. I primati di Roma – non solo della città, naturalmente, ma della civiltà che dell’Urbe porta il nome – sono troppi per citarli tutti qui. Visti nell’insieme danno, forse meglio di tanti saggi storici, il senso di qualcosa di straordinario. Di un impero, per esempio, che poteva permettersi di seppellire una reggia più grande di Versailles soltanto perché il nuovo sovrano aveva deciso così. Di un popolo capace in teoria di raggiungere le Americhe una dozzina di secoli prima di Colombo. Di una epopea ineguagliabile. Buona lettura.
rifugiati: nazioni in fuga
Adriano, imperatore dal 117 al 138 d.C.
TRIONFI ROMANI 30
A cena da Nerone La residenza più stupefacente dell’antichità romana: la Domus Aurea.
38
I primati romani Nel diritto, nell’ingegneria, nell’amministrazione e non solo.
44
Il principe del foro La grande eredità lasciata da Cicerone giurista, politico, filosofo.
50 Città da record
Caotica ma efficiente, Roma fu la megalopoli del mondo antico.
52 Oltre i confini dell’impero
Le rotte che portarono mercanti e viaggiatori dove non ci aspetteremmo.
58
Le battaglie dei grandi generali Furono le vittorie dell’esercito e della flotta a rendere Roma così potente.
60 L’archistar
10 MICROSTORIA 12 TECNOVINTAGE 13 (C)OLD CASE 74 UNA FOTO UN FATTO 76 IN ALTRE PAROLE 78 DOMANDE & RISPOSTE 114 FLASHBACK
CI TROVI ANCHE SU:
Apollodoro di Damasco, il geniale siriano che plasmò la Roma di Traiano.
66
La corsa più bella del mondo Le gare di carri erano il pallino dei Romani. E lo stadio era da record.
68 Salus Per Aquam
Le terme romane furono le più grandiose di tutti i tempi. In copertina: L’Anfiteatro Flavio (il Colosseo) in una ricostruzione digitale. 7 WONDERS - REPOS PRODUCTION/M. COIMBRA.
Dall’antichità a oggi, un fiume in piena.
22 OLTTOCENTO e isole
dei Borbone
La colonizzazione degli arcipelaghi del Sud.
80 TECNOLOGIA Scrittori profetici
Nel ’700 Johnson anticipò Internet: ce lo racconta il futurologo Roberto Vacca.
TEMI 84 GBRANDI atu Khan
l’invasore
Il nipote di Gengis Khan nel 1240 attaccò l’Europa, arrivando alle porte d’Italia.
90 LRELIGIONE e sorprese
dei Giubilei
L’evento più grande della Chiesa attraverso sette secoli di curiosità.
SOCIETÀ 92 Diritto di cronaca
La libertà di stampa dal Seicento a oggi.
D’ITALIA 98 SLTORIE ’eretico mugnaio Nel ’500 Domenico Scandella finì sul rogo per le sue idee.
MEMORIE 106 Rovine nel tempo
Vestigia che raccontano il passato (anche recente) e ci insegnano qualcosa. 3
LA PAGINA DEI LETTORI
Un Tasso tascabile Con riferimento alla rubrica “Domande e Risposte” di Focus Storia n° 107 a pagina 78, dedicata alla storia dei libri tascabili, vi invio la foto (sotto) di un minuscolo libro in mio possesso (dimensioni 8 x14 cm), vecchio di quasi 380 anni. Si tratta de Re Torrismondo, tragedia del Sig. Torquato Tasso. Ciò che mi ha colpito in questo volumetto è il fatto che era senz’altro destinato a essere letto in pubblico, in quanto alla fine di ogni pagina è impressa la parola o il verso con cui inizia la pagina seguente. Penso per non interrompere la lettura neanche per un istante. Mario Volpi, Padova
L’enigma di Nazca Vi scrivo a proposito del vostro articolo sulle linee di Nazca (Focus Storia n° 107). Secondo l’autore non servivano per “comunicare con civiltà extraterrestri”, ma anzi la loro funzione era finalizzata a “scopi rituali e forse astronomici”. Ebbene, secondo me la vostra argomentazione intende archiviare una questione a dir poco delicata, che – lo comprendo – urta contro la sensibilità delle teorie ufficiali (più rassicuranti, evidentemente). È del tutto logico che ad oggi nessuno sia in grado di “ricostruire” la funzione effettiva dei menzionati geoglifi, ma quello che appare indubbio è che il loro scopo possa “concretizzarsi” unicamente attraverso una visione dall’alto. Intendo 4
dire che la presenza e la conformazione delle linee possono essere apprezzate (quantomeno in senso teorico) e percepite solo se l’osservatore si pone in alto rispetto al piano in cui si trovano le figure; al piano del terreno, difatti, tali segni risultano caotici e impalpabili. Dunque la domanda più pertinente non è “come sono stati realizzati” (questo aspetto passa in secondo piano, tenendo in doverosa considerazione che la popolazione che “partorì” le linee non aveva alcuna conoscenza, neanche embrionale, della geometria), ma “per chi”, in quanto è lampante (e fisiologico) che fossero dei messaggi/segnali rivolti a qualcuno/qualcosa posizionato in cielo. Se questi sono i vostri parametri di valutazione, sarei curioso di leggere un futuro articolo concernente le teorie sugli antichi resti presenti a Tiahuanaco e a Pumapunku. Affronteremmo i resti di Tiahuanaco e Pumapunku con lo stesso spirito: raccontando quello che si sa per certo, piuttosto che lasciar spazio, in assenza di prove, a speculazioni.
Secessioni d’America (e non solo) In riferimento alla guerra di Secessione Usa (Focus Storia n°
DON TROIANI/CORBIS
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La battaglia di Kennesaw Mountain (1864), durante la Guerra civile.
107) non credo sia corretto dire che il Sud non ebbe una grande strategia. Infatti fino alla battaglia di Gettysburg i sudisti crearono enormi difficoltà ai nordisti, tanto che per poco non arrivarono a Washington. Il Sud, come giustamente avete ricordato, era militarmente inferiore, tuttavia riuscì a resistere altri 2 anni dopo la Battaglia di Gettysburg che di fatto bloccò l’avanzata dei sudisti nel territorio dell’Unione. Tra l’altro, cosa molto importante, il Nord è vero che fu guidato dal generale Grant, ma solo dal 1864 e non dall’inizio della guerra. I suoi predecessori furono Winfield Scott, George McClellan (poi candidato dai democratici alla corsa presidenziale del 1864) e Henry Halleck, che evidenziarono
Risolto il “mistero della soffitta” Sono titolare di un salone di parrucchiere e, leggendo Focus Storia n° 108, a pagina 5 ho visto la foto (a fianco) di un oggetto trovato in soffitta da un lettore. Io ne ho uno uguale. Me lo ha regalato molti anni fa un vecchio parrucchiere dicendomi che lui lo usava contro la caduta dei capelli (io non l’ho mai usato, anche se funzionante). Dovrebbe essere un generatore di raggi ultravioletti che, con il passaggio di energia elettrica attraverso gli accessori di vetro, sprigiona ozono. Spero di esservi stato di aiuto. Tanti saluti e complimenti per le vostre riviste. Tiziano Proietti
degli enormi limiti nella gestione della guerra. Voglio inoltre fare una decisa critica all’articolo “Maleparole” di Maria Leonarda Leone, quando nell’ultima riga scrive “alle triviali esternazioni leghiste” sottintendendo, così l’ho interpretato, che i leghisti siano solo un gruppo di zotici, ignoranti e rozzi, capaci solo di far caciara e non di fare proposte concrete. Mi infastidisce che in una rivista di Storia, un’ottima rivista di Storia, si entri in risibili descrizioni politiche, per nulla veritiere tra l’altro. Loris Zancanella
Rispondiamo in merito alla seconda parte della lettera. La trivialità di molte affermazioni
pubbliche leghiste è un dato di fatto inconfutabile, così come lo stile comunicativo dei “Vaffaday” di Beppe Grillo, anch’essi citati in fondo all’articolo di Maria Leonarda Leone. Questo non significa (e non lo ha scritto né suggerito tra le righe l’autrice dell’articolo) che i leghisti non siano capaci di fare proposte concrete, ma soltanto (come è invece spiegato nell’articolo) che le parolacce sono, nel passato come oggi, un modo efficace per comunicare in modo diretto con il popolo.
La Grande guerra nelle Piccole Dolomiti Vi scrivo per raccontarvi alcuni fatti storici accaduti sia durante la Prima sia durante la Seconda guerra mondiale a Recoaro, nelle Piccole Dolomiti e nel Pasubio [...]. Vi sono molti film ambientati nella Grande guerra e diretti da registi famosi come Francesco Rosi ed Ermanno Olmi, girati interamente fra Asiago e i suoi dintorni, davvero fatti bene come l’ultimo film di Olmi Torneranno i prati, che dà l’idea di cosa fosse la guerra di trincea. [...] Si potrebbe dirigere e ambientare un film sulla guerra e sugli importanti eventi bellici e storici accaduti a Recoaro, che purtroppo non solo non viene mai minimamente considerato ma che la gran parte degli italiani all’infuori del Veneto neppure sanno in che zona dell’Italia si trovi. Il 24 maggio c’è stata in Italia la ricorrenza del centenario dello scoppio della Grande guerra e sul monte Pasubio furono combattuti molti dei più atroci scontri di quegli anni. A partire dal 1917 dalla località di Bocchetta Campiglia, alle porte del Pasubio, al rifugio Papa fu realizzata quella che molti considerano una delle più straordinarie opere di ingegneria militare del secolo scorso, la Strada delle 52 gallerie, costruita da migliaia di soldati italiani per cercare di conquistare le zone, avanzare e proteggersi dagli attacchi del nemico, l’Impero austro-ungarico.
Un altro fatto importante è quello della mina tedesca con cui fu fatto saltare in aria dagli austriaci il Dente Italiano nel monte Pasubio, il 13 marzo 1918 e sotto al quale si trovano ancora i corpi di 52 militari italiani. Il comune di Recoaro Terme fu inoltre bersaglio durante la Seconda guerra mondiale, dal 1940 al 1945, e specialmente nell’aprile del 1945 di importanti bombardamenti aerei che distrussero il compendio termale delle Fonti Centrali di Recoaro. Proprio presso le Fonti Centrali infatti vi era uno dei comandi più importanti d’Italia, affidato al generale Albert Kesselring e al generale Heinrich Von Vietinghoff-Schel [...]. Nella zona furono costruiti anche molti bunker tedeschi e rifugi antiaerei, alcuni dei quali oggi visitabili [...]. Marco Pozza, Recoaro Terme (Vicenza)
Gli automi scacchisti Nell’articolo “La guerra degli scacchi” del n° 108 mi sarei aspettato un paragrafo legato al Turco e ad Ajeeb, i due automi scacchisti fasulli più famosi: mi hanno sempre incuriosito e mi piacerebbe saperne di più su come funzionavano e come permettevano all’uomo al loro interno di manovrarli. Thomas Storgato
Agli automi scacchisti abbiamo dedicato tempo fa un articolo. Si trattava, come dice lei, di meccanismi fraudolenti, che perciò non avevano nulla a che fare con il nobile gioco degli scacchi. Il loro funzionamento
era piuttosto complesso, basato su trucchi da illusionisti, che permettevano all’uomo all’interno dell’automa, grazie a un gioco di specchi, di rimanere invisibile al pubblico quando veniva mostrata la base del tavolo con la scacchiera.
La “tavola dimenticata” di Meyer In riferimento alla rubrica “Scienza & scienziati” su Focus Storia n° 109, vorrei fare un’osservazione. Il vostro modo di attribuire l’invenzione della tavola periodica unicamente a Mendeleev è imbarazzantemente riduttivo e ancor peggio sottolineare che la tavola di Meyer è stata, come scrivete, “dimenticata”. Dire che la tavola periodica è opera unicamente di Mendeleev è come dire che la scoperta della struttura del Dna sia solo di Watson e non di Crick. Questo è probabilmente un paragone estremo, dal momento che Mendeleev e Meyer (foto) hanno lavorato indipendentemente a due progetti diversi, ma la tavola periodica nel modo ordinato e sistematico come la conosciamo oggi è frutto di un’integrazione delle ricerche di entrambi gli studiosi. Inizialmente molti chimici e fisici erano dubbiosi circa la legge della periodicità di Mendeleev, ma le ricerche di Meyer fornirono un supporto e un ampliamento significativo a quanto esplicato dal chimico russo, soprattutto quando vennero introdotti i nuovi elementi. Stefano, Anagni (Frosinone)
Rendiamo merito a Meyer del suo contributo (peraltro riconosciuto nell’articolo, dove lo scienziato è citato fra i precursori), ringraziamo dei nuovi dettagli che ci fornisce e ne Il Turco, automa scacchista del ’700. aggiungiamo a nostra volta un
altro: il “becco di Bunsen” di cui si parla nella rubrica in questione non fu inventato, ma soltanto perfezionato da Robert Bunsen.
All’Elba con Napoleone Sono un ragazzo appassionato di storia napoleonica e, leggendo l’articolo “Eroe umiliato” (Focus Storia n° 107, pag. 10), ho riscontrato un’imprecisione. Napoleone, esiliato all’Elba, non portò con sé i 400 uomini inizialmente previsti, bensì 600, e ciò per accontentare quanti desideravano seguirlo. Queste informazioni sono rintracciabili nel libro di David G. Chandler, Le campagne di Napoleone (Bur). Niccolò Fagotto
Sul numero di soldati che sbarcarono all’Elba con Napoleone le fonti non paiono concordare tra di loro: i documenti parlano di 400 effettivi previsti, ai quali si aggiunsero altri volontari, in numero variabile.
I NOSTRI ERRORI
Focus Storia n° 109, pag. 16: nella didascalia del dipinto La punizione di Marsia l’opera è stata attribuita erroneamente a Tiepolo, invece che a Tiziano. 5
novità e scoperte Secondo un studio genetico l’uomo avvolto
SINDONE La chiesa di Pisa che dà i numeri (di Fibonacci)
A
Per svelare il mistero, lo studioso ha analizzato le misure geometriche delle decorazioni, individuando la sequenza progressiva nelle lunghezze delle figure geometriche. Secondo questa interpretazione, gli intarsi avrebbero costituito un abaco per l’educazione delle élites. Celebrazione. Leonardo Fibonacci fu un celebre matematico che visse a Pisa tra il 1175 e il 1235. Fu lui a introdurre in Europa la matematica moderna, e la chiesa fu costruita forse da Nicolò Pisano proprio mentre Fibonacci era ancora in vita e impegnato nei suoi studi. (a. b.)
Volto sacro Putti con la Sindone visti a metà del Settecento da Jacopo Amigoni e, in basso, il telo conservato a Torino. L’impronta sarebbe stata lasciata da un mediorientale.
SCALA
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Pisa c’è una chiesa che dà i numeri, e non numeri qualsiasi. Dal restauro degli intarsi marmorei della lunetta sopra il portale della Chiesa di San Nicola sono emersi dopo otto secoli i numeri della serie di Fibonacci, la sequenza matematica in cui ogni cifra è derivata dalla somma delle due precedenti (1, 1, 2, 3, 5, 8... ). I numeri non sono scritti come tali, ma secondo Pietro Armienti, che insegna Petrologia e Petrografia all’Università di Pisa, sono richiamati nelle simmetrie e nelle misure degli elementi geometrici che compongono l’intarsio.
UN’ALTRA VERITÀ
L’intarsio geometrico sulla facciata della Chiesa di San Nicola a Pisa: sarebbe stato realizzato seguendo la cosiddetta “serie di Fibonacci”.
IN PILLOLE
1
L’ultima cena del Titanic
All’asta per 80mila euro un menù originale dell’ultimo pasto sul Titanic. Tra i piatti serviti il 14 aprile 1912, prima dell’affondamento, anche costolette di agnello alla griglia. 6
2
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Chi semina raccoglie... fossili
È accaduto a un agricoltore del Michigan (Usa): mentre lavorava il suo campo ha rinvenuto un enorme osso. Per gli esperti è di un mammut morto da 11.700-15.000 anni.
3
Le sorprese di Pompei
All’esame completo (Tac e analisi del Dna) i calchi delle vittime del Vesuvio a Pompei (79 d.C.). I primi risultati? Avevano denti sani e la cosiddetta “donna incinta” era un uomo.
nella Sindone veniva dal Medio Oriente. O meglio, dalla Galilea.
S
econdo alcuni, il viaggio della Sindone potrebbe essere cominciato a Gerusalemme circa duemila anni fa. Secondo altri in Francia, molto più tardi, a metà del XIV secolo. Ma chi era avvolto nel Sacro Telo di Torino, il sudario su cui Cristo avrebbe lasciato impressa la propria im-
magine? Era forse un uomo che veniva dal Medio Oriente. Lo dice un gruppo di genetisti delle Università di Padova, Pavia e Perugia, che ha analizzato il Dna umano, animale e vegetale estratto dalle cellule di alcuni microscopici campioni prelevati dal lenzuolo di lino nel lon-
tano 1988. «Abbiamo identificato almeno 14, se non 21, soggetti umani geneticamente distinti, venuti in contatto con la Sindone», ci ha detto Gianni Barcaccia, il coordinatore della ricerca. «Appartengono a gruppi etnici diversi, riconducibili all’Europa Occidentale e Centroorientale, al Caucaso, al Nord Africa, al Medio Oriente (dall’Anatolia alla Penisola Arabica), all’Asia Centrale e all’India». In teoria, però solo chi era avvolto nel telo poteva lasciare in tutti i campioni il proprio Dna: succede in tre insiemi di individui accomunati da alcune varianti del Dna mitocondriale (in gergo, aplotipi). Ricerche ristrette. «L’aplotipo H2 è tipicamente caucasico, H33 e H13 sono comuni in Medio Oriente: uno di questi potrebbe appartenere all’uomo della Sindone. Colpisce però che H33, un aplotipo molto raro, sia tipico anche delle comunità dei Drusi. Questo gruppo etnico ha qualche origine in Egitto, ma vive soprattutto in aree ristrette tra Giordania e Siria, Libano e Israele, inclusa la regione storica della Palestina: la Galilea». •
GETTY IMAGES
Maria Leonarda Leone
4
Sulla Luna senza filtri
La Nasa ha pubblicato 9.200 foto scattate in 50 anni del Programma Apollo che ha portato l’uomo sulla Luna: tanti i “dietro le quinte”, come l’astronauta che si fa la barba.
5
Scuse in ritardo
La Mitsubishi chiede perdono per aver usato prigionieri americani come lavoratori forzati durante la Seconda guerra mondiale. L’ha fatto con una cerimonia a Los Angeles.
La corona d’oro trovata in una tomba a Cipro: ha 2.400 anni.
Sepolture di lusso nell’antica Cipro
A
ppartenevano alla più alta aristocrazia le persone sepolte quasi 2.400 anni fa in un monumentale complesso funerario nell’antica città di Soli, sull’isola di Cipro, già scavato tra 2005 e 2006, ma il cui ricchissimo corredo è stato solo recentemente studiato dall’archeologo Hazar Kaba dell’Università di Ankara. La tomba, composta da tre camere, una delle quali vuota poiché già saccheggiata, ha restituito i resti di cinque individui, un uomo e quattro donne. I defunti, verosimilmente legati da vincoli di parentela, furono sepolti con oggetti di raro pregio, tra cui una raffinata corona di foglie d’edera in oro resistita al passare del tempo, una statuetta raffigurante Afrodite ed Eros che conserva tracce di colore, vasellame da simposio in bronzo e argento. Preziosi scambi. I manufatti, esposti al Museo di Archeologia e Natura Güzelyurt a Morphu (Cipro), sono di foggia e provenienza assai varia, lasciando dunque intuire che gli abitanti di Soli intrattenessero vivaci scambi commerciali con la Macedonia, la Persia e, soprattutto, Atene, dalla quale importavano beni di lusso in cambio di legname e rame. (s. z.) 7
novità e scoperte Gigante dei cieli
Processo d’appello alla strega trentina
S
i chiamava Maria Bertoletti Toldini, 60 anni; abitava nel paesino di Brentonico, in Trentino e, nel 1716, fu condannata per stregoneria. Ora il consiglio comunale dello stesso comune ha approvato una delibera proposta dall’assessore alla cultura che ha lo scopo di riabilitare il nome della donna, con un nuovo processo. Se la richiesta sarà accolta dal tribunale d’appello di Trento, il dibattimento potrebbe aprirsi nel 2016, 300 anni dopo i fatti. Sospetti. Vedova e senza figli, Maria Bertoletti Toldini si era risposata non più giovanissima con un sagrestano, e fu forse la famiglia di quest’ultimo a calunniarla a causa di contese patrimoniali. Venne giudicata da un tribunale laico (come previsto dalla Costituzione criminale carolina in vigore dal 1532) per una lunga serie di reati (dall’uccisione di tre bambini, uno dei quali gettato in una pentola di formaggio bollente, al danneggiamento di raccolti). La donna, condannata a morte, fu decapitata e poi bruciata nel centro del paese (sotto, il rogo di una strega nel ’500). (f. x. b.)
Il ritorno della fortezza volante Individuato al largo di Palermo il relitto di un B-17 americano, abbattuto nel 1943.
U
n gigante del cielo ritrovato in mare riporta alla luce un momento drammatico della storia siciliana. Sui fondali al largo di Palermo, a 75 metri di profondità, è stato individuato il relitto di un Boeing B-17 statunitense in uso durante la Seconda guerra mondiale. L’aereo è stato identificato come la “fortezza volan-
te” – com’erano soprannominati questi bombardieri – del 353° squadrone dell’aviazione a stelle e strisce: come risulta dalla documentazione storica, era stato abbattuto dalla contraerea italiana nel corso del bombardamento di Palermo del 18 aprile 1943. Attacco pesante. L’aereo, che con i suoi 31,62 metri di apertura alare, la potente co-
razzatura e le 13 mitragliatrici si era ampiamente meritato il soprannome, dopo essere stato colpito, si era inabissato con i nove uomini di equipaggio, fino a oggi considerati dispersi. L’ispezione visiva condotta dal team “Ombre dal fondo”, protagonista del ritrovamento dopo essersi messo sulle tracce di racconti storici e tradizioni locali, non ha evidenziato la presenza di resti umani né di bombe. •
Aldo Bacci
I sonni (di sei ore) dei nostri antenati
GETTY IMAGES (2)
G
grazie all’esame di tre popolazioni preindustriali che vivono in modo simile ad allora possiamo farci un’idea di come dormivano i nostri antenati. Ricercatori della University of California (Usa) hanno pubblicato i risultati di oltre tre anni di studi, nei quali hanno osservato i sonni degli Hadza della Tanzania, dei San della Namibia e dei boliviani Tsimané. I risultati? Dormono poco più di sei ore (tra le 5,7 e le 7,1), di più se fa più
freddo e di meno se più caldo. Non vanno a letto subito dopo il tramonto, ma dopo circa 3,3 ore passate cucinando, facendo programmi per l’indomani. Le attività si interrompono con il calare della temperatura. Non sono più dormiglioni di noi, ma non soffrono di insonnia (e non hanno una parola per indicarla). L’ideale. Da dove nasce allora il mito delle otto ore per notte? Dalla rivoluzione industriale, quando la
giornata era scandita dagli orari della fabbrica. “Otto ore di lavoro, otto di svago, otto di sonno”, recitava nel 1855 uno slogan australiano di rivendicazioni sindacali. (g. l.)
ROBERT CAPA/MAGNUM PHOTOS/CONTRASTO
Un B-17 dell’aviazione Usa nel 1942. Il relitto di un bombardiere dello stesso tipo è stato trovato sui fondali palermitani.
agenda A cura di Irene Merli
MOSTRA
BOLOGNA
Egitto, splendore millenario
MOSTRA
PAVIA
Macchiaioli rivoluzione d’arte
Settanta opere che raccontano l’impegno politico e patriottico degli artisti macchiaioli. Tra i protagonisti, Telemaco Signorini.
Fino al 20/12. Scuderie viscontee. Info: 0382 33676, www.scuderiepavia.com EVENTI
VERONA
Museo affreschi
A lato, gruppo statuario di Maya e Merit (XVIII dinastia; qui sopra, due dettagli di un pettorale a fiore di loto. A destra, Bimbi al sole, di Telemaco Signorini.
È
una mostra di forte impatto visivo e scientificamente rigorosa, quella in corso a Bologna sulla civiltà del Nilo. Il visitatore può infatti percorrere 1.700 m2 di spazio espositivo in cui si trovano più di 500 reperti, che arrivano dalle collezioni egizie del Museo Nazionale di Antichità di Leida in Olanda (tra le 10 più importanti al mondo), dal Museo Archeologico lo-
cale e dai Musei Egizi di Torino e di Firenze. Debutti. Per la prima volta si vedranno capolavori come la Stele di Aku (19761648 a.C.); gli ori attribuiti al generale Djehuty (14791425 a.C.) e le statue di Maya, sovrintendente al tesoro reale di Tutankhamon, e Merit, la “musicista di Amon”. Un esempio, tra i molti presenti, del raffinato stile di vita degli Egizi? Un
manico di specchio (datato al XIII secolo a.C.) dalle sembianze di una giovane fanciulla con un uccellino in mano. Infine, dopo 200 anni dalla riscoperta della sua tomba a Saqqara, i rilievi finalmente ricongiunti di Horemheb, comandante dell’esercito al tempo di Tutankhamon e poi ultimo faraone della XVIII dinastia, che regnò dal 1319 al 1292 a.C. •
Fino al 17/7/2016. Museo Civico Archeologico. Info e prenotazioni 051 0301043, www.mostraegitto.it
Riapre, rinnovato, il Museo G. B. Cavalcaselle presso la Tomba di Giulietta. E propone un viaggio nell’Italia dipinta, attraverso affreschi, ritratti, epigrafi. Dal 15/11. Info: www.museo degliaffreschi.comune.verona.it SAGRE
GIANO DELL’UMBRIA
Festa della frasca
Nel borgo in provincia di Perugia si festeggia la raccolta delle olive con carri trainati da buoi decorati con rami d’ulivo, danze e canti.
29-30 novembre. Info: www.leviedellolio.eu/index.php/ programma.htm SAGRE
SUVERETO (LI)
Sagra del cinghiale In un’atmosfera medioevale, tra sbandieratori e sfilate rievocative, nel centro storico si mangiano piatti antichi e della tradizione a base di cinghiale. Dal 29/11 all’8/12. Info e programma: www.suvereto.net 9
microstoria A cura di Aldo Carioli, Marta Erba, Giuliana Rotondi e Daniele Venturoli
PAROLE DIMENTICATE
T R I S T A N Z U O L O HERITAGE IMAGES/GETTY IMAGES
Derivato da “tristo”, anticamente non era un aggettivo riferito a una cosa o una persona di poco vigore, bensì un sostantivo riferito a un individuo meschino, cattivo e malvagio.
Poiché i suoi amici mettevano in dubbio la sua origine divina, FETONTE, figlio di Apollo, chiese al padre il permesso di guidare il carro del Sole. Apollo tentò invano di dissuaderlo e di metterlo in guardia: Fetonte salì sul carro e partì. Presto, tuttavia, ne perse il controllo: i cavalli imbizzarriti corsero dapprima troppo in alto, bruciando una parte della volta celeste (è uno dei miti che spiegano l’origine della Via Lattea), quindi scesero vicino alla Terra (in alto, in un dipinto del ’600 ), trasformando la Libia in un immenso deserto. A quel punto intervenne Zeus, che scagliò un fulmine contro Fetonte. Metamorfosi. Fetonte cadde presso le foci del fiume Eridano (l’antico nome attribuito al Po) e perse la vita. Le sue sorelle, le Eliadi, piansero la sua morte e furono tramutate in pioppi, alberi che ancora oggi costeggiano le rive del fiume. Le loro lacrime, sempre secondo la leggenda, divennero invece ambra. 10
RUE DES ARCHIVES/SCALA
IL MITO
LA VIGNETTA
BALLO A VIENNA Due secoli fa, nella capitale austriaca, la Storia voltava pagina. O meglio, faceva un passo indietro di un paio di decenni. Nel giugno del 1815, infatti, si chiuse il Congresso di Vienna, che diede il via alla Restaurazione dopo la fine dell’età napoleonica e ridistribuì tra le dinastie europee i regni che Bonaparte aveva incluso nel suo impero. Ritorno al passato. L’evento fu interpretato in modo diverso a seconda delle simpatie politiche degli osservatori. Nella vignetta qui sopra si vedono i rappresentanti dei governi al Congresso, in un balletto allegorico. Il riferimento è ai tanti balli e ricevimenti ai quali i diplomatici parteciparono durante i sette mesi di negoziati: si diffuse anche una battuta, attribuita al segretario del ministro
degli Esteri francese Talleyrand: “Se il Congresso balla, non marcia”, ossia non va avanti con le decisioni. Da sinistra si vedono Talleyrand che, spiega la didascalia, “balla al vento”, osservando guardingo (era passato attraverso diversi governi, incluso quello napoleonico). Lord Castlereagh, responsabile della politica estera inglese, “ballotte”, cioè esita, i sovrani di Austria, Russia e Prussia “balancent” (un gioco di parole tra i verbi ballare e tenersi in equilibrio, bilanciarsi), il re di Sassonia “danza terra terra” essendo riuscito a mantenere la corona in testa; infine la Repubblica di Genova “salta per la Sardegna”, ossia per il Regno di Sardegna al quale fu annessa in seguito alle decisioni del Congresso di Vienna.
IL NUMERO
CHI L’HA DETTO? “Non plus ultra”
L’OGGETTO MISTERIOSO È formato da due sagome che si incastrano una nell’altra. Una delle due ha un manico. L’intero oggetto è lungo 29 centimetri e largo 5,5. Il peso totale è di 1,8 chilogrammi. A che cosa serviva? Aspettiamo le vostre risposte, indicando anche la località, a: Focus Storia, via Battistotti Sassi, 11/a - 20133 Milano oppure a
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MARY EVANS/SCALA
Questo mese è stato Paolo Mercati di Sansepolcro (Arezzo) il lettore più veloce a indovinare l’oggetto misterioso del numero scorso. Si trattava di un vecchio fornello ad alcol da calzolaio, in rame, usato per scaldare i ferri per deformare il cuoio.
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TOP TEN
STORICI FRUTTI ESOTICI
ALBUM/MONDADORI PORTFOLIO
L’originale corretto è Nec plus ultra, letteralmente “non più avanti”: la frase era incisa, secondo il mito, sulle Colonne d’Ercole, vicino allo Stretto di Gibilterra. Fermi! Giunto ai limiti del mondo, oltre ai quali non era concesso procedere, Ercole separò una montagna formando due colonne (disegno) e scolpì la scritta. Oggi la frase indica perfezione, il limite massimo raggiungibile.
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“Bacca miracolosa” Frutto della pianta Synsepalum dulcificum, rende dolce qualsiasi alimento: fu descritta nel 1725 in Africa Occidentale.
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Jabuticaba Questi frutti crescono direttamente sui tronchi della Plinia califlora, scoperta in Brasile nel 1823 dal tedesco von Martius.
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Mangostano Classificata nel 1753, la Garcinia mangostana originaria delle Molucche avrebbe virtù terapeutiche.
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Mela assira Frutto di una varietà di Citrus medica (il cedro), era usato per profumare: fu Plinio il Vecchio a chiamarlo “mela assira”.
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Durio Frutto del Borneo dall’odore penetrante, ma commestibile. Lo descrisse per primo il navigatore Niccolò de’ Conti (1395-1469).
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Ackee Il nome scientifico (Blighia sapida) onora il capitano del Bounty William Bligh, che portò il frutto dalla Giamaica nel 1793.
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Noni o “gelso indiano” Se ne ottiene un succo gustoso: gli europei lo apprezzarono nel Sud-est asiatico e in Polinesia.
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Sugar-apple Dall’arbusto Annona squamosa nascono le “mele da zucchero”, che i conquistadores portarono da Centro America e Filippine.
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Kiwano Detto “melone cornuto” o “cetriolo africano”, originario dell’Africa Orientale, era costosissimo per la sua rarità.
VOCABOLARIO: JUMBO Siamo abituati ad associarlo agli aerei Boeing-747, ma in inglese jumbo è un aggettivo che si attribuisce a qualsiasi oggetto di grandi dimensioni. Il motivo è semplice: a fine ’800 questa parola divenne popolare in Inghilterra perché era il nome di un grande elefante dello zoo di Londra del circo Barnum (foto). Da lì a utilizzare Jumbo come aggettivo per descrivere qualsiasi cosa gigantesca, il passo è stato breve.
Le persone fucilate in Unione Sovietica nel solo dicembre 1934, durante una delle “purghe” ordinate da Stalin.
Rambutan Frutto del Nephelium lappaceum, simile al litchi e originario della Malesia: gli Arabi lo diffusero dal XIII secolo.
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tecnovintage A cura di Eugenio Spagnuolo
1905
Quando si temperava a manovella
I
l progenitore dei moderni temperamatite elettrici risale al 1905: è il modello Jupiter n° 1 a fresa, in ghisa “indistruttibile”. Ingombro a parte (è lungo 20 cm e largo 38), si trattò di una grande innovazione, visto che fino agli inizi del Novecento per fare la punta alle matite si usavano ancora lame dette temperini. A dispetto del nome, lo Jupiter n° 1 non fu il primo della sua stirpe, ma venne preceduto da una “versione beta” nel 1897. Il meccanismo, sofisticato, si basa su una manopola che aziona una ruota dentata. Questa a sua volta mette in moto l’albero che fa girare la matita e la fresa, che fa la punta. Il truciolo cade in una vaschetta. Conviene comprarlo? Uno Jupiter n° 1 è stato battuto all’asta da Christie’s a 170 euro. Su eBay si trova a prezzi che partono dai 130 euro (più spese), fino ad arrivare a più di 250 euro, se in buone condizioni. Il che ne fa un oggetto per collezionisti. •
Insostituibile Il temperamatite Jupiter n° 1 era ingombrante: i 7 chili di peso erano fissati su una base di legno. Nonostante ciò ebbe un certo successo: brevettato nel 1905, fu sostituito da un nuovo modello solo nel 1930.
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E NELLO STESSO ANNO...
TECNOLOGIA Il 1° gennaio si inaugura la Ferrovia Transiberiana, la prima a collegare Europa e Asia. A oggi, con 9.288 km di rotaie, è la più lunga del mondo. 12
MONDO Con la battitura all’asta di 110 ettari di terra in Nevada (Usa), il 15 maggio nasce Las Vegas, che dal 1911 è riconosciuta come città.
CINEMA Esce La presa di Roma, il cortometraggio di Filoteo Alberini sulla breccia di Porta Pia. La prima proiezione avvenne a Porta Pia.
LETTERATURA Esce il De Profundis di Oscar Wilde, lunga lettera all’amato Alfred Douglas, scritta in carcere dopo la condanna per omosessualità.
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(C)OLD case A cura di M. Picozzi e F. Ceccherini
Negli Anni ’30, l’aviatore Charles Lindberg è una celebrità: ha trasvolato per la prima volta l’Atlantico in solitaria. Torna alla ribalta dopo che una notte di marzo del 1932 gli rapiscono il figlio di due anni.
È
?
Sopra a sinistra, la scala, smontata e analizzata dalla scientifica. Qui sopra, il rapitore Bruno Hauptmann dopo l’arresto; a lato, il piccolo Lindberg, figlio del famoso aviatore.
IL CASO
la sera del 1° marzo 1932 a Hopewell, nel New Jersey (Usa), quando la governante Betty Gow mette a letto il piccolo Charles Jr, che ha solo due anni, nella stanza a fianco a quella del bambino la mamma Anne siede in poltrona insieme al marito, Charles Lindbergh, protagonista della prima trasvolata in solitaria dell’Oceano Atlantico. Silenzio sospetto. Poco prima di coricarsi, Betty decide di dare un ultimo controllo al bimbo, influenzato da qualche giorno. Ma entrata nella stanza, al secondo piano, la accoglie un silenzio innaturale: nel lettino vuoto c’è solo una lettera, la richiesta di
I
BETTMANN/CORBIS
Il rapimento di baby Lindbergh
un riscatto con tanti errori di grammatica, come se chi l’ha scritta non conoscesse bene la lingua inglese: ”Egregio signore! Tieni pronto 50.000 dollari 25.000 in carte da 20 e 15.000 da 10 e 10.000 da 5. Dopo 2-4 giorni diremo dove conseniare i soldi. Non parlare con nesuno e non avisare polisia. Bambino curato bene. Il segnale di riconoscimento di tutte le letere è la firma e tre buchi”. Nei giorni successivi, ai Lindbergh arrivano centinaia di lettere, messaggi di solidarietà e una particolare offerta di aiuto: la manda l’ex preside e insegnante di matematica John Condon, 71 anni, che fa pubblicare un annuncio sul quotidiano locale: “Offro
tutto ciò che posseggo affinché una madre amorosa possa riavere il suo bambino e il colonnello Lindbergh possa sapere che gli americani gli sono grati dell’onore che egli ha conferito loro con il suo coraggio e la sua audacia”. Il riscatto. Inaspettatamente, il rapitore risponde, e tra il criminale e Condon inizia uno scambio di messaggi, che culmina con il pagamento del riscatto: 50mila dollari in certificati aurei. Ma il 12 maggio 1932 un passante scopre per caso il cadavere del piccolo Charles Lindbergh Jr, in un bosco a pochi chilometri da Hopewell. Sono trascorsi settantadue giorni dal rapimento.
LE INDAGINI
l medico legale, nonostante l’avanzato stato di decomposizione del corpo, stabilisce che la causa della morte è un trauma cranico, e che al momento della trattativa per il rilascio il piccolo era già morto. Pieno fatale. Trascorrono più di due anni e mezzo prima che la polizia s’imbatta in una traccia importante. Iniziano a circolare alcuni dei certificati aurei utilizzati per il riscatto e di uno è possibile individuare la provenienza; arriva da un distributore di benzina: il gestore dell’impianto ricorda benissimo di averlo ricevuto da un cliente. Il benzinaio però, temendo che fosse falso, aveva annotato sopra il numero di patente del guidatore: si scopre così che la licenza
di guida appartiene a Bruno Hauptmann. Gli agenti fanno irruzione nell’appartamento dell’uomo, che si difende, urlando di non essere un criminale; tuttavia con una sommaria perquisizione recuperano buona parte del riscatto. Subito dopo entrano in campo gli esperti della polizia scientifica che eseguono alcune perizie calligrafiche sui messaggi e analizzano la scala a pioli, realizzata artigianalmente e non acquistata in negozio, e lo scalpello rinvenuti sul luogo del rapimento. Arthur Koehler, uno dei massimi esperti di botanica forense dell’epoca, analizzando il legname usato per costruire la scala riesce a risalire al deposito nel quale è stato
comprato. Il legno, di scarso valore e mai esposto a intemperie, mostra 4 fori e proviene quasi certamente dal rivestimento di una soffitta o di un garage. Durante il sopralluogo nella casa del sospettato gli investigatori si accorgono che nella soffitta mancano parti delle assi. Tutto corrisponde. Koehler studia il legno, il colore, gli anelli di crescita del legno e trova la corrispondenza dei fori: il legno della scala proviene da lì. Dalla cassetta degli attrezzi di Hauptmann, infine, manca solo uno scalpello da tre quarti di pollice: lo stesso trovato sulla scena del crimine. Hauptmann sarà giustiziato a Trenton il 3 aprile 1936. 13
NOVECENTO
Nel settembre del 1945 Churchill era sul Lago di Como, forse per cercare un po’ di relax. Ma qualcuno sospetta che fosse lì per recuperare documenti compromettenti
LA MISTERIOSA VACANZA DI
Sir Winston
N
el settembre del 1945, quattro mesi dopo la fine della Seconda guerra mondiale e subito dopo essere stato sconfitto alle elezioni dagli avversari del Partito laburista, Winston Churchill soggiornò sul Lago di Como. Ufficialmente per riprendersi dalle fatiche della campagna elettorale. Armato di tavolozza, cavalletto e pennelli voleva dipingere suggestivi paesaggi lacustri. Ma la visita privata del leader conservatore inglese non era certo motivata soltanto dalla passione per la pittura. Luogo del delitto? L’ex premier britannico, vincitore europeo del conflitto, era venuto a sporgersi sul cratere ancora fumante che era allora il teatro della morte di Mussolini, per mettere il suo sigillo sulle missioni preparatorie degli agenti segreti inglesi che avevano seguito le tracce dell’epistolario più scottante del Ventesimo secolo: il suo carteggio con il duce. Si tratta di un tema controverso, sul quale gli storici litigano da decenni. Alcuni negano che l’epistolario Churchill-Mussolini sia veramente esistito. Altri, al contrario, affermano che il duce e lo stati-
1945
CHE COSA CI FACEVA CHURCHILL SUL LAGO DI COMO?
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sta d’Oltremanica ebbero una corrispondenza segreta, iniziata al tempo della Guerra d’Etiopia (1935-36) e durata fino al 1940, se non oltre. Scopo di quel “canale segreto” sarebbe stato far procedere sotterraneamente le intese tra il governo fascista e Londra in modo che, nonostante le alleanze di ciascu-
Nessuna negoziazione Mussolini a Milano nel 1945, dopo il fallito tentativo di mediazione del cardinale Schuster.
no dei due Paesi, non venissero meno le ragioni di una solidarietà di fondo angloitaliana. Era come dire che, sebbene legata alla Germania nazista da un patto politico, la Penisola avrebbe avuto un occhio di riguardo per l’Inghilterra. Perfino nel caso in cui una guerra avesse messo l’una e l’altra nazione su schieramenti contrapposti. Come accadde.
Con l’elmetto Winston Churchill (1874-1965), primo ministro inglese, ritratto durante la Seconda guerra mondiale.
Sbarco in Italia
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Tre scatti dell’attracco del motoscafo di Churchill a Menaggio (Lago di Como) nel settembre 1945. Sotto, Churchill con il partigiano-finanziere Villani.
CHURCHILL: LE TAPPE DELLA SUA VITA Il 30 novembre Winston Churchill nasce a Blenheim Palace, figlio del duca di Marlborough e di una ricca borghese americana.
1874
Dopo essere stato corrispondente dalla guerra boera, viene eletto alla Camera dei Comuni, nelle file del Partito conservatore.
1900
Passa tra i liberali e viene ricompensato con i primi incarichi di governo.
1904
Il 12 settembre sposa Clementine Hozier, dalla quale cui avrà cinque figli.
1908
Come Primo Lord dell’Ammiragliato è responsabile della disastrosa operazione culminata nello sbarco alleato a Gallipoli, nei Dardanelli.
1915
Alle elezioni di novembre perde il proprio seggio in Parlamento, in concomitanza con la sconfitta dei liberali.
1922
Qualcosa da nascondere. La “strana vacanza” italiana di Churchill costituisce un mistero dentro l’enigma del carteggio. Per prima cosa, lo statista britannico giunse nel nostro Paese in incognito, cioè sotto il nome di copertura di “colonnello Warden”, che utilizzava quando doveva svolgere personalmente attività informative “sul campo”. In secondo luogo prese alloggio in una sede del Soe, lo Special operations executive, la branca dei servizi segreti militari impiegata nelle operazioni speciali. Si trattava di Villa Apraxin a Moltrasio, sul Lago di Como, requisita per ospitare la guardia personale di Churchill. Vale a dire 26 uomini del Quarto reggimento Ussari della Regina: un’unità di élite specializzata in operazioni di intelligence, come la cattura di criminali di guerra nazisti. Villa Apraxin apparteneva al patron della Montedison, Guido Donegani. L’industriale chimico era amico personale di sir Winston e si era prestato a far da “ponte” per gli accordi segreti tra il duce e l’Inghilterra. Non solo. Incarcerato per collaborazionismo dopo il 25 aprile 1945, pare avesse barattato la sua liberazione con informazioni, utili ai servizi segreti inglesi per il recupero del carteggio Churchill-Mussolini (v. riquadro nell’ultima pagina). Il viaggio in Italia dell’ex primo ministro inglese serviva a completare il lavoro già svolto dagli 007 di Sua Maestà. E
il racconto di quanto fece l’uomo politico conservatore, nelle tre settimane trascorse sulle rive del lago, svela i dettagli imbarazzanti di un intrigo internazionale. È del resto sicuro che, qualora fossero emerse le prove delle sue relazioni con il nemico vinto, Churchill avrebbe visto naufragare per sempre la propria carriera politica e il suo mito non avrebbe giganteggiato per i posteri. Incontri sospetti. Protetto dalla guardia armata, il trionfatore della Seconda guerra mondiale si mostrò irrequieto, muovendosi in avanscoperta tra parecchie località del Lago di Como, a bordo di un motoscafo oppure su una Packard gialla scoperta. In quelle missioni esplorative avvicinò personaggi che non avrebbe certo incrociato se fosse venuto nel Belpaese soltanto per dipingere e riposare. Andò infatti a rendere visita al tenente colonnello Lui-
Nel periodo fra le due guerre è confinato ai margini della vita politica, senza ricevere alcun incarico di governo.
1925-39
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, il premier Neville Chamberlain gli affida nuovamente la responsabilità dell’Ammiragliato.
1939
Il 10 maggio succede a Neville Chamberlain come primo ministro del Regno Unito.
1940
Il leader laburista Clement Attlee lo sconfigge alle prime elezioni dopo la Seconda guerra mondiale.
1945
Il 26 ottobre torna premier. Si dimetterà quattro anni più tardi, ritirandosi a vita privata. Morirà nel 1965.
1951
La taglia su Churchill (25 sterline vivo o morto) evaso dalla prigionia durante la Seconda guerra boera (1899-1902), nella quale era corrispondente per il Morning Post.
Churchill sul Lago di Como era scortato da 26 uomini addestrati per operazioni di intelligence, specializzati nella cattura dei criminali nazisti Statista e pittore della domenica Sopra, Churchill, Roosevelt e Stalin alla conferenza di Yalta, nel febbraio del 1945. Sotto, il politico inglese impegnato nel suo hobby preferito: la pittura di paesaggi.
WINSTON E LA PITTURA
D
1945
PERCHÉ VIAGGIÒ SOTTO FALSO NOME?
urante il suo soggiorno sul Lago di Como della tarda estate nel 1945 Churchill, forse per sviare sospetti circa il reale scopo della sua presenza, si dedicò a uno dei suoi passatempi preferiti: la pittura. Dipinse ameni panorami lacustri, oppure scorci più nascosti, come una graziosa chiesina all’imbocco della Val d’Intelvi. A Osteno, sulla riva del vicino lago di Lugano, ritrasse i tipici barconi da carico. Competitivo. Ingaggiò anche una singolare gara artistica con il suo ospite, il generale britannico Harold Alexander, tra i massimi strateghi del conflitto da poco concluso. I due amici si cimentarono in un identico soggetto: un balcone a edicola sul lago. La figlia di Churchill, Sarah, ha riportato nelle sue memorie le discussioni tra sir Winston e il generale, a proposito dell’uso del colore. Se entrambi ricorrevano all’ocra pallido, oppure al rosa Madera, una tinta simile al fucsia, erano tuttavia in disaccordo sull’uso del nero. Churchill, preferiva un colore neutro, che giudicava meno “sepolcrale”.
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Downing Street (Londra): il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi incontra il primo ministro inglese, allora al suo secondo mandato, nel 1953.
Nei resoconti di quel soggiorno italiano non ci sono tracce del misterioso carteggio dottiero dell’Inghilterra belligerante sbarcò infatti sul Lario accompagnato dalla figlia trentenne Sarah, attrice dalla vita privata movimentata, dal medico personale, Lord Moran, dalla segretaria, Kathleen Hill, e dal cameriere, Frank Sawyers. Inutile aggiungere che né gli scambi epistolari intercorsi in quelle settimane tra i membri della famiglia Churchill, né i diari di Lord Moran, aiutano a diradare le nebbie riguardo alla caccia ai carteggi. Parla la figlia. Solo Sarah Churchill ha lasciato, nelle sue memorie, un resoconto di quel viaggio. Non fa cenno ai contatti del padre. In compenso, descrive nei particolari i superbi arredi di Villa Apraxin, che sarebbero piaciuti al maestro del brivido Alfred Hitchcock. La residenza, su quattro piani e 1.000 metri quadri, era un tripudio di arredi sontuosi. Al centro della stanza da bagno della figlia dello statista troneggiava una grande vasca di marmi color crema e albicocca: le pareti attorno erano ricoperte di specchi, tanto da regalarle l’impressione di immergersi nell’acqua con sei diverse rappresentazioni di se stessa. Durante i venti giorni della missione-villeggiatura, Churchill e il suo entourage fecero molti pic-nic all’inglese. La diffidenza dello statista britannico verso tutto ciò che fosse italiano era tale che a Villa Miglio di Domaso (per inciso, la casa di famiglia dell’ideologo della Lega Nord, il professor Gianfranco Miglio) si presentò con una damigiana di acqua minerale, per non dover ricorrere alle fonti locali. I pic-nic sono descritti da Sarah perfino con l’indicazione del menù freddo: galantine di manzo o di pollo, uova in gelatina, insalata di cetrioli, sedano, ravanelli, formaggio Stilton e infine biscotti. Il tutto innaffiato con abbondante vino bianco servito fresco. E, alla fine della colazione all’aperto, caffè caldo in thermos, brandy invecchiato per gli uomini, e un inconfondibile aroma di sigaro che si diffonde nell’aria. Inutile aggiungere che a spanderlo era sir Winston. •
1945
CARTE SUPERSEGRETE
M
olte fonti, sia di parte fascista sia di parte antifascista, concordano nel testimoniare l’esistenza di un carteggio ChurchillMussolini. Il partigiano aristocratico Luigi Carissimi-Priori, capo dell’Ufficio politico della Questura di Como dopo il 25 aprile 1945, raccontò di aver rinvenuto, a Como, una copia fotografica di 62 lettere. La corrispondenza, secondo Carissimi-Priori, iniziava nel 1936, per concludersi il 9 giugno 1940, il giorno precedente all’entrata in guerra dell’Italia. L’esponente partigiano consegnò poi i documenti al conte Pier Maria Annoni di Gussola, il quale li trasmise al capo del governo di allora, Alcide De Gasperi. Nelle intercettazioni telefoniche registrate a Salò dal Servizio di ascolto tedesco, Mussolini accennò più volte all’esistenza di questo “arsenale” documentario, al quale dava grande importanza, soprattutto ai fini della propria autodifesa in un eventuale processo postbellico, come quello che si tenne a Norimberga.
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PERCHÉ INCONTRÒ CHI AVEVA FERMATO IL DUCE?
gi Villani, un partigiano-finanziere che aveva avuto un ruolo importante negli ultimi momenti di Mussolini. Si intrattenne anche con il capitano degli alpini Davide Barbieri, tra i protagonisti, il 27 aprile 1945, del fermo della colonna italo-tedesca nella quale viaggiava il duce con i suoi fedelissimi. Inoltre, si recò a Villa Miglio di Domaso, un paese dell’alto Lago di Como dove erano transitati sicuramente una parte dell’oro di Dongo (il tesoro sottratto a Mussolini e ai gerarchi fascisti) e la documentazione di Stato sequestrata al dittatore dopo il suo arresto. Il duce, nel suo ultimo viaggio, aveva con sé due borse zeppe di incartamenti segreti che finirono nelle mani dei partigiani. Se ne ignora la destinazione finale, ma è assai probabile che, in quella tarda estate del 1945, molti dei dossier fossero ancora nelle mani dei responsabili della morte di Mussolini. Bocche cucite. Quel che è certo è che tutti coloro che furono con Churchill durante la sua singolare vacanza si impegnarono a tenere la bocca ben cucita. Il con-
Roberto Festorazzi
I N O I Z O M E E L I V I WARS. RIV DELLE GRANDI . A I R O T S A L L E BATTAGLIE D
CALENDARIO
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La storia militare dell’Urbe, da Servio Tullio all’Impero d’Oriente. I centurioni, gli hastati, i principes e i triarii, le differenze tra manipoli e coorti, le macchine d’assedio, le armi e gli equipaggiamenti.
In più con questo numero il calendario storico 2016 delle legioni di Roma. DA NON PERDERE!!
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INFOGRAFICA A CURA DI A. CARIOLI E V. SACCHI
POPOLI
Profughi, esuli, rifugiati: nazioni in fuga ANTICHE DEPORTAZIONI
CACCIATI DALLA SPAGNA
Dopo la conquista della Palestina da parte dei Babilonesi, gli ebrei sono deportati in Mesopotamia. Era accaduto anche nel 722 a.C. con la conquista assira.
586 A.C. ESILIO BABILONESE PALESTINA
Ferdinando di Castiglia e Isabella d’Aragona, i “re cattolici”, con il Decreto dell’Alhambra ordinano l’espulsione degli ebrei (per lo più sefarditi) dai loro regni.
1492
1640
EBREI SEFARDITI SPAGNA
800.000
PURITANI INGLESI INGHILTERRA
LA “GREAT MIGRATION”
Gli inglesi la chiamano Grande migrazione, seguita al conflitto tra Cromwell e la Corona. Altri esuli seguono dopo la restaurazione della monarchia.
1685 1880-1920 1913
UGONOTTI FRANCIA
EBREI ASHKENAZITI RUSSIA
GUERRE BALCANICHE BALCANI
1915
DIASPORA ARMENA TURCHIA
80.000
1.200.000 2.200.000
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1917
RIVOLUZIONE BOLSCEVICA RUSSIA
500.000 OLANDA
300.000 1.500.000
RUSSIA EUROPA
PROTESTANTI DI FRANCIA
Con l’Editto di Fontainebleau, il 22 ottobre 1685, Luigi XIV di Francia revoca la libertà di religione per i protestanti francesi, gli Ugonotti.
FRANCIA
INGHILTERRA GERMANIA SCANDINAVIA
EUROPA OCC.
PALESTINA
LIBANO
GERMANIA
SUDAFRICA
STATI UNITI
STATI UNITI
STATI UNITI
BABILONIA
NORD AMERICA
EUROPA
FRANCIA
AMERICHE
Il flusso anticipa quello degli Anni ’90, nei Paesi della ex Iugoslavia.
Si forma il nucleo della comunità ebraica newyorchese.
Nell’immediato, 300mila si rifugiano in Russia, dove nascerà l’Armenia.
Intorno al 540 a.C. alcuni rientrano in Palestina, altri iniziano la diaspora.
Popolarono le colonie di New England e Massachusetts.
Tra le destinazioni, Grecia, Toscana, Medio Oriente, Balcani.
Gli esuli “bianchi” filozaristi si stabilirono soprattutto a Parigi e Berlino.
Le stime variano: da 200mila a un milione di esuli ugonotti.
IN FUGA DAI POGROM
La persecuzione antisemita in Russia alimenta diverse ondate di emigrazione verso Occidente e Palestina. È l’epoca in cui nasce il movimento sionista. 20
BALCANI IN FIAMME
Alle guerre balcaniche seguirà negli Anni ’90 il conflitto nell’ex Iugoslavia (con oltre 2 milioni di profughi interni e circa 150mila in Paesi terzi).
IL PRIMO GENOCIDIO
La persecuzione contro gli Armeni da parte dei turchi nazionalisti, durante la Prima guerra mondiale, è considerato il primo genocidio del ’900.
GLI “EMIGRÉS” RUSSI
Con la rivoluzione bolscevica e la guerra civile, i russi schierati con l’esercito “bianco” (gli zaristi), per lo più aristocratici, lasciarono il Paese.
Dall’antichità ai conflitti più recenti, uomini e donne tentano di sfuggire a guerre o persecuzioni politiche e religiose. E questi sono soltanto alcuni casi.
IN FUGA DA HITLER
L’ESODO ISTRIANO
La politica di sterminio di Hitler provoca in Europa la morte di circa 6 milioni di ebrei. Si salvano i pochi che emigrano nei primi anni del regime.
1933
EBREI TEDESCHI GERMANIA
Dopo la Seconda guerra mondiale e il Trattato di Parigi del 1946, gli italiani di Istria e Dalmazia, per fuggire la repressione di Tito, si rifugiano in Italia.
1945
1950
ESODO ISTRIANO IUGOSLAVIA
800.000
ARABI DI PALESTINA PALESTINA
MOTIVI RELIGIOSI
MOTIVI POLITICI
LA “BOMBA” PALESTINESE
Dopo la nascita di Israele inizia il flusso dei profughi palestinesi. Dai 700mila iniziali si è oggi arrivati a circa 4 milioni di persone.
1956 1959-1980 1975-95
I FATTI D’UNGHERIA UNGHERIA
2.000.000 1.000.000
LEGENDA
GLI ESULI CUBANI CUBA
BOAT PEOPLE INDOCINA
700.000 300.000
MOTIVI BELLICI
MOTIVI ETNICI
VIA DALL’UNGHERIA
Nel novembre 1956, dopo l’invasione da parte delle truppe sovietiche, migliaia di ungheresi ogni giorno lasciano fortunosamente il Paese.
1994
LA CRISI RUANDESE RUANDA
2015
PROFUGHI SIRIANI SIRIA
425.000 200.000
270.000 PAESI ARABI
SUD-EST ASIATICO SVIZZERA
HONG KONG
TURCHIA
STATI UNITI
STATI UNITI
ZAIRE-CONGO
STATI UNITI
PAESI ARABI
ITALIA
UNIONE EUROPEA
EUROPA OCC.
Nella fuga via mare muoiono fra 200mila e 400mila vietnamiti.
Molti superano il breve tratto di mare con canotti e mezzi di fortuna.
È stata una delle più gravi emergenze umanitarie del secondo ’900.
Dopo il 1948 altri 800mila ebrei arrivano nel neonato Israele.
Dal Libano alla Siria fino all’Egitto si moltiplicano i campi profughi.
Molti si stabiliscono a Trieste e nel Nord-est, altri poi emigrano.
Destinazione finale, per molti, i Paesi del Nord Europa, Germania in testa.
Prima destinazione Iugoslavia e Austria, poi altri 37 Paesi.
I CUBANI DELLA FLORIDA
La vittoria della rivoluzione a Cuba nel 1959 ha avviato un flusso di profughi anticastristi che hanno formato a Miami (Florida) una grande comunità.
I “BOAT PEOPLE”
In seguito alla sconfitta americana nel conflitto, gli abitanti del Vietnam del Sud fuggono per evitare la repressione dopo la vittoria del Nord comunista.
LA CRISI DEL RUANDA
Ruandesi (hutu soprattutto) fuggono dalle rappresaglie nei precari campi profughi del Congo, dopo il genocidio dei tutsi da parte degli hutu.
SIRIANI
Fuggono alla guerra civile scoppiata in Siria nel 2011 e alla presenza dell’Isis. Il dato è riferito a ottobre 2015: 2 milioni sono in Medio Oriente, 1,9 in Turchia. 21
OTTOCENTO
LE ISOLE DEI BORBONE Negli arcipelaghi del nostro Sud anche i più remoti lembi di terra furono colonizzati in epoca borbonica
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Nuove acquisizioni Carlo III di Borbone: fu lui, re di Napoli dal 1734, a entrare a vario titolo in possesso delle piccole isole del Sud Italia. 22
el 1734 Carlo III di Borbone diventa re di Napoli e di Sicilia. Del suo nuovo regno fanno parte 14 isole disseminate fra Tirreno e Adriatico. Alcune, come quelle Pontine al largo di Gaeta, erano un regalo della madre Elisabetta Farnese, che le aveva acquistate da privati. Altre, come le Tremiti, di fronte al promontorio del Gargano, furono donate dai canonici Lateranensi. Le Eolie facevano parte del Regno di Sicilia mentre, più a sud di tutte, Lampedusa, isola privata dell’inglese Alessandro Fernandez, dopo varie vicissitudini, fu acquistata definitivamente, per 12mila ducati, nel 1839. Tutte isole che avrebbero potuto rimanere semplici scali di passaggio o scogli semiabbandonati, poveri e improduttivi, com’erano state per secoli. Invece si decise di popolarle per sfruttarne i terrreni coltivabili. Come? Convincendo gente disposta a trasferirsi in quei luoghi remoti, con incentivi economici e promesse. Coloni cercasi. Fu Ferdinando IV di Napoli (dal 1816 Ferdinando I delle Due Sicilie) a porsi per primo il problema di popolare quelle isole che, al contrario di Ischia e Capri, abitate da sempre, erano allora semideserte. In un primo momento, il re si propose di prendere due piccioni con una fava: allontanare da Napoli una serie di persone non gradite (piccoli delinquen-
Il carcere di Santo Stefano oggi: è rimasto in uso anche dopo l’Unità d’Italia e sotto il fascismo, fino alla chiusura avvenuta nel 1965.
Ventotene L’isola dei galeotti, con un carcere diventato monumento. Ventotene, nel 1768, sbarcò l’architetto Francesco Carpi. Sarà lui a progettare e realizzare un famigerato carcere sulla piccola e inaccessibile isoletta di Santo Stefano. La prigione è costruita sul modello del panopticon, il cosiddetto “carcere ideale” ideato dall’inglese Jeremy Bentham, che permetteva a pochi guardiani di sorvegliare i
prigionieri. Tra i deportati illustri Luigi Settembrini, confinato sull’isola nel 1859. Manodopera gratis. Nel centro principale di Ventotene le abitazioni sorsero attorno a due edifici: il castello e la chiesa di Santa Candida. I lavori costarono 30mila ducati, ma con manodopera a costo zero, visto che gli operai erano tutti detenuti. Ne Il cortile interno, con le celle, del carcere di Santo Stefano.
furono inviati un centinaio, che alloggiarono nella preesistente grande cisterna romana, che da allora si chiama “Grotta dei carcerati”. I loro disegni si vedono ancora oggi sulle pareti. Moltiplicatevi! Il 17 ottobre 1768 arrivò un nuovo gruppo di 100 galeotti e 200 ladri, insieme a un gran numero di prostitute. La loro missione? Popolare Luigi Settembrini, rivoluzionario deportato a Santo Stefano per 14 mesi.
© SANDRO VANNINI/CORBIS
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l’isola. Compito al quale si dedicarono con passione. C’era una guarnigione, insieme con due sacerdoti, a sorvegliare sull’ordine pubblico. Ma il vescovo di Gaeta protestò con il re per il comportamento di “quella gente” e, nell’aprile del 1771, la “scapolata ciurma” fu allontanata. E i carcerati sostituiti da coloni senza precedenti penali. (g. d. f.)
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Carcere modello
Ischia
Villaggi, attività industriali, lingua: sono le eredità borboniche nelle isole del Sud
Gigi Di Fiore 24
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Il porto di Ischia, ricavato artificialmente nel 1853-54.
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e Ferdinando II nel 1853 sbarcò a Ischia per prendere alloggio a Palazzo Buonocore, trasformato in casina reale. Per raggiungere più comodamente la residenza Ferdinando decise di trasformare il lago interno di Ischia in un porto sicuro. Bastava infatti tagliare la sottile striscia di terra che separava il lago dal mare aperto. I lavori si rivelarono però complessi e rischiosi. Iniziarono il 25 luglio 1853 e coinvolsero la popolazione e i prigionieri del carcere nel Castello Aragonese. Rischiando la vita, decine di sommozzatori scendevano nelle profondità marine per scavare il fondale. Pompa magna. Le cronache non riportano morti e feriti, ma i documenti raccontano l’eccezionale inaugurazione del porto, il 17 settembre 1854. Si racconta di 200 imbarcazioni addobbate a festa, bande musicali, una
regata storica nello specchio d’acqua. L’apertura del porto permise all’isola di uscire dalla condizione di depressione economica nella quale era dall’inizio del XIX secolo.
Con il porto vennero inaugurate anche nuove strade per unire l’approdo stesso ai centri dell’isola. Strade che ancora oggi servono i turisti che visitano Ischia. (p. p.)
Ustica
Abitata da coloni delle altre Eolie, era vitale per il controllo antipirati. Cala Santa Maria, primo nucleo della colonizzazione.
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ti per lo più) e, attraverso il trasferimento coatto, colonizzare le isole. Fu questa la soluzione inziale sperimentata alle Tremiti e a Ventotene. Andò male: spuntarono case, ma non campi coltivati: gli ex detenuti preferivano vivere piuttosto di espedienti che mettersi a zappare quelle terre ricevute in regalo. Il re scelse allora un’altra strada. Il 28 luglio 1771 firmò un decreto che istituiva le colonie delle isole Tremiti, di Ventotene, di Ustica e di Lampedusa. I coloni sarebbero stati scelti tra chi viveva in povertà o era senza lavoro. I pionieri. A ogni colono veniva assegnato un terreno dove costruire una casa, insieme con 5 tomoli (circa un ettaro e mezzo) di terra coltivabile. Ognuno riceveva poi strumenti agricoli e un piccolo capitale per 3 anni, per superare le difficoltà dei primi tempi. In qualche caso, come alle Tremiti e a Lampedusa, si insediarono ladri, vagabondi e “gente trista della capitale che resta liberata”, come si legge nella Cronaca civile e militare delle Due Sicilie di Luigi Del Pozzo (1857). Nell’editto c’era un “invito a chi vuole portarsi ad abitare nell’isola di Ventotene e coltivarla accordando alcune franchigie”. Ai delinquenti trasferiti con la forza e ai coloni volontari la legge concedeva uguali opportunità: i soliti 5 tomoli di terreno, la casa e gli strumenti per la coltivazione. Chi invece preferiva dedicarsi al mare riceveva “gli ordigni necessari per la pesca”. E tutti i coloni erano esentasse per 3 anni. Ai confini del regno. Non tutto filò liscio: negli anni si moltiplicarono liti e contenziosi tra i coloni, che costringevano i governatori a continue mediazioni. “Ogni usurpazione e frode può far espellere dall’isola il colono”, dispose Ferdinando IV, esasperato. Nel 1781 si passò dalle parole ai fatti, con le prime espulsioni, da Ponza e Ventotene, di “coloni infingardi affinché non fussero di esempio e di peso”. Per fortuna la maggioranza non seguì l’esempio degli “infingardi”: molto di quanto si ammira oggi dalle Pontine a Lampedusa fu realizzato da quei coraggiosi coloni. Come, ve lo spieghiamo in queste pagine. •
1853: l’avventurosa costruzione del porto nell’isola del Golfo di Napoli.
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l problema di Ustica e delle vicine Eolie erano i pirati tunisini. Non a caso, tra le eredità borboniche ci sono le due torri di guardia erette dopo il 1759: Torre di Santa Maria e Torre Spalmatore, non distanti dai due fari. Comunicavano con le torri siciliane per lanciare l’allarme in caso di attacco. La colonizzazione favorì lo spostamento di un centinaio di famiglie eoliane, soprattutto da Lipari, insieme con trapanesi e palermitani. Con loro, popolarono l’isola circa 250 soldati. (g. d. f.)
Lampedusa Da proprietà privata (acquistata in contanti) a libero comune (in epoca post-unitaria).
SHUTTERSTOCK / CHICCODODIFC
Una costruzione con mura a secco a Lampedusa.
L’
inglese Alessandro Fernandez, proprietario dell’isola di Lampedusa fino al 1839, non era riuscito a realizzare il suo sogno di colonizzare l’isola. Incassati i 12mila ducati dai Borbone, Fernandez si ritirò a Gibilterra lasciando campo libero. L’8 maggio del 1843 Ferdinando II tentò di mettere in piedi una colonia. Questa volta i pionieri del mare erano guidati da un
militare, che il re nominò governatore dell’isola: il capitano di fregata Bernardo Maria Sanvisente, che sbarcò con una comunità di 120 coloni. Dopo la fine del Regno delle Due Sicilie e l’Unità d’Italia anche a Lampedusa fu istituita una colonia penale, nel 1872. L’isola fu poi riconosciuta libero comune nel 1878, con la vicina Linosa come frazione. (g. d. f.)
Tremiti P
rima dei Borbone l’isola San Nicola apparteneva ai canonici Lateranensi. Ma nel 1780 Ferdinando IV decise di far abbattere la loro badia per ingrandire il forte. Anche qui fu inviato“un buon numero di malfattori” per dedicarsi alla cura dei terreni incolti. Popolosa. L’isola arrivò nel 1796 a circa 400 abitanti, ma fu solo nel 1843 che un altro re Borbone, Ferdinando II delle Due Sicilie, istituì una colonia alle Tremiti. Era il 31 agosto del 1843. Da quel momento, la popolazione dell’isola, chiamata Dio-
medea, di 600 abitanti, aumentò di altre 500 persone. Questa seconda colonia fu un vero successo: gli sbarchi più numerosi avvennero tra il 1844 e il 1845. Arrivavano con la moglie e i figli, dalla solita Ischia, ma anche da Procida e dai paesi vesuviani. Sull’isola venne realizzato un conservatorio-scuola, dove vivevano ragazze minorenni figlie di coloni che lo lasciavano solo al momento del matrimonio. E anche alle Tremiti, oggi parte della Puglia, nel dialetto locale si sente l’eco della parlata napoletana. (g. d. f.)
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La fortezza sull’isola di San Nicola. A destra, Ferdinando I delle Due Sicilie, sul trono dal 1759 al 1825.
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La badia che diventò fortezza dell’Adriatico.
Ponza
Lipari
Pescatori e raccoglitori di corallo (con il medico gratis). rrivarono soprattutto dall’isola di Ischia e dal paese vesuviano di Torre del Greco. Erano i coloni che, su quell’isola, speravano di trovare una vita migliore. Arrivarono le famiglie Scotto, Migliaccio, Mazzella, cognomi ischitani che si conservano ancora oggi sull’isola pontina, così come l’ibrido dialetto di intonazione napoletana. A pesca. I coloni di Ferdinando IV, da 1771, iniziarono con 20 barche trasferite da Ischia, che vendevano il loro pescato a Napoli. Altre 50 arrivarono da Torre del Greco, per la pesca del corallo, tradizione trapiantata a Ponza. Ferdinando IV fece poi costruire le fortificazioni, affidate al ministro anglo-napoletano Antonio Winspeare e all’architetto Francesco Carpi. A fine Settecento esisteva un regolamento uguale per tutti i coloni. Vi si leggeva che “dovendo rendere abitabili ed in stato di coltura le isole deserte e incolte, venivano concesse in enfiteusi [locazione] perpetua i terreni assegnati”. A chi non aveva
© ENZO & PAOLO RAGAZZINI/CORBIS
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La pomice da qui arrivava fino in Inghilterra.
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ocumentata fin dal 1680, la pietra pomice di Lipari fu sfruttata a livello industriale con il dominio borbonico, dal 1825. Cioè da quando il marchese Vito Nunziante, che possedeva già una concessione per estrarre zolfo, allume e acido borico nella vicina Vulcano, ricevette anche l’autorizzazione allo sfruttamento esclusivo delle cave di pomice di Lipari. In pochi anni il prodotto fu esportato fino in Inghilterra, Stati Uniti e Russia. L’attività era così intensa che nel 1855, con atto del ministro della Real Segreteria di Stato, fu imposto il pagamento di un dazio della pomice di 0,06 lire per ogni quintale di pomice bianca destinata al commercio. Antico tesoro. Le miniere da sempre erano il centro dell’economia dell’isola. Già nella preistoria era fiorente il commercio dell’ossidiana, il taglientissimo “vetro” di origine vulcanica. Più tardi, nel VI secolo a.C., iniziò anche il commercio della pomice. La pietra si usava per levigare la cartapecora ma, dal 1413 al 1433, fu impiegata anche per levigare i marmi di Santa Maria del Fiore, a Firenze. (p. p.)
Abitazioni rupestri a Palmarola, sull’isola di Ponza.
mezzi, si concedeva di pagarsi la costruzione della casa con rate annuali. Ai coloni spettava una parte delle rendite ricavate
dallo sfruttamento dei terreni sull’isola. E, tra i benefit, la presenza di un medico condotto obbligato a curarli gratis. (g. d. f.)
Favignana Le ciminiere e gli edifici della tonnara di Favignana, dei Florio dal 1841.
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u una delle più floride attività industriali della Sicilia e dell’Italia intera. E l’origine del suo successo risale proprio all’epoca borbonica. Nel 1841 infatti una delle più importanti famiglie del Regno delle Due Sicilie, i Florio, prese in affitto dai Pallavicino di Genova l’antica tonnara. La famiglia Florio portò quell’attività al massimo delle sue potenzialità e inventò persino, alla fine dell’Ottocento, il moderno tonno in scatola. Industriali. La tonnara qui aveva origini antichissime e risale all’epoca in cui erano gli arabi a dominare sulla Trinacria. Araba
è la terminologia specifica del lavoro e l’usanza di cantare per scandire i tempi della mattanza, arabo è il nome del capo dei mattatori, il “Rais”. Ma nel 1874 i Florio ristrutturarono completamente lo stabilimento, che si estendeva su circa 32.000 metri quadrati ed era composto da una serie di grandi ambienti coperti: uffici, magazzini, falegnameria, officine, spogliatoi, stiva, galleria delle macchine, trizzana e malfaraggio (gli “hangar” per il ricovero delle barche), e dalla lunga batteria di forni per la cottura del tonno e, svettanti su tutto, tre alte ciminiere. (p. p.)
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La tonnara di Favignana, nelle isole Egadi: qui nacque il tonno in scatola.
Le cave di pietra pomice, esportata nell’800 fino negli Stati Uniti.
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PRIMO PIANO
Trionfanti Il trionfo di Vespasiano nel 70 d.C., dopo la vittoria nella Guerra di Giudea e la disrtuzione del Tempio di Gerusalmeme.
DOMUS AUREA DA SOGNO pag. 30 ■
INGEGNERIA E ALTRI PRIMATI pag. 38 ■
INSUPERABILE CICERONE pag. 44 ■
CITTÀ DA RECORD pag. 50 ■
OLTRE I CONFINI DEL MONDO
ECCELLENZE
ROMANE
pag. 52 ■
GENERALI INVINCIBILI pag. 58 ■
APOLLODORO ARCHISTAR pag. 60 ■
IL CIRCO DELLE BIGHE pag. 66 ■
GLI INVENTORI DELLE TERME pag. 68
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Dall’epoca repubblicana a quella imperiale, fatti e personaggi da record (spesso rimasti imbattuti).
PRIMO PIANO
LUSSO
A CENA DA
NERONE L’imperatore si fece costruire la residenza più stupefacente dell’antichità romana, destinata a impressionare gli ospiti. E anche noi
Si apre il sipario Due restauratrici all’ingresso del Piccolo criptoportico, nel settore occidentale della Domus Aurea. Il telo serve per bloccare le correnti d’aria che finirebbero per danneggiare affreschi e strutture murarie.
Avorio e oro. Proprio dall’incendio (uno dei tanti che colpivano periodicamente una Roma più di legno che di marmo) che distrusse il centro dell’Urbe nel luglio del 64 d.C., nacque il sogno della Domus Aurea. Il sogno durò 4 anni: la residenza non era ancora conclusa quando Nerone fu costretto al suicidio, nel 68 d.C. Fu un peccato, quanto meno per gli amanti dell’arte. Tacito, negli Annales, racconta che gli architetti Severo e Celere l’avevano dotata di “bizzarrie che andavano contro le leggi della natura”, abbellendola con statue depredate in Grecia e Asia Minore, marmi preziosi e rivestimenti in avorio e lamina d’oro.
La leggenda di Nerone
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ono forse le scarse notizie sulle sue ultime ore all’origine della vox populi secondo cui Nerone, mai morto, si sarebbe ritirato in attesa di poter tornare da trionfatore. La leggenda nasconde un’inaspettata verità: l’imperatore, deprecato dagli storici latini, quasi tutti della parte politica a lui avversa, quella dei senatori aristocratici, fu tra i più amati, specie dai poveri. L’oratore greco Dione Crisostomo, alla fine del I secolo, scriveva: “Se fosse dipeso da tutti gli altri”, e non dai soli senatori, “niente avrebbe impedito a Nerone di regnare per l’eternità, dato che anche ora tutti vorrebbero che fosse vivo”. E in effetti sembra che i Romani abbiano deposto fiori nel suo mausoleo fino all’inizio del XII secolo. Esasperato, papa Pasquale II ne ordinò la distruzione e lì fu costruita Santa Maria del Popolo. Soltanto in età contemporanea la buona fama (almeno tra il popolo) dell’ultimo giulioclaudio fu dimenticata, per recuperare la leggenda nera dell’imperatore piromane. 31
M. ANSALONI (11)
L
a Domus Aurea oggi dorme sottoterra, sfuggente e invisibile a droni e satelliti. Se provassimo a cercarla su Google Maps, potremmo solo intuirla oltre la macchia verde del Colle Oppio, di fronte al Colosseo. Eppure quella villa fu probabilmente la residenza più grandiosa di tutta l’antichità. Il padrone di casa era Nerone, l’ultimo discendente di Augusto, non più sanguinario del capostipite, ma meno astuto. Non si curò infatti di avere buoni rapporti con il Senato e quest’errore gli costò la vita e la condanna postuma, oltre all’accusa (infondata) di aver dato fuoco all’Urbe per incolpare i cristiani.
Nel ’400 Raffaello, Pinturicchio e il Ghirlandaio si calarono nella Domus sepolta in cerca di ispirazione
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1 Controsoffitto di un ambiente vicino alla Sala Ottagona, con un affresco sulla volta.
2 Figura policroma di drago, eseguito dal celebre pittore Fabullus nel Grande criptoportico.
3 La Sala Ottagona vista da un’entrata. All’interno si notano attrezzi e la pedana usati per il restauro.
4 Le tipiche “grottesche”: disegni stilizzati per creare una finta prospettiva.
Il luogo degli scavi
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Il simbolo indica dove sono i resti oggi in parte visitabili dell’enorme complesso voluto da Nerone, quelli sul Colle Oppio.
Ecco com’era
ALTAIR4 MULTIMEDIA
A Roma (e non soltanto lì) nessuno aveva visto mai un tale prodigio, reso simile all’oro dalla magnificenza e dalle raffinate soluzioni tecniche, che anticipavano il Rinascimento. La cupola che sormontava la Sala Ottagona, cuore della residenza, ricorda quella progettata da Brunelleschi per il Duomo di Firenze e le “grottesche” furono riprese da Raffaello nelle Logge Vaticane. Il grande pittore aveva potuto copiare i motivi stilizzati delle decorazioni neroniane dopo essersi calato, grazie a corde fissate agli alberi, in cavità scambiate per grotte, assieme ad alcuni colleghi appassionati di antichità. Tra questi il Pinturicchio, la cui firma è incisa nella cosiddetta Sala della Volta Gialla, e il Ghirlandaio, che firmò nella Sala di Ettore e Andromaca. Nel Rinascimento quelle rovine erano state appena scoperte, ma nessuno aveva capito che erano della Domus Aurea. «Il settore superstite della villa conta ben 150 stanze», spiega il soprintendente per i Beni Archeologici di Roma Francesco Prosperetti. «Sebbene già i Flavi (la dinastia successiva a quella di Nerone, ndr) e i loro successori le avessero spogliate dei materiali più pregiati, restano, su volte e pareti, splendidi affreschi e stucchi che coprono circa 30mila metri quadrati: trenta Cappelle Sistine». Colossale. La Domus Aurea non si limitava ai pur imponenti resti rinvenuti sul Colle Oppio, dove non sono stati rintracciati né sistemi di riscaldamento, né latrine, né camere da letto. «Sul colle», continua Prosperetti, «c’era semplicemente il padiglione dedicato all’otium di una reggia immensa che, dall’Esquilino e dal Celio, abbracciava un laghetto artificiale, in seguito prosciugato da Vespasiano per costruirci il Colosseo, fino a raggiungere il Palatino». Sul pendio del Palatino, presso l’ingresso principale, c’era il vestibolo che accoglieva gli ospiti. «Nerone, per emulare il Colosso di Rodi, vi fece innalzare una statua in bronzo alta 35 metri, raffiguran-
Quello che ne resta, sotto il Colle Oppio
Ricostruzione 3D del padiglione della Domus Aurea, una parte dell’enorme reggia. Nell’ingresso c’era la statua in bronzo di Nerone nei panni del dio-Sole , alta 35 m; in primo piano il lago artificiale e quella che potrebbe essere stata la Sala Ottagona, da alcuni identificata come la “sala rotante” creata per stupire gli ospiti.
te se stesso sotto le sembianze del dio-sole», racconta il sovrintendente. La statua era talmente pesante che Adriano ebbe bisogno di 24 elefanti quando ordinò di spostarla per lasciar posto al tempio di Venere e Roma. Proprio dalla vicinanza con la statua, nel Medioevo, l’Anfiteatro Flavio avrebbe preso il nome di Colosseo. Meraviglia rotante. Il vestibolo metteva direttamente in comunicazione con il luogo prediletto di ogni imperatore: il Palatino. Qui sorgevano gli ambienti più importanti e qui, nel 2009, un team di archeo
logi diretto da Mariantonietta Tomei ha identificato in una struttura a pianta circolare le fondazioni della Coenatio Rotunda descritta da Svetonio: una sala da pranzo che “ruotava continuamente, giorno e notte, come la Terra”, meravigliando i commensali con l’espediente di “lastre d’avorio mobili e forate in modo da permettere la caduta di fiori e di profumi”. Sebbene non sia stato rinvenuto nessun meccanismo che renda certa questa identificazione, gli studiosi sono concordi: se tale avveniristica sala esisteva, non poteva che
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Sul Colle Oppio c’era un intero padiglione dedicato all’otium. Era enorme: si stima fosse lungo 370 metri sorgere sul Palatino. Il Colle Oppio era infatti un’altura secondaria, e in quanto tale non era occupata dalle regali stanze di rappresentanza, ma da un padiglione della reggia. Anche questo, però, smisurato. «La sua facciata, dotata anticamente di un portico aperto verso il lago, è nascosta dalle gallerie costruite in seguito da Traiano», spiega l’archeologa Elisabetta Segala. «Oggi è documentata per 240 metri. Gli scavi hanno chiarito che il centro di simmetria era costituito dal complesso della Sala Ottagona, per cui possiamo stimare una lunghezza totale di circa 370 metri». La Sala Ottagona, tra le stanze sopravvissute, rivela la struttura di maggiore complessità. Per questo c’è chi l’ha identificata proprio con la “sala rotante”. Le pareti, ormai spoglie, sembrano ancora ruotare con il trascorrere delle ore, grazie all’effetto cangiante dei raggi solari che filtrano secondo diverse inclinazioni dal lucernario, colpendo le pareti da differenti direzioni. Era questo che voleva dire Svetonio quando parlava di una sala rotante? Alludeva forse all’illusione del movimento, più che a un movimento reale? Fatto sta che Nerone non poteva non sfruttare con consapevolezza quest’architettura per impressionare i suoi ospiti. Facile immaginarlo circonfuso di chiaroscuro e affiancato dai bronzi del Galata mo-
Un campione di splendore Una restauratrice rifinisce un tassello di pulitura: è il saggio finale per verificare il risultato del lavoro. È un esempio di come appariranno gli affreschi della Domus Aurea a lavoro ultimato.
rente e del Galata suicida (saccheggiati dall’Acropoli di Pergamo, in Turchia), mentre riceve sudditi romani e ambasciatori stranieri che non sanno dove posare gli occhi. Da una parte c’era l’uomo-dio più potente del mondo conosciuto, dall’altra boschi pieni di animali selvatici e uno
L’ingresso più “imperiale” di tutti i tempi
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a pochissimo è stata riaperta la Rampa di Domiziano, ingresso monumentale ai palazzi imperiali del Colle Palatino. Edificata nella seconda metà del I secolo d.C., la rampa collegava il foro, il centro politico e amministrativo della città, con il centro del potere, il palazzo degli imperatori. Il complesso è dotato di
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un grande ingresso (probabilmente identificabile nell’aula trasformata nel Medioevo nell’Oratorio dei 40 martiri), di vari posti di guardia, una sala di attesa (divenuta la chiesa di Santa Maria Antiqua e separata dalla Rampa) e una latrina. Gli ambienti sono a livello del foro, alle pendici del Palatino. La rampa si snodava lungo
sette salite con altrettanti tornanti, che si innalzavano fino a 35 m, incrociando il Clivo della Vittoria, cui si accedeva attraverso un posto di guardia, per arrivare in cima al colle all’ingresso dei palazzi. Delle 7 salite ne sono rimaste 4 e il tragitto aperto al pubblico termina a un nuovo spettacolare affaccio sui Fori. (i. m.)
stagno “che sembra un mare”. Un grande cortile scoperto occupava il lato occidentale del padiglione, l’unico conservatosi intero: a sud si apriva la Sala della Volta delle Civette, probabilmente un triclinio, dove si banchettava semisdraiati. Effetti speciali. Più a est andava in scena un altro gioco di prestigio. Dal giardino invaso dal sole, la vista poteva spaziare attraverso la penombra di due colonnati fino a un ninfeo, una costruzione simile a una grotta naturale. All’epoca i mosaici erano di solito collocati sul pavimento, ma qui è la volta a ospitare le tessere che raffiguravano l’episodio dell’accecamento di Polifemo da parte di Ulisse. «Quest’iconografia non è casuale: parla degli obiettivi politici di Nerone», racconta Segala. L’alternarsi di luci e ombre serviva per intimorire ospiti e ambasciatori. Gli affreschi per far capire con chi avevano a che fare. L’Iliade era la fonte principale di ispirazione delle decorazioni. Il
1 Decorazioni “a grottesche” sulla volta di un ambiente, sempre nei pressi del Grande criptoportico. Lo sguardo si perde nel punto di fuga.
2 Vicino al Grande criptoportico, una restauratrice segna sulla parete i punti in cui la muratura necessita di iniezioni consolidanti.
3 Ambiente nel corridoio che porta alla Sala Ottagona. Il restauro è stato condotto anche ricorrendo a tecniche costruttive antiche.
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1 Un archeologo solleva una fotocamera per il rilievo tridimensionale dei muri di una delle stanze.
2 Uno degli ambienti vicino alla Sala Ottagona, con le pareti restaurate: si vede una parte della volta.
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Nerone voleva trasformare Roma in una capitale in stile orientale, con una reggia dove si ammiravano belve e uccelli esotici che non sorprende: l’imperatore amava la Grecia al punto da restituire la libertà alle città-Stato elleniche. «Nerone voleva trasformare Roma in una sontuosa capitale monarchica in stile orientale, dotandola di una reggia che fosse una villa di campagna, seppure collocata nel cuore dell’Impero», chiarisce l’archeologa. Era questo il senso di quelle scene prese più dai miti greci che da quelli romani. Quasi che gli invitati dovessere credere di essere ad Alessandria d’Egit-
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to, la culla della civiltà ellenistica, e non nell’Urbe ancora in mano al potere aristocratico dei senatori. Il pittore in toga. Dietro a quegli affreschi multicolori c’era la mano del pittore Fabullus, depositario dell’eccellenza romana in campo artistico eppure personaggio lontanissimo dall’esuberanza di Nerone. Plinio, nella sua Storia naturale, scrive che era un tipo dal carattere “grave e severo”. Dipingeva poche ore al giorno, affidandosi alla luce migliore, e con gran-
Oggi è un fragile tesoro da proteggere
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iante infestanti, lecci e persino un pino himalayano infieriscono sul capolavoro di Nerone. La penetrazione delle radici sgretola le murature favorendo la percolazione dell’acqua, mentre l’azione delle infiltrazioni di scioglie i i sali minerali di cui è ricca la malta romana. «La strategia individuata per il salvataggio della Domus Aurea dalla Soprintendenza Speciale
per i Beni Archeologici è il restyling del giardino», spiega il soprintendente Francesco Prosperetti. Il sito è tornato accessibile dopo otto anni il 26 ottobre 2014. Da allora i turisti possono visitarlo, ma solo in parte e nei fine settimana. Aperture regolari sono rimandate alla fine dei lavori, prevista nel 2018, se verranno trovati i 31 milioni di euro necessari. «All’inizio bisognerà
togliere gli alberi, dopo la terra», spiega Prosperetti. «Poi si dovrà sostituire all’attuale giardino, alto fino a 3,5 m, uno strato più basso, fornito di un sistema di protezione che sappia difendere le strutture sotterranee dal clima». Intanto, nella reggia, prosegue il consolidamento degli strati tra gli affreschi e gli strati preparatori e tra questi e le strutture murarie.
de solennità, vestendo la toga perfino sulle impalcature. Sarebbe tuttavia un errore pensare che il segno del potere fosse stato affidato solo agli affreschi. «Gli ambienti più lussuosi avevano le pareti coperte da lastre di marmi che andavano dal bianco al giallo, al rosso e al verde e arrivavano fino alle volte dipinte», rivela Segala. «Oggi quello che resta è immerso in un’umida oscurità», conclude Prosperetti. «Ma dobbiamo immaginare com’era la reggia al tempo della sua costruzione, inondata dal sole e dal verde». Oltre ai cortili scoperti, infatti, la Domus Aurea aveva anche un piano superiore con portici, fontane e giardini dove passeggiare. Questo piano fu completamente raso al suolo durante la realizzazione della terrazza delle Terme di Traiano, inaugurate nel 109 d.C. Tutte le aperture verso l’esterno furono sigillate e il livello inferiore fu rinforzato con muri che ripartirono gli spazi più ampi, creando una serie di gallerie coperte con volte a botte. La terra riempì tutto. E nelle viscere del Colle Oppio la reggia più spettacolare dell’antichità sprofondò in un lungo oblio, fino al Rinascimento. • ,
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Federico Gurgone
PRIMO PIANO
ECCELLENZE
I PRIMATI ROMANI Furono fuoriclasse nel diritto, nell’ingegneria e nell’amministrazione. E avrebbero preso dieci e lode anche in altri campi A cura di Aldo Bacci
POLITICA
Corruzione, prodotto tipico
L
a corruzione nell’antica Roma era davvero da record. Esisteva persino una cerimonia per “corrompere” gli dèi, l’evocatio deorum: i generali romani convincevano a suon di promesse gli dèi delle città nemiche a passare dalla loro parte, permettendo la sconfitta delle città che avrebbero dovuto tutelare in cambio di templi più maestosi a Roma. Ma era tra gli uomini – politici e amministratori – che giravano le vere tangenti. Sallustio ci ricorda come il re nordafricano Giugurta si potesse permettere di uscire da Roma gridando “Città in vendita!”, avendo comprato uno dopo l’altro generali e senatori che l’avrebbero dovuto contrastare. Basta pagare. Anni prima, Caio Gracco denunciava che in Senato la discussione sul destino di un territorio asiatico (se assegnarlo a un re confinante o lasciarlo libero) era inficiata dalla corruzione: i senatori che si esprimevano a favore di un re erano stati comprati da questo, quelli che sostenevano l’altro avevano incassato da lui, e quelli che tacevano avevano preso soldi da entrambi. Nel 193 d.C. si giunse al punto che i pretoriani assegnarono il trono al pretendente che li aveva pagati di più. 38
A BLOCCHI Le pietre si ricavavano da apposite cave. I blocchi, a forma di parallelepipedo, erano poi sovrapposti in filari omogenei.
IMPALCATURA Simili ai nostri ponteggi, le antiche impalcature romane erano erette in legno dal basso, ma con un sistema di sostegni complesso, che inludeva le centine impiegate per costruire gli archi.
LO “SPECUS” Era un canale coperto e sopraelevato, costruito in pietra: era qui che, come su un lungo piano inclinato, l’acqua scorreva.
MATERIALI Per costruire queste “grandi opere” si usava prevalentemente il laterizio. Ma anche piastrelle e mattoni. Il tutto fissato con un potente “cemento”.
ARCHI L’impiego delle arcate univa alla funzione di sostegno quella di tenere più alta possibile la quota dell’acquedotto.
M
“
Acquedotti insuperabili
i sembra che la grandezza dell’Impero romano si riveli mirabilmente in tre cose, gli acquedotti, le strade, le fognature”, scriveva lo storico greco Dionigi d’Alicarnasso nel I secolo a.C. Nel periodo aureo un cittadino romano poteva contare su mille litri d’acqua al giorno. E oltre agli 11 acque-
dotti dell’Urbe ce n’erano altri simili in tutto l’impero: ogni città ne aveva almeno uno. Acque chiare. Gli acquedotti correvano sottoterra ma venivano realizzate anche le strutture ad arcata ritenute di volta in volta necessarie. Il trasporto dell’acqua era garantito dalla sola forza di gravità e una pen-
denza costante, spesso minima, dalla fonte al punto di uscita in città. Apposite vasche lungo il percorso, grazie alle quali l’acqua rallentava la propria velocità, permettevano il filtraggio delle impurità; in questo modo, l’acqua arrivava pulita nei serbatoi di distribuzione e nelle cisterne. 39
SOL90
INGEGNERIA
ISTITUZIONI
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Il bilanciamento dei poteri segreto del successo
e istituzioni romane sono cambiate molto nei dodici secoli tra la monarchia, la repubblica e l’impero. E non sono state perfette, subendo scossoni e degenerazioni autoritarie. Eppure hanno anticipato i tempi in materia di governo dello Stato. Questo è vero soprattutto per le istituzioni po-
litiche della media repubblica (III-II secolo a.C.) che secondo lo storico greco Polibio permisero l’emergere di Roma garantendole la stabilità necessaria a conquistare il mondo. Equilibri. Quello che particolarmente lodava Polibio era la cosiddetta “costituzione mista”, un bilanciamento dei poteri di
due millenni precedente alla divisione teorizzata dall’illuminista francese Montesquieu. A Roma si univano il meglio del potere monarchico (il potere dei consoli), della saggezza aristocratica (l’autorità del Senato) e della sovranità popolare (le assemblee elettorali, come i Comizi centuriati).
DIRITTO
I
Leggi fondamentali
l diritto romano è alla base di parte della mentalità che oggi chiamiamo occidentale. Fin dall’epoca dei re (VIII-VI secolo a.C.), i Romani produssero leggi precise. Ma fu in seguito che il talento romano per la giurisprudenza emerse in tutta la sua forza. Le Leggi delle XII tavole – un’arcaica costituzione che limitava lo strapotere dei nobili – risale al 449 a.C. Col tempo la vivace vita politica romana trasformò i cittadini più importanti in giuristi, ossia nei primi legislatori semiprofessionisti. I secoli di evoluzione del diritto romano furono riassunti
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MONDADORI PORTFOLIO
Il diritto romano è alla base della nostra società. Ha ispirato i principi di molte
e tramandati dal codice dell’imperatore Giustiniano (Corpus Iuris Civilis), nel VI secolo d.C. Modello. Quel testo rimase alla base della legge civile europea fino alla fine del XVIII secolo (quando ispirò in parte le idee sullo Stato degli illuministi) e tornò in voga con il diritto napoleonico. L’espansione coloniale dei regni europei ha poi esteso il diritto romano in tutto il mondo. Anche il sistema anglosassone, considerato alternativo al diritto comune romano diffuso nell’Europa continentale, è stato in parte influenzato dalla giurisprudenza latina.
Tavole della legge Tavola della Lex Ursonensis: sanciva la nascita di una colonia nel Sud della Spagna.
SCALA
La casa degli aristocratici
SICUREZZA
I vigili del fuoco
I
pompieri sono “nati” nell’antica Roma. Nell’Urbe (dove solo gli edifici pubblici erano in pietra, mentre le case erano di legno), gli incendi erano ricorrenti e devastanti. In origine la difesa antincendio fu affidata a gruppi volontari di privati che intervenivano per soffocare le fiamme nella zona dove si propagava il fuoco. Poi nacquero organizzazioni apposite, che non avevano solo buone intenzioni. Nel I secolo a.C., il ricco Crasso aveva 500 schiavi-pompieri, ma li faceva intervenire negli incendi solo dopo che i proprietari degli edifici minacciati dalle fiamme glieli avevano venduti a prezzi stracciati. Chiama i pompieri! Anche un certo Egnazio Rufo si dotò di una squadra simile, con l’obiettivo di conquistare popolarità e consenso politico. Per arginarne l’ascesa Augusto nel 22 a.C. istituì il primo contingente pubblico di vigili del fuoco. Erano 500, portati a 7.000 nel 6 d.C., organizzati in 7 coorti da mille uomini, ciascuna responsabile di due regioni di Roma. Avevano caserme e gestivano un sistema di serbatoi. Erano attrezzati con secchi, pompe, asce, picconi, spatole e stuoie intrise d’aceto.
COSTUME
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BRIDGEMAN/MONDADORI PORTFOLIO (2)
Il politico e letterato Appio Claudio Cieco (350-271 a.C.) in Senato, nel celebre dipinto ottocentesco di Cesare Maccari.
Il primo reggiseno
ev’essere stata Venere in persona a inventare il reggiseno, che il poeta Marziale definiva “trappola a cui nessun uomo può sfuggire, esca che riaccende di continuo l’amorosa fiamma”. Si riferiva allo strophium – una fascia di tessuto che sosteneva senza comprimere –, il più leggero e di tendenza
tra i vari modelli che si utilizzavano. C’era anche il mamillare, spesso in cuoio, che aveva più pratiche funzioni di contenimento. A mostrarci l’effetto finale, nei mosaici della Villa del Casale a Piazza Armerina, in Sicilia (sopra), sono le romane in bikini (detto subligaculum) mentre fanno sport.
leggi di tutte le epoche successive, almeno fino all’Illuminismo SANITÀ
N
L’invenzione dell’ambulatorio
ei primi secoli della storia romana, a occuparsi della salute dei familiari era il capofamiglia. Ma quando compresero l’importanza della medicina, i Romani fecero le cose in grande. Studi medici, ambulatori e ospedali non erano una rarità nel territorio romano. Presto infatti Roma assimilò e ampliò il sistema greco di cure mediche, preoccupandosi di fornire un’assistenza diffusa e, se non proprio pubblica, comunque molto estesa. Nel III secolo a.C. vennero istituite le tabernae medicorum (o medicatrinae), primi presidi medici non legati ai templi, che fino ad allora
avevano avuto l’esclusiva delle cure. Erano una sorta di ambulatori, dove i medici ricevevano i pazienti e preparavano le medicine come in farmacie ante litteram. Nelle grandi proprietà di campagna esistevano i valetudinari, con personale medico addetto alla cura dei numerosi abitanti delle aziende agricole, schiavi compresi. In queste strutture, inventate dai Romani e che sono all’origine degli ospedali, accanto ai medici lavoravano infermieri e personale femminile, probabilmente specializzato in ostetricia. Lunga degenza. Nei valetudinari spesso erano pre-
viste anche stanze di più o meno lunga degenza. Analoghe strutture erano annesse a palestre e terme, ma soprattutto ai castra, gli accampamenti militari. Il valetudinarium di Colonia è la prima struttura in muratura per cure mediche conosciuta. D’altro canto, molto presto all’esercito vennero assegnati medici pubblici, che a partire da Augusto (I secolo) furono inquadrati nella legione come medici militari. Un altro primato romano.
Altorilievo con una visita da un oculista (II secolo). 41
SPETTACOLO
Stadi oceanici
U Antiche “spa” SIME
Le terme romane di Bath (Inghilterra), costruite da Vespasiano e ancora attive.
SALUTE
I
L’importanza dell’igiene
Romani sono stati tra i popoli più puliti della Storia. Fra le loro grandi architetture un posto d’onore lo meritano infatti le terme. Tutti potevano frequentarle, senza distinzione di censo, età e sesso (anche se spesso in spazi e orari separati) e ogni cittadino tendeva ad andarci una volta al giorno.
Ritrovo. Gli impianti svolgevano una funzione igienico-sanitaria, che però non era l’unica: relax e socializzazione erano altrettanto importanti, tanto da poter assimilare le terme ai primi club dove si prendevano decisioni che venivano poi formalizzate nelle sedi adeguate. Nella Roma imperiale
c’erano 11 complessi termali pubblici gratuiti e più di 800 stabilimenti balneari privati a pagamento. I più grandi – come le terme di Caracalla e quelle di Domiziano – ospitavano migliaia di persone ogni ora. All’interno c’erano piscine di acqua calda, fredda e tiepida, saune, massaggi e ogni altro comfort.
no dei motti abbinati all’anti ca Roma è panem et circenses. I leader politici dovevano assicu rare al popolo cibo e divertimen to sportivo. I Romani costruirono molte strutture per questo tipo di spettacoli. L’ispirazione venne dalla Grecia, ma i gusti romani erano diversi: alle piste di atletica e ai teatri preferirono i circhi per le corse dei carri e gli anfiteatri per i giochi gladiatori. Pensare in grande. Se l’Anfi teatro Flavio (il Colosseo) poteva ospitare 50mila spettatori – più di molti stadi moderni – il Circo Massimo batteva ogni record, con i suoi 250mila posti. Furono almeno 300 gli anfiteatri edificati in ogni angolo dell’im pero (molti ancora esistenti): servivano per i gladiatori ma anche per le cacce agli animali, le ricostruzioni storiche e le esecu zioni capitali. Allagate, alcune di queste strutture ospitavano per sino autentiche battaglie navali, le naumachie.
L’eccellenza in campo medico è testimoniata dal ritrovamento di molti strumenti chirurgici. Si praticava anche la chirurgia d’emergenza ORDINE
G
La prima zona a traffico limitato
LEEMAGE/MONDADORI PORTFOLIO
iulio Cesare non fu solo un generale e un abile politico, ma anche un attivissimo amministratore. Nel 45 a.C., un anno prima della sua morte, promulgò la Lex Iulia Municipalis che comprendeva un insieme di norme per regolare il traffico a Roma valida anche come “legge quadro” per analoghi provvedimenti in altre città.
Nessun dorma. Anche il caos a Roma era da record (sotto, la Via Appia in età imperiale). Oltre un secolo dopo Cesare, il poeta Marziale si lamentava dei rumori notturni: “I galli dalle ritte creste non hanno ancora rotto il silenzio / già tu tuoni con un molesto strepito e con sferzate. / Noi vicini chiediamo – non per tutta la notte – di
dormire”. D’altro canto Cesare aveva vietato ai carri che trasportavano merci la circolazione nelle ore del giorno, per non intasare le strade. Da questo divieto erano esentati i carri in “servizio pubblico”: per il trasporto di sacerdoti, nettezza urbana, materiali da costruzione per edifici pubblici e religiosi, e per le necessità dei giochi.
GUERRA
I primi “alpini”
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e Alpi furono l’ultimo territorio italiano a essere sottomesso da Roma, ai tempi di Augusto: i Salassi della Val d’Aosta si arresero solo nel 15 a.C. E in epoca imperiale vennero istituiti reparti militari specializzati per la guerra di montagna, le Cohortes Alpinorum. Erano composte da 480 fanti, e quelle a cavallo aggiungevano 120 cavalieri. I primi alpini furono inquadrati in reparti a piedi e a cavallo: I Alpi norum Aequitata, I Alpinorum Peditata, II Alpinorum Aequitata, III Alpinorum. Indigeni. Questi “legionari di montagna” erano reclutati fra le popolazioni delle Alpi, man tenendone anche tradizioni ed equipaggiamento. Non ci sono documenti precedenti al 75 d.C., ma gli studiosi pensano che le coorti alpine siano state create nella prima metà del I sec. d.C. Il periodo di maggior fulgore sem bra essere stato il II secolo.
SPORT
Calcio e rugby made in Britannia
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a prima partita internazionale di pallone? Fu in Inghilterra, ma non a Wembley. La giocarono infatti (e persero 1-0) i legionari romani contro gli indigeni britanni nel 276 d.C. Anche a Roma i giochi di pallone erano
diffusi e apprezzati, tanto che spesso i letterati ne descrivono la pratica nelle strade e alle terme. Tra i praticanti appassionati c’era Mecenate, braccio destro di Augusto. Dei diversi giochi con la palla, l’harpastum – praticato
da legionari e gladiatori e conosciuto anche come pulverulentus, cioè “il polverone” – può essere considerato l’antenato comune di calcio e rugby. A squadre. L’harpastum era praticato da due squadre con un
numero pari di giocatori, che si strappavano la palla per portarla oltre la linea di fondo avversaria. Il giocatore in possesso di palla poteva essere aggredito e fermato, costringendo così a complessi schemi e passaggi “da rugby”.
Appia antica
LOUIS S. GLANZMAN/NATIONAL GEOGRAPHIC
Ricostruzione del cantiere per i lavori della Via Appia, iniziati nel 312 a.C.: la strada collegava Roma a Brindisi. L’uomo a sinistra sta fissando la groma, usata per calcolare con precisione i tracciati.
VIABILITÀ
T
Strade eterne che portavano alla capitale
utte le strade portano a Roma. Letteralmente. Anche perché furono i Romani a costruire molte di quelle ancora esistenti. Ogni angolo dell’impero era raggiungibile su comode vie, solide e lastricate. Erano ben 80mila i km complessivi delle 372 grandi strade censite al tempo di
Diocleziano (III secolo d.C.), ma forse l’intera rete lastricata superava i 100mila. Ai quali si devono aggiungere 150mila km di strade non lastricate, in terra battuta. Ogni 20 km circa c’erano locande minori e stazioni di cambio per gli animali (mutationes), mentre ogni 35 km si incon-
travano le “aree di servizio” dell’antichità: le mansiones, dove si potevano trovare anche maniscalchi e veterinari specializzati. Senza buche. Le strade erano larghe 5 metri, per far passare due carri affiancati, ai quali si aggiungeva in alcuni tratti oltre un metro di marciapiede
per lato. Avevano fondamenta profonde circa un metro, a più strati: sopra un fondo di sabbia venivano collocati grossi sassi, poi sassi più piccoli e frammenti di cocci misti a calce, a seguire uno strato di ghiaia ben compressa, infine pietre lisce avvicinate in modo da non potersi muovere. 43
PRIMO PIANO
POLITICA
IL PRINCIPE DEL FORO
Giurista, politico, filosofo: Cicerone e i suoi discorsi sono un vertice dei valori della Roma repubblicana. Morì tragicamente, ma ci ha lasciato una grande eredità
Nume di politici e avvocati Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.) declama la sua celebre orazione sventando la congiura di Catilina, nel 63 a.C. Qui nel dipinto ottocentesco di Cesare Maccari, oggi a Palazzo Madama. 44
SCALA
I
l nome evocava un cicero (cecio). Non era certo quello più adatto a conquistare il pubblico dei fori romani. “Lo renderò notissimo”, avrebbe detto però Cicerone. E fu di parola. Vissuto in anni tormentati e complessi, quelli della fine della Repubblica, come oratore e politico si seppe imporre sul suo tempo. Divenendo paladino di valori ormai al tramonto, ma a lui sopravvissuti e anche grazie a lui entrati nell’eternità: l’idea di humanitas per esempio. Quel principio, eredi-
tato dai Greci, per cui l’uomo non doveva essere estraneo a nulla che riguardasse gli uomini. O quell’altra idea, tutta romana, che il Rinascimento fece poi sua, per cui l’individuo deve distinguersi per saggezza, moderazione, giustizia e coraggio. Perché il nostro valore risiede nell’esercizio del pensiero e non nella nostra posizione sociale o nei nostri denari. Tutti valori che oggi consideriamo umanistici. E che da secoli emergono e si inabissano nel mare della Storia.
SCALA
Le cause si dibattevano nel foro e il tribunale si trovava nella basilica. In molti casi le arringhe si trasformavano in processi-spettacolo re Grimal nel suo saggio Belle speranze. Nato Cicerone (Garzanti). Tanda una famiglia di ricchi to bastava a rendere Roproprietari terrieri di Ar“PRO ROSCIO” ma un centro di corrupino, a poco più di 100 zione: omnia Roma venachilometri dall’Urbe, anDiscorso giudiziario pronunciato nell’80 a.C., in lia sunt, “tutto a Roma si dò a studiare a Roma codifesa di Roscio, accusato può comprare”, diceva il me si conveniva a un giodi parricidio. La difesa fu ricchissimo re della Nuvane ambizioso. Filosofia un difficile banco di prova midia. Non c’è da stupire retorica furono le mateper Cicerone, che dovette si se in questo contesto rie che gli permisero, inaccusare personaggi potenti. cause, denunce e consesieme allo studio del diritto, di diventare avvocato. Correva l’anno guenti arringhe fossero all’ordine del gior80 a.C. e la Repubblica stava sprofondan- no. Cicerone ne era consapevole e provò a do nella sua più grave crisi dai tempi del- suo modo a mettere ordine in questo caos. la sua fondazione. Le armate di Roma aveContro Silla. Si fece conoscere difenvano sottomesso più della metà del mondo dendo un indifendibile. Almeno secondo i allora conosciuto e nel regno circolavano criteri del tempo: il presunto parricida Sericchezze, schiavi e beni in grandi quan- sto Roscio. Un liberto del dittatore Silla l’atità. Ma le poche famiglie aristocratiche veva “incastrato” facendolo risultare colche fino a quel momento avevano avuto il pevole della morte del padre. Un modo per controllo della città si trovavano messe in far ottenere al suo padrone, Silla, l’eredità discussione dall’ascesa di uomini nuovi: che lo Stato avrebbe confiscato a Roscio se commercianti e mercanti in primis. giudicato colpevole. La difesa fu efficace. “La vanità di possedere più del proprio Fin dalle prime parole, intrise di modestia, vicino, di avere propriedi Cicerone: “Ecco i motà e oggetti preziosi e un tivi per i quali ho assunmaggior numero di schiato in questa causa l’uffivi, portatori più robusti, cio di avvocato difensore LE “VERRINE” case più splendide, ville io che non sono stato scelOrazioni scritte nel 70 a.C. più numerose per i giorni to tra tutti per il fatto d’ain occasione di una causa d’ozio era tale da indurre vere l’ingegno più brillanpenale discussa a Roma, che lo sfruttamento delle prote, ma perché ero l’unico vedeva come imputato l’ex vince fino al loro completo rimasto, dopo il ritiro depro-pretore della Sicilia Licinio esaurimento”, ha spiegagli altri [...]: con lo scopo, Verre, accusato di concussione durante il triennio di governo. to lo storico francese Piers’intende, non già di offri-
Gli inventori delle campagne elettorali
L
e campagne elettorali dei Romani non avevano nulla da invidiare a quelle di oggi: imponenti, regolamentate ma spietate, tra colpi bassi e doppi giochi. Strette di mano porta a porta, manifesti, bagni di folla nei mercati, comizi, ricchi sponsor, brogli, voto di scambio, cordate, spese folli, corruzione, ricatti, procacciatori di voti: non
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mancava nulla. Tranne l’illustrazione di un programma politico, considerata noiosa. Come si fa. Queste regole per una buona campagna elettorale sono state messe per iscritto da Quinto Cicerone per fornire validi suggerimenti al più noto fratello. Del resto, tutta la vita degli uomini più ambiziosi (ossia di tutti i Romani
illustri) era concentrata sul conquistare consenso e mettere da parte il molto denaro necessario a ottenere le cariche pubbliche. A Pompei poi sono conservati graffiti che erano veri manifesti elettorali pro o contro questo o quel candidato. Anche le donne, che non potevano votare, potevano suggerire i loro favoriti. (a. b.)
La tomba di Archimede Dipinto con il giovane Cicerone, questore per un anno in Sicilia, che mostra la presunta tomba di Archimede. Raccontò di averla scoperta lui stesso.
Cicerone cerca di fuggire da Roma dopo aver pronunciato le sue Filippiche contro Marco Antonio: 14 orazioni declamate nel Senato tra il 44 e il 43 a.C.
Ti svelo un segreto Fulvia, amante di Quinto Curio (uno dei congiurati), svela a Cicerone le trame ordite contro di lui dal suo rivale politico Catilina.
RMN/ALINARI
SCALA
Nemico pubblico in fuga
AKG/MONDADORI PORTFOLIO
La villa di Formia Gli interni della villa detta “di Cicerone” a Formia, sul Golfo di Gaeta. Qui morì l’oratore nel 44 a.C., per mano di alcuni sicari inviati da Marco Antonio.
Il filosofo dell’humanitas Busto di Cicerone oggi conservato nella Sala dei filosofi dei Musei capitolini di Roma. È stato scolpito intorno alla metà del I secolo a.C.
Lady vendetta In un dipinto del XVII secolo, la moglie di Marco Antonio, Fulvia, sta per trafiggere la con uno spillone per i capelli la lingua all’oratore che osò parlare contro il marito e quindi ucciso dai sicari.
SCALA SCALA
La congiura fu sventata grazie alle rivelazioni di Fulvia, amica della moglie di Cicerone, Terenzia, e amante di Quinto Curio, alleato di Catilina re a Sesto Roscio un patrocinio validissimo, ditandosi così come salvatore della patria. ma almeno di non lasciarlo totalmente ab- Catilina, isolato, fu costretto a fuggire, bandonato”. Roscio fu assolto e il nome di mentre i congiurati rimasti a Roma furoCicerone, che da allora ebbe qualche ne- no accusati di alto tradimento e poi uccisi. Ancora oggi sono diverse le interpretamico potente in più, iniziò a circolare negli ambienti “bene” della città. L’oratore zioni storiografiche riguardo alla congiura. fu accolto tra gli aristocratici, la classe so- Secondo alcuni si trattò di una “montatura” di Cicerone per otteciale che da sempre amnere successo, ingrazianbiva frequentare. Il passo dosi gli aristocratici e ardall’oratoria alla politica ginando il potere di Pomfu breve. Prima divenne peo. A congiura sventata, edile curile (una delle caLE “CATILINARIE” però, il principe del foro riche pubbliche), percorOrazioni pronunciate nel non fece in tempo a inrendo il cursus honorum fra il 63 e il 62 a.C., dopo la sediarsi sullo scranno dei previsto per i politici del scoperta della congiura di vincitori. tempo. E poi, con la toga Catilina. Questi vi è dipinto da senatore della RepubE siliato . I vent’anni come “una belva che si era blica, finalmente declamò successivi furono infatti sentita sfuggire dalle fauci la città che stava per dilaniare”. la requisitoria della vita, cruciali per la sorte dei contro Catilina. Roma e anche per quella Lotta politica. Ex governatore della di Cicerone. La Repubblica, sempre più inprovince d’Africa, Catilina “era un duro debolita, precipitava verso la dittatura di dallo sguardo torvo, fedele alla tradizione Cesare e la trasformazione in impero. Cischietta dell’antica Roma, amante del ri- cerone non fece in tempo però ad assisteschio, nonché disposto a morire da eroe”, re all’ascesa di Augusto (morirà un anno secondo il ritratto di Massimo Fini, che dopo il cesaricidio). Quando Cesare fu asgli ha dedicato una biografia. Certo è che sassinato, su di lui piombò come un macisul suo conto pendevano accuse pesan- gno il sospetto che fosse stato al corrente ti: su tutte, quelle di concussioni e mal- della congiura di Cassio e Bruto. Bruto lo versazioni nelle province che governava. aveva addirittura additato come colui che Anche per questo fu escluso dalle elezio- avrebbe restituito ai Romani la libertà repubblicana. Cicerone fini nell’Urbe. Almeno fino nì così nelle liste di proal 64 a.C., quando grazie scrizione. Trovò rifugio all’appoggio di Giulio Cenella sua villa di Formia, sare e di Crasso riuscì a LE “FILIPPICHE” ma i sicari lo raggiunsero, candidarsi, avendo come gli mozzarono la testa e rivale proprio Cicerone. Orazioni contro Marco Antonio, pronunciate tra il la portarono ad Antonio, Perse le elezioni, ma non 44 e il 43 a.C. all’indomani che ordinò di tagliare ansi arrese. della morte di Cesare. Il nome che le mani che avevano Nei mesi successivi, nel era un omaggio alle orazioni scritto contro di lui le Fitentativo di guadagnare del greco Demostene contro lippiche e di esporre pubconsensi, Catilina arrivò Filippo II di Macedonia. blicamente testa e mani. a ordire una congiura ai danni della Repubblica. E a pianificare di Non solo. Secondo Cassio Dione (storiouccidere il suo acerrimo nemico di sem- grafo del II-III secolo d.C., a dire il vero pre: Cicerone appunto. Saputolo, grazie a poco attendibile), Fulvia, la moglie di Anuna soffiata dell’amante di un congiurato, tonio, prese la testa, estrasse la lingua che l’oratore convocò il Senato, dove esordì aveva parlato contro il marito e la trafiscon parole diventate proverbiali: “Fino a se con lo spillone che aveva nei capelli. I quando abuserai della nostra pazienza?”. tempi erano cambiati. I valori dell’humaCon voce sdegnata sedusse i presenti con nitas si stavano di nuovo inabissando. • un’invettiva che coglieva nel segno, accreGiuliana Rotondi 49
PRIMO PIANO
URBANISTICA
CITTÀ DA RECORD Duemila anni fa Roma diventò la megalopoli del mondo antico: caotica e maleodorante, ma anche all’avanguardia ed efficiente (per sfamare tutti) A cura di Anita Rubini
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La capienza delle navi che rifornivano i granai romani. Dovevano fare un numero impressionante di viaggi.
La razione di grano fornito mensilmente e gratuitamente ai cittadini che ne avevano diritto (200mila sotto Augusto).
TONNELLATE
KG
3
1
2
17% 1.000 700 10.000
DELL’ACQUA
La percentuale riservata ai bisogni dell’imperatore. Il 38% era destinato ai ricchi privati, il 44% al resto della popolazione. 50
LITRI
La disponibilità giornaliera d’acqua per abitante. Tantissimo, se li si confronta con i 475 litri disponibili a Roma nel 1968.
UOMINI
Gli addetti che intervenivano in caso di guasto agli acquedotti: erano 50 per ognuna delle 14 regioni in cui era divisa la città.
SESTERZI
La multa per chi inquinava una delle 1.400 fontane. La legge era severa anche con chi “rubava” acqua pubblica con condutture abusive.
1 TERME PER TUTTI
Nella Roma imperiale c’erano 11 grandi complessi termali pubblici (gratuiti) e 856 privati (tariffa d’entrata: un quarto d’asse, grosso modo meno di un euro). La manutenzione delle terme avveniva attraverso cunicoli sotterranei, invisibili al pubblico.
2 CIRCOLAZIONE NOTTURNA
Ai carretti che trasportavano merci di rifornimento era vietato circolare di giorno. Lo facevano di notte, mischiandosi a ladri, prostitute e fuorilegge. Per questo di notte si girava scortati da schiavi armati e muniti di fiaccole.
3 EQUILIBRIO INSTABILE
Si viveva in insulae addossate l’una all’altra, con le botteghe (tabernae) al pian terreno. Assomigliavano ai moderni condomini (la media era 4-5 piani), ma erano molto più instabili. Un quarto della popolazione viveva però sotto i ponti o gli archi degli edifici, o in baracche improvvisate.
4 FAME D’AMORE
Ai Romani piaceva mangiare fuori casa. Nei bar (popinae) si consumavano pasti veloci ma anche sesso mercenario. Le prostitute contrattavano al piano terra e si portavano i clienti sul soppalco.
1
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MILIONE
MILA
Gli abitanti di Roma all’epoca di Augusto. Per sfamarli servivano tra le 250mila e le 420mila tonnellate di cereali all’anno.
Il numero delle grandi statue che ornavano palazzi e luoghi pubblici, tra cui 9 fori, 100 templi e 30 biblioteche.
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5 PERICOLO CADUTE
Orientarsi in città non era banale: le vie non avevano nome e le case non erano numerate. Non esistevano i marciapiedi e le strade erano strette e caotiche (ostruite, tra l’altro, dai cumuli di immondizia di cui ci si sbarazzava gettandola dalla finestra).
6 LA REGINA DELLE FOGNE
La città fu dotata di fognature già nel VII secolo a.C. Del secolo successivo la Cloaca Maxima, nelle cui condutture, si dice, poteva passare un carro. All’inizio a cielo aperto, fu poi coperta per servire l’intero centro cittadino fino a defluire nel Tevere.
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Le anfore accatastate tra I e III secolo d.C. sul “Monte dei Cocci” (oggi Testaccio). Erano i rifiuti dell’Emporium, porto sul Tevere.
Erano quelle pubbliche aperte a tutti. La maggioranza delle abitazioni era priva di latrine private.
MILIONI
SOL90
LATRINE
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PRIMO PIANO
Sempre più in là Genieri romani all’opera nel 33-34 d.C. per la costruzione della strada intagliata lungo le Porte di Ferro del Danubio (oggi tra Serbia e Romania). Di quest’opera non resta nulla, fu sommersa dalla costruzione di una diga nel 1973.
ESPLORATORI
Oltre i confini dell’
IMPERO I Romani non sono famosi per le loro esplorazioni. Eppure le loro rotte commerciali, sviluppatesi sull’onda delle conquiste militari, portarono mercanti e viaggiatori fin dove non ci aspetteremmo
aneliti verso terre lontane e sconosciute. Niente di più falso. Tracce. Elio Cadelo, giornalista e autore del volume Quando i Romani andavano in America (Palombi), ha raccolto diversi indizi storico-archeologici che dimostrano le doti di esploratori dei militari e dei mercanti romani, i quali avrebbero potuto addirittura spingersi, almeno in teoria, fino al Nuovo Mondo. E sintetizza anche le radici storiche del grossolano equivoco sulla dimensione “casalinga” dell’Impero romano.
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G
iuristi, militari, urbanisti, letterati... Nel medagliere dell’antica Roma si trova un po’ di tutto. O almeno quasi. Sul fronte delle esplorazioni geografiche, che tanto fascino hanno garantito alle vicende – nel complesso ben più circoscritte – di altri popoli antichi come i Fenici o i Vichinghi, i manuali di Storia si soffermano invece ben poco: ne risulta l’immagine di una civiltà pragmaticamente concentrata sulla propria signoria nel Mediterraneo e dintorni, ma poco incline a romantici
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VERSO L’ESTREMO ORIENTE Le rotte dei Romani secondo il Periplo del Mar Rosso, un testo forse del I secolo d.C. con le località allora importanti. SULLA VIA DELLA SETA Le diverse “vie della seta” erano note e praticate ai tempi dei Romani. Ma tra i due imperi non si stabilirono contatti duraturi.
ROMA Loadicca
Alessandria d’Egitto Mios Hormos IL VIAGGIO DI GIULIO Giulio Materno, romano di Leptis Magna (Libia), raggiunse il Lago Ciad.
Berenice (Mar
ROTTE MARITTIME
ARABIA
Minnagara Oraea Ganges
Barbarikon
OLTRE L’OCCIDENTE Alcune spedizioni si spinsero fino in India. E probabilmente più in là fino alla Sud-est asiatico e alla Thailandia.
INDIA
Cane
Eudaemon (Aden)
Muzinis
LUNGO IL NILO Nerone fece risalire il fiume da una spedizione in cerca delle sorgenti del Nilo. Arrivarono in Uganda.
VIE DI TERRA
(Golfo Persico)
Rosso)
Adulis
Alessandria Bucefala
PERSIA Apologou
Malao Tave Oponi
Serapion Nikon Menutia (Zanzibar)
( M A R E
A R A B I C O )
VERSO SUD Dopo il Mar Rosso i legionari si spinsero sempre più a sud superando la Somalia, arrivando quasi fino al Madagascar.
Rapta MADAGASCAR MADAGASCAR
SRI LANKA
(Sumatra)
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Diospolis
Un mercantile di epoca romana in un bassorilievo del I secolo.
MAURITIUS
Gli esploratori romani “esportavano” conoscenze tecnologiche, utili per le opere di ingegneria di altri regni «Le esplorazioni si facevano anzitutto per mare», scrive Cadelo. «Ma nell’Ottocento, agli albori dell’archeologia, i resti degli antichi porti romani erano praticamente scomparsi per il progressivo innalzamento del livello del mare, mentre le celebri vie consolari erano ancora ben visibili: nacque così lo stereotipo di una superpotenza a vocazione prevalentemente terrestre. Invece Roma era prima di ogni altra cosa una grande potenza navale. Iniziative come quella di Nerone, che ordinò 54
il taglio dell’istmo di Corinto, o di Traiano, che fece riscavare l’antico canale navigabile tra il Delta del Nilo e Arsinoe (Suez), ci ricordano che i Romani “ragionavano alla marinara”. In uno scontro navale come quella di Azio del 31 a.C. tra Ottaviano e Marco Antonio, si affrontarono in mare circa 1.300 imbarcazioni. Anche Cesare nel 56 a.C. aveva impiegato centinaia di navi contro i Galli nella battaglia del Morbihan, al largo della Bretagna. Fu il primo scontro navale dei Romani nell’Atlantico,
ma il suo De Bello Gallico non si sofferma minimamente sul fatto che le navi avessero attraversato Lo Stretto di Gibilterra e quindi le mitiche Colonne d’Ercole, limite estremo del mondo conosciuto: all’epoca di Cesare era normale». Ai viaggiatori dell’Urbe non mancavano tecnologia e conoscenze scientifiche appropriate. «Nell’epoca di Plinio il Vecchio, scrittore e ammiraglio romano del I secolo d.C., la forma sferica della Terra era nozione comune in Occidente, e già si parla-
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Grande Nord
va di Poli ed Equatore. Leggendo poi i suoi resoconti sui tempi di percorrenza da un porto all’altro dell’Impero, ci si rende conto che gli spostamenti erano velocissimi: questo perché, contrariamente a quanto si crede, esistevano già velieri con tre alberi e si conoscevano le tecniche per viaggiare controvento. Inoltre le navi romane erano rinforzate con piombo, per affrontare indenni viaggi anche molto lunghi». Oltre i confini. La civiltà fondata sui sette colli aveva dunque tutte le carte in regola per allargare i propri orizzonti, mandando uomini e mezzi verso questa o quella terra incognita al di là dell’ultimo cippo di confine. Partiamo dalle isole britanniche: a circumnavigarle era stato nel 325 a.C. il greco Pitea, ma furono i Romani a legarle con i loro viaggi in modo stabile al resto del continente. Le prime spedizioni volute da Cesare (55 e 54 a.C.), crearono avamposti e intese con le tribù locali che avrebbero spianato la strada, nell’arco di quasi un secolo, alla conquista vera e propria. Gneo Giulio Agrippa, governatore della provincia, nell’80 d.C. condusse le legioni romane fino alla sconosciuta Scozia e ordinò in seguito una dettagliata esplorazione navale delle sue coste settentrionali, ottenendo la conferma defini-
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La fortificazione del Vallo di Adriano: i Romani arrivarono fino alle isole Shetland, a nord della Scozia.
In Africa Le piramidi di Gebel Barkal, in Sudan, antico Regno di Kush: da qui passò la spedizione di Nerone.
tiva che la Britannia era un’isola. Oggi pare banale, allora fu un primato geografico. Due anni dopo, secondo il genero Tacito, Agrippa si imbarcò sconfiggendo “popoli fino ad allora sconosciuti”: per molti storici approdò in Irlanda, l’“Isola di smeraldo” dei Celti che, a dispetto dei ritrovamenti di manufatti romani, è stata a lungo ritenuta inviolata dalle legioni. Almeno fino a una ventina d’anni fa, quando la scoperta di resti di un probabile forte romano presso Dublino ha costretto gli archeologi a rivedere le loro posizioni.
Hic sunt leones. Anche le conoscenze geografiche dell’Africa devono molto al mondo romano, di cui solo gli esploratori ottocenteschi riuscirono a surclassare le scoperte. Le manovre militari contro le tribù nomadi dei Garamanti, che imponevano pesanti dazi alle merci in transito, portarono il governatore della Tunisia Cornelio Balbo ad attraversare nel 19 d.C. l’intero deserto libico e a raggiungere poi l’ansa del Niger situata nell’odierno Mali, tra le città di Gao e Timbuctù. Sulle sue orme il legato della III Legione Augusta, Valerio
Romani e cinesi: contatto fallito
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er gli imperatori della dinastia cinese Han la sconosciuta superpotenza occidentale non si chiamava Roma, ma Da Qin, cioè “Grande Cina”: in pratica un alter ego. Visto da Oriente, era il polo opposto dell’antica Via della Seta, il reticolo di itinerari sul quale a partire dal II secolo a.C. i due imperi si scambiarono informazioni e cultura, oltre che
ovviamente merci preziose. In barba ai veti del Senato, la seta era infatti molto apprezzata nella Città Eterna, mentre in Oriente impazzavano i vetri, i tappeti e il “vestito-lavato-nelfuoco” (l’asbesto, un minerale simile all’amianto) d’importazione romana. Prove di contatto. I due colossi cercarono a più riprese di parlarsi: cinese potrebbe esse-
re stata l’ambasciata dei Seres (“abitanti della terra della seta”), che insieme agli indiani raggiunsero Roma ai tempi di Augusto. Ancora nel 97 d.C. il generale cinese Ban Chao tentò di inviare un messo a Roma, ma arrivò solo fino al Mar Nero: i Parti, popolazione persiana che controllava i traffici della seta tra i due imperi, lo dissuasero esagerando le
difficoltà del viaggio. Più efficaci i tentativi di Roma, i cui emissari nel 166 d.C. giunsero in Cina passando per l’odierno Vietnam. Altre missioni diplomatiche e commerciali si susseguirono nel III secolo d.C. e quindi in epoca bizantina; i due “poli”, però, non riuscirono mai a comunicare in modo approfondito. 55
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Monete e resti romani sono stati trovati nello Sri Lanka e in Giappone. Ma non si può sapere con assoluta certezza in quale epoca vi arrivarono
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Festo, si inoltrò nel profondo Sud del Sahara, tracciando un’altra via verso il grande fiume. Nel 42 d.C. ancora un militare, Gaio Svetonio Paolino, nell’ambito di una missione contro i ribelli in Mauretania, divenne il primo romano ad attraversare la catena montuosa dell’Atlante. Ma non furono solo esploratori con elmo e corazza a
guadagnarsi la gloria. Giulio Materno, intraprendente cittadino romano (forse un mercante) di Leptis Magna, in Libia, alla fine del I secolo d.C. raggiunse per primo le rive del lago Ciad e, di ritorno dal viaggio, portò a Roma la prova concreta della sua avventura: un favoloso esemplare di rinoceronte nero, a cui l’imperatore Domi-
ziano volle dedicare una moneta e Marziale un epigramma. Sconosciuti invece i nomi dei due legionari – scelti forse tra l’élite pretoriana – ai quali nel 62 o 67 d.C. l’imperatore Nerone affidò il comando di una missione per scoprire le fonti del Nilo: partita dalla città di Meroe in Nubia, questa spedizione – la prima della storia organizzata da europei verso l’Africa Equatoriale – durante la stagione secca riuscì ad attraversare le paludi del Nilo Bianco conosciute come Sudd (Sudan Meridionale), malsane e infestate da coccodrilli, toccando il Nord di quella che oggi è l’Uganda.
Mappa sopravvissuta Dettaglio della Tavola Peutingeriana, unica copia esistente (del IV secolo) di un’antica carta romana che mostrava le strade militari dell’impero e i punti di sosta. A destra si vede la regione dei Balcani.
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Scambi profittevoli Legionari e schiavi costruiscono un ponte di barche sul Danubio nel I secolo, poi usato per i commerci con l’Est. Sopra a destra, donne romane al mercato.
Verso l’India. Anche a Oriente gli esploratori romani furono attivi. Verso il 25 a.C. il prefetto d’Egitto, Gaio Elio Gallo, guidò per volere di Augusto una sfortunata spedizione navale nel Mar Rosso sulle coste meridionali della cosiddetta Arabia Felix, spingendosi fino ad Eudaemon (Aden); ben più utile era stata in precedenza l’impresa di Ippalo, mercante e navigatore ellenico al servizio dell’Egitto romano, ritenuto lo scopritore di una via marittima diretta che dall’Africa conduceva all’India. Grazie alla nuova rotta, i commerci con l’Asia a partire dal I secolo a.C. aumentarono in modo esponenziale: da scali commerciali come quello di Berenice o di Myos Hormos, sul Mar Rosso, il traffico da e verso i porti degli antichi regni indiani situati negli attuali Kerala e Tamil Nadu era stimabile in non meno di 120-150 navi l’anno per ciascuna tratta. L’indotto includeva anche relazioni diplomatiche. Come nel caso degli ambasciatori indiani che secondo lo storico Lucio Cassio Dione furono ricevuti a Roma
dall’imperatore Augusto, portando in dono tigri e altri animali esotici. Un esteso riassunto di questa rete di contatti è il Periplus Maris Erythraei (Periplo del Mar Rosso), documento del I secolo d.C. che passa in rassegna rotte, scali e opportunità mercantili tra l’Africa Nordorientale, la Penisola Arabica e il subcontinente indiano. Dall’isola di Menuthia (Zanzibar) fino a porti oggi scomparsi come Muziris, antico centro indiano di smistamento delle spezie, tutti i poli del commercio con cui imprenditori e funzionari di Roma – ma anche exploratores, cioè ricognitori militari con funzioni di intelligence – ebbero rapporti sono accuratamente descritti in quello che è a tutti gli effetti un vademecum geopolitico dell’epoca. Fin dove arrivarono? Sui Romani globetrotter, tuttavia, c’è ancora molto da indagare. «Vestigia e monete romane»,
afferma Cadelo, «si ritrovano ogni anno in posti inusitati: dall’Islanda fino allo Sri Lanka, da dove sembra che un re abbia inviato nel I secolo d.C. un’ambasciata all’imperatore Claudio. Di recente, poi, gioielli romani sono stati rinvenuti persino a Kyoto, in una tomba giapponese del V secolo». A conti fatti, dunque, è probabile che i progenitori di Livingstone con calzari e tunica avessero esteso la “ragnatela” dell’Urbe ben oltre il limite dei suoi domini. Uno slancio verso l’ignoto che ci ha regalato tante conoscenze. E qualche clamoroso errore, come quello di considerare genericamente come “India” l’intera Asia e le terre a oriente: equivoco secolare che, si sa, ingannò anche Colombo. Peccato solo che le vere scoperte della Roma esploratrice non abbiano avuto altrettanta fortuna di quelle del navigatore genovese. • Adriano Monti Buzzetti Colella
Romani in America?
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oorti di legionari in avanscoperta sul suolo americano: sembra il copione di un romanzo di fantastoria, invece è un’ipotesi d’indagine sorretta da una discreta quantità di elementi indiziari. Anomalie. Anzitutto gli ananas, frutti inconcepibili per le antiche culture mediterranee, che appaiono su mosaici, affreschi e terrecotte di Roma e
Pompei. Poi i semi di girasole, altro vegetale d’Oltreoceano, trovati con l’esame del Dna in alcuni farmaci di un medicus dell’antichità, la cui attrezzatura è stata recuperata nel 2010. E anche nelle Americhe i ritrovamenti che rimandano a Roma sono parecchi, sebbene controversi: dalle monete alle statuette, fino ai resti – oggi dispersi – di un antico
vascello di fattura incompatibile con galeoni spagnoli e imbarcazioni precolombiane, riaffiorato nel 1866 dalla laguna sabbiosa di Galveston Island (Texas). Solo una burla? Su tutto ovviamente aleggia il dubbio che si tratti di elaborati falsi per qualche burla tra accademici più che di veri reperti smarriti da qualche moderno collezionista. 57
LE BATTAGLIE DEI 496 a.C.
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LAGO REGILLO
na delle prime vittorie della Repubblica avvenne nel 496 a.C. vicino a Frascati. Vide contrapposti l’esercito romano e gli italici della Lega Latina, sostenuti dall’ultimo re di Roma Tarquinio il Superbo che, cacciato, sperava di riprendere il potere nell’Urbe. Al comando di 4 legioni di 24mila fanti e 3mila cavalieri, il dittatore (il capo militare) Aulo Postumio e il console Tito Ebuzio costrinsero i propri soldati a combattere in inferiorità numerica minacciandoli di morte. Miti. Prevalsero i Romani, che poi stipularono con i Latini un trattato di difesa reciproca. Si diffuse la leggenda secondo cui Castore e Polluce, figure mitologiche, contribuirono alla vittoria. Narra Dionigi di Alicarnasso: “Apparvero due cavalieri, superiori a chiunque altro per bellezza e statura. Essi si posero alla testa della cavalleria e, respinto l’attacco dei Latini, li volsero alla fuga”.
241 a.C.
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ISOLE EGADI
opo 24 anni di conflitto, la Prima guerra punica tra Roma e Cartagine fu decisa da una battaglia navale al largo della Sicilia che sancì il neonato potere della Repubblica sul mare. Con le casse vuote Roma era riuscita a costruire una flotta competitiva grazie alle donazioni dei cittadini: ben 200 quinqueremi complete di equipaggio (400 uomini per nave), leggere e manovrabili, dotate dell’innovativo corvus, il ponte mobile per l’abbordaggio. Controvento. Nel 241 a.C. i Romani comandati da Gaio Lutazio Catulo, anche se disposti controvento, attaccarono i Cartaginesi. Le navi nemiche, appesantite dalle derrate e con reclute inesperte (i migliori erano in Africa), finirono per soccombere: 50 vennero affondate e 70 catturate. Tra le condizioni di pace imposte, Cartagine dovette lasciare la Sicilia che divenne la prima provincia romana.
275 a.C.
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BENEVENTO
a città campana di Maleventum cambiò nome in Beneventum dopo la vittoria romana del 275 a.C. Roma cominciava a estendere il suo dominio verso i territori del Sud Italia e si scontrò con l’esercito di Pirro, re d’Epiro (Grecia), giunto in soccorso delle città della Magna Grecia. La compagine del console Manio Curio Dentato si presentò rafforzata per combattere lo schieramento a falange e gli elefanti del nemico, che già avevano terrorizzato le legioni in precedenti battaglie. Corpo a corpo. Diciassettemila soldati si disposero sulle colline di Maleventum, armati anche del pilum, l’asta di ferro adatta a ferire i pachidermi sui fianchi. I Romani riuscirono a prevalere spaventando gli elefanti con frecce e dardi infuocati e soprattutto avendo la meglio nel corpo a corpo grazie ai legionari. Il gladio, la spada in dotazione alla fanteria, fu decisivo. 58
J. CABRERA PENA
PRIMO PIANO
GUERRA Fin dalla fondazione, Roma si impose sui campi di battaglia.
Schierati a testuggine Legionari di tre epoche diverse schierati nella formazione della testuggine, propria della fanteria, in un’immagine simbolica. Erano armati di gladio e di un ampio scudo quadrangolare.
202 a.C.
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ZAMA
a resa dei conti fra Publio Cornelio Scipione e Annibale pose fine alla Seconda guerra punica e assicurò a Roma il controllo del Mediterraneo Occidentale. Il proconsole di Sicilia arrivò in Africa con 30mila uomini e li schierò su tre linee, sorrette ai lati da cavalieri italici e numidi. Al comando di Annibale vi erano 42mila uomini e 80 elefanti. Dura vittoria. La fanteria romana creò scompiglio colpendo i pachidermi e sfondando le prime linee. Ma la successiva lotta corpo a corpo si rivelò logorante. Per Annibale e i suoi fu un’ecatombe (24mila morti) e l’inizio del declino di Cartagine.
Furono le vittorie del suo esercito e della sua flotta a renderla così potente
GRANDI GENERALI A cura di Arianna Pescini
101 a.C.
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CAMPI RAUDII
a guerra tra Roma e la tribù germanica dei Cimbri (101 a.C.) è il grande capolavoro del console Gaio Mario, che allontanò la minaccia barbara dal Nord Italia. Lo scontro avvenne vicino all’attuale Vercelli o, secondo un’altra teoria, tra Rovigo e Ferrara. Arrivati nella Penisola con 200mila uomini, i Cimbri furono annientati da un esercito 4 volte più piccolo, ma strategicamente perfetto. La tenaglia. Mario, affiancato da Silla e Catulo, accerchiò i nemici con uno schieramento a tenaglia, i soldati al centro e la cavalleria ai lati. I Cimbri, sfiniti anche dal caldo (era agosto), furono travolti dalle ali dello schieramento romano e a migliaia morirono o finirono prigionieri.
52 a.C.
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ALESIA
el primo secolo a.C. Roma conquistò buona parte della Gallia, ma per anni la regione al di là delle Alpi fu teatro di ribellioni dei suoi abitanti. Nel 52 a.C. nella Gallia Centrale scoppiò l’ennesima rivolta antiromana, guidata questa volta dal re degli Arverni, Vercingetorige. Cesare si diresse con le sue legioni alla città fortificata di Alesia, dove si era rifugiato il re barbaro, in attesa dell’arrivo di altre tribù alleate. Velocità. L’assedio mostrò tutta l’astuzia militare del proconsole che fece costruire terrapieni e cinte difensive a tempo di record. I soldati di Cesare si trovarono a combattere su due fronti, ma il contrattacco funzionò. Vercingetorige si arrese. Tutta la Gallia alla fine si sottomise a Roma.
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48 a.C.
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FARSALO
el 48 a.C. a Farsalo (Grecia), avvenne la storica battaglia tra Cesare e Pompeo, ultimo atto della guerra civile tra i due generali: padrone incontrastato d’Italia il primo, dopo la marcia su Roma; rifugiato in Oriente il secondo, con un esercito procuratogli dai suoi alleati. Pompeo, che disponeva di quasi 50mila uomini, tra greci e italici, lasciò avanzare le truppe nemiche per poterle poi accerchiare con la cavalleria. Ma Cesare, con un esercito di soli 23mila uomini, intuì la strategia e respinse l’assalto ordinando l’uso dei giavellotti. In fuga. Molti cavalli finirono uccisi dagli “antesignani”, le truppe appiedate che il generale mescolò alla cavalleria. Dopo lo scontro, i cavalieri di Pompeo scapparono, consentendo ai cesariani di schiacciare la fanteria. La sconfitta di Pompeo consegnò Roma nelle mani di Cesare, sancendo la fine della Repubblica.
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31 a.C.
I
AZIO
l dominio incontrastato di Ottaviano, futuro Augusto e imperatore di Roma, arrivò da una guerra civile e venne sancito nel 31 a.C. da una battaglia navale sulle coste balcaniche del Mar Jonio. Ad Azio egli affrontò Marco Antonio, alleato di Cleopatra d’Egitto, che era giunto dall’Oriente con centinaia di navi. Il tattico Agrippa. Le navi antoniane, già decimate negli equipaggi per un’epidemia di malaria, subirono lo strapotere tattico dei nemici: più agili e leggere, le imbarcazioni di Augusto, guidate da Agrippa (il vero stratega), sfruttarono la tattica dello speronamento e le macchine da guerra montate sulle navi per incendiare con pece e dardi infuocati la flotta nemica. Quest’ultimo, preso dal panico, fuggì seguendo le navi egizie dell’amante Cleopatra abbandonando le proprie navi. E Ottaviano divenne padrone di Roma.
101-102 d.C.
357 d.C.
ADAMCLISI
STRASBURGO
ll’inizio del II secolo l’imperatore Traiano dovette contenere le incursioni di orde di barbari nella Mesia inferiore (tra le odierne Serbia e Bulgaria). In particolare il re dei Daci, Decebalo, si era alleato con i popoli del basso Danubio per prendersi una rivincita dopo la sconfitta del 101. Per rafforzare una volta per tutte la frontiera danubiana, l’anno successivo l’imperatore decise di raggiungere la Mesia con un imponente esercito. Ghiaccio sottile. I Daci non furono fortunati: le loro truppe attraversarono infatti il Danubio ghiacciato (era inverno), ma le lastre si ruppero sotto il loro peso, facendo annegare molti soldati. Lo scontro decisivo tra i due nemici si svolse ad Adamclisi, nell’attuale Romania, in una battaglia cruenta, che costò gravi perdite da entrambe le parti. Ma il trionfo di Traiano impose agli sconfitti una pace durissima.
N
el 357 d.C. l’imperatore d’Occidente Giuliano dovette combattere contro le tribù alamanne del re Cnodomario, che minacciavano il confine del fiume Reno. Per i Romani, schierati su linee di fanti protette da ali di cavalieri, fu una battaglia inizialmente incerta. Lanciata all’assalto dei barbari, infatti, la cavalleria pesante dapprima ne subì la strategia: gli Alamanni si infiltrarono nello schieramento nemico colpendo cavalli e cavalieri. Sbandamenti. Presi dal panico, i soldati di Giuliano tentarono la fuga. Richiamati poi all’ordine dallo stesso imperatore, capovolsero le sorti dello scontro. Grazie alla fanteria e alla tenuta del fronte romano, l’esercito di Cnodomario si ritrovò accerchiato. Ormai sconfitti, gli Alamanni cercarono la salvezza guadando il fiume: molti annegarono, feriti o appesantiti dalle armature; altri vennero inseguiti e uccisi. 59
PRIMO PIANO R. OLTEAN
COLONNA TRAIANA L’avrebbe voluta alta 40 metri, corrispondenti allo sbancamento per il foro di Traiano. Non tutti però sono certi che sia di Apollodoro.
ARCHITETTURA
Apollodoro di Damasco
L’ARCHI
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n lungo ponte sul Danubio, che, all’occorrenza, si può smontare; un colle tagliato per far spazio nel cuore di Roma e un centro commerciale costruito per sostenerlo; un bacino portuale con il fondo lastricato, in grado di ospitare 200 grandi navi merci contemporaneamente. Niente paura, non si tratta di audaci progetti dei nostri giorni e di altrettanti cantieri infiniti, ma delle fantascientifiche opere di uno dei più grandi architetti di Roma antica: Apollodoro di Damasco. Geniale progettista, ingegnere e urbanista, tra I e II secolo d.C. fuse bellezza e praticità, cioè lo stile ellenistico dell’architettura della sua terra (la Siria), con le tec-
Provinciale
STAR
Il geniale architetto siriano che plasmò la Roma di Traiano. Firmò opere insuperate, ma fece una fine ingloriosa 61
WIKIPEDIA
Busto di Apollodoro di Damasco, il progettista siriano che cambiò il volto di Roma tra il I e il II secolo d.C. A sinistra, la “sua” Colonna Traiana, che era dipinta, in una ricostruzione. Alcuni storici non sono però certi che fosse tutta opera sua.
Apollodoro e Traiano, suo committente, si incontrarono in Siria, dove l’architetto era nato e dove il futuro imperatore comandava una legione niche messe a punto nell’Urbe, realizzando alcuni dei simboli dell’eccellenza romana in campo architettonico. Di questo Brunelleschi dell’età antica, simile al collega fiorentino per caratteraccio, versatilità e acume, conosciamo il volto severo, incorniciato da una folta barba, e poco altro. «Non è strano che, nonostante la sua grandezza, su di lui siano state
tramandate poche notizie: il motivo è che la società antica non venerava l’artista, come facciamo noi moderni, ma l’opera e il suo committente», spiega Giuliana Calcani, docente di Storia dell’arte antica all’Università Roma Tre. Committente che in questo caso si chiamava Traiano. Incrocio fortunato. Forse si erano incontrati in Siria: qui l’architetto era nato
intorno al 60 d.C., qui Traiano, sette anni più vecchio del primo, era diventato comandante di una legione nel 75 d.C. e qui i loro padri si erano conosciuti l’anno successivo. Un incrocio di destini in una strana storia, canterebbe De Gregori: diventato console (92 d.C.), Traiano introdusse Apollodoro a Roma. La prima commessa arrivò dall’imperatore Domiziano: le de-
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BASILICA ULPIA Fu voluta da Traiano, che la dedicò alla propria famiglia. Il nome completo dell’imperatore era Marcus Ulpius Traianus.
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corazioni dell’odeon, un imponente teatro che poteva ospitare fino a 8mila persone. Il fatto che, ancora nel V secolo d.C., i cronisti lo ricordassero come una delle sette meraviglie di Roma conferma che l’architetto si era meritato la spintarella. Perciò, dopo essere diventato imperatore (98 d.C.), Traiano lo volle al suo fianco come ingegnere militare nella guerra in Dacia (101-106 d.C.). In quest’antica regione estesa nelle attuali Romania, Bulgaria e Ungheria, Apollodoro trovò l’ispirazione per scrivere L’arte della guerra, un trattato sulla costruzione di macchine per assedi. Ma in quell’occasione, a stupire i Romani non fu la sua prosa, piuttosto stentata in greco, quanto la costruzione del ponte sul Danubio presso Drobeta, oggi in Romania. L’imperatore ne aveva bisogno per MERCATI TRAIANEI accelerare il passaggio di Costruiti su sei livelli, truppe e rifornimenti atdivennero il polo di traverso il fiume, che seapprovvigionamento gnava il confine tra la Dadell’Urbe, ma anche centro cia e la Mesia (le odierne amministrativo. Serbia e Bulgaria), già appartenente all’impero: dopo due anni 8 di lavoro, il risultato lo lasciò senza fiato. La struttura, su cui le legioni marciarono nel 105 d.C., collegava le rive attraverso due accessi fortificati. Lungo 1.135 metri, largo 15 e alto 19, 9 rimase per più di mille anni il ponte ad arcate più esteso mai costruito al mondo. Apollodoro scelse il legno per il piano di calpestio e gli archi, il che permise ad Adriano, il successore di Traiano, di smon7 tare tutto per timore delle incursioni dei Daci in Mesia. In piedi rimasero, allora, solo i 20 pilastri d’appoggio, costruiti in 10 mattoni legati con malta, pietrisco e pozzolana: in che modo Apollodoro riuscì a piantare quei piloni, alti 45 metri, nel letto del fiume? Un mistero, anche se molti ricercatori pensano che deviò il corso del Danubio per diminuirne il livello. Prefabbricati. «Apollodoro fu un progettista geniale, capace di adattarsi all’ambiente in cui interveniva», conferma Giuliana Calcani. «La storia dell’architettura romana gli deve molto: tra le altre cose, l’ideazione del “modulo prefabbricato”, cioè di strutture che sui campi di battaNel disegno, gli edifici e i fori che si sono accumulati nel corso glia potevano essere facilmente montate, del tempo a Roma (nell’elenco sono in grassetto quelli “firmati” smontate e rimontate in luoghi diversi dai dall’architetto siriano): 1. Tempio di Giove Capitolino; 2. Foro Romano; genieri dell’esercito romano; l’introduzio3. Foro della Pace di Vespasiano; 4. Tempio di Minerva; ne a Roma delle forme architettoniche ti5. Foro di Augusto; 6. Foro di Cesare; 7. Foro di Traiano; piche della sua terra d’origine; la multi8. Colonna Traiana; 9. Basilica Ulpia; 10. Mercati Traianei.
I FORI ROMANI (E DI APOLLODORO)
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Prima di lui, Vitruvio
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ici architettura romana e il suo nome è il primo che viene in mente: Vitruvio. Come Apollodoro, anche lui fu architetto, ingegnere militare e scrittore, ma visse circa 140 anni prima, nel I secolo a.C., al tempo di Giulio Cesare e dell’imperatore Augusto. E più che a opere e monumenti, la
sua fama è dovuta ai 10 libri del De Architectura (nella foto, un’illustrazione da un’edizione cinquecentesca). Fondamenti. Scritto tra il 29 e il 23 a.C. e dedicato ad Augusto, è l’unico testo latino, su questo argomento, a essere giunto integro fino a noi. Contiene norme e osservazioni sui
metodi costruttivi degli antichi Romani, sui materiali, sulla progettazione di acquedotti, edifici e porti, ma anche di macchinari, strumenti di misurazione e utensili. Solo dal Rinascimento però il testo venne rivalutato e riconosciuto come uno dei fondamenti teorici dell’architettura occidentale.
Le opere di Apollodoro furono finanziate anche grazie al ricco bottino di guerra portato a Roma dalla Dacia, conquistata da Traiano nel 106 d.C. funzionalità degli ambienti: rese infatti praticabili e utilizzabili le costruzioni e i basamenti delle architetture». Certo anche nell’antica Roma le grandi opere avevano bisogno di grandi fondi: ma Apollodoro poté contare sul ricchissimo bottino ottenuto dalla conquista della Dacia, che permise all’imperatore di promuovere una grandiosa fase di edilizia monumentale, inaugurata con il nuovo foro nel 112 d.C. Enorme come la maggior parte delle opere di Apollodoro, era un rettangolo che copriva un’area grande come sei
PONTE SUL DANUBIO I lavori durarono due anni: per piantare i 20 pilastri alti 45 metri Apollodoro fece forse deviare il corso del fiume.
campi da calcio: conteneva una piazza, nel cui centro svettava la statua dell’imperatore a cavallo, circondata su due lati da portici e chiusa dalla Basilica Ulpia. In grande. Dietro quella che all’epoca era la più vasta basilica di Roma si aprivano due biblioteche, in mezzo alle quali si ergeva la Colonna Traiana, un fusto di marmo decorato da un fregio a spirale con rilievi colorati, oggi bianchi, che celebravano la vittoria dell’imperatore sui Daci (v. disegno all’inizio di questo articolo). Sul basamento della colonna, che non tut-
ti attribuiscono all’archistar, un’iscrizione ricordava che l’altezza (40 metri) corrispondeva a quella dello sbancamento di terra con cui Apollodoro aveva fatto spazio al foro, smantellando la parte del colle che univa il Campidoglio al Quirinale. Per contenere quell’enorme taglio, costruì i Mercati traianei, una specie di moderno centro commerciale su sei livelli, di forma simile ai caravanserragli, i tipici cortili orientali circondati da portici, con stanze e magazzini per la sosta delle carovane. «Al confronto, gli urbanisti di epoca fa-
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scista, che spianarono tra la Velia e il colle Oppio per aprire via dei Fori Imperiali e rendere visibile il Colosseo da piazza Venezia, fanno quasi la figura dei dilettanti», nota Calcani. Sguardo a est. Apollodoro si ispirò all’Oriente anche quando disegnò le terme di Traiano, circondate da grandi giardini. Completate nel 109 d.C., diventarono un modello per tutti gli impianti successivi, con l’asse centrale ruotato rispetto alle terme di Tito, di poco precedenti, per sfruttare meglio il caPANTHEON lore dei raggi del sole. La praticità veniva prima di Fu costruito da Agrippa nel 27-25 a.C., ma per alcuni tutto, per l’architetto siriaApollodoro ne curò il rifacimento no: anche nel progetto del dopo gli incendi che lo porto di Traiano, un ampliadanneggiarono. volle che fosse inclinamento del porto di Claudio a to verso il mare e lastriPortus (un piccolo centro a nord cato con pietre. Lo completò del più grande approdo di Ostia). Qui l’architetto fece scavare sulla terra- nel 113 d.C., quattro anni prima che il suo ferma, in posizione più protetta e arretra- miglior cliente morisse. ta rispetto a quello vecchio, un bacino di Parabola. L’intesa perfetta tra architetforma esagonale, profondo in media 5 me- to e potere si dissolse insieme al corpo di tri e tanto ampio da contenere contempo- Traiano, cremato e sepolto nel basamento raneamente 200 grandi navi merci. E per della sua Colonna. Quanto al successore, renderne più semplice la manutenzione, Adriano, Apollodoro aveva già avuto a che
fare con lui. E non era un bel ricordo. “Via di qui, vattene a disegnare le tue zucche. Di architettura non hai mai capito niente!”, gli aveva gridato anni prima, quando Adriano, adottato da Traiano e appassionato di architettura, aveva osato muovere qualche appunto ai progetti di Apollodoro. E c’era andato giù pesante, visto che le zucche in questione non erano ortaggi, ma cupole: quelle, di forma particolare, che il giovane Adriano amava progettare e che in seguito fece costruire. Acqua passata? Forse. Certo però Adriano non si aspettava di ricevere critiche anche nel 121 d.C., per il suo progetto del tempio di Venere a Roma. Apollodoro gli fece presente che la costruzione avrebbe dovuto essere posta su un piano sopraelevato, per richiamare l’attenzione degli osservatori, e che le statue all’interno del tempio erano sproporzionate rispetto alle loro celle: “Se le dee desiderassero alzarsi e andare fuori, non sarebbero in grado di farlo”, aveva concluso con malcelata superiorità. Poi si era dedicato al progetto, secondo alcuni storici suo e non di Adriano, per il rifacimento del Pantheon, il tempio costruito da Agrippa nel 27-25 a.C. e oggi illuminato da un ampio foro aperto nella grande cupola. Si dice però che Adriano non avesse perdonato le sue ultime frecciate: per questo, racconta il funzionario imperiale Cassio Dione nella Storia romana, lo mandò in esilio nel 125 e poi lo fece uccidere. Senza dargli la soddisfazione di veder seguito il suo consiglio: ancora adesso, infatti, il tempio di Venere a Roma domina la Via Sacra e il Foro. Dall’alto di un podio. •
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SPORT Le gare di carri erano il pallino dei Romani. E lo stadio era da record
LA CORSA PIÙ BELLA DEL MONDO
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A cura di Anita Rubini
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na delle più belle e meravigliose costruzioni di Roma”: fu così che lo storico Dionigi di Alicarnasso (I secolo a.C.) definì il Circo Massimo, il più grande edificio di Roma dedicato ai giochi. Qui si svolgevano i ludi circensi, ovvero le corse dei carri, vera passione dei Romani. Utilizzato già dal VI secolo a.C. il Circo fu ampliato più volte: con la ricostruzione post incendio di Nerone (64 d.C.), raggiunse una capienza di circa 250mila spettatori (tre stadi di San Siro, per fare un confronto). Altri 5mila posti furono aggiunti dopo un altro incendio, ai tempi di Domiziano. Divenne così il più grande edificio di spettacolo di tutti i tempi. •
AURIGHI MILIONARI Gli aurighi più forti passavano, se allettati da maggiori guadagni, da una fazione all’altra (a Roma erano quattro: blu, verdi, bianchi e rossi). Il più famoso, lo spagnolo Apuleio Diocle, fu annoverato tra i miliarii, cioè quelli che avevano vinto migliaia di corse: secondo le cronache, se ne aggiudicò almeno 1.462.
PRONTI, VIA! Un meccanismo consentiva l’apertura contemporanea delle dodici porte da cui scattavano i carri (prima ospitati nei “box” detti carceres).
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4.257 GARE
Quelle a cui partecipò il celebre auriga Apuleio Diocle. In 24 anni portò a casa 35 milioni di sesterzi.
1 1 La terrazza da cui il magistrato che presiedeva i giochi gettava il panno bianco: era il segnale di partenza della corsa. 2 La pista era lunga circa un km e mezzo. 3 L’edificio sacro da cui gli imperatori seguivano lo show. 4 Un terrapieno (spina) si
apriva in mezzo alla pista di terra battuta: ospitava statue, fontane, obelischi e tempietti. 66
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UOVA DI PIETRA Segnalavano al pubblico il numero di giri compiuti dai carri in gara.
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POMPA MAGNA Da qui partiva il corteo rituale (pompa) che apriva i ludi. Assomigliava a quello che si faceva dopo una vittoria bellica.
METRI
La lunghezza massima del circuito (come 5 campi da calcio); 120 m la larghezza.
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ALTA MORTALITÀ La fragilità dei carri e le scarse protezioni nell’abbigliamento rendevano le corse uno sport ad alto rischio.
344 METRI
La lunghezza della spina su cui si innalzava tra l’altro il primo obelisco arrivato a Roma, portato da Eliopoli (Egitto) ai tempi di Augusto.
VARIETÀ Si assisteva a incontri di lotta e pugilato. E anche a giochi gladiatori prima della costruzione dell’Anfiteatro Flavio (poi detto Colosseo).
DISPOSTI A TUTTO Tra i tifosi più sfegatati c’erano gli imperatori: Caligola per favorire la sua fazione fece avvelenare cavalli e aurighi della squadra avversaria. Vitellio, predecessore di Vespasiano, faceva uccidere coloro che calunniavano a voce alta la fazione azzurra per la quale parteggiava.
IN PALIO LA LIBERTÀ Gli aurighi erano per lo più schiavi o appartenenti a ceti inferiori, però potevano fare carriera. I più affermati guadagnavano cifre favolose, tanto che il poeta Giovenale paragonò il patrimonio di Lacerta, auriga della fazione rossa, a quello di 100 avvocati. Ma, in premio, si poteva ottenere anche l’affrancamento dalla schiavitù. CELEBRATI DAI FAN E DAI POETI A fine gara i vincitori delle corse ricevevano il premio (denaro, ma anche corone e palme) direttamente dalle mani dell’editor (l’organizzatore dei giochi) ancora in tribuna. I campioni che vincevano di più erano adorati dal popolo: i loro ritratti ornavano le case dei sostenitori e le loro gesta venivano cantate dai poeti.
CAVALLI SUPERSTAR Anche i cavalli potevano diventare delle star. Provenivano dagli allevamenti di Italia, Grecia, Africa e soprattutto Spagna. I tifosi ne conoscevano età, genealogia, data di nascita e vittorie e i loro nomi si trovano scritti ovunque. Il medico Galeno (II secolo d.C.) accenna a tifosi che arrivavano ad annusare il loro sterco per accertarsi che la dieta fosse la più varia ed equilibrata.
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CORTEGGIAMENTI Ovidio consigliava il circo anche per appuntamenti galanti: uomini e donne non avevano settori separati.
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VITA QUOTIDIANA
S ALUS P ER AQUAM
Le “spa” le hanno inventate loro. Del resto le terme romane furono le più grandiose di tutti i tempi, ed erano il cuore della vita sociale
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della grandiosità dell’opera: 40 metri per 100, quasi come quattro piscine olimpioniche di oggi. In più, aveva un lato decorato come una scena teatrale. Un’impresa fuori misura anche per un imperatore: ma come dare torto a Diocleziano? Agrippa nel 25 a.C. era stato il primo a creare
uno stabilimento pubblico monumentale nell’Urbe. In seguito, gli imperatori fecero a gara per superare i loro predecessori con terme sempre più imponenti e attrezzate: Nerone nel 65 d.C., Tito nell’81, Domiziano nel 95, Traiano nel 109, Commodo nel 185, Caracalla nel 217 e Costantino nel
Una città nella città Ricostruzione dell’interno delle Terme di Diocleziano (le più grandi mai costruite) in un acquerello del 1880 di Edmond Paulin. Si notano le ricche decorazioni, l’immensa piscina e il brulicare degli avventori. Il termine “spa”, secondo un’interpretazione non avvalorata dagli storici, deriverebbe dal motto latino salus per aquam, “la salute attraverso l’acqua”.
ALINARI
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e più grandi di Roma le costruì Diocleziano, tra il 298 e il 306 d.C. Estese su una superficie di oltre 13 ettari, dovevano servire i popolosi quartieri dell’Esquilino, del Viminale e del Quirinale. Le misure della piscina esterna, la natatio, danno l’idea
3.000 PERSONE
Il numero di frequentatori che potevano essere accolti contemporaneamente nelle colossali Terme di Diocleziano.
In quelle di Traiano c’era una biblioteca a forma di conchiglia. Caracalla volle gruppi di statue colossali 315. Diocleziano non poteva certo essere da meno, e non lo fu. Le Thermae Diocletiani, una volta finite, erano grandi il doppio di quelle di Caracalla. Per realizzarle fu smantellato un intero quartiere, con insulae ed edifici privati regolarmente acquistati, ma sconvolgendo la viabilità come neanche i lavori per la metropoliana. Pane, circo e acque. Questi complessi quasi gratuiti (avevano prezzi più che popolari), aperti a tutti da mezzogiorno al tramonto, sorsero ovunque nell’impero, dalle sabbie del deserto ai piedi delle Alpi. Le “spa” romane (una parola che secondo alcuni deriverebbe dal motto latino salus per aquam, “salute attraverso l’acqua”) avevano una grande importanza nella vita sociale urbana, in epoca imperiale, e il perché è presto detto. Oltre alle strutture dei “bagni”, che migliorarono l’igiene collettiva in tempi in cui non tutti vivevano in una domus, includevano piscine, palestre, saune, sale massaggi e relax, parchi con fontane e attrezzature sportive. Ma anche teatri, sale per feste e conferenze,
SCALA
A lato, affresco del I secolo d.C., da Pompei, che ritrae una fanciulla mentre versa profumo per un cliente delle terme. Più a destra, mosaico nelle Grandi Aule delle Terme di Diocleziano.
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ro, il campidoglio, la basilica e gli impianti termali». Un pacchetto di servizi che veniva assicurato per la calma, l’ordine e la soddisfazione sociali. E attestava il tenore di vita dei cittadini romani. Abilità tecnica. Roma caput mundi anche per il termalismo, dunque? Senza dubbio. I Romani primeggiarono sia nella gestione degli impianti curativi, realizzati inizialmente là dove l’acqua calda sgorgava spontanea, come nei Campi Flegrei, sia in quella dei bagni pubblici delle città. Questi ultimi si svilupparono soprattutto quando si raggiunsero le indispensabili competenze architettoniche, edili e idrauliche. «Tra il II e il I secolo a.C. furono costruiti grandi acquedotti e le reti idriche, divenute più funzionali, poterono approvvigionare le terme di acqua corrente. Allo stesso tempo si misero a punto efficaci sistemi di riscaldamento, come l’ipocaustum, che consentiva di far circolare aria calda ad alta temperatura mediante il praefurnium, un grande forno», dice Maddalena Bassani. In questo modo, non TANIA/A3/CONTRASTO
Strutture raffinate
biblioteche (nelle Terme di Traiano ce n’era una addirittura a forma di conchiglia: in una valva si trovava la letteratura greca e nell’altra quella romana). Il tutto fastosamente decorato con sculture, mosaici, affreschi, stucchi: basti dire che le Terme di Caracalla erano nominate tra le sette meraviglie di Roma. Facile immaginare come per la gran parte della gente andarvi fosse una piacevole abitudine quotidiana. E altrettanto facile capire perché donare terme ai cittadini diventò per i governanti qualcosa di molto simile al “panem et circenses”: divertimento in cambio di consenso. Servizi di Stato. «Le terme erano un’espressione del potere statale», spiega Maddalena Bassani, ricercatrice al Dipartimento di Beni culturali dell’Università di Padova e coautrice di Cura, preghiera, benessere. Le stazioni curative termominerali nell’Italia romana (Padova University Press). «Quando Roma diventa impero, in tutte le città delle province vengono costruiti edifici pubblici che riproducono in piccolo quelli della lontana capitale: il fo-
Da sinistra, le Terme di Diocleziano oggi, inglobate in Santa Maria degli Angeli; parte della natatio (la grande piscina) del complesso termale. A destra, nell’altra pagina, un dipinto di Lawrence Alma-Tadema (1909): ritrae una scena nelle terme di Pompei, con settori separati tra uomini e donne. A3/CONTRASTO
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Tra mosaici e marmi
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LUOGHI DI CURA
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Tanti sono in Italia quelli dove gli antichi Romani andavano a “passare le acque” e a curarsi con i fanghi. La metà sono ancora oggi attivi.
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Calore costante
Le Terme Taurine di Civitavecchia (Roma) vantavano questo numero di locali al loro interno (tra quelli dedicati ai bagni e quelli adibiti ad altro).
Due schiavi riforniscono di legna le caldaie nei sotterranei delle terme. Sotto, ipocaustum a Bath (Inghilterra): un sistema che riscaldava l’acqua dal basso.
Per schiavi, bambini e soldati erano gratuite. Ma ci andavano anche i ricchi, con un seguito di servitori. E persino la famiglia imperiale serviva più avere una sorgente calda sotto mano. E alcuni acquedotti furono costruiti principalmente proprio per alimentare un complesso termale: è il caso di quello di Agrippa o di quello di Caracalla. Affollate. A questo punto, costruire impianti termali urbani non presentava più difficoltà. Nelle terme più grandi passavano da 1.600 a 3mila persone al giorno e vi lavoravano decine di schiavi e personale specializzato. Quanto a quelle curative, il team dell’Università di Padova ha censito nella sola Italia 140 siti antichi, la metà dei quali hanno bacini ancora attivi: da Abano (Padova) a Montecatini (Pt), da Stigliano (Mt) a Chianciano (Si). Da alcuni reperti si è scoperto che già allora ci si spostava per andare alle aquae curative: a Monfalcone, in Friuli, è risultata la presenza di alcune persone provenienti dalla Venetia, ai
tempi non proprio dietro l’angolo. «È addirittura possibile che le terme curative siano diventate di proprietà imperiale, come forma di investimento», continua Bassani. In fatto di cure termali i Romani erano al top delle conoscenze del tempo. Plinio il Vecchio, Vitruvio e Seneca testimoniano che erano conosciute le diverse funzioni curative delle acque mineralizzate calde e fredde e addirittura dei fanghi. Non per nulla questi impianti erano pieni di ex voto lasciati da pellegrini guariti. Un ricco indotto. Attorno alle terme si era anche sviluppato un indotto di ristoranti, alberghi, botteghe e bancarelle che vendevano oggetti utili per le aquae (cuffie di tessuto e spugne), danzatori, cantanti e saltimbanchi di vario genere. E naturalmente anche prostitute, che portavano il vino ai frequentatori. Risultato: un gran
Il “riciclo” delle Terme di Diocleziano
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el 1561 papa Pio IV decise di trasformare le Terme di Diocleziano in una basilica con convento, Santa Maria degli Angeli. Affidò il progetto a Michelangelo, che utilizzò il tepidarium per il vestibolo, il frigidarium per l’aula centrale. Nella
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natatio inserì il presbiterio e il chiostro piccolo del convento, mentre del calidarium resta il muro curvo che forma la facciata della basilica. E dove c’erano i giardini disegnò il chiostro grande della certosa. Nel 1889 il complesso divenne sede
del Museo nazionale di antichità romane e vi furono raccolte le diverse collezioni archeologiche e i reperti provenienti da vari scavi. Oggi è uno scrigno dei tesori archeologici sulla vita di Roma, dalla protostoria del Lazio ai fasti imperiali.
giro di soldi che sosteneva comunità locali e gestori degli impianti. Rovine ed eredità. In tarda epoca cristiana si iniziò a limitare l’accesso alle terme, aperte solo il sabato. Con il tempo, forse per l’eccessivo costo di manutenzione, o forse per i nuovi costumi che non mettevano più quei lussuosi complessi al centro della vita sociale, gli impianti vennero via via abbandonati. Infine, la distruzione degli acquedotti da parte degli invasori barbari dell’Italia antica rese inservibili molti impianti. Ma se pensiamo a come sono organizzati i villaggi-vacanza, le crociere sulle grandi navi e i centri termali con le beauty farm non resta che riconoscerlo: gli antichi Romani, con le loro maestose terme multifunzionali, avevano già inventato tutto. • Irene Merli
NATALINO RUSSO/SIME
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saperne di più
ROMA DIECI E LODE I libri che raccontano le eccellenze di Roma: luogo di innovazione e cultura (e patria di abilissimi generali). Roma imperiale. Una metropoli antica A cura di Elio Lo Cascio (Carocci) Roma fu la più grande metropoli del suo tempo. Studiarla significa scoprire come i suoi governanti seppero risolvere problemi enormi di approvvigionamento idrico e alimentare, realizzare quartieri in cui svettavano (si fa per dire) i più antichi condomini, organizzare la gestione di un traffico caotico. Questo libro, basandosi su evidenze archeologiche e fonti storiche, restituisce dati e numeri impressionanti, spesso record rimasti imbattuti per secoli. Le grandi battaglie dell’esercito romano Livio Zerbini (Odoya) Quel che davvero rese grande Roma furono le sue legioni. Questo libro, una novità editoriale, non soltanto rievoca le battaglie più importanti della
storia romana, ma anche evidenzia come le vittorie non dipendevano dalla superiorità numerica, quanto dall’eccezionale organizzazione e dalle doti dei suoi generali. Cicerone Pierre Grimal (Garzanti) Dalla penna di uno dei massimi specialisti di storia romana, la biografia del “principe del foro”. Secondo Grimal, Cicerone fu un “innovatore e al tempo stesso rivoluzionario autentico”. Il ritratto che emerge è quello di un personaggio vivo e affascinante, protagonista assoluto dell’eccellenza romana nel campo politico e faro della cultura umanistica occidentale. Quando i Romani andavano in America Elio Cadelo (Palombi) Una panoramica dei viaggi romani e delle loro esplorazioni fatti da soldati e mercanti. Testimonianze
Acquedotto romano di Segovia in Spagna, edificato tra il I e il II secolo.
storiche e archeologiche ricostruiscono le rotte degli antichi mercantili dell’Urbe, che arrivavano fino alla lontana India. Mentre via terra i Romani si spinsero in Africa al Lago Ciad e a Oriente lungo la Via della Seta. Ma soprattutto il libro evidenzia le conoscenze tecniche e scientifiche che, virtualmente, avrebbero permesso ai navigatori romani di raggiungere le coste nordamericane. Domus Aurea A cura di I. Sciortina, E. Segala (Electa) Un volume, corredato da foto, che ricostruisce la fortuna e il mito della residenza imperiale più lussuosa della romanità. La “casa d’oro” di Nerone è raccontata dagli archeologi che hanno lavorato al
suo interno, guidando il lettore, attraverso un testo semplice e ben illustrato, in una visita virtuale fra le meraviglie neroniane. Le Terme di Diocleziano (Electa) Un corposissimo e ricco volume dedicato alla terme più grandi del mondo antico, quelle di Diocleziano, e alle loro caratteristiche artistiche e tecnologiche. Vi si raccontano le meraviglie di un complesso monumentale sorprendente, che abbraccia anche la storia del recupero dell’area, occupata dal ’500 dalla Certosa di Santa Maria degli Angeli, a due passi dalla Stazione Termini.
La Storia raccontata in queste pagine rivive anche in tv
A
nche questo mese History, il canale di Sky dedicato alla Storia, disponibile anche in Hd, approfondisce il tema in primo piano su questo numero di Focus Storia. Lo fa con tre documentari dedicati alla grandezza (nel bene e nel male) romana. TI PRESENTO CALIGOLA La storica Mary Beard indaga sulla storia romana attraverso la figura controversa di
Caligola (foto), l’imperatore del I secolo più discusso, che sintetizza molti luoghi comuni sulla romanità. E che emerse proprio nel momento in cui Roma stava diventando il regno più vasto e potente del suo tempo e di tutta l’antichità: ma chi era davvero? Venerdì 20 novembre, ore 22:00 ROMA: L’IMPERO DALLO SPAZIO L’Impero romano fu il più grande dell’antichità, insieme a quello (di durata molto più breve) di Alessandro Magno.
Per noi, oggi, c’è un modo nuovo di apprezzarne la vastità e il grado di sviluppo, grazie all’aiuto dei satelliti. Questo documentario, attraverso strumenti di alta tecnologia e immagini realizzate con la computer grafica, propone una visuale spettacolare sulla romanità, con la guida di un team di storici e archeologi. Domenica 29 novembre, ore 18:00 COME I ROMANI HANNO CAMBIATO IL MONDO Quest’anno History propone
un modo diverso di passare la giornata di Santo Stefano: una serie di documentari su Roma antica. Tra questi, uno dedicato all’eredità architettonica e ingegneristica romana: il documentario racconta infatti i più ambiziosi progetti realizzati, tra cui strade, ponti giganteschi, acquedotti e reti fognarie. Tutti ingredienti che, insieme a un esercito perfettamente organizzato e ad abilissimi generali, hanno fatto di Roma una potenza unica nella Storia. Sabato 26 dicembre, ore 15:35
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una foto un fatto
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MONTGOMERY 21 DICEMBRE 1956 Rosa Parks su un autobus di Montgomery (Alabama) il giorno dopo la storica sentenza che abolì la segregazione razziale sui mezzi pubblici in Alabama. Sotto, la foto segnaletica della donna, allora 42enne, arrestata un anno prima perché si era rifiutata di cedere il posto a un bianco.
La madrina dei diritti civili Negli Anni ’50 in Alabama i neri non sedevano vicino ai bianchi sui mezzi pubblici. Poi una donna cambiò tutto.
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1° DICEMBRE 1955
rrestata per non aver ce duto il posto su un auto bus. Accadde a Rosa Parks, sarta di Montgomery e mo glie di un attivista nero, il 1° dicembre 1955. Per la legge dello Stato dell’Alabama, in fatti, in quanto afroamericana non aveva il diritto di occupa re quel sedile se un bianco lo reclamava per sé. Sui mezzi pubblici dell’Alabama, infat ti, i bianchi stavano davanti, i neri in fondo. In mezzo c’e rano i posti comuni, che pote vano essere occupati dai ne ri ma andavano ceduti se sa liva un bianco che non trova va posto davanti. Rosa, ferma e decisa, quella volta non si alzò, nemmeno dopo le pres sioni del conducente, che fer mò il mezzo e chiamò la poli zia. La donna fu arrestata, ma l’episodio scatenò una prote sta così forte da far cambiare la legge di quello Stato.
Boicottaggio. Il giorno do po l’arresto iniziò il boicot taggio degli autobus di Mont gomery: i neri non salirono più sugli autobus. La prote sta, che fermò nei depositi molti mezzi per mancanza di passeggeri, durò per più di un anno (381 giorni). Fino al 20 dicembre 1956, quando una sentenza della Corte supre ma giudicò incostituzionale la legge segregazionista dell’A labama. Dopo l’abrogazione, Rosa, considerata la madrina del movimento per i diritti ci vili, a causa delle numerose minacce ricevute fu costret ta a trasferirsi a Detroit. Qui continuò a fare la sarta fino al 1965, quando diventò segre taria di un membro del Con gresso, il democratico John Conyers. Morì nel 2005, dopo aver ricevuto nel 1999 la me daglia d’oro del Congresso. • Federica Ceccherini
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In altre parole A cura di Giuliana Rotondi
I discorsi dei grandi spiegati in parole semplici
Siamo tutti berlinesi
John Fitzgerald Kennedy 26 giugno 1963, dal Rathaus Schöneberg di Berlino In realtà, secondo alcuni storici, i Paesi socialisti fino agli Anni ’70 ebbero tassi di crescita alti, dovuti al processo di industrializzazione avviatosi nel Dopoguerra. Lo sviluppo si arrestò un decennio dopo: da un’economia di larga scala (quantitativa) sarebbero dovuti passare infatti a una specializzata.
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uemila anni fa il più grande orgoglio era dire: civis romanus
sum. Oggi, nel mondo libero, il più grande orgoglio è dire: ich bin ein Berliner, io sono un berlinese. Ci sono molte persone al mondo che non capiscono o che dicono di non
Significa “sono cittadino romano”. Lo status apparteneva ai cittadini della città, non era concesso agli abitanti di uno dei domini romani. Questo fino alla Constitutio Antoniniana (212 d.C.) che concesse la cittadinanza a tutte le popolazioni entro i confini dell’impero.
capire quale sia la grande differen-
Fu un implicito riconoscimento che Berlino Est faceva ormai parte del blocco sovietico: ufficialmente infatti lo status della città, in base agli accordi di Potsdam del 1945, era ancora quello di zona di occupazione delle quattro potenze alleate uscite vincitrici dalla Seconda guerra mondiale. Ma dal 1961 era separata in due dal Muro.
comunista: che vengano a Berlino. [...] E ce ne sono certe che dicono che sì il comunismo è un sistema malvagio ma permette progressi economici. Che vengano a Berlino. [...] Quando tutti saranno liberi, allora potremo guardare il giorno in cui questa città sarà riunita e così questo Paese e questo grande con-
La riunificazione tedesca avvenne il 3 ottobre 1990 (anche se il Muro era caduto un anno prima). I territori della Germania Est vennero incorporati in quelli della Germania Ovest. Fu un passaggio chiave per la successiva integrazione europea, nei decenni sempre più allargata a Est. 76
tinente europeo in un modo pacifico e ricco di speranza.
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V. SIRIANNI
za tra il mondo libero e il mondo
OGNI MESE UNA NUOVA IMMAGINE DEL MONDO
Viaggio nella terra che incarna il sogno americano, la California: le spiagge, le metropoli, ma anche i giovani nerd di San Francisco, gli indispensabili latinos, il problema della siccità. In più: il Chinko, l’ultima zona selvaggia dell’Africa, la fotografia che ci inganna, le volpi polari, la guerra dell’oppio, il tesoro minacciato di Haiti e molto altro...
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domande & risposte
Quante sono state le capitali d’Italia?
Queste pagine sono aperte a soddisfare le curiosità dei lettori, purché i quesiti siano di interesse generale. Non si forniscono risposte private. Scrivete a Focus Storia, via Battistotti Sassi 11/a, 20133 Milano o all’e-mail
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Perché il Novecento è il “secolo breve”? Domanda posta da Sofia Soffici.
Domanda posta da Antonio Cagliari.
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cisione dallo storico inglese Eric Hobsbawm, autore del saggio Il secolo breve. 1914-1991 (titolo originale: The Age of Extremes: the short
Twentieth Century, 1914-1991). I 77 anni intercorsi tra lo scoppio della Prima guerra mondiale (1914) e il crollo dell’Unione Sovietica (1991) corrispondono infatti per Hobsbawm a una sola epoca, di durata inferiore ai cent’anni. Continuità. È stato dunque un secolo davvero breve, soprattutto se paragonato a quello che Hobsbawm definiva “il lungo XIX secolo” durato “storicamente” 125 anni: dalla Rivoluzione francese (1789) fino al 1914. Si sottolinea in questo modo che il passaggio tra un secolo e un altro non necessariamente coincide con gli anni cronologici di fine e inizio. Nei primi del Novecento sopravvivevano molte caratteristiche sociali e tecniche dell’Ottocento. E lo stesso XX secolo si è fermato appunto nel 1991, con la fine dell’Urss: a livello geopolitico e sociale fu allora che cambiò tutto e iniziò una nuova epoca, quella della globalizzazione. (g. l.) Prima guerra mondiale: soldati in trincea nella Champagne (Francia).
ALINARI
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espressione, che fa riferimento agli anni 1914-1991, si deve allo storico ungherese Iván T. Berend, ma fu definita con maggior pre-
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Chi ha inventato il sottomarino? Domanda posta da Sirio Salvi.
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uesto mezzo bellico molto usato durante la Seconda guerra mondiale ha una storia particolare. Fu infatti inventato da un insegnante (e ingegnere) irlandese che voleva trovare un modo per mettere in difficoltà la potente marina britannica. John Philip Holland (questo il suo nome) era nato nel 1840 a Liscannor, e si era avvicinato fin da giovane 78
al movimento feniano (precursore dell’Ira) che voleva liberare l’Irlanda dal dominio inglese. Ribelle. Entusiasti del progetto, i feniani finanziarono con 60mila sterline l’ingegnere, che si dilettava a progettare il sottomarino nel tempo libero. Il primo collaudo fu disastroso: il nuovo mezzo da guerra, varato, affondò poco dopo. Successivamente screzi con i fenia-
ni portarono Holland a lasciare il movimento. Ma non il progetto. Il primo modello capace di viaggiare sottacqua fu varato il 17 maggio 1897 e nel 1900 fu acquistato dalla marina statunitense, che lo chiamò USS Holland (SS-1) e che inaugurò una lunga serie di mezzi analoghi. (f. c.)
Spaccato del 1899 con l’interno di un sottomarino.
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on soltanto Roma. Dall’Unità a oggi, altre 4 città sono state capitali d’Italia. Prima di tutte Torino. La città piemontese, già capitale del Regno di Sardegna, ricoprì questo ruolo per tre anni, dal 1861 al 1864. In realtà si trattò di un ripiego: dopo l’Unità d’Italia
(1861) Roma era sotto il controllo papale e non poteva essere altro che la “capitale ideale” del nuovo Stato, mentre Torino lo era a tutti gli effetti. Strategie. Da Torino si passò poi a Firenze. Lo spostamento avvenne nel 1865, in seguito a un accordo con i francesi, importanti atto-
ri delle vicende risorgimentali italiane, e servì per mostrare un (finto) disinteresse verso la città papale, cercando di ottenere così il ritiro delle truppe straniere dallo Stato Pontificio. Solo dopo la Breccia di Porta Pia, nel 1871, Roma conquistata divenne capitale. Ma non è fini-
ta. Durante la Seconda guerra mondiale, Brindisi prima (settembre 1943-febbraio 1944) e Salerno poi (febbraio-giugno 1944), le “rubarono” il titolo. Durò poco: quando la Roma occupata dai nazifascisti fu liberata (giugno 1944), tornò capitale. •
Maria Lombardi
ARCHIVI FARABOLA
Sotto, la prima riunione per la formazione di un governo di unità nazionale nel 1944 a Salerno (a lato), capitale dell’Italia liberata da febbraio a giugno del 1944.
Perché i musulmani non raffigurano Maometto?
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l Corano non vieta espressamente di raffigurare Maometto, ma esistono alcuni hadith, racconti sulla vita e detti attribuiti al Profeta, messi per iscritto molti anni dopo la sua morte, in cui lo stesso Maometto si definisce contrario alla raffigurazione di esseri viventi. Questi divieti nascevano probabilmente dal bisogno di cancellare l’adorazione degli idoli pagani
precedenti all’islam e valevano ancora di più nel caso di Maometto: nella religione musulmana Maometto non è una creatura divina, ma soltanto il Profeta di Dio. Profeta velato. Secondo i teologi, dunque, i fedeli non potevano rischiare di adorare qualcuno che non fosse Dio: per questo Maometto, assente dalle moschee, nelle prime forme d’arte islamica
venne rappresentato esclusivamente da una fiamma o con il volto velato (a destra). Mentre i convertiti successivi, come turchi e persiani, che davano un’interpretazione meno severa della tradizione, resero il divieto più flessibile: già dal XIII secolo troviamo rappresentazioni del Profeta su manoscritti e miniature private a contenuto religioso. (m. l. l.)
SCALA
Domanda posta da Massimo Pera.
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TECNOLOGIA
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a rivoluzione di Internet e Google predetta nel Settecento? È proprio così. Qualcuno immaginò già allora i modi odierni di trasmettere la conoscenza a livello globale. Ma anche altre invenzioni e scoperte furono anticipate dagli scrittori più visionari. Ecco quali.
Su Internet si andava nel ’700
Universale come Internet Lo scrittore inglese Samuel Johnson (1709-1784), che anticipò nel periodico The Rambler (sopra) la rivoluzione del World Wide Web (per lui, il “Registro Universale”).
Oggi troviamo subito dati, teorie, testi, esperti, comunichiamo a distanza all’istante. Tutto, ufficialmente, ebbe inizio 50 anni fa, quando militari e scienziati cominciarono a collegare a distanza i loro computer. Poi, nel marzo 1989, al Cern di Ginevra, lo scienziato informatico Tim Berners-Lee ideò il World Wide Web: 10 milioni di utenti nel 1996, sei miliardi di computer connessi oggi. Ma come dimostra la ricerca d’archivio, questa rivoluzione fu profetizzata (almeno a livello concettuale) già due secoli e mezzo fa da Samuel Johnson (1709-1784), considerato al suo tempo “il letterato più illustre della storia inglese”. Lo fece come autore del bollettino The Rambler, che Johnson pubblicava e vendeva a pochi centesimi. In una sua nota del 19 marzo 1751 scriveva: “Sarebbe utile creare un Registro Universale in cui chiunque possa scrivere che cosa desidera comprare o vendere e che sia anche un mercato generale di intelligenza. Dovrà avere una buona reputazione escludendo frodi e censure. Sarà un luogo ove ogni onesta curiosità sarà soddisfatta; ove la ricchezza pecuniaria e in-
Internet, l’uomo sulla Luna, le automobili, gli aeroplani e la polvere da sparo. I primi a immaginarli non sono stati gli scienziati, ma scrittori e intellettuali. Ce lo racconta il futurologo Roberto Vacca
Scrittori
PROFETICI
tellettuale di un Paese sarà raccolta; ove ogni condizione umana troverà supporto e piacere. Meriterà l’attenzione del mercante, del filosofo, dell’uomo d’affari e di chi si diverte solo a seguire le attività e gli interessi degli altri”. Una descrizione che potrebbe adattarsi benissimo a Internet. Non solo: anticipava anche i mutamenti sociali seguiti alla diffusione del Web. Continuava infatti: “Mentre pensavo queste cose caddi nel sonno. Poi sognai una dea agile, impaziente, con l’occhio pronto – la Curiosità. Mi annunciò che il Registro Universale sarebbe stato mandato da Giove per raccogliere i desideri degli uomini e per riordinare il mondo. Nessuno si lamenterà più perché deve svolgere compiti per i quali non è qualificato o perché possiede abilità o virtù che nessuno richiede. La nuova educazione insegnerà a tutti le lingue, le scienze, la moda, le danze e i giochi. Saranno inventati fuochi che scaldino una città intera, veicoli per viaggiare su strada e sull’acqua, medicine universali per curare ogni male e prolungare la vita. Per ogni arte ci saranno 100 professori per ogni allievo. Poi la Curiosità mi chiese se avrei saputo realizzare queste meraviglie, ma non avevo risposta e mi svegliai”.
I viaggi (spaziali) di Gulliver
Ritorno al futuro Un’illustrazione del libro Viaggio dalla Terra alla Luna di Jules Verne (nel tondo), che nel 1865, in anticipo di quasi un secolo esatto, prevedeva lo sbarco dell’uomo sul nostro satellite.
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Fin troppo nota è la “profezia” contenuta nel Viaggio dalla Terra alla Luna di Jules Verne, che nel 1865, con un secolo di anticipo, immaginò lo sbarco dell’umanità sul nostro satellite naturale. Ma non è l’unica anticipazione astronomica che possiamo trovare nei romanzi d’avventura. Nei Viaggi di Gulliver (data di pubblicazione, 1726), l’irlandese Jonathan Swift fa
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I conti con lo spazio L’ isola volante di Laputa in un’illustrazione dei Viaggi di Gulliver (1726). Nel libro, Jonathan Swift (nel tondo) aveva predetto l’esistenza di due satelliti di Marte, con misurazioni molto precise.
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compiere al suo protagonista un viaggio aerospaziale fino all’isola volante di Laputa. Nel racconto si legge che gli astronomi di quel Paese immaginario avevano osservato i pianeti del nostro sistema solare e avevano scoperto i due satelliti di Marte. Curioso, perché i due corpi celesti furono osservati per la prima volta con un telescopio soltanto nel 1877 (un secolo e mezzo più tardi) dall’astronomo Asaph Hall, che li chiamò Phobos e Deimos. Swift aveva indicato la distanza di Phobos da Marte in 13.600 km (sono in realtà 9.375) e un periodo di rivoluzione di 10 ore (sono 7,65). Per Deimos stabilì una distanza in 21.760 km (sono 23.459) e un periodo per orbitare attorno a Marte di 21 ore e mezza (sono 30,3). Swift non aveva un telescopio degno di questo nome, ma aveva studiato fisica e sapeva fare i
conti. Nel libro infatti calcola altri rapporti fra i due satelliti e il loro pianeta con, date le condizioni, sorprendente precisione.
Navi a motore nel Medioevo? Se andiamo indietro di 7 secoli e mezzo, troviamo invece tre profezie tecnologiche che emergono, inaspettate, dal Medioevo. Le mise per iscritto il frate Roger Bacon (1214-1294), non per niente detto “Doctor Mirabilis”, nell’Epistola de secretis operibus artis et naturae. Sono descrizioni vaghe e ispirate a miti di origine incerta, ma che non lasciano spazio a dubbi. Come questa: “Si possono costruire navi fluviali e marine pilotate da un uomo solo e che vadano a velocità maggiore che se avessero molti rematori. Si possono fare carri che si muovano senza animali eppure con grande energia, come si ri-
Colpi da maestro La preparazione della polvere da sparo in una litografia del ’600. Roger Bacon (nel tondo) aveva dato la ricetta nel Duecento.
L’atomica in un romanzo giallo
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Roger Bacon nel ’200 disse che avremmo volato su macchine con “dispositivi rotanti” e “ali artificiali”, ossia aerei
tiene che andassero anticamente i carri falcati da combattimento. Si possono fare macchine per volare in cui l’uomo siede al centro e dispositivi rotanti azionano ali artificiali che battono l’aria come quelle degli uccelli”. Insomma, navi a motore, automobili e aeroplani immaginati due secoli prima di un altro visionario, Leonardo da Vinci. La fama di Roger Bacon come scienziato è probabilmente esagerata. Sembra leggendaria la sua pretesa invenzione di una testa parlante di ottone, che sarebbe l’antenata dei robot. Nell’Epistola però descrive la ricetta per la polvere da sparo (inventata in Cina nel IX secolo d.C. ed esportata da Mongoli e Arabi: zolfo, salnitro e l’ingrediente segreto “LURU MOPE CAN UBRE”, nient’altro che l’anagramma di “puluere carbonum”, ossia “polvere di carbone”. • Roberto Vacca
on nove anni di anticipo sulla realtà, il romanziere inglese Eric Ambler (sotto) descrisse una bomba atomica in un thriller del 1936: The Dark Frontier (La frontiera oscura). Nel libro (sopra, la copertina) la inventa lo scienziato Jacob Kassen, che fugge dalla Germania nazista e si rifugia in Ixania, un immaginario Paese balcanico. Aziende inglesi che producono armi cercano di acquistare il brevetto e mandano a Ixania il fisico Henry Barstow, per controllare che i piani siano quelli veri. Il fisico, però, è in realtà Conway Carruthers, una sorta di supereroe che considera la bomba troppo pericolosa per la pace mondiale. Perciò distrugge il prototipo e tutta la documentazione. Timori. La vicenda del romanzo non anticipava nessuna vera caratteristica delle bombe atomiche. Tuttavia, Ambler comprese i rischi di un futuribile conflitto nucleare. Anche se, come in altri casi, la realtà ha superato la finzione letteraria. Non solo. Secondo alcuni, la doppia personalità Barstow-Carruthers avrebbe ispirato all’autore di fumetti Jerry Siegel il personaggio di Clark Kent-Superman.
I GRANDI TEMI
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L’ORDA D’ORO
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BATU KHAN L’INVASORE
ella primavera del 1241 i due massimi poteri della cristianità occidentale, l’imperatore Federico II e papa Gregorio IX, erano in lotta tra loro. Il terzo protagonista della storia di quegli anni, l’Impero bizantino, era in balìa dei crociati, che vi fondarono l’effimero Impero latino d’Oriente, un regno debole che aveva seminato soltanto malcontento tra la popolazione. Intanto, il Regno d’Ungheria – fondato oltre due secoli prima da re Stefano I “il Santo” – era scosso dalle tensioni fra il sovrano e l’aristocrazia ed era reso ancor più fragile dall’arrivo in massa di migliaia di profughi nomadi, i Cumani. 84
Fu in questo contesto caotico e conflittuale che i Mongoli sferrarono il loro micidiale attacco. E non lo fecero in modo avventato: avevano infatti pianificato la campagna europea con molta attenzione e avevano individuato il momento più opportuno per invadere la regione, avvalendosi anche di una rete di spie e informatori inviati per sondare la situazione. Lo stesso Federico II, a conoscenza di questa pratica, ammetteva che proprio la mancanza di coesione, la “publica discordia”, nel campo cristiano aveva lasciato ampi spazi d’azione al nemico. Ma quando e in che modo questi cavalieri delle steppe erano dilagati in Occidente?
INTANTO NEL MONDO Il comandante dell’Orda
ORDA D’ORO
A sinistra, Batu Khan sul trono in una miniatura di scuola persiana. Sotto, una battaglia fra truppe dell’Orda d’oro (il khanato di Batu) e cavalieri russi in un acquerello dell’Ottocento.
1196 Muore il re d’Ungheria Béla III e gli succede il primogenito Imre (Emerico).
1220-1225 Inizia la pressione mongola sui principati russi.
ALTRI PAESI
1194 Nasce a Jesi, da Enrico VI (figlio di Federico Barbarossa) e Costanza d’Altavilla, Federico di Svevia, futuro re di Sicilia e imperatore germanico.
1220 Federico II è ufficialmente incoronato imperatore dal papa, a Roma.
CULTURA 1193 ca. Nasce Santa Chiara di Assisi, fondatrice dell’ordine delle Clarisse.
1214 ca. Nasce Ruggero Bacone: filosofo, scienziato, teologo ed alchimista inglese.
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L’inarrestabile nipote di Gengis Khan, nel 1240, guidò un esercito di 150.000 guerrieri in Europa. Occupò i territori di Russia, Ungheria e Romania. Poi, vicino all’Italia, si ritirò. Il fondatore. L’impero dei Mongoli era stato fondato da Temugin, detto poi Gengis Khan, ovvero “signore universale”, un uomo di straordinarie capacità militari e politiche che in poco tempo era riuscito a conquistare un territorio vastissimo, compreso tra l’Estremo Oriente e il Caucaso. Quando nel 1227 morì, il suo immenso impero – il più esteso della storia dell’umanità – fu spartito tra i suoi figli. Il titolo imperiale passò a Ögödai, mentre al primogenito Juci fu assegnato l’ulus (una sorta di principato) occidentale, proteso verso l’Europa. Juci però morì prematuramente e a quel punto la sua eredità passò direttamente a suo figlio Batu. Come con-
1223 Battaglia di Kalka: il generale mongolo Subodei e altri nobili mongoli battono i Cumani, un altro popolo di nomadi delle steppe, e alcuni principi russi del Volga.
1223 Onorio III approva la Regola dell’Ordine dei Frati Minori fondato da Francesco d’Assisi.
1224 Nasce l’Università di Napoli Federico II. Due anni prima era stata fondata quella di Padova.
1227 Muore Gengis Khan. L’impero è diviso in tre parti. 85
dottiero Batu aveva già dimostrato una notevole determinazione e una smisurata sete di conquista. Secondo lo storico russo Boris Grekov “fu uno dei personaggi più in vista dell’impero all’epoca del gran khan Ögödai”. Gengis Khan, negli anni Venti del Duecento, era penetrato fino al cuore della Russia, allora divisa in principati, e grazie ai suoi esperti comandanti aveva battuto anche i Cumani a Kalka (1223). Ma non si trattava ancora di una conquista territoriale stabile: quella era stata soltanto la prova generale dell’invasione. L’Orda d’oro. Intorno al 1235, durante la grande assemblea generale dei Mongoli, detta quraltai, l’imperatore Ögödai decise ufficialmente la conquista dell’Europa. Al comando dell’operazione ci sarebbe stato Batu, per i Mongoli già signore di quei territori, che presto entrarono a far parte di uno dei khanati nati dalla spartizione dell’impero di Gengis: il khanato dell’Orda d’oro. L’invasione fu violenta, ma metodica. La possente armata dei cavalieri di Batu si riversò sui principati slavi (la Russia come Stato unitario non esisteva ancora) travolgendoli. Nel dicembre del 1240 cedeva Kiev, ultimo avamposto russo e a quel punto la strada per l’Ovest era spianata. Batu divise i suoi uomini in tre contingenti, permettendo così che dilagassero contemporaneamente da traiettorie diverse, attaccando, dopo i principati russi, anche la Polonia e l’Ungheria. La prima colonna mongola, tra raid e azioni improvvise, mise a ferro e fuoco il regno polacco, invadendo la Slesia e devastando città a ripetizione: Sandomierz, Bre-
slavia, Cracovia. Quest’ultima cadde il 22 marzo del 1241. E ancor oggi a Cracovia suona a ogni ora il cosiddetto Hejnał, l’avviso di raccolta della popolazione, in memoria del sorvegliante che, dalla torre di guardia della cattedrale di Santa Maria, morì trafitto al collo da una freccia mongola mentre stava dando l’allarme. I Mongoli giunsero rapidamente a Legnica, dove il 9 aprile si consumò una grande battaglia contro l’esercito polacco del duca Enrico II di Slesia, detto “il Pio”. Il duca era supportato anche da cavalieri Templari, Ospitalieri, Teutonici e Moravi, ma la loro preparazione bellica non bastò a contrastare l’impeto dei micidiali arcieri asiatici. La sconfitta fu terribile e tra i morti rimasti sul campo ci fu lo stesso Enrico, cugino del re d’Ungheria Béla IV. E fu proprio in territorio ungherese che i tre contingenti mongoli – si stima fossero almeno 150mila uomini – si riunirono sotto il comando di Batu Khan, che aveva condotto personalmen-
Ieri e oggi Il cremlino (fortezza) di Suzdal, in Russia. A destra, la città in una miniatura del ’500 durante l’attacco mongolo del 1238.
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L’ORDA D’ORO
Nulla nell’attacco all’Europa fu lasciato al caso. La campagna fu pianificata con anticipo grazie a una rete di spie e informatori
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I GRANDI TEMI
INTANTO NEL MONDO
Tesori ritrovati I tesori dell’Orda d’oro, oggi a Mosca. Il khanato dell’Orda d’Oro fu fondato da Batu Khan dopo averne ricevuto il territorio alla spartizione dell’Impero mongolo, dopo la morte di Gengis Khan.
te il contingente principale nella pianura del Danubio, attraversando il passo di Veretke (oggi in Ucraina), da cui era abbastanza facile passare con migliaia di cavalli, i carri e i rifornimenti. Sulla frontiera orientale ungherese c’erano da tempo le tipiche fortificazioni in legno magiare, che i latini chiamavano indagines. E c’era il conte palatino, inviato con un gruppo di cavalieri scelti a presidiare il confine, la Porta Russiae. Il 12 marzo 1241 arrivò anche Batu. I difensori furono passati tutti a fil di spada e riuscì a salvarsi miracolosamente, con pochi altri, soltanto il conte, che si lanciò in una cavalcata disperata per avvisare il re dell’invasione mongola. Ungheria invasa. I cavalieri asiatici dilagarono per il Paese. La Transilvania (che fu ungherese fino al 1920) fu devastata. I Mongoli erano organizzati in modo efficientissimo e agivano davvero come uno schiacciasassi, facendo ricorso anche al-
1229 Si conclude la crociata contro gli Albigesi per estirpare l’eresia del catarismo. 1230 ca. Nasce Jacopone da Todi, tra i massimi poeti italiani del Medioevo. 1235 All’assemblea generale dei Mongoli – detta quraltai – il Gran Khan Ögödai autorizza l’invasione e la conquista dell’Europa.
1240 L’esercito di Batu Khan si divide in tre contingenti, determinato a penetrare in Ungheria, vera porta d’Europa.
1237 Battaglia di Cortenuova: l’esercito imperiale di Federico II vince i Comuni italiani.
Federico II entra in Cremona col Carroccio.
1240 ca. Nasce a Firenze Cimabue, maestro di Giotto.
1245 Concilio di Lione: papa Innocenzo IV si attiva contro i Mongoli che avevano da poco messo a ferro e fuoco l’Europa Centro-orientale.
1245 Il domenicano Alberto Magno a Parigi diventa Magister theologiae cioè professore di teologia.
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1241 I contingenti mongoli mettono a ferro e fuoco la Polonia. Batu Khan entra in Ungheria attraverso il passo di Veretke, nei Carpazi (oggi in Ucraina), e comincia la conquista che li porterà alle porte dell’Italia. 1242 Inizia la ritirata dei Mongoli di Batu Khan dall’Ungheria e dall’Europa Centro-orientale.
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I GRANDI TEMI
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Tra il febbraio e il marzo del 1242 i Mongoli arrivarono vicino ai confini con l’Italia, ma poi iniziarono a ritirarsi. Perché? T
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la guerra psicologica. Crudeltà ed efferatezze si rivelarono strumenti utili ad annientare l’avversario fiaccandone la resistenza e inducendo i superstiti delle battaglie alla resa. I Mongoli non up hra erano invincibili t e s soltanto in campo aperto: conoscevano le tecniche d’assedio per espugnare cittadelle e fortificazioni. E questo gli europei davvero non se lo aspettavano da parte di nomadi delle steppe. ris
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Un cronista italiano tra i Mongoli
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ra le fonti principali della devastante invasione mongola ai danni dell’Europa Centrale, e in particolare dell’Ungheria, c’è innanzitutto il Carmen Miserabile di Ruggero Apulo, un canonico italiano che aveva svolto vari incarichi diplomatici nel regno magiaro per conto del legato papale d’Ungheria, il cardinale Jacopo da Pecorara. I suoi servigi erano stati premiati con l’arcidiaconato della cattedrale di Varadino (l’attuale città rumena di Oradea). Catturato. Maestro Ruggero si trovava in Ungheria proprio durante l’invasione di Batu Khan e fu catturato da un cavaliere mongolo che lo tenne in ostaggio per oltre un anno.
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EA Sfuggito in modo rocambolesco ai suoi carcerieri, una volta rientrato in Italia scrisse una lunga e avvincente cronaca sugli avvenimenti, narrando episodi sconvolgenti come la presa di Pest durante l’inverno. I Mongoli, infatti, liberarono una mandria di bovini sulla lastra ghiacciata del Danubio nel tratto davanti alla città, ottenendo così il doppio effetto di provare la tenuta del ghiaccio sotto il peso dei grossi animali e di indurre la popolazione ad aprire le porte per far entrare il bestiame spaurito. A quel punto i nomadi uscirono dal loro nascondiglio e conquistarono la città, massacrandone la popolazione.
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A lato, le campagne europee di Batu Khan. Sotto, mura difensive contro i Mongoli in Armenia.
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Inarrestabili Miniatura con l’invasione d’Ungheria del 1241, sotto il regno di Béla IV, e gli ungheresi fatti prigionieri.
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te salvò forse l’Occidente dalla conquista mongola. È questa almeno la tesi più diffusa tra gli storici, nonostante nel tempo siano state proposte anche altre interpretazioni. Fu probabilmente una serie di fattori infatti a graziare l’Europa: la scomparsa di Ögödai e la nuova elezione imperiale; le potenze europee che si stavano riorganizzando e avevano appena formato una coalizione militare; la difficoltà di trovare pascoli sufficienti per i cavalli in Ungheria. È infine possibile che Batu avesse capito che non fosse il caso di intestardirsi a restare ancora sul territorio europeo. Tra le grandi qualità dei Mongoli c’era anche quella di sapere quando era ora di ritirarsi. Quel momento, all’inizio del 1242, era arrivato. • Jennifer Radulovic
Sigilli reali Sigilli d’oro di Béla IV d’Ungheria e un documento risalente all’invasione mongola nel suo regno, del 1241.
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La disfatta d’Ungheria. Il re ungherese Béla IV, di fronte a quel fiume in piena, si portò con l’esercito verso est, per tentare di arginare l’invasione. Qui, l’11 aprile del 1241 presso la piana di Múhi, attraversata dal fiume Sajó, ci fu una battaglia che in Ungheria è ricordata ancora oggi come un disastro epico. Fu il più grande scontro militare al quale parteciparono dei Mongoli in territorio europeo e anche la più grave disfatta del Regno d’Ungheria dalla sua fondazione fino all’età moderna. La poca coesione dell’esercito di Béla IV, la disorganizzazione interna e l’attacco a sorpresa dei Mongoli gettarono nella confusione gli ungheresi: in gran parte si diedero alla fuga. Lo stesso sovrano a un certo punto decise per la ritirata e fuggì con la famiglia in Croazia, rifugiandosi su un isolotto dell’Adriatico. Suo fratello Colomanno morì poco dopo a causa delle ferite riportate in battaglia. Il regno d’Ungheria era abbandonato a se stesso. Béla IV inviò appelli al papa, al re di Francia Luigi IX e all’imperatore Federico II. Ma non ricevette alcun aiuto concreto. Gregorio IX si limitò a invitare alla preghiera collettiva e morì poco dopo, lasciando vacante il soglio pontificio per molti mesi. L’imperatore svevo emanò una Encyclica contra Tartaros. Ma la sua iniziativa arrivò troppo tardi per l’Ungheria, nonostante i Mongoli stessero ormai puntando ai territori austriaci e tedeschi. Dietrofront. Inseguendo il re d’Ungheria in fuga in Croazia, Batu Khan e i suoi arrivarono al confine con l’Italia. Ma, all’improvviso, iniziarono a ritirarsi. Tra il febbraio e il marzo del 1242 migliaia di Mongoli abbanAPERNE donarono la regione danubiana. CoDI PIÙ me mai? La risposta va cercata molto più a Oriente. Pochi mesi prima era morto l’impeLa grande ratore mongolo Ögödai. Tutti i signori invasione. Jennifer Radulovic (Res Gestae) dell’impero furono chiamati a parteciIl regno di Ungheria pare alla nuova elezione, come prevenel Duecento. deva l’usanza: quella morte eccellen-
Batu e i suoi (litigiosi) cugini
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Mongoli conoscevano la scrittura e avevano redatto una loro storia “nazionale”. Si tratta della Storia segreta dei Mongoli, una cronaca così chiamata perché la sua lettura era riservata in maniera esclusiva alla ristretta cerchia della famiglia imperiale mongola. Compilato da uno o più anonimi scribi di corte nel XIII secolo, il testo della Storia segreta narra delle vicende dei Mongoli dall’ascesa di Gengis Khan sino al “settimo mese dell’anno del Topo”, ovvero al 1240. Nella parte finale compare anche Batu, che alla morte del nonno
Gengis Khan si era trovato a ereditare la vastissima area occidentale dell’impero, dopo che suo padre Juci era morto. Parenti serpenti. L’imperatore Ögödai, zio di Batu, lo inviò subito in una campagna militare contro i Cumani, un altro popolo nomade delle steppe. Dopo la vittoria, Batu mandò un rapporto segreto allo zio per lamentarsi delle ingiurie ricevute dai suoi litigiosi cugini durante il banchetto di festeggiamento: “Come maggiore dei principi presenti, alzai per primo la coppa e bevetti dopo aver brindato. Per questo si arrabbiarono
contro di me Güyüg e Büri e non volendo assistere oltre fecero per andare. Büri disse: ‘Come osa bere per primo Batu, vorrebbe intrufolarsi tra noi come pari? Bisognerebbe dare un bel calcio a queste donnicciole barbute che vorrebbero essere pari nostre e pestarle per bene!’. E Güyüg aggiunse, senza tanti complimenti: ‘Spacchiamo un po’ di legna sulle mammelle di queste donnicciole armate di arco’. Quanto a noi, adducemmo vari ragionamenti sulla nostra causa comune in mezzo a popoli ostili e lontani, ma ci separammo senza esserci riconciliati”.
Le sorprese dei Giubilei
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RELIGIONE
A cura di Aldo Bacci e Anita Rubini
L’8 dicembre il papa inaugura un Giubileo straordinario. Ma che cos’è un Giubileo (e perché questo è straordinario)? Ecco quali sono le origini e il significato di un evento che ha attraversato l’Occidente per sette secoli.
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el 1343 papa Clemente VI, quarto pontefice della “cattività avignonese”, ottenne da Francia e Inghilterra una tregua nella Guerra dei Cent’anni per facilitare il viaggio dei pellegrini in arrivo a Roma per il Giubileo. Che fosse un affare serio lo si capì fin dall’inizio (il primo era stato indetto 43 anni prima, con cadenza di 100 anni). E serio lo era già per gli antichi Ebrei, dai quali si è ereditata la parola yòbel (da cui Giubileo) e che rimanda al corno d’ariete che inaugurava l’“anno santo” ebraico in cui si rimettevano i debiti e si liberavano gli schiavi. Lo scopo del Giubileo cattolico è invece la remissione dei peccati ai fedeli che compivano il pellegrinaggio e attraver-
savano la Porta Santa (la prima fu quella di San Pietro). Cambio data. Il Clemente avignonese è ricordato anche per aver mutato la cadenza dell’evento (non più 100, ma 50 anni). Urbano VI nel 1389 la abbassò a 33 anni (la vita di Gesù). Ma nel 1470 ci fu un altro cambio di programma: Paolo II decise che la ricorrenza sarebbe stata ogni 25 anni, “a causa della brevità della vita umana”. Quello di papa Francesco è fuori dalla cadenza prefissata (e per questo “straordinario”, oltre che “della Misericordia”). La data non è casuale e coincide con il cinquantenario della chiusura del Concilio Vaticano II. In queste pagine, altre curiosità legate a questo evento che ha più di 700 anni di storia. •
Papa Giovanni Paolo II apre il Grande Giubileo del 2000.
IL PRIMO (che non fu il papa a volere)
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l primo Giubileo moderno fu indetto a furor di popolo. Non fu infatti un’idea del papa in carica, Bonifacio VIII, che si limitò a sfruttare e formalizzare il fervore con cui molta gente, allo scoccare del Capodanno del 1300, si era riunita a San Pietro sulla voce di un’indulgenza speciale. Fu allora che il papa indisse il primo Anno Santo della Chiesa cattolica, il 22 febbraio e con valore retroattivo. “La piena e intera perdonanza” era concessa a chi, pentito e confessato, avesse visitato per 30 giorni (se romano) o 15 (se pellegrino) le basiliche di San Pietro e San Paolo. A rimanere esplicitamente esclusi furono i nemici del papa, come i Colonna e Federico III d’Aragona, re di Sicilia. Fama eterna. A ricordare quel primo Anno Santo, che si sarebbe ripetuto ogni 100 anni, fu anche Dante Alighieri, nella Divina Commedia.
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Quando le indulgenze SI COMPRAVANO
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otto Niccolò V venne indetto il Giubileo del 1450, con una grande novità: chi non era in grado di compiere il pellegrinaggio a Roma poteva ottenere l’indulgenza versando un’offerta. Insomma si sdoganava la possibilità di ricevere il perdono in cambio di denaro. Fu anche per questo che nel 1525 il Giubileo in corso si scontrò con i primi passi della Riforma protestante: tra le scintille che l’avevano originata, infatti, c’erano proprio le polemiche sulla concessione delle indulgenze in cambio di denaro. Pellegrinaggi alternativi. Nella storia della Chiesa c’erano stati anche altri modi di ottenere un’amnistia spirituale, per esempio partecipare alle Crociate. All’ormai anziano Michelangelo, nel 1550, fu invece concesso di compiere a cavallo, e non a piedi, il giro delle chiese giubilari (ottenendo perdono “doppio”).
Quando il papa vietò di SPECULARE sugli affitti
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urante i Giubilei, Roma veniva invasa (come oggi) da un fiume di pellegrini. E c’era sempre (come oggi) chi se ne voleva approfittare. Per il Giubileo del 1575 papa Gregorio XIII vietò di aumentare gli affitti e di dare sfratti per liberare alloggi. Inoltre stabilì un prezzo fisso per il cibo, allontanò da Roma le prostitute e proibì il carnevale. A colpi di martello. Gregorio XIII ebbe anche un piccolo memorabile disguido: il martello con cui aprì la Porta Santa si spezzò e lo ferì. Il rituale era stato introdotto nel 1500 da Alessandro VI Borgia, che aveva deciso di aprire il cerimoniale colpendo il muro della Porta Santa di San Pietro con un martelletto d’oro, per poi varcarla in ginocchio.
Quando fu POSTICIPATO per malattia
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l Giubileo di Clemente VIII cominciò con una settimana di ritardo, per causa di forza maggiore. Il papa era stato messo ko da un attacco di gotta e l’apertura della Porta Santa fu posticipata al 31 dicembre 1599. Nonostante il precario stato di salute, Clemente VIII durante l’Anno Santo confessava e comunicava molti pellegrini, e a volte lavava loro i piedi. Inoltre ogni giorno ospitava a mensa dodici poveri, servendoli personalmente. Prezzi folli. Anche la chiusura della Porta Santa fu posticipata, al 13 gennaio 1601, sempre a causa della malattia del papa. Nel corso di quel Giubileo furono previste pene severe per chi maggiorava i prezzi degli alloggi in città.
Vietato ESAGERARE col tabacco e... Quando Roma si rifece LA FACCIATA
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nno 1750: in occasione del Giubileo voluto da Benedetto XIV vennero restaurate tutte le chiese di Roma e per la prima volta la cupola di Michelangelo e il colonnato di Bernini furono illuminati da migliaia di fiaccole. Venne inoltre eretta al Colosseo la Via Crucis ancora oggi utilizzata dal papa il Venerdì Santo.
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lcuni Giubilei si aprirono all’insegna dei divieti. Nel 1725 papa Benedetto XIII mise al bando il gioco del lotto, ma ritirò la procedura di scomunicare quelli che assumevano tabacco all’interno della Basilica di San Pietro. A vietare ai sacerdoti di fiutare tabacco in chiesa era stato già Urbano VIII nel 1625 (era una consuetudine che stava dilagando, dopo essere stata importata in Europa dalle Americhe). Stop alle corride. Nel 1675, Clemente X ribadì il divieto di aumentare i prezzi degli alloggi e di sfrattare i cittadini. Inoltre sospese le lotte dei tori nel Colosseo.
Quando per l’indulgenza valeva ANCHE LA TV
Quando diventò un modo per PROTESTARE contro l’Italia
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ià nel 1800 un Giubileo saltò per motivi politici: Roma era occupata dalle truppe francesi. Nel 1875 si rischiava la stessa cosa, ma Pio IX indisse regolarmente il Giubileo nonostante Roma fosse in subbuglio: lo Stato Pontificio era appena stato annesso dai Savoia al Regno d’Italia con la Presa di Porta Pia (1870). Sotto tono. Non ci furono cerimonie di apertura e chiusura perché il papa – che non lasciava il Vaticano – celebrò l’evento privatamente per sottolineare la distanza ideale tra Santa Sede e Italia. Concesse comunque che l’indulgenza plenaria (che libera per intero dalla pena dovuta per i peccati commessi) potesse essere ottenuta in tutto il mondo visitando determinate chiese.
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apa Giovanni Paolo II definì quello del 2000 il Grande Giubileo, diverso da ogni altro perché celebrava i duemila anni dalla nascita di Cristo e perché l’umanità si lasciava alle spalle non soltanto un secolo, ma un millennio. Il papa aprì la Porta Santa spingendola con le mani, abolendo l’uso del martelletto. Ma ci fu un’ulteriore novità: estese l’indulgenza anche a chi seguiva le cerimonie tramite la radio o la televisione. Le celebrazioni erano state trasmesse la prima volta in mondovisione nel 1975. Storico perdono. In occasione del Grande Giubileo il papa chiese perdono per numerose “colpe storiche” della Chiesa come Crociate, Inquisizione, colonizzazione e persecuzioni.
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SOCIETÀ Senza bavaglio Bob Woodward (a sinistra) e Carl Bernstein al Washington Post nel 1973. Con la loro inchiesta sullo scandalo Watergate costrinsero il presidente Usa, Richard Nixon, alle dimissioni.
La libertà di stampa nasce nel ’600 in Inghilterra. Oggi ci pare scontata e senza limiti, ma non è sempre stato così
DIRITTO DI
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CORBIS
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l corpo di un bambino sulla riva del mare, accarezzato dalle onde. La foto, scattata da una reporter lo scorso settembre su una spiaggia turca, racconta la triste storia di Aylan, annegato mentre fuggiva dalla Siria con i genitori. L’immagine (uno scatto della sequenza è in fondo a questo articolo) è apparsa sulle prime pagine di molti giornali e siti, scatenando polemiche sulla strumentalizzazione del dolore, sul diritto di cronaca e, in senso più generale, sui limiti della libertà di stampa. Eppure c’è stato un tempo in cui il problema non era come evitare l’abuso di questa libertà di espressione, ma come ottenerla e come conservarla. Per secoli la stampa ha infatti subìto le ingerenze dei potenti di turno, preoccupati delle opinioni che i cittadini potessero farsi sfogliando libri e giornali. E in qualche caso le subisce ancora. Antiche censure. Le prime discussioni anticiparono addirittura l’invenzione della stampa stessa. Riguardavano, più in generale, la libera espressione. Nella Gre-
cia del V secolo a.C. era diffuso il concetto di parrhesia (da pan, “tutto”, e rhesis, “discorso”), che indicava il dovere morale di esprimere sempre la propria opinione. Un nobile principio che piacerebbe agli opinionisti da social network, eppure sospeso nel 399 a.C., quando il filosofo Socrate venne condannato a morte con l’accusa di corrompere i giovani con le sue idee. Quanto al mondo romano, la libertà di espressione fu piuttosto comune in età repubblicana, ma del tutto negata nell’impero. A mantenere un briciolo di libertà furono i commediografi, attraverso la satira. All’indice! «All’ingerenza dei sovrani si sommò nel Medioevo quella della Chiesa, che colpì soprattutto i trattati scientifici che andavano contro le Scritture e che si esasperò dopo la metà del ’400, proprio con l’introduzione della stampa a caratteri mobili. Fu allora che i libri resero il sapere accessibile a un ampio pubblico», spiega lo storico Edoardo Tortarolo, autore de L’invenzione della libertà di stampa (Carocci). La censura ecclesiale nel 1515 stabilì che ogni volume, per essere pubblicato, dovesse ricevere dalla Chiesa un imprimatur (dall’espressione Nihil obstat quominus imprimatur, “niente si oppone al fatto che sia stampato”). L’esempio sarà seguito da molti sovrani europei. Non solo. Nel 1559 fu stilato un Indice dei libri proibiti dove finirono Boccaccio, Dante, Machiavelli e, nel ’600, Galileo Galilei. «A rendere le ge-
GILARDI
Per criticare papi e governanti nel ’500 a Roma si ricorreva alle pasquinate: componimenti in versi, spesso satirici, affissi a una statua chiamata Pasquino
Liberi... da morire!
SCALA
Sopra, Frontespizio di Areopagitica, un trattato polemico scritto in prosa da John Milton durante la Guerra civile inglese e pubblicato nel 1644. A destra, un vignetta satirica contro i giornalisti inglesi del Daily Telegraph e del Daily News, accusati nel 1872 di diffondere falsità.
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rarchie cattoliche ostili alla stampa fu soprattutto il contributo che i libri davano alla diffusione delle idee di Lutero, eroe della Riforma protestante basata sulla lettura diretta delle Sacre Scritture, la cui interpretazione era rivendicata in esclusiva dal clero cattolico», aggiunge l’esperto. Non c’era dunque più spazio per la libertà d’opinione? Non è del tutto vero. A Roma per criticare papi e governanti si ricorreva alle “pasquinate”, versi affissi ai piedi di una statua di nome Pasquino. Una “bacheca” di Facebook ante litteram. Opinioni in libertà. A prendere coscienza del fatto che non poteva esserci vera libertà senza libertà di stampa fu l’Illuminismo francese, fra Seicento e Settecento. Oltralpe, l’Ancien Régime considerava la politica affare esclusivo del re in cui nessuno doveva ficcare il naso. Non la pensavano così gli anonimi autori delle nouvelles à la main, manoscritti clandestini antenati dei giornali, e dei pamphlets, brevi trattati stampati e pubblicati spesso sotto pseudonimo per sfuggire alla censura di Stato. Censura alla quale non scampavano le prime gazzette. Nemmeno in Inghilterra, culla di un giornalismo libero e rigoroso. «Nonostante la pubblicazione dell’Areopagitica, storico testo sulla libertà di stampa firmato da John Milton nel 1644, il Parlamento inglese approvò una legge che mirava a prevenire i “frequenti abusi nella stampa di opuscoli sediziosi” (Licensing of the Press Act, 1662)», racconta Tortarolo. «Già nel 1695, però, a seguito della Gloriosa Rivoluzione e della fine della monarchia assoluta, la censura preventiva finì». Primato americano. Anche se in Francia, dove i salotti si trasformarono nelle prime agenzie d’informazione (v. riquadro a destra), la liberalizzazione della stampa entrò nella lista delle richieste, a farne una realtà ci pensarono i coloni inglesi (e ribelli) d’America. «Nel 1735, a New York, una storica sentenza assolse un editore accusato di aver diffamato il governatore locale. E nel 1776 la Dichiarazione dei diritti della Virginia affermò che “la libertà di stampa è uno dei grandi baluardi della libertà”, principio ribadito nel 1791 dal primo emendamento della Costituzione statunitense», spiega lo storico. A ruota, nel 1789, la Rivoluzione francese dichiarò la libertà di stampa un diritto irrinunciabile: “Ogni cittadino può [...] parlare, scrivere, stampare liberamente”, si legge nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
La gente è stanca!
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Un’immagine risalente alla Rivoluzione francese: il popolo indignato, più consapevole grazie alla stampa, sventola gazzette.
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n’opinione pubblica bene informata è la nostra corte suprema. Perché ad essa ci si può sempre appellare contro le pubbliche ingiustizie...”. Parola di Joseph Pulitzer, che da buon giornalista (dal 1917 gli è dedicato l’omonimo premio) aveva grande considerazione dei valori e dei pensieri diffusi tra la maggioranza dei cittadini. Le radici del concetto di opinione pubblica affondano nel XVI secolo, quando la Riforma protestante, favorendo la lettura dei
testi sacri, portò il dibattito politico-religioso tra la gente. Dopodiché, in Francia, un nuovo contributo fu dato dai celebri salotti letterari, fuori dai quali si discuteva nei caffè e si prestava ascolto ai cosiddetti nouvellistes de bouche, “gazzettini umani” che diffondevano pettegolezzi sulla politica e sulla vita di corte. A Parigi si incontravano abitualmente presso l’Albero di Cracovia, grande castagno che doveva il nome all’espressione craques, “notizie dubbie”.
Coinvolgimento. In Inghilterra il quotidiano The Spectator, caposcuola del giornalismo moderno, portò in un solo biennio (1711-1712) la discussione politica nella vita quotidiana della popolazione ed esempi analoghi si registreranno in altri Paesi europei e non solo. Dall’Ottocento a oggi, inoltre, lo sviluppo di radio, televisione e Web ha offerto nuova risonanza a un’opinione pubblica con cui la politica deve ormai fare i conti ogni giorno.
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Come nacque l’opinione pubblica
Conversazioni da salotto Salotto letterario di aristocratici nel castello di Malmaison a Bois-Préau (XVIII secolo).
Momenti bui. Nell’Ottocento il legame fra indipendenza dell’informazione e democrazia divenne sempre più evidente. Ma ci volle più di un secolo per trasformare quella che era un’idea in fatto compiuto. In mezzo, il trauma della Grande guerra, che cancellò dai giornali ogni notizia negativa (cioè quasi tutte). E, subito dopo, il trattamento d’urto riservato ai giornali sotto i regimi totalitari: fascismo, nazismo e stalinismo. A casa nostra, il fascismo colpì nel 1925 la libertà di stampa con un decreto che consentiva di censurare e, all’occorrenza, sequestrare un giornale. Come in Italia, la Germania di Hitler trasformò la stampa in propaganda. Quanto all’Urss di Stalin, vi si potevano leggere soltanto Pravda e Izvestija, “voci del padrone” a senso unico. «La Seconda guerra mondiale aveva portato la libertà di stampa al suo grado zero: il 10 dicembre 1948 la Dichiarazione universale dei diritti umani approvata dall’Onu ribaltò la situazione», riprende Tortarolo. «L’articolo 19 sancì infatti che “ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione” oltre a quello di “cercare, ricevere e diffondere informazioni”». Il 1° gennaio di quell’anno la Costituzione italiana aveva già affermato che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo” (articolo 21). 96
Bambino ebreo alza le mani in segno di resa ai nazisti nel ghetto di Varsavia. CORBIS
Da noi la libertà di stampa è sancita dall’articolo 21 della Costituzione. E dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue
1943
GHETTO DI VARSAVIA
1972
LA GUERRA IN VIETNAM Kim Phúc, ustionata dal napalm, fugge dopo il bombardamento americano. AP
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1955: una copia della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Rinascita. Il secondo dopoguerra conferma: quanto più si diffonde la democrazia, tanto più la stampa diventa libera. E viceversa, come dimostrerebbero i casi della Cina e di Cuba, dove il controllo sugli organi di informazione resta ferreo. Del resto, anche in Occidente, nonostante l’esplosione libertaria degli Anni ’60, il diritto di cronaca a non è mai stato assoluto. Un limite ritenuto legittimo è quello etico. Le diverse leggi sulla stampa in tutti i Paesi democratici vietano gli incitamenti alla violenza e all’odio razziale e religioso e puniscono la diffamazione, cioè lo stru-
mento principale della “macchina del fango”. Il che non ha impedito ai tabloid britannici di distruggere l’immagine pubblica di personalità politiche e dello spettacolo, in nome del diritto di cronaca. Lo stesso diritto che ha reso possibile grandi inchieste giornalistiche, come quella del Washington Post che nel 1972 svelò lo scandalo Watergate e portò alle dimissioni del presidente Richard Nixon. Quarto potere. La diffusione di radio e televisioni prima e del Web poi ha sollevato nuovi dubbi. È vero che niente risveglia le coscienze come un “pugno nel-
Le “veline” fasciste
CONTRASTO
C 1989
PIAZZA TIENANMEN
CONTRASTO
L’immaginesimbolo della protesta a Pechino: il giovane e il carro armato.
2015
PROFUGHI SIRIANI Aylan Kurdi, annegato a 3 anni tentando di raggiungere la Grecia dalla Turchia.
lo stomaco” informativo (qui sopra, quattro esempi). Ma è vero anche che dopo i casi del piccolo Aylan o dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo molti hanno sostenuto come la libertà di stampa debba porsi il limite del rispetto per la dignità e le idee (o la fede) altrui. Il che è ben diverso dal proporre, come è recentemente accaduto in Italia, dibattute “leggi bavaglio”. A controllare la salute della libertà di stampa è l’organizzazione non governativa Reporters sans Frontières, con la sua classifica annuale basata su vari parametri: dal pluralismo dei media alle minac-
ce ai giornalisti. La classifica 2015, su 180 Paesi, vede prima la Finlandia e ultima l’Eritrea. L’Italia? È 73esima, tra intimidazioni a giornalisti e organi di stampa poco indipendenti. «Va poco meglio negli Usa, 49esimi a causa del condizionamento delle grandi industrie», conclude Tortarolo. Segno che la stampa continua a essere temuta: del resto, da secoli, è il “quarto potere” (dopo quelli legislativo, esecutivo e giudiziario). Lo diceva anche Napoleone: “Quattro giornali ostili sono da temere più di mille baionette”. • Matteo Liberti
ome in ogni regime totalitario, durante il fascismo i mezzi d’informazione erano sottoposti a un rigido controllo. Che prendeva la forma delle famigerate veline, note di servizio redatte su carta velina che in epoca fascista comunicavano alle redazioni le notizie da evidenziare e quelle da non pubblicare. Direttive. Redatte dall’ufficio stampa che rispondeva a Mussolini, le veline iniziarono a circolare quotidianamente dal 1935 (dal 1937 furono gestite dal ministero della Cultura Popolare). La scelta di utilizzare la carta da cui prendono il nome fu dovuta
alla necessità di produrne velocemente più copie: sottilissima, la carta velina consentiva di inserire parecchi fogli nelle macchine da scrivere, alternandoli con la carta carbone. Scopo delle veline era evitare giudizi negativi sul governo, enfatizzarne i meriti o minimizzare notizie sgradite (sotto, alcuni esempi). Sospese dopo la caduta del fascismo nel 1943, riapparvero nella Repubblica Sociale Italiana fino al 1945. Nel Dopoguerra il termine ha iniziato a indicare in modo generico le notizie diffuse dalle agenzie di stampa, entrando più tardi nel linguaggio televisivo.
“Non occuparsi di problemi riguardanti le pensioni” “Rivedere le corrispondenze dalla Sicilia, perché non si deve pubblicare che il Duce ha ballato” “Nelle cronache delle partite di calcio e nei commenti sul campionato non ‘sfottere’ gli arbitri” “Non interessarsi mai di qualsiasi cosa che riguardi Einstein” “Dare con rilievo e commentare il comunicato sull’aumento della statura in Italia, dimostrando come detto aumento sia il risultato di sedici anni di politica razziale [...]”
STORIE D’ITALIA MONTEREALE (PN)
Nel ’500 Domenico Scandella detto il Menocchio nel suo mulino leggeva i primi libri ed elaborò idee sulla Chiesa e sul cosmo che lo portarono al rogo
REALYEASYSTAR (7)
L’ERETICO MUGNAIO
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dò il potere religioso con argomenti pun genti e formulò anche un’originale teoria sulla creazione. E lo fece ricorrendo alle nuove tecnologie dell’epoca: leggendo cioè i primi libri stampati con i caratteri mobi li, che si andavano diffondendo. Da quelle letture elaborò la sua teoria della creazio ne e una teologia personale. Il grande caos. Secondo il mugnaio, che si esprimeva in volgare, all’inizio “tutto era un caos, terra, aere, acqua et foco insieme; et quel volume, andando così, fece una massa, aponto come si fa il formazo nel latte, et in quel diventorno (in quella massa comparvero) vermi, et quelli furno (furono) li angeli [...] et tra quel numero de angeli ve era anco Dio, creato anchora lui da quella massa in quel medesmo tempo”. Dio era quindi emerso dal caos della materia assieme agli angeli e quattro “an geli capitani”: Lucifero, Michele, Gabriele
L’uomo del mulino A sinistra, il castello di Montereale, il borgo di Menocchio (diminutivo di Domenico), come si presentava in una stampa del ’500. A destra, un disegno lo raffigura a processo (ne subì due) davanti all’inquisitore.
A.MOLINO
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i chiamava Domenico Scandella, ma per tutti era “il Menocchio”. Fa ceva il mugnaio a Montereale, bor go oggi in provincia di Pordenone. E dovrebbe essere ricordato come un eroe nazionale in un tempo, il nostro, in cui chiunque, sul Web e nei talk show, può criticare apertamente vescovi, magistrati e prefetti. Non era così nel Cinquecento, l’epoca in cui visse il Menocchio (era nato nel 1532). Un tempo in cui le opinioni sco mode erano duramente punite. Una moglie e sette figli, il Menocchio era un omone al to, un po’ istintivo (fu coinvolto in una ris sa e bandito da un paese vicino), ma con siderato affidabile, tanto da diventare am ministratore della Pieve di Montereale. Come ha scritto lo storico Carlo Ginz burg in un saggio diventato un classico, Il formaggio e i vermi (Einaudi), fu un esem pio virtuoso di “cittadino comune” che sfi
Il suo mulino diventò una specie di centro culturale.
La “sua” chiesa Sopra, la Pieve di Santa Maria di Montereale oggi. Di questa chiesa Menocchio era “cameraro”, cioè amministratore dei beni. Sotto, la salita al castello di Montereale nell’inverno del 1584.
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e Raffaele. “Lucibello (Lucifero) volse farsi signor alla comparazion del re, che era la maestà de Dio, et per la sua superbia Iddio commandò che fusse scaciato dal cielo con tutto il suo ordine”. A quel punto comparvero gli uomini, che però non seguivano i comandamenti. Allora arrivò Gesù: “Era uno delli figlioli de Dio, perché tutti semo fioli de Dio et di quella istessa natura che fu quel crucifisso; et era homo come nui ma di maggior dignità”. Insomma, Gesù non faceva parte di una trinità e non era divino, ma soltanto il migliore fra gli umani. Anche sulla verginità di Maria il mugnaio aveva le proprie riserve, basate sul buonsenso: “Tanti huomini sono nati al mondo et niuno è nato di donna vergine”. Citando uno dei libri che aveva letto, Il Rosario della gloriosa Vergine Maria, aveva concluso che era detta vergine perché era stata in un “tempio delle vergini” con altre 11 ragazze in attesa di sposarsi. Queste e altre eresie andava dicendo da anni a chi si recava al suo mulino o chiacchierando nelle osterie. Era così fiero delle proprie idee da desiderare di esporle un giorno ai potenti. Che infatti lo ascoltarono e poi lo misero al rogo. Parole pesanti. Fu il parroco di Montereale, don Odorico Vorai, a denunciare il Menocchio al Sant’Uffizio, l’Inquisizione romana. Era il 28 settembre del 1583. L’inchiesta raccolse molte testimonianze sui tentativi di proselitismo del mugnaio, ma non risultò ostilità dei compaesani nei suoi confronti. Il 4 febbraio 1584, quando il Menocchio aveva 52 anni, l’inquisitore, fra Felice di Montefalco, lo fece arrestare e condurre nelle carceri di Concordia. Poi, in osservanza del regolamento della Repubblica di Venezia che prescriveva negli interrogatori la presenza di un magistrato secolare (cioè laico) accanto all’inquisitore, il Menocchio fu ascoltato davanti al podestà di Portogruaro. Confermò le sue idee: “È vero che io ho ditto che se non havesse havuto paura della giustizia parlerebbe tanto da fare stupire; et ho ditto che se havessi gratia di andar avanti o il papa o un re o un principe che mi ascoltasse haverei ditto molte cose; et poi se mi havesse fatto morir non mi sarei curato”. Allora lo esortarono a parlare. E quello che disse era anche peggio delle sue teorie eretiche. Iniziò con il denunciare il sopruso esercitato dai ricchi sui poveri attraverso l’im-
posizione, nei tribunali, del latino, lingua incomprensibile ai più. “Io ho questa opinione”, dichiarò, “che il parlar latin sia un tradimento de’ poveri perché nelle litte di pover’homini non sanno quello si dice e sono strussiati [imbrogliati], et se vogliono dir quatro parole bisogna haver un avocato”. E continuò: “Et mi par che in questa nostra lege il papa, cardinali, vescovi sono tanto grandi et ricchi che tutto è de Chiesa et preti, et strussiano li poveri”. Questa sua
Colto da morire Immagine evocativa del Menocchio mentre legge un libro: la lettura di testi religiosi e laici contribuì a fargli elaborare teorie ritenute non ortodosse dalla Chiesa.
Nella pieve di Montereale insegnava a leggere e scrivere ai bambini del paese idea di una Chiesa senza privilegi andava a braccetto con quella di una religione senza dogmi, ridotta all’essenziale: “Amar Iddio e amar il prossimo”. Il mugnaio andava anche oltre: metteva sullo stesso piano i fedeli di tutte le confessioni, cattolici ed eretici, musulmani ed ebrei, perché Dio “li ha tutti cari et tutti si salvano a uno modo”. I sacramenti? “Mercanzie” del clero. Il battesimo? Inutile, visto che “ci battezza Dio perché ha benedet-
to ogni cosa”. La cresima? “Invention degli homini, tutti hanno il Spirito Santo”. La confessione? “Andare a confessar da preti et frati tanto è che andar da un arboro [un albero]”. Salvava soltanto il sacramento della comunione, ma reinterpretato: nell’ostia c’era lo Spirito Santo, non “il corpo di Cristo”. Infine, le Scritture venivano sì da Dio, ma gli uomini ci avevano aggiunto farina del loro sacco: “Circa le cose delli Evangelii, credo che parte siano ve-
ri et parte li evangelisti habbino messo de suo cervello, come si vede nelli passi, che uno dice a un modo et uno a un altro”. Ce n’era più che abbastanza per una condanna esemplare. Il problema era inquadrare il caso nel catalogo delle eresie. “Traviato” dai libri. L’inquisitore chiese al mugnaio se aveva dei complici. Lui rispose di no: con il suo “cervel sutil [aveva] voluto cercare le cose alte et che non sapeva”. In un’epoca, il Medioevo, in cui le ere-
Preti, santi e torture Affresco con un parroco nell’abside dell’antica pieve di Montereale. A destra, la tortura del “tratto di corda”: l’accusato, con dei pesi ai pedi, era issato con la carrucola e poi lasciato cadere per un tratto.
Riteneva che i sacramenti fossero un’invenzione umana. E non riconosceva neanche il matrimonio religioso sie erano sostenute da presunte rivelazioni divine e visioni mistiche, il Menocchio diceva di avere usato soltanto la razionalità. Il che sfuggiva alla logica del Sant’Uffizio. Nel dubbio, fu condannato alla prigione a vita. Quanto al parroco che lo aveva denunciato, fu cacciato dai paesani con i forconi, come rivelano documenti ritrovati dallo storico Andrea Del Col, che ha curato la pubblicazione degli atti dei processi nel volume Domenico Scandella detto il Menocchio (Pordenone, Biblioteca dell’Immagine) e che con il regista Alberto Fasulo sta ricostruendo la vicenda per trarne un film. Ancora dentro. Dopo 12 anni di suppliche dei compaesani e dichiarazioni di pentimento del Menocchio, il Sant’Uffizio lo liberò. Riprese a lavorare come mugnaio e come amministratore della pieve, inLa piazza del palazzo del Podestà a Portogruaro, dove il Menocchio fu interrogato.
segnando anche a leggere e a scrivere ai bambini di Montereale. Ma i suoi discorsi contro la Chiesa e sul “caos primordiale” ripresero. E il nuovo inquisitore, fra Gerolamo Asteo, ordinò un secondo arresto. A quel punto il Menocchio aveva 67 anni e aveva perso la moglie e il figlio maggiore. Nell’ultimo interrogatorio non riuscì a tenere testa all’inquisitore. Fu torturato “cum moderamine” scrisse il notaio, perché facesse i nomi dei complici. Ma gli unici “complici” erano stati i libri che il mugnaio aveva comprato o preso in prestito: testi religiosi ma anche di Boccaccio, racconti di viaggio e forse il Corano. I libri avevano dato la possibilità a un uomo del popolo di dare voce alla propria visione del mondo. Che però gli costò il rogo. • Franco Capone
Filosofia contadina
A
dire il vero, non tutte le bizzarre idee del Menocchio venivano dai libri. Molte appartenevano a una tradizione orale che semplificava la religione cristiana alla luce di antiche credenze pagane. Per lo storico Andrea Del Col, «in lui si ritrovano anche alcune eresie cristiane dei Catari, presenti in Friuli un paio di secoli prima. Inoltre, il mugnaio-filosofo diceva: “Dio è aere”, cioè presente in tutte le cose. Aveva dunque una visione panteista». Aggiunge il teologo Mauro Fracas: «Il Menocchio ribaltò il principio (detto di trascendenza) imposto dalla Chiesa, per cui c’è un Dio creatore separato dalla materia e preesistente a essa. Anticipatore. La metafora dei vermi che nascono dal formaggio simboleggiava lo spirito e la vita che emergono da una massa caotica. Anticipava la teoria della “generazione spontanea”, diffusa fino al Seicento, secondo la quale la vita può nascere da materia non vivente (per esempio dal fango). E persino le idee del grande filosofo tedesco Friedrich Schelling (17751854), per il quale il mondo materiale era capace di auto-organizzarsi. Il Menocchio fece tutto questo partendo dall’esperienza contadina. Filosofi come Kant e Hegel se avessero conosciuto il mugnaio di Montereale gli avrebbero fatto i complimenti».
MEMORIE
Vestigia antiche e recenti che raccontano il nostro passato. E diventano un monito per il futuro
GETTY IMAGES
I segni della guerra La facciata distrutta del palazzo di giustizia di SaintLô (Normandia), caduta sotto le bombe alleate sganciate nell’agosto del 1944.
ROVINE NEL
TEMPO
Fascino antico
BENAKI MUSEUM – PHOTOGRAPHIC ARCHIVE, ATHENS
Una veduta dei resti del Partenone sull’Acropoli di Atene (V secolo a.C.), in un dipinto ottocentesco di Giovan Battista Luiseri.
Sognando i classici
SCALA
Il Portico di Ottavia a Roma in un dipinto del ’600 di Antonio Gaspari. Dal Sei-Settecento in poi gli artisti subirono il fascino delle rovine antiche.
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YVES MARCHAND & ROMAIN MEFFRE/POLKA GALLERY
Archeologia industriale La sede abbandonata della Packard, casa automobilistica attiva a Detroit tra il 1899 e il 1958. La città vive da decenni una profonda crisi economica.
Il dopo Chernobyl
JEAN GAUMY/MAGNUM/CONTRASTO
La città fantasma di Pripyat (Ucraina) abbandonata dopo il disastro nucleare avvenuto alla centrale di Chernobyl (1986) a 3 km da qui.
L’età dell’oro nero Quel che rimane di un serbatoio per lo stoccaggio del petrolio al confine tra Iraq e Kuwait, distrutto durante la Guerra del Golfo del 1990-91.
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“La storia futura non produrrà rovine: non ne ha il tempo”. A dirlo è stato l’antropologo francese Marc Augé. Il mercato globale secondo lui impone la produzione di edifici “a scadenza”. La loro demolizione genera rifiuti e scarti (riciclati in minima parte). Ma niente rovine
Veduta post-sovietica
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LARRY TOWELL/MAGNUM/CONTRASTO
Resti di un monumento sovietico in Ucraina: dopo la caduta dell’Urss (1992) le memorie del periodo comunista furono rimosse.
DIGITALGLOBE/GETTY IMAGES
PRIMA DOPO
U
CAPOLAVORI DA ABBATTERE
n tempo i nazisti bruciavano i libri che giudicavano “degenerati”. Oggi i guerriglieri dell’Isis distruggono i siti archeo logici che raccontano la storia millenaria della civiltà occidentale preisla mica, nel tentativo di di mostrare che prima dell’i slam non c’era nulla e che i popoli prima di Maometto non hanno niente da insegnare. È stata questa furia cieca a farli accanire contro il sito romano di Palmira (in alto), lasciando macerie dove prima c’era uno dei più importanti siti ellenistici e romani e ucci
dendo l’archeologo che da una vita li difendeva. Fanatismi. Purtroppo l’Isis è in buona compagnia. Non sono passati molti anni infatti da quando il mondo ha assistito alla demolizione delle statue di Buddha a Bamiyan (Afghanistan), canno neggiate dai Talebani nel 2001 (sotto, il sito prima e dopo). Bamiyan si trova sul percorso della Via della seta: fu florido centro cul turale e sede di monasteri buddhisti tra II e VIII seco lo d.C. Per i fanatici però quelle statue erano solo idoli da abbattere. (g. r.)
PRIMA
DOPO
AFP/GETTY IMAGES
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Beirut ferita Facciata distrutta di una casa di Beirut (Libano). Nel Paese negli Anni ’70-’80 si combatté una guerra civile tra drusi, cristiani maroniti, musulmani.
In passato le memorie storiche erano fonte di ispirazione. Il classicismo riscoperto nel Rinascimento e tornato di moda nel Settecento fece di statue e architetture dell’antichità greca e romana modelli di bellezza 110
N
Tutto da rifare Demolizioni per l’apertura dei Fori imperiali (1932): Mussolini voleva una grande strada che collegasse il Colosseo a Piazza Venezia.
CORBIS/CONTRASTO
MET/ART RESOURCE/SCALA
ella cornice di Palazzo Altemps, a Roma, 120 opere tra dipinti, sculture, acquaforti, film, brani musicali ricostruiscono un ampio discorso sulle rovine, che non sono solo sentinelle del passato o consolatori luoghi della memoria. E infatti La forza delle rovine (fino al 31/1/2016, catalogo Electa) non è una mostra archeologica, pur non mancando di questa parte. Fin dalle prime sale il visitatore vedrà anche quadri e fotografie (alcune in queste pagine) su distruzioni belliche, abbandoni industriali, terremoti, disastri ambientali. Come a dire che le rovine sono sempre state protagoniste della Storia. (i. m.)
ARCHIVIO FOTOGRAFICO COMUNALE ROMA
IN MOSTRA
Antichi wex-voto Il Moscoforo e l’Efebo ritrovati nella “colmata persiana” sull’Acropoli (1865): fatti a pezzi dai Persiani nel 480 a.C., furono poi sepolti dagli ateniesi. 111
Storia
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Direttore responsabile Jacopo Loredan
[email protected] Ufficio centrale Aldo Carioli (caporedattore centrale,
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COMUNICATO SINDACALE Cari lettori, i giornalisti del mondo Focus contestano il piano industriale della capogruppo, Mondadori, che ha portato all’uscita dall’Azien-
da di 23 persone (su un organico di 26) tra segretarie, impiegati, addetti al marketing e alla produzione. I giornalisti manifestano solidarietà ai colleghi, che da più di 20 anni
GiGi Di Fiore
Gigi Di Fiore, giornalista e scrittore, è inviato speciale al Mattino di Napoli.
Autore di diversi saggi per Utet e Rizzoli, ha vinto il premio Saint Vincent per il giornalismo nel 2001.
Per la sua ricerca storica gli sono stati assegnati il premio Pedio nel 1999, il premio Guido Dorso nel 2011, il premio Melfi nel 2009, il Landolfo d’oro nel 2010, il premio Fiuggi Storia nel 2012, il premio Due Sicilie nel 2013 e il premio Radici nel 2015. Di particolare successo sono le sue “controstorie”: Controstoria dell’unità d’Italia e Controstoria della Liberazione, entrambe pubblicate da Rizzoli.
Il suo recente saggio, La Nazione napoletana edito dalla Utet, ha avuto tre ristampe in pochi mesi. Per le edizioni libri Focus storia, ha rieditato con successo 1861 Pontelandolfo e Casalduni un massacro dimenticato.
In copertina: Francesco II (Getty Images)
Questo è un libro sulla storia del re Francesco II di Borbone, ma anche sulla parallela storia dell’Italia liberale di fine ’800. Non esisteva finora una narrazione dettagliata su tutti i 33 anni d’esilio dell’ultimo re delle Due Sicilie, uno sconfitto, che ad Arco di Trento si faceva chiamare semplicemente “signor Fabiani”. Questo libro cerca di colmare la lacuna, fornendo spunti per ulteriori approfondimenti.
GiGi Di Fiore
Accendere i riflettori sull’esilio dell’ultimo re delle Due Sicilie, contestualizzandolo nell’Italia dei re Vittorio Emanuele II e Umberto I di Savoia, significa cercare di comprendere ancora meglio una figura storica più complessa di quanto la sua vita da sovrano, limitata a 21 mesi, riesca a fare immaginare. Nel racconto su quei 33 anni collegati agli eventi europei di quel periodo, si riesce ad afferrare molto di più la controversa personalità dell’ultimo sovrano napoletano, i suoi rapporti con la moglie, con i fratelli e con tutti i più importanti personaggi dell’epoca.
Questo è un libro sulla storia del re, ma anche sulla parallela storia dell’Italia liberale di fine ’800. Francesco II era uno sconfitto, che ad Arco di Trento si faceva chiamare semplicemente signor Fabiani e finora non esisteva una narrazione completa e dettagliata sui suoi anni d’esilio.
Questo libro cerca di colmare la lacuna, fornendo spunti per ulteriori approfondimenti sulle vicende italiane ed europee dal 1861 al 1894, ma soprattutto su un re che, in quella storia, fu il primo tra i vinti.
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I debiti del Vate
Le ragioni e i protagonisti della guerra di riconquista della Spagna, culminata con la vittoria contro i califfati nel 1492.
Gabriele D’Annunzio amava lussi e bella vita, che però costavano. Lui guadagnava molto, ma rischiò più volte di finire sul lastrico.
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Il ponte delle spie
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Il ponte di Glienicke, tra Potsdam e Berlino, fu lo scenario di segretissimi scambi di spie, che hanno ispirato Spielberg.
Nella Bibbia è l’eroe che sfida e batte il gigante Golia. Ma che cosa sanno storici e archeologi del sovrano del regno di Israele? Qualcosa stanno scoprendo.
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Sembra un mercato rionale. E in un certo senso lo è: si tratta infatti del “mercato nero” (o borsa nera) di Napoli, presso Porta Capuana. L’anno è il 1943, dopo l’Armistizio dell’8 settembre, quando i borsaneristi videro crescere enormemente i loro affari clandestini a causa delle requisizioni di beni di prima necessità e dell’economia di guerra. Il pane, che all’inizio del conflitto costava circa 2 lire (pari a 1,50 euro di oggi), arrivò nel 1943 a superare le 8 lire. 114
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